Cass. Pen. Sez. III, 13 settembre 2019, n. 38011/19: l’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica, di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. (violenza sessuale mediante induzione abusiva), anche nel caso in cui la vittima sia un minore o soggetto in stato di volontaria assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti, deve essere tenuto distinto dall’atto sessuale, rispetto al quale rappresenta un atto preesistente e propedeutico, sostanziandosi nella prima condotta della serie criminosa che sfocia nella violenza sessuale.

Avv. Rosaria Multari

 

Premessa. Il delitto di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. è una fattispecie criminosa a formazione progressiva che esula da presunzioni legali di incapacità, essendo funzionale alla tutela della libertà di autodeterminazione sessuale dei soggetti incapaci (art. 2 cost.).

La sentenza in commento si pronuncia sul reato di violenza sessuale indotta mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica, di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., con affermazioni rilevanti in ordine all’individuazione degli elementi tipici necessari per l’integrazione del reato in questione. La pronuncia, infatti, configura  il reato come una fattispecie criminosa a formazione progressiva, per la cui sussistenza, cioè, non è sufficiente il compimento dell’atto sessuale in danno di una vittima affetta da uno stato di inferiorità psico-fisica (come può essere un minore, peraltro, in condizione di volontaria assunzione di sostante alcoliche o stupefacenti), occorrendo, di contro, il preliminare compimento di una condotta di abuso dello stato soggettivo di inferiorità, abuso che poi deve sfociare nell’induzione all’atto sessuale e nella commissione successiva  dello stesso. La sentenza, in particolare, assume una peculiare rilevanza in quanto i Giudici di piazza Cavour, come si evidenzierà meglio nel proseguo, chiariscono che l’abuso rilevante ex art. 609 bis, comma 2, n.1, c.p., anche qualora la vittima sia un minorenne, non può essere mai presunto ovvero desunto in via automatica dal semplice fatto della minore età o, in generale, delle condizioni soggettive di inferiorità sussistenti in capo alla vittima al momento dell’atto sessuale. Occorre, di contro, che sia accertato, in concreto, l’abuso di quelle condizioni soggettive, abuso che presuppone la consapevolezza nell’agente dello stato di minorazione della vittima e la mancanza di una libera volontà di quest’ultima a partecipare all’atto sessuale. Una presunzione automatica di abuso e poi di induzione all’atto sessuale, infatti, risulterebbe contraria alla stessa ratio della norma incriminatrice, che è quella di tutelare la libertà di autodeterminazione di un soggetto, affetto da una condizione di inferiorità, in ordine all’adesione ad un rapporto sessuale, libertà che un automatismo presuntivo svilirebbe. La sentenza valorizza, in altri termini, il riconoscimento di una piena tutela alla libertà di autodeterminazione sessuale del soggetto (considerato diritto fondamentale che “concorre al pieno sviluppo della persona in quanto tale”, dunque, diritto rientrante nel catalogo di cui all’art. 2 cost.), riconoscimento che il legislatore ha compiuto proprio con la scelta di abrogare le presunzioni di incapacità di cui all’art. 519 c.p. Tali presunzioni, in passato, rendevano punibile, sempre e a prescindere da un accertamento del caso concreto, la condotta di chiunque si fosse congiunto carnalmente (o avesse compiuto atti di libidine) con una persona non in grado di resistere “a cagione delle proprie condizioni di inferiorità psichica o fisica”. Dunque, erano presunzioni che finivano per negare un diritto alla libertà sessuale per il soggetto affetto da uno stato di minorazione psico-fisica: anche se questi era consapevole e si fosse determinato al rapporto sessuale senza costrizioni, era ritenuto sempre e comunque vittima dell’atto sessuale consumato e la sua controparte sempre e comunque autore di un violenza sessuale. Dopo l’abrogazione di simili presunzioni di incapacità, di contro, anche chi si trova in stato di inferiorità psichica e fisica è libero di autodeterminarsi sessualmente. Pertanto, ritengono i giudici di legittimità, alla luce di ciò, non può più ritenersi che la consumazione di un rapporto sessuale (o atto di libidine) con persona in stato di inferiorità psico-fisica sia di per sé solo conseguenza di un abuso e di una violenza sessuale, ex art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p.

Nozione di condizioni di inferiorità fisica o psichica: vi rientra anche lo stato di volontaria assunzione di sostante alcoliche o stupefacenti, purché l’assunzione non sia tale da privare del tutto la persona della propria capacità di intendere e volere (prima condizione) e risulti essere strettamente collegata ad un’attività positiva di induzione alla consumazione di un atto sessuale (seconda condizione).

Un primo elemento rilevate che si scorge dalle lettura della sentenza in commento è dato dalla nozione di “condizioni di inferiorità fisica o psichica”, oggetto di abuso penalmente rilevante, ai sensi dell’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. La Suprema Corte, infatti, riprendendo sul punto l’orientamento dalla stessa consolidato in sentenze precedenti, ribadisce che tra le condizioni di inferiorità fisica o psichica di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p.,  rientrano anche quelle conseguenti alla volontaria assunzione di alcolici o stupefacenti, in quanto anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l’abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente. Ad ogni modo, i giudici di legittimità, nella sentenza in commento, chiariscono ulteriormente che l’assunzione volontaria di sostanze alcoliche o stupefacenti, per essere rilevante nell’ambito delle condizioni di inferiorità fisica o psichica di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., deve essere, anzitutto, preesistente all’atto sessuale e accertata in concreto, soprattutto – e qui sta la novità della sentenza –  deve rispondere a due condizioni. La prima condizione è che l’assunzione volontaria di sostanze alcoliche o stupefacenti non determini un annullamento totale della capacità di intendere o volere del soggetto, ma solo una limitazione di tale capacità, che lascia residuare una lucidità minima per consentire di esprimere un valido consenso in ordine all’atto sessuale successivo. Qualora, infatti, l’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti sia tale da privare del tutto la persona della capacità di intendere e volere, ponendola in un palese condizione di incapacità di esprimere il suo consenso, viene ad essere integrato il reato di violenza sessuale di cui al comma 1, art. 609 bis, c.p., ovvero violenza sessuale mediante minaccia o costrizione e non mediante induzione, come nella fattispecie dell’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. Inoltre, seconda condizione affinché l’assunzione volontaria di sostanze alcoliche o stupefacenti sia rilevante ai sensi dell’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., è data dalla circostanza che essa sia, se non predeterminata, comunque, strettamente collegata ad “una positiva attività di induzione” all’atto sessuale. Occorre, cioè, che l’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti intervenga nel contesto di “un’opera di persuasione sottile e subdola”, con cui “l’agente spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che altrimenti non avrebbe compiuto”. Altrimenti ragionando, sostengono i giudici di legittimità “si priva la fattispecie di cui all’art. 609 bis, comma secondo, n. 1, cod. pen., di una sua autonomia concettuale finendo per dissolvere l’elemento tipico della induzione nella pura e semplice consumazione dell’atto sessuale con una persona in stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti o alcoliche (che magari induca essa stessa alla consumazione dell’atto)”. In definitiva, secondo la sentenza in commento, ai fini della rilevanza ex art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., deve esserci una stretta connessione tra lo stato di assunzione volontaria di sostanze alcoliche o stupefacenti, da un lato, e l’induzione al compimento di un atto sessuale mediante abuso di tale stato (il quale è causa di una condizione soggettiva di limitata, ma non del tutto annullata, capacità di intendere e volere), dall’altro. In assenza di tale connessione, l’assunzione volontaria di sostanze alcoliche o stupefacenti non può assumere rilevanza penale ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale mediante abuso induttivo delle condizioni di inferiorità psico-fisica, considerato che tale assunzione non potrebbe in sé comportare un abuso dello stato di limitazione della capacità di intendere e volere che poi sfoci in un atto sessuale penalmente rilevante ai sensi dell’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p.

Abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica, di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p.: condotta distinta dall’induzione all’atto sessuale e dall’atto sessuale stesso, sostanziandosi nella condotta propedeutica all’induzione e al successivo atto sessuale.

Come osservato in premessa, da un lettura della sentenza in commento, si evince come i giudici di legittimità sembrino configurare la violenza sessuale mediante abuso induttivo, di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., quale un reato a formazione progressiva, ovvero reato in cui la condotta tipica incriminata consiste in una condotta complessa. Per la sua integrazione, infatti, non è sufficiente il solo atto sessuale senza il consenso di uno dei soggetti interessati dal coinvolgimento carnale, ma occorre, altresì, che questo sia stato sia conseguenza di una condotta di induzione, la quale, poi, deve essere a sua volta conseguenza di un abuso delle condizioni di inferiorità della vittima. In altri termini, nella sentenza in commento, è come se la Suprema Corte di Cassazione dicesse che occorrono 3 condotte, tra loro distinte, ancorché collegate e propedeutiche, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p.: l’abuso delle condizioni di inferiorità (prima condotta), l’induzione all’atto sessuale (seconda condotta), l’atto sessuale senza il consenso della vittima (terza e ultima condotta). Ma in cosa si sostanzia l’abuso delle condizioni di inferiorità fisiche o psichiche, che costituisce, come poc’anzi osservato, la prima condotta della serie criminosa di cui all’art. 609bis, comma 2, n.1, c.p., ovvero l’elemento centrale e caratterizzante tanto l’induzione all’atto sessuale che la successiva consumazione dell’atto sessuale stesso? L’abuso rilevante ex art. 609 bis, comma 2, n.1, c.p. – affermano i giudici di legittimità nella sentenza in commento – è, anzitutto, strumento per indurre, dunque, un atto che precede l’atto sessuale, non potendosi identificare con lo stesso. Esso, in particolare, consiste “nello sfruttamento della condizione di inferiorità fisica o psichica (di cui l’agente sia naturalmente consapevole) in cui versi la vittima indotta al compimento di atti sessuali in base ad un consenso ottenuto proprio a cagione della condizione in cui si trova. Occorre dunque che vi sia un stretta correlazione tra tale condizione, il vizio del consenso che l’esprime e l’induzione che ne è causa”. Dunque, non una qualsiasi forma di prevaricazione, ma solo una strumentalizzazione consapevole della condizione di inferiorità delle condizioni fisiche o psichiche (incluso lo stato di assunzione volontaria sostanze alcoliche o stupefacenti) della controparte di un rapporto sessuale, può integrare l’abuso rilevante come prima e principale condotta nella fattispecie criminosa a formazione progressiva di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. Si tratta di un elemento, chiariscono in ultimo i giudici di legittimità, che, in coerenza con la mancata previsione di presunzioni di incapacità, deve essere accertato “caso per caso, tenendo conto del contesto che precede l’azione, delle condizioni (non necessariamente dovute a patologia mentale) in cui si trovi la persona offesa, della percezione che ne abbia l’autore del fatto, dell’abuso, infine, che ne abbia quest’ultimo fatto per indurre l’altro/a all’atto sessuale”.

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