CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE –

SENTENZA 14 giugno 2012, n.14655

Annullabilità del testamento per incapacità di intendere e volere

a cura della D.ssa Claudia Zangheri Neviani

 

 

MASSIMA non ufficiale

“una accertata incapacità di intendere e volere trova conferma dall’analisi tecnica di redazione del testamento da cui emerge che la tecnica di redazione appariva incompatibile con lo stato psicofisico emergente dalla documentazione medica, così come la sapiente selezione di una corretta terminologia giuridica appariva incompatibile con le capacità grafiche e soprattutto ortografiche della de cuius.”

 

Il caso

Gli attori, eredi legittimi, sul presupposto della riconosciuta demenza senile e parkinson del testatore chiedono l’accertamento dell’invalidità del testamento olografo del defunto per incapacità a testare. Il tribunale di Tortona ritiene infondata la domanda. Avverso la sentenza di primo grado viene proposto appello che viene accolto dalla Corte di Appello di Torino con conseguente annullamento del testamento, la quale ha ritenuto il testatore incapace di intendere e volere al momento della redazione dell’atto.

 

Quesito da risolvere

Lo stato di incapacità di intendere e volere è inconciliabile con la capacità di essere in grado di scrivere.

 

Normativa e norma applicabile

591 c.c.

 

Nota esplicativa

La dichiarazione di annullabilità o di nullità del testamento rendono privo di efficacia giuridica l’atto in questione, e travolgono gli atti di terzi che hanno acquistato diritti dal presunto erede e/o legatario. Le varie cause di inefficacia del testamento sono espressamente disciplinate dal legislatore.

Dal punto di vista soggettivo l’annullabilità può derivare dall’incapacità del soggetto a fare testamento. Il legislatore prevede diverse ipotesi, per cui non possono fare testamento tutti coloro che ai sensi dell’art. 591 c.c. “sono dichiarati incapaci dalla legge.” Il soggetto in queste ipotesi non ha la capacità giuridica di disporre validamente dei propri beni, ciò in quanto il testamento è un atto personalissimo per il quale è vietata la rappresentanza; si tratta allora di una “vera e propria incapacità giuridica relativa[1]

Si discute sul quando detta incapacità debba essere valutata: se al momento della redazione del testamento o a quello dell’apertura della successione (tematica che si inserisce nella più ampia problematica della successione delle leggi nel tempo suddivisa tra la teoria del diritto acquisito[2] e quella del fatto compiuto[3].). Si sottolinea come nel nostro ordinamento vige l’art. 11 delle disposizioni preliminari il quale espressamente afferma che “la legge non può disporre che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo”, ne deriva che il fatto compiuto deve essere valutato e interpretato in base alla legge vigente al momento del compimento del medesimo.

L’incapacità di testare è l’eccezione alla regola e il codice la disciplina espressamente. Non sono capaci di testare: i minori, gli interdetti giudiziali, gli interdetti legali, gli inabilitati, il minore emancipato, per i soggetti sottoposti all’amministratore di sostegno occorre vagliare cosa è riportato nel decreto di nomina dell’amministratore[4], infine ci sono gli incapaci naturali.

In questa ultima categoria vi rientrano tutti coloro che non sono soggetti ad una qualsiasi forma di interdizione o inabilitazione, ma che comunque presentano momenti in cui non sono capaci di intendere e volere. Il codice non da una definizione chiara di incapacità naturale, ci ha quindi pensato la cassazione la quale ha affermato che si tratta di incapacità naturale tutte le volte in cui un’infermità o un’altra causa turbino il normale processo intellettivo e cognitivo di una persona, privandolo della consapevolezza dei propri atti e della possibilità di autodeterminarsi.

Ne consegue che ai fini dell’invalidità del testamento non è sufficiente che il processo di formazione della volontà sia alterato, ma è necessario che lo stato spico-fisico sia tale da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi liberamente e coscientemente.

La prova dell’incapacità naturale deve essere fornita con specifico riferimento al momento della redazione dell’atto, e non è possibile sostituirla con una presunzione di incapacità fondata sulla circostanza che il testatore fosse, in un periodo antecedente o posteriore, in uno stato mentale tale per cui non avesse la piena facoltà volitiva. Ciò non significa che le condizioni antecedenti e posteriori non possano essere valutate dal giudice, detto esame non deve consentire di affermare per presunzione l’esistenza dell’incapacità al momento della redazione del testamento, ma, come affermato in diverse sentenze, il giudice può dall’accertamento di una malattia che influisca sulla psiche, accertata in data posteriore alla redazione del testamento, ricavare la presunzione di incapacità anche al momento della redazione del testamento. Si può, così, presumere l’incapacità in presenza di una infermità psichica permanente o abituale (ma non intermittente) con la conseguenza che occorre provare che nel momento della redazione dell’atto il testatore fosse in un momento di lucidità.

La prova dell’incapacità del testatore può quindi essere fornita con ogni mezzo e deve riferirsi al momento della redazione del testamento. Il giudice allora non può ignorare il contenuto del testamento e le modalità di redazione del medesimo, valutando se siano o meno congruenti con lo stato fisico e mentale del testatore.

 

Giurisprudenza conforme

Cassazione civile 11 marzo 1995 nr 2865

Cassazione civile 22 maggio 1995 nr 5620

Cassazione civile 24 ottobre 1998 nr 10571

Cassazione civile 30 gennaio 2003 nr 1444

 

Bibliografia

Giampiccolo “Il contenuto atipico del testamento” Milano 1954, 150 ss.

Capozzi Guido “Successioni e donazioni” Giuffrè Editore 2009

Massimo Bianca “Diritto civile 2 La famiglia e le successioni” seconda edizione Giuffrè editore 1998

Stefano Delle Monache “Testamento disposizioni generali artt. 587-590”, 2005

Giuseppe Azzariti “La revocazione delle disposizioni testamentarie” Trattato di diritti civile diretto da Pietro Rescigno. Utet 1997.

Bigliazzi Geri “Il testamento”. Trattato di diritti civile diretto da Pietro Rescigno. Utet 1997.

 

Sentenza

Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza n. 14655 del 14 giugno – 27 agosto 2012 – Presidente Oddo – Relatore Scalisi

Svolgimento del processo

B.M. e C.P. con atto di citazione del 7-14 dicembre 2000, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Tortona, M.C. , M.R. e Don L.P. chiedendo l’accertamento dell’invalidità del testamento olografo di C.E.O. per incapacità a testare della de cuius rilevante ai sensi dell’art. 591 siccome accertata invalida civile al 100% per encefalopatia vasculoartrofica con demenza a parkinsonismo, incontinenza e miocardiosclerosi con la conseguente apertura della successione legittima in favore degli attori, nonché la nullità ed eventuale inefficacia degli atti dispositivi compiuti dai convenuti ed aventi ad oggetto beni immobili facenti parte della successione e la condanna degli stessi alla restituzione dei frutti eventualmente percepiti. Veniva chiarito che, con il testamento di cui si dice, la de cuius lasciava a titolo di prelegato a M.C. e a M.R. la nuda casa in (omissis) e, soltanto, al secondo il terreno in (omissis) su cui era installato un distributore di carburante Agip e alla Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista di (omissis) , la somma disponibile di L. 10.000.000 in titoli, li aveva istituiti eredi universali in parti uguali del restante patrimonio.

Si costituivano in giudizio M.C. e M.R. e anche Don L.P. , eccependo la piena capacità della testatrice contestando le domande avversarie di cui chiedevano il rigetto perché infondate.

Il Tribunale di Tortona riteneva infondata la domanda degli attori e, pertanto, respingeva la loro domanda, condannando gli stessi alla refusione delle spese giudiziali.

Avverso tale sentenza proponevano appello B.M. (o B. ) e C.P. denunciando l’erroneità della sentenza per aver posto a suo esclusivo fondamento le risultanze della CTU pure inficiata da rilevanti contraddizioni: per l’omissione degli aspetti contenutistici e grafici della scheda testamentaria, per la particolare proprietà quando non, addirittura, tecnicismo del linguaggio usato nella redazione del testamento verosimilmente da persona diversa, più colta ed esperta, della materia della testatrice.

Si costituivano gli appellanti, eccependo l’infondatezza dell’appello.

La Corte di appello di Torino con sentenza n. 164 del 2006, accoglieva l’appello e annullava il testamento olografo di C.E.O. , con la conseguente nullità di ogni atto di disposizione dei beni ereditari, compiuto in base ad esso. A sostegno di questa decisione, la Corte torinese osservava che il Tribunale: a) aveva accolto la CTU in modo sostanzialmente acritico, invero, censurabile per avere ingiustificatamente pretermesso importanti e specifici dati diagnostici in riferimento al periodo di redazione della scheda testamentaria, b) aveva assunto irrealmente dichiarazioni di terzi al di fuori del contraddittorio volte ad evidenziare la percezione delle capacità di intendere e di volere della testatrice, con evidente sconfinamento nell’ambito dell’acquisizione delle prove. Piuttosto, alla luce del quadro probatorio, la Corte torinese riteneva che C.E. già all’epoca della redazione del testamento, fosse incapace di intendere e di volere con la conseguente esclusione della sua capacità di testare ai sensi dell’art. 591, secondo comma n. 3.

La cassazione della sentenza della Corte torinese è stata chiesta da M.C. e da M.R. con ricorso affidato a sei motivo, illustrati con memoria. B.M. e C.P. hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, C. e M.R. lamentano la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in materia di attività espletabili dal consulente d’ufficio (art. 360 n. 3 cpc, in relazione all’art. 194 cpc). Avrebbe errato la Corte torinese nel disattendere totalmente le risultanze della CTU e soprattutto nel ritenere irrituali, e, dunque, espunte dal novero degli indizi a disposizione per la composizione del giudizio, le dichiarazioni di terzi acquisiti dal CTU e riportati nella relazione peritale, epperò l’art. 194 cpc. prevede che il CTU sia autorizzato a domandare chiarimenti alle parti ed assumere informazioni da terzi. In ragione di ciò e ai sensi dell’art. 366 bis cpc. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se ai sensi dell’art. 194 comma 1 cpc. Il consulente tecnico d’ufficio può assumere informazioni di terzi e se queste informazioni possono essere utilizzate dal giudice per la formazione del proprio convincimento”.

1.1 La censura è infondata e non può essere accolta perché le dichiarazioni dei terzi di cui si dice non indicavano dati medito legali, di natura clinica o diagnostica, quali presupposti necessari per rispondere ai quesiti posti al perito, ma riferivano della percezione delle condizioni di capacità di intendere e di volere della testatrice. Pertanto, l’acquisizione di quelle dichiarazioni riportate nella relazione peritale non rientrava nel compito, o, comunque, quelle dichiarazioni non erano necessari per l’espletamento del compito, specifico che il Giudice aveva affidato al CTU.

1.1a) Va qui osservato che il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice, può, ai sensi dell’art. 194, primo comma, cod. proc. civ., assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai predetti limiti intrinseci al mandato conferitogli, tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore probatorio, sia pure indiziario.

1.1b) Tuttavia, è bene chiarire che la Corte torinese ha disatteso le risultanze della CTU, nonché le dichiarazioni dei terzi riportate nella relazione peritale (non solo perché acquisite irritualmente ma), soprattutto per l’inequivoca documentazione medica esistente agli atti processuali dalla quale risultava che C.E. , già all’epoca di redazione del testamento impugnato, era incapace di intendere e di volere.

2. I ricorrenti lamentano, ancora:

A) con il secondo motivo l’omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (ex art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte espunto dalle risultanze istruttorie rilevanti elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione. La Corte torinese, secondo i ricorrenti, avrebbe totalmente omesso nel proprio iter logico – giuridico, quanto meno per confutarle, tutte le risultanze processuali totalmente contrarie a quelle a cui a dato rilievo per addivenire all’accertamento dell’incapacità della testatrice, epperò, l’esame di quelle risultanze, riportate dalla stessa CTU, compreso l’esame della CTU, avrebbe potuto con ragionevole certezza ribaltare l’esito del processo logico compiuto dalla Corte. Ad ogni buon conto ritengono i ricorrenti la sentenza impugnata presenta un vizio di motivazione per aver omesso di considerare tutte le risultanze processuali totalmente contrarie a quelle a cui ha dato rilievo senza aver offerto alcuna spiegazione.

B) con il terzo motivo: l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio per avere la Corte dedotto, da allegazioni di parte attestanti un’asserita demenza senile della testatrice 11 giorni prima della compilazione della scheda testamentaria, la prova della incapacità a testare rilevanti ex art. 591 comma due n. 3 cc., nonché per avere omesso ogni confutazione della contrapposta analisi del CTU. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe desunto la sussistenza dell’incapacità naturale della signora C. dalla relazione del Pronto soccorso del (omissis) e dalla certificazione della dott.ssa P. dell’(omissis) e dalla successiva riepilogativa del 7 aprile 2000 richiesta dagli attori, ma senza considerare che la relazione del Pronto soccorso conteneva elementi probatori discordanti; la certificazione della dott.ssa P. non era supportata da referti o esami clinici neurologici. E di più, la Corte torinese – specificano i ricorrenti – avrebbe ritenuto esatta la certificazione della dott.ssa P. malgrado il contrario e motivato parere del CTU senza indicare in alcun modo le motivazioni per cui ha ritenuto di discostarsi dal parere tecnico.

2.1 Entrambe le censure vanno esaminate congiuntamente per l’innegabile connessione che esiste tra le stesse, ed entrambe sono infondate.

La sentenza impugnata contiene una motivazione attenta, ponderata, logica e convincente, fondata su prova documentale e su specifici dati diagnostici di portata incontrovertibile, essendo documentati dal primario neurologico dell’Ospedale di (…), dallo stesso Pronto soccorso dello stesso ospedale, nonché dalla dott.ssa P. specialista in neurologia. La Corte torinese ha anche indicato le ragioni per cui disattendeva le risultanze della CTU laddove ha affermato che la relazione del Ctu medico-legale, era censurabile per aver ingiustificatamente pretermesso importanti e specifici dati diagnostici puntualmente e gravemente concludenti in riferimento al periodo di redazione della scheda testamentaria impugnata sulla base di un’apodittica valutazione della “capacità della paziente di svolgere calcoli anche complessi” senza per altro indicare la fonte di un tale elemento di così fermo convincimento.

3. Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte erroneamente ricostruito il fatto storico complesso dello stato d’incapacità della testatrice acquisendo dagli atti del giudizio indizi inesistenti contrarie ad altre risultanze processuali. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe affermato l’incapacità naturale della testatrice seguendo un iter logico giuridico del tutto illogico, considerato che per dimostrare la sussistenza della demenza senile della signora C. nel (omissis) la Corte di merito sarebbe partita da una diagnosi di depressione di 13 anni prima, collegando poi tale patologia: a) all’accertamento di agitazione psicomotoria eseguito dal Pronto soccorso tredici anni dopo, l’(omissis) e b) ad un’attestazione medica del dott. Prof. T. non collocabile, per altro, temporalmente tra il 1985 e il 1998.

In verità, sempre secondo i ricorrenti, la Corte torinese non avrebbe potuto attribuire rilevanza ad un unico sporadico episodio di ricovero al Pronto soccorso della testatrice, ritenuto invece rilevante perché inserito nell’eziologia della malattia.

3.1. Anche questo motivo infondato e non può essere accolto non solo perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie non proponibile al Giudice di legittimità, ma, soprattutto, perché il ragionamento seguito dalla Corte torinese è condivisibile essendo coerente con i dati diagnostici acquisiti agli atti del processo e, comunque, privo di carenze sul piano logico giuridico.

3.1.a). A bene vedere la Corte di merito ha attestato: a) che risultava documentalmente provato che già nel 1985 la signora C. era interessata da una condizione di depressione endogena inibita a sfondo ipocondriaco farmacologicamente trattata, b) che era provato che a tale quadro clinico si era sovrapposto un quadro paranoideo con delirio di persecuzione abbastanza strutturato alimentato da uno stato ansioso e di natura esistenziale; c) che tale condizione era andata progressivamente peggiorando fino a giustificare il suo accompagnamento al pronto soccorso per stato di agitazione psicomotoria a seguito di episodi di disorientamento spazio temporale e con difficoltà all’autonoma gestione delle occupazioni quotidiane; e) che l’(omissis) era stata fatta una diagnosi di disturbi del comportamento e manifestazioni incongrue, di reattività e di rivendicazione nei confronti dell’ambiente con perdita evidente di capacità di giudizio e di critica e con necessità di assistenza e spesso di intervento esterno per lo svolgimento di compiti e mansioni quotidiani.

Pertanto, queste condizioni psico fisiche della signora C. non potevano lasciare dubbi sulla incapacità di intendere e di volere della stessa. Né risulta che gli attuali ricorrenti abbiano offerto una rigorosa dimostrazione che la signora C. , nel momento in cui stava redigendo la scheda testamentaria avesse recuperato una piena capacità di intendere e di volere.

4. Con il quinto motivo (erroneamente contrassegnato come settimo) i ricorrenti lamentano la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte sotteso alla propria decisione il rilievo che la testatrice ha scritto di suo pugno la scheda testamentaria nonostante avesse accertato che fosse priva dalla capacità di intendere e di volere e incapace di attendere alle banali attività quotidiane.

Secondo i ricorrenti lo stato di incapacità di intendere e di volere sarebbe inconciliabile con la capacità della testatrice, affermata dalla Corte torinese, di essere in grado di scrivere. Il procedimento logico seguito dalla Corte, sempre secondo i ricorrenti, consisterebbe nel fallace sillogismo secondo cui: 1) premessa la perdita della capacità di badare a se stessi e di avere necessità di assistenza per svolgere le mansioni quotidiane; 2) considerato che il testamento era stato vergato di pugno dalla stessa testatrice il (omissis) ; 3) ne conseguiva che la testatrice, il giorno (omissis) , era incapace di intendere e di volere.

4.1. Anche questo motivo al pari degli altri è infondato e non può essere accolto non solo perché anche questa censura si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, non proponibile al giudice di legittimità, ma, soprattutto perché la Corte torinese ha adeguatamente spiegato che la conclusione cui era pervenuta – un’accertata incapacità di intendere e di volere della testatrice – trovava conferma dall’analisi della tecnica di redazione del testamento da cui emergeva che la tecnica di redazione appariva incompatibile con lo stato psicofisico emergente dalla documentazione medica, così come la sapiente selezione di una corretta terminologia giuridica appariva incompatibile con le capacità grafiche e soprattutto ortografiche della de cuius. Dall’analisi della tecnica di redazione del testamento la Corte torinese, pertanto, ha ragionevolmente presunto che il testamento fosse redatto verosimilmente sotto dettatura di terzi.

6. Con il sesto motivo (erroneamente contrassegnato come ottavo) i ricorrenti lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte desunto da una allegazione difensiva attestante una condizione di demenza senile e dalla incerta imputabilità del contenuto della scheda testamentaria alla testatrice (attesta la presenza di una terminologia tecnica presuntivamente non conoscibile da una persona con un modesto livello di scolarizzazione) lo stato di incapacità di intendere e di volere rilevante ex art. 591 comma 2 n. 3 cc. in quanto del tutto privo del riscontro di massime di esperienza. Secondo i ricorrenti la Corte torinese allorché afferma che la incerta riferibilità della terminologia tecnica alla de cuius sarebbe indice certo di una incapacità a testare in soggetto affetto da demenza senile, compirebbe un ragionamento del tutto privo di riferimenti a massime di esperienza nonché da nozioni di scienza medica. La Corte di merito avrebbe dovuto – secondo i ricorrenti – specificare a quale nozione ella scienza medica abbia fatto riferimento ovvero a quale percorso logico deduttivo sintetizzabile in massime di esperienza si sia avvalsa per pervenire all’accertamento dei fatti posti alla base della decisione. E, poiché avrebbe omesso ogni indicazione al riguardo la motivazione si manifesterebbe insufficiente.

5.1. Anche questa censura non ha ragione d’essere per quelle stesse ragioni che sono state indicate esaminando gli atri motivi ed in particolare il quinto motivo da cui viene assorbito.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc., condannati, in solido, al pagamento delle spese giudiziali che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorari oltre spese generali e accessori come per legge.


[1] Capozzi Guido “ successioni e donazioni” terza edizione Giuffrè editore, 2009, pag. 677

[2] Secondo questa teoria la nuova legge non può distruggere i diritti già acquisiti e definitivamente entrati nel patrimonio di un soggetto.

[3] La nuova legge non può estendere i suoi effetti ai fatti già compiuti e validi svolti sotto il vigore della precedente.

[4] Se nel decreto di nomina dell’amministratore nulla viene riportato il soggetto beneficiato potrà fare testamento, salvo la prova che non fosse incapace naturale, diversamente il giudice può escludere espressamente la capacità di testare del soggetto.

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