Applicazione e limiti della sanatoria rispetto alla comunicazione irregolare di ipoteca

Nota a sentenza: Corte di Cassazione, n. 7051 del 9 maggio 2012

a cura dell’Avv. Giancarlo Trovato

 

Valida l’ipoteca di Equitalia comunicata solo con la posta prioritaria.

Se il contribuente propone opposizione dimostra di avere conoscenza di fatto del provvedimento

 

 

Massima:

<<E’ valida l’iscrizione ipotecaria da parte di Equitalia comunicata con posta prioritaria e non con raccomandata, quando il contribuente la impugna dimostrando di esserne comunque venuto a conoscenza. Il criterio della “conoscenza legale” infatti è stato da tempo integrato dalla giurisprudenza di legittimità con quello della “conoscenza di fatto”, provata dalla stessa impugnazione dell’atto>>.

 

 

Sintesi del caso:

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7051 del 9 maggio 2012, ha respinto il ricorso di un contribuente che si era visto iscrivere ipoteca, senza – aveva questi sostenuto – aver ricevuto regolare notifica dell’iscrizione ipotecaria di cui si tratta.

 

Il ricorrente aveva lamentato, in concreto, che l’unica comunicazione del concessionario della riscossione fosse stata l’iscrizione ipotecaria a mezzo di posta prioritaria e non con raccomandata con ricevuta di ritorno.

 

Ma secondo la Cassazione, che si è allineata alla motivazione della Corte d’Appello, contraria però a quella del Tribunale, il fatto che il contribuente avesse presentato opposizione era sufficiente a dimostrare la validità della comunicazione da parte del fisco. La Corte di Cassazione ha pertanto dichiarato il ricorso infondato, compensando tra le parti le spese di lite.

 

 

La materia del contendere:

Limiti dell’invalidità dell’iscrizione ipotecaria in conseguenza della sua irregolare comunicazione.

 

 

Quaestio juris:

Il Supremo Consesso di Piazza Cavour ha sostenuto nella sentenza in commento che a prescindere da qualsivoglia questione circa la correttezza o meno della comunicazione di iscrizione ipotecaria a mezzo di posta prioritaria “una volta che il soggetto interessato, proponendo l’opposizione ex art. 617 cod. proc, civ., mostri necessariamente – proprio perché propone l’opposizione – di avere avuto conoscenza dell’atto impugnato, ancorché non gliene sia stata fatta rituale comunicazione o prima che gli venga comunicato un atto del procedimento successivo, idoneo a fargli acquisire necessariamente la conoscenza (o il dovere di conoscenza) degli atti precedenti, fra cui quello non comunicato (o non ritualmente comunicato), rientra, tra gli oneri di allegazione connessi alla soggezione dell’opposizione agli atti ad un termine decadenziale, decorrente dal compimento dell’atto nullo e dall’individuazione del dies a quo nella conoscenza, comunque acquisita, del provvedimento, indicare nell’atto di opposizione quando, in concreto e di fatto, sia stata acquisita detta conoscenza, nonché darne dimostrazione (sempreché la relativa prova non sia evincibile dai documenti prodotti dalla controparte o, comunque, acquisiti al processo), essendone l’opponente onerato sulla base del principio per cui incombe a chi deve agire nell’osservanza di un termine di decadenza, dare dimostrazione di averlo osservato”.

 

 

Normativa di riferimento:

art. 77 D.P.R. n. 602/1973

art. 156 c.p.c.

art. 60 D.P.R. n. 600/1973

 

 

Nota esplicativa:

I problemi delle notificazioni, nel caso di specie, attengono sia alla loro obbligatorietà, in presenza o meno di previsioni legali  (an notificandum), sia alle loro formalità di  svolgimento (quomodo notificandum), sia ai problemi interpretativi e pratici che esse pongono all’operatore, sia, infine, alle sanzioni e possibili sanatorie previste dall’ordinamento processuale nell’ipotesi di notificazioni di iscrizioni ipotecarie omesse o irrituali.

Appare quindi evidente l’ampiezza del tema, che elimina alla radice ogni pretesa di sistematicità o di completezza: pertanto,  in questa sede si affronteranno solo alcune tematiche specifiche,  con umiltà di intenti, ma con la certezza che ulteriori stimoli alla discussione ed alla riflessione, ed anche ulteriori profili problematici, saranno prospettati dai lettori, alla cui benevolenza ci si rimette.

E’ innanzitutto opportuno qualche piccolo riferimento ad alcuni profili della disciplina in tema di comunicazione dell’iscrizione di ipoteca.

Prima della modifica apportata dalla Legge 106/2011, all’art. 77, co 1, D.P.R. n. 602/73, mediante l’introduzione del comma 2bis, era discusso se sussistesse a carico del Concessionario per la riscossione l’obbligo di comunicazione dell’iscrizione ipotecaria.

La soluzione affermativa, prevalente in giurisprudenza, poggiava sulla considerazione che tra gli atti impugnabili davanti alle Commissioni tributarie sono previsti dall’art. 19, comma 1,  del D.L.vo n. 546/92,  –  in seguito al D.L. n. 223/06, convertito nella L. n. 248/06 – anche “l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del decreto del Presidente della repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni (e-bis)… “.

Lungo questa linea interpretativa, si osservava che – per l’effetto dell’applicazione dell’art. 21, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui “il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato” –  risultava evidente che, pur in assenza di specifica indicazione in tal senso nell’art. 77 citato, se non vi fosse stata comunicazione dell’iscrizione di ipoteca, sarebbe stato leso il diritto di difesa dell’interessato, il quale avrebbe potuto non venire mai a sapere di una iscrizione ipotecaria su un suo bene e, conseguentemente, non avrebbe potuto impugnarlo.

A favore di questa tesi ricostruttiva si poneva in ogni caso l’obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari sancito dall’art. 21bis, legge n. 241/1990. E’ indubbio infatti che l’iscrizione ipotecaria rientri tra i provvedimenti che determinano limiti nella sfera giuridica del destinatario, per gli effetti che la stessa garanzia reale produce in ordine alla disponibilità dei beni sottoposti a tale provvedimento.

Inoltre, la giurisprudenza, in alcune pronunce (per tutte, cfr. Commissione tributaria provinciale di Cosenza, sentenza n. 138/01/09 del 14/01/2009), si era orientata nel senso che l’iscrizione ipotecaria, ove non tempestivamente comunicata, fosse illegittima per violazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza che gravano sull’Amministrazione, ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 212/2000, secondo cui l’amministrazione finanziaria (e quindi anche il Concessionario, in forza dell’estensione a quest’ultimo operata dall’art 17 della stessa Legge) deve assicurare al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati.

D’altra parte, già la stessa Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, con la nota prot. n. 2003/63936, del 17 aprile 2003, aveva espresso parere in questa direzione interpretativa, ricordando ai Concessionari che vi è la necessità, contestualmente alla iscrizione di ipoteca, di inviare ai debitori una comunicazionerelativa all’adozione della misura in esame.

La questione è stata superata, come sopra anticipato, dal comma 2bis, aggiunto all’art. 77, D.P.R. n. 602/1973 dalla  Legge 106/2011, e in vigore dal 31 luglio 2011, che, in subiecta materia, in relazione all’obbligo di comunicazione dell’iscrizione di ipoteca, prevede che:

“(2-bis.)  L’agente  della  riscossione  e’  tenuto  a  notificare  al proprietario dell’immobile una  comunicazione  preventiva  contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute  entro  il termine di trenta giorni, sara’ iscritta l’ipoteca di cui al comma 1”.

E’ appena il caso di accennare, invece, alle formalità di svolgimento della comunicazione di cui si tratta. La giurisprudenza in proposito (per tutte, cfr. CTP Enna n 642/2007) è prevalente nell’affermare che poiché la comunicazione del provvedimento di iscrizione di ipoteca rileva ex art. 19, co 1, lett.e-bis, D.L.vo n. 546/92, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 del medesimo D.Lgs., la stessa misura non possa essere portata a conoscenza del destinatario se non mediante notificazione ex art. 60 D.P.R. 600 del 29.09.1973, nelle forme cioè con le quali devono essere comunicati tutti gli “avvisi e … altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente”.

Ciò posto, occorre ora verificare se all’ipotesi di mancata comunicazione dell’avvenuta iscrizione ipotecaria (che costituisce vizio procedimentale) sia applicabile la “sanatoria” di cui all’art. 21octies, secondo comma, primo periodo (introdotto dalla legge 15/2005), della legge 241/90, secondo cui : ”Non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norma sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Ad una prima sommaria valutazione sembrerebbe che la norma de qua possa trovare applicazione anche rispetto alla mancata comunicazione dell’iscrizione ipotecaria: l’adozione di quest’ultima, infatti, rientra tra le ipotesi di cd “discrezionalità tecnica” alla quale segue l’attività vincolata dell’Agente della riscossione. In altre parole, l’agente della riscossione una volta constatata – nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica – la presenza di tutti i presupposti per l’iscrizione ipotecaria – derivanti dalla natura del provvedimento -, deve procedere alla stessa, non essendogli consentito di valutare “l’opportunità” di iscrivere o meno ipoteca.

Ad una più approfondita analisi sistematica, tuttavia, tale prima ipotesi ricostruttiva appare giuridicamente inconsistente e non coerente con il sistema normativo tributario.

Le conclusioni soprainidicate infatti si pongono inesorabilmente in contrasto con gli artt. 6 e 7 della Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente). Giova sottolineare, a questo punto, che la legge 27/07/2000, n.212 reca norme di carattere procedimentale specificatamente indirizzate agli atti amministrativi emessi dall’Amministrazione finanziaria e dagli Agenti della riscossione; ossia norme che inevitabilmente si pongono in regime di specialità rispetto alle disposizioni sugli atti amministrativi generali. Orbene, secondo i principi generali del diritto, nel regime delle fonti, una norma speciale non può mai essere derogata da norme aventi carattere generale, ancorché posteriori. Oltretutto, è proprio la stessa legge n. 241/1990 citata che all’articolo 13 dispone espressamente che le disposizioni sulla formazione e partecipazione al procedimento amministrativo: “non si applicano ai procedimenti tributari per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano…”.

Ciò specificato, è opportuno fare anche un breve cenno alle conseguenze che potrebbero derivare dalla mancata o assolutamente invalida comunicazione dell’iscrizione ipotecaria.

Oltre alla cancellazione dell’ipoteca illegittimae al rimborsodi quanto eventualmente pagato in relazione all’iscrizione ipotecaria, secondo recente giurisprudenza vi è la possibilità di richiedere il risarcimento del danno derivante dalla compromissione della “commerciabilità” del bene ipotecato (in proposito, cfr. Cassazione, sentenza del 2 novembre 2010, n. 22267).

Ad avviso di chi scrive, tuttavia, tale voce di danno, relativa al pregiudizio patrimoniale che il contribuente può assumere di aver subito, non può essere del tutto genericamente formulata, atteso che incombe sulla parte attrice fornire prova del pregiudizio economico effettivamente subito, quale l’impossibilità di alienare l’immobile per la presenza di iscrizione ipotecaria illegittima, ovvero una concreta riduzione della clientela e del volume di affari.

Tanto detto sulla ricorrenza del danno patrimoniale, possono ritenersi sussistenti inoltre, sul piano dell’an debeatur, i danni consequenziali di natura non patrimoniale.
Com’è noto, il danno non patrimoniale risarcibile va inteso come categoria ampia, nella quale trovano collocazione giuridica tutte le ipotesi in cui si verifichi la lesione di beni o valori ine-renti alla persona, e cioè sia il danno morale soggettivo, sia il danno biologico in senso stretto, sia il danno esistenziale, o danno da lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale. E sul piano della prova è ius receptum l’affermazione secondo cui l’immaterialità dei pregiudizi in questione – lesione di beni e valori inerenti alla persona – rende percorribile in via principale lo strumento della prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza (in questo, ex multis, Cass. 19 agosto 2003, n. 12124). Il rapporto di derivazione immediata e diretta del danno da stress accertato in via presuntiva, dei disagi subiti, della lesione dell’immagine commerciale, non richiedono particolari sforzi argomentativi, riguardando diritti di rango costituzionale. Detto danno esistenziale è pertanto suscettibile di valutazione equitativa ex artt.1226 e 2056 del codice civile, alla stregua della gravità e della durata della lesione e delle presumibili conseguenze.

Infine, va ricordata tra le eventuali conseguenze dell’illegittima iscrizione anche la possibilità di condanna aggravata ex art 96 cpc, dal momento che la procedura di riscossione ed esecutiva presuppone sicuramente una verifica del titolo e dei presupposti, di cui il Concessionario non può non farsi carico prima di attivare qualsivoglia procedura esecutiva o di riscossione.

Tanto rilevato sotto il profilo delle conseguenze della mancata comunicazione dell’iscrizione, occorre puntare l’attenzione a questo punto al modo in cui incidono eventuali irregolarità della comunicazione comunque intervenuta, e in particolare è necessario valutare se tali criticità della notifica possano considerarsi superate a seguito, ad esempio, di proposizione del ricorso entro i termini di decadenza decorrenti dall’intervenuta comunicazione irregolare.

Ed invero, con la sentenza in esame la Cassazione appare ribadire proprio che l’iscrizione di ipoteca è valida, da parte di Equitalia, anche se comunicata con posta prioritaria (e non con raccomandata a.r.), qualora il contribuente impugni tale notifica entro i termini di decadenza. Infatti, nell’impugnare la notifica informale, il contribuente dimostrerebbe di aver comunque preso conoscenza “effettiva” dell’atto notificato, tale che sarebbe contraddittorio a questo punto, da parte sua, affermare che la spedizione dell’avviso non sia mai andata a buon fine per effetto della irregolarità riscontrata.

Nel caso di specie pertanto, la Suprema Corte mostra di fare esercizio del principio di sanatoria dell’invalidità della notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto, la cui applicazione nel caso in oggetto implica la conclusione che la piena conoscenza dell’atto prima del decorso del termine decadenziale costituisce vicenda equipollente alla notificazione dello stesso atto.

In relazione all’applicazione – con riferimento agli atti impositivi e di riscossione tributaria – dell’effetto sanante previsto dall’art. 156 cpc, si sono invero registrati in giurisprudenza diversi orientamenti.

Secondo un risalente indirizzo (ex plurimis, Cass., sez. trib., 29 maggio 2001, n. 7284), si dovrebbe giungere ad ascrivere alla proposizione del ricorso l’effetto di sanare i vizi di nullità della notifica dell’atto impugnato, per supposto raggiungimento dello scopo, a sensi dell’art. 156 codice di procedura civile, sul presupposto che provvedimento impositivo e atti della riscossione devono ritenersi parificati all’atto processuale, dovendo loro riconoscersi la natura di provocatio ad opponendum, Alla stessa soluzione, sebbene diversamente argomentando, si giungeva riconoscendo la rilevanza, “anche come atto processuale”, alla “notificazione” – del provvedimento impositivo o dell’atto di riscossione -, ritenuta “prodromica al processo” (cfr. Cass., sez. I, 7 aprile 2000, n. 3294).

Un diverso indirizzo interpretativo (si veda, in proposito, Cass., sez. trib., 16 maggio 2003, n. 7691), ha sostenuto, invece, l’inammissibilità della sanatoria, per effetto della mera proposizione del ricorso, dei vizi di nullità della notifica degli atti della procedura di riscossione, sottolineandone la natura amministrativa. A sostegno di questa tesi, si è osservato che gli atti della riscossione costituiscono provvedimenti destinati ad incidere autoritativamente nella sfera giuridica del destinatario, e sono contrassegnati dall’attitudine alla definitività, cioè a divenire non impugnabili decorso il termine decadenziale per la proposizione del ricorso. La loro impugnabilità, si sostiene, davanti ad un giudice, in forza di espresse previsioni legislative, rende tali atti, come prescritto, oggetto di “notificazione”, da intendersi quale procedimento tendente a realizzare l’effetto finale, rappresentato dalla “conoscenza legale”, necessaria per il perfezionamento dell’atto recettizio, giuridicamente inesistente se invalidamente notificato. La notificazione, dunque, integrerebbe, secondo questa ipotesi ricostruttiva, un elemento essenziale ai fini della costituzione della fattispecie provvedimentale, ed il vizio della notificazione si tradurrebbe in un vizio dell’atto, determinandone la giuridica inesistenza come provvedimento. Muovendo da tali premesse, si giunge a concludere che la proposizione del ricorso, con la deduzione del vizio di nullità della notificazione, non comporta la sanatoria della notifica invalida per supposto raggiungimento dello scopo, ma giustifica, al contrario, l’annullamento dell’atto a cui la notifica viziata attiene.

Intervenute a comporre il contrasto interpretativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza del 5 ottobre 2004, n. 19854, escludono che l’atto impositivo o di riscossione costituisca mera provocatio ad opponendum, essendo in realtà espressione chiara della pretesa avanzata dall’Amministrazione anche attraverso l’Agente di riscossione, nell’ambito di un vero e proprio procedimento amministrativo, e pertanto, vero e proprio atto amministrativo sostanziale e non atto processuale.

Cionondimeno, è pur vero che la norma di cui all’art. 156 c.p.c. si addice pienamente alla logica degli atti processuali, per i quali è stata concepita, atteso che ha quale precipuo scopo quello di evitare che il processo si arresti per vizi degli atti processuali, precludendo al giudice di pronunciarsi sul rapporto sottostante alla domanda di parte, in tutti quei casi in cui la circostanza che lo scopo dell’atto sia stato raggiunto è da considerarsi condizione sufficiente a evitare un arresto del giudizio.

In proposito è allora opportuno ora domandarsi quando lo scopo di un atto può dirsi raggiunto. L’applicazione della regola contenuta nell’art 156 citato imporrebbe una indagine complessa, tanto sull’individuazione dello scopo dei singoli atti processuali quanto sulla effettiva intenzione delle parti. In tal senso, la dottrina processualistica (per tutti, “Diritto processuale civile”, II, di C. Mandrioli, Giappichelli, 2011, pag. 203) ha elaborato un più agevole criterio generale, secondo cui lo scopo dell’atto può considerarsi raggiunto tutte le volte in cui la parte che potrebbe far valere il vizio compie l’atto o tiene il comportamento che nella normale sequenza segue quello viziato. In altri termini si determina la sanatoria della nullità in tutti i casi in cui all’atto invalido segue quello che, nella normale sequenza procedimentale o processuale prevista dalla legge, rappresenta l’adempimento di un correlato obbligo, l’attuazione di un conseguente onere o l’esercizio del connesso potere.

Riprendendo, a questo punto, il ragionamento svolto dalle Sezioni Unite del 2004, a favore dell’applicazione dell’articolo 156 in parola, è possibile individuare due diverse ragioni addotte dal Supremo Collegio, delle quali solo una è condivisibile.

In un primo passaggio argomentativo, infatti, la Corte ha affermato che la norma di cui all’art. 156 cpc, nel prevedere la sanatoria dell’atto nullo mediante il raggiungimento dello scopo, ha coniato una disposizione avente il rango di “principio generale”, come tale applicabile anche al di là della sfera degli atti processuali per i quali esso è stato codificato. In tal senso, la natura non processuale degli atti della riscossione tributaria non osterebbe all’applicazione della regola in oggetto, proprio perché espressione di un principio applicabile al di là del ristretto ambito processuale.

L’affermazione non convince. La sanatoria fondata sul raggiungimento dello scopo, come già evidenziato, trova la sua ratio, nel campo degli atti processuali, nell’esigenza di evitare che ogni vizio si trasformi in una causa ostativa alla prosecuzione del giudizio e alla pronuncia del giudice, cui il processo è preordinato. Questa ratio non è applicabile in via analogica al campo degli atti amministrativi sostanziali, per i quali non sono irrilevanti, ai fini della tutela del destinatario, né le modalità secondo cui si sono formati né quelle con cui sono stati portati a conoscenza (legge 212/2000).

In applicaizone dei principi generali del diritto, laddove il legislatore preveda una forma di sanatoria di nullità di atti, questa può operare, in quanto norma di carattere eccezionale, solo entro i confini previsti dalla legge. Pertanto soltanto la legge può prevedere un determinato fatto, atto o evento quale elemento sanante di una fattispecie nulla; né l’interprete può quindi ricavare dalla previsione di una regola operante in un determinato settore, un principio di rango generale, applicabile al di là dei casi espressamente previsti.

Per questi motivi, deve ritenersi che l’articolo 156 in esame non sia espressione di una regola di carattere generale, bensì rappresenti un principio applicabile solo alle ipotesi espressamente previste, ed operi solo nei casi in cui esso venga espressamente richiamato.

Quest’ultima constatazione consente di introdurre la seconda argomentazione utilizzata dalla Cassazione del 2004 per giustificare l’applicazione dell’art 156 e che, in verità, appare la logica più corretta per riconoscere l’operatività della disposizione in parola anche rispetto al procedimento di notificazione degli atti tributari.

Rilevano le Sezioni Unite che la disciplina relativa alle notificazioni degli atti della procedura di riscossione tributaria, in particolare, l’art 60 del Dpr 600/1973, reca un esplicito rinvio alle regole sulla notificazione previste dalle norme processualistiche. E tale rinvio alle norme del codice di procedura civile non riguarda solo le modalità della notificazione, bensì tutto il relativo regime, comprensivo, cioè, anche delle regole relative alle eventuali nullità e, quindi, anche alle loro sanatorie.

Lungo questa linea argomentativa, quindi, deve riconoscersi che, ancorché previsto solo per gli atti processuali, il principio del raggiungimento dello scopo trova applicazione anche per i vizi della notificazione degli atti tributari, per effetto del richiamo espresso contenuto nella disciplina fiscale.

Si osserva, pertanto, conclusivamente che, facendo buon esercizio dei principi di diritto fin qui formulati, la Cassazione del 9 maggio 2012 afferma correttamente che la «piena conoscenza» dell’atto tributario, manifestata attraverso l’impugnazione dello stesso, sana i vizi di nullità della notificazione, tenuto conto che, nel caso di specie, al momento della proposizione del ricorso, non è ancora maturata la decadenza dal potere di impugnazione dell’atto.

Per conseguenza, a contrario, l’intervenuta decorrenza dei termini decadenziali, se ritualmente contestata dal contribuente nella formulazione dei motivi del ricorso, preclude – per quanto finora indicato – l’operatività della sanatoria, non potendo operare in questo caso la presunzione di conoscenza di fatto dell’atto e quindi di raggiungimento dello scopo della notificazione irrituale.

Resta ferma, in ogni caso – è appena il caso di accennarvi -, l’insanabilità dei vizi della notificazione inquadrabili nella categoria della giuridica inesistenza, se ritualmente opposti tra i motivi d’impugnazione. Dall’analisi del panorama giurisprudenziale (per tutte, cfr. Cass. 7949/1999; 2195/1999; 12002/1998; 9372/1997; 1084/1996; 272/1996; 11963/1995; 8372/1995; 3819/1991; 4806/1988; 4562/1986; 3260/1986; 3191/1984), si deduce che la qualificazione del vizio in termini di giuridica inesistenza della notificazione, in via esemplificativa e senza pretese di completezza, sussiste nei casi in cui la notifica sia effettuata in modo assolutamente non previsto dalla normativa, tale, cioè da impedire che possa essere assunta nel modello legale della figura, oppure manchi degli elementi essenziali che consentano la qualificazione dell’atto come conforme al modello legale delle notificazioni, o quando la notifica possa dirsi del tutto assente.

 

 

 

Precedenti pronunce conformi e difformi:

In senso conforme:

Cass, Sez Un 5 ottobre 2004 n 19854:“l’applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo nel casi di impugnazione dell’atto la cui notificazione sia affetta da nullità significa che, se il contribuente mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto e ha potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa, lo stesso contribuente non potrà, in via di principio, dedurre i vizi relativi alla notificazione a sostegno di una domanda di annullamento.  Negli stessi termini, Cass. 15894/2006, secondo cui la sanatoria dei vizi delle notifiche per raggiungimento dello scopo, in seguito alla presentazione del ricorso del contribuente, vale anche per gli atti tributari. Secondo la Cassazione n 12007/2011, la natura sostanziale e non processuale dell’avviso di accertamento tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Infatti l’articolo 60 del dpr 600/1973, che detta le regole sul procedimento di notifica degli atti tributari, richiama espressamente le norme del processo civile e, quindi, anche il regime di nullità e sanatorie.

In senso difforme:

La cartella di pagamento e tutti gli altri atti emanati dall’agente della riscossione sono provvedimenti sostanziali e non processuali. Dunque, non è applicabile in caso di irregolarità della notifica la sanatoria per raggiungimento dello scopo prevista dal codice di rito se il contribuente contesti l’atto emanato dal concessionario (recentemente, in questo senso, Commissione tributaria provinciale di Lecce, seconda sezione, sentenza 656 del 13 dicembre 2011). Nel caso in esame era stata rilevata l’irregolarità della relata di notifica da parte dell’agente postale. Per i giudici salentini, «essendo la cartella di pagamento un atto amministrativo unilaterale recettizio, per la sua efficacia deve essere portato a conoscenza del contribuente». E «lo scopo della notifica viene raggiunto solo con la materiale e regolare notifica dell’atto senza possibilità di applicazione degli artt. 156 e ss. del c.p.c.».

 

 

 

 

 

Bibliografia essenziale:

Giurisprudenza CED Cassazione:

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 marzo – 9 maggio 2012, n. 7051; Cass. Civ., SS.UU., sentenza 5 ottobre 2004, n. 19854; Cass. Civ., sez. tributaria, sentenza 10 marzo 2008, n. 6347; Cass. Civ., sez. tributaria, sentenza 2 luglio 2009, n. 15554; Cassazione sentenza n. 6377 del 26/11/1988; Cassazione sentenza n. 8372 del 29/07/1995; CT Provinciale di Latina sez. 1 sentenza n 76 del 21/3/2000; Cassazione sezione tributaria, sentenza 28 luglio 2003 n. 11623; Cassazione sentenza n. 5924, del 21/4/2001;

 

Dottrina sull’argomento:

Notifiche nel Processo Tributario” di Domenico Chindemi, Altalex Editore, 2012;

“Diritto processuale civile”, II, di C. Mandrioli, Giappichelli, 2011.

 

 

 

Testo della sentenza:

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 marzo – 9 maggio 2012, n. 7051
Presidente Uccella – Relatore Ambrosio

Svolgimento del processo

Con citazione innanzi al Tribunale di Napoli T.V. chiedeva di dichiarare la nullità e/o inefficacia del provvedimento di iscrizione ipotecaria accesa su cespite di sua proprietà da Gest Line s.p.a. (ora Equitalia Polis s.p.a.) per il mancato pagamento di n.27 cartelle esattoriali, di ordinare la cancellazione dell’ipoteca e di condannare la Gest Line al risarcimento dei danni in suo favore. A tal fine deduceva l’omessa notificazione delle cartelle esattoriali sottese all’iscrizione ipotecaria, l’omessa notificazione dell’avviso ad adempiere, nonché la violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990, essendo stata l’iscrizione ipotecaria effettuata in violazione del generale principio di partecipazione del destinatario alla fase preordinata all’adozione dell’atto.

Resisteva la Gest Line, che deduceva, tra l’altro, la propria estraneità al rapporto sostanziale tra l’ente impositore e il contribuente, nonché la correttezza della procedura.
Con sentenza in data 31.05.2007, il Tribunale di Napoli – previa qualificazione della domanda come opposizione agli atti esecutivi – dichiarava l’invalidità dell’iscrizione ipotecaria, limitatamente a sette cartelle esattoriali, come specificate in dispositivo, rigettando per il resto la domanda e compensando le spese.

La decisione, gravata da impugnazione del T. in via principale e della Equitalia Polis in via incidentale, era riformata dalla Corte di appello di Napoli, la quale con sentenza in data 14.01.2010, dichiarava inammissibile la domanda proposta dal T. , compensando interamente le spese processuali.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.V. , svolgendo due motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito Equitalia Polis s.p.a., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, insistendo sulle eccezioni di difetto di giurisdizione e di competenza per una parte del credito.

Motivi della decisione

1. Preliminare è la dichiarazione di inammissibilità del ricorso incidentale (e dello stesso controricorso). Invero giusta la testuale previsione di cui all’art. 370 cod. proc. civ. la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabiliti per il deposito del ricorso; in mancanza di tale notificazione essa non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale (comma 1); inoltre a mente del successivo art. 371 cod. proc. civ. il ricorso incidentale deve essere proposto con l’atto contenente il controricorso.

Ciò posto e ribadito il principio, più che consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il disposto dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969, che sottrae le opposizioni esecutive a sospensione durante il periodo feriale, deve intendersi riferito all’intero corso del procedimento, riguardando anche i termini del ricorso per cassazione (cfr. per tutte Cass. 2 marzo 2010, n. 4942), il presente ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, in conformità alla richiesta del P.G. in udienza, per essere stato inoltrato per la notificazione in data 22.09.2010, ben oltre la scadenza del termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., decorrente dall’avvenuta notificazione del ricorso principale in data 13.07.2010.
2. La decisione impugnata ha accolto l’eccezione di tardività dell’opposizione per inosservanza del termine di cui all’art. 617 cod. proc. civ., con conseguente dichiarazione di inammissibilità della domanda del T. in considerazione: a) della pacifica qualificazione da parte del Tribunale dell’azione esercitata dal T. come opposizione agli atti e dell’incontrovertibilità di tale qualificazione per intervenuto giudicato sul punto in difetto di specifiche censure dell’opponente; b) dell’individuazione – altrettanto pacifica e, comunque, conseguente alla ridetta qualificazione – del dies a quo, dal quale far decorrere il termine di decadenza ex art. 617 cod. proc. civ., nella data di comunicazione dell’iscrizione di ipoteca, che secondo Equitalia Polis s.p.a. sarebbe avvenuta in data 10.05.2005, risultando perciò tardiva la notifica della citazione in data 25.05.2005; c) dell’ammissione, da parte del T. nell’atto introduttivo del giudizio, dell’avvenuta comunicazione dell’iscrizione di ipoteca a mezzo posta prioritaria, con la conseguenza che – a prescindere dalla ritualità o meno di tale comunicazione (non essendo stata formulata contestazione sul punto) – incombeva sullo stesso T. , per il principio di vicinanza della prova, l’onere di provare la tempestività dell’opposizione; d) dell’operatività nella fattispecie di principi analoghi a quelli applicabili in tema di opposizione all’ingiunzione, per la cui ammissibilità occorre il deposito della copia notifica dell’ingiunzione da parte dell’opponente, salvo che la prova della tempestività dell’opposizione non risulti comunque in atti o dalla produzione di controparte.
2.1. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., difetto motivazione e illogicità manifesta, difetto assoluto di istruttoria. In particolare l’opponente deduce che la Corte di appello, senza alcuna istruttoria, ha posto, acriticamente, a fondamento della propria decisione deduzioni erronee e contraddittorie della s.p.a. Equitalia, dalle quali si evincerebbe che l’ipoteca venne iscritta in data 30.03.2005 e che, invece, la regolare comunicazione dell’adozione del provvedimento sarebbe avvenuta solo in data 28.02.2006. Mancherebbe, quindi, la prova della ricezione della comunicazione da parte di esso T. in data 10.05.2005.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n.3 e n.5 cod. proc. civ., difetto motivazione e illogicità manifesta, difetto assoluto di istruttoria. A tal riguardo il ricorrente deduce che la motivazione, sul punto dell’inammissibilità dell’opposizione, poggia su argomentazioni logico-giuridiche errate, in specie, perché assimila la comunicazione per posta prioritaria a quella per raccomandata A/R o alla notificazione e perché aggrava notevolmente la posizione dell’opponente, il quale, proprio per le modalità di comunicazione, non sarebbe in grado di fornire la prova della tempestività dell’azione con il deposito della busta, contenente solo il timbro di invio.

3. I suddetti motivi, che si esaminano congiuntamente per la stretta connessione, sono infondati.
Innanzitutto occorre osservare che, ai fini dell’individuazione del dies a quo del termine perentorio di cui all’art. 617 cod. proc. civ., il criterio della conoscenza legale è stato da tempo integrato da questa Corte con quello della conoscenza di fatto. In particolare è stato affermato che in tema di opposizione agli atti esecutivi, ai fini del decorso del termine perentorio di cinque giorni (elevato a venti dall’art. 2, comma 3, lett. e), n. 41, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80) previsto dall’art. 617 cod. proc. civ. per la proposizione dell’opposizione, valgono sia il principio per cui il tempo del compimento dell’atto coincide con quello in cui l’esistenza di esso è resa palese alle parti del processo esecutivo, e quindi con il momento in cui l’interessato ha avuto legale conoscenza dell’atto medesimo ovvero di un atto successivo che necessariamente lo presupponga, sia il principio della piena validità della conoscenza di fatto dell’atto stesso in capo all’interessato (Cass. 30 aprile 2009, n. 10099; e per un più remoto precedente cfr. anche Cass. n. 1521 del 1969).

Va aggiunto che – secondo la regola applicabile ogni qualvolta la legge processuale preveda che una azione tipica debba essere esercitata entro un termine perentorio decorrente da un certo momento – grava sul ricorrente in opposizione l’onere della prova della tempestività della stessa; il che non esclude che, in ossequio al principio di acquisizione, detto onere possa essere considerato assolto, ove dagli atti, in ipotesi prodotti dalla controparte o emergenti dal fascicolo dell’esecuzione, ove acquisito, risulti comunque acquisita la dimostrazione della tempestività, ma comporta che le conseguenze negative della mancata prova ricadono sull’opponente, in quanto gravato del relativo onere. In tale prospettiva si è osservato che nell’ipotesi in cui l’opponente, pur in difetto di conoscenza legale, sia venuto, comunque, a conoscenza dell’atto impugnato, eventualmente anche per una propria iniziativa (dimostrando ciò con il fatto stesso della proposizione dell’opposizione), non può limitarsi ad allegare di avere avuto detta conoscenza, senza fornire la prova del momento in cui l’ha acquisita ai fini della dimostrazione della tempestività dell’opposizione, giacché, ragionando in questi termini, risulterebbe vanificata la stessa prescrizione di perentorietà del termine di cui all’art. 617 cod. proc. civ., la cui osservanza va pacificamente verificata anche d’ufficio in via pregiudiziale rispetto al merito dell’opposizione. In particolare qualora il soggetto coinvolto nella procedura esecutiva proponga tale opposizione invocando la nullità di atti del procedimento e assumendo che uno di essi, presupposto degli altri, non gli sia stato debitamente notificato, l’opposizione, ove formulata oltre il termine di cui all’art. 617, secondo comma, cod. proc. civ. dall’ultimo atto del procedimento stesso, è da ritenersi tempestiva soltanto se l’opponente alleghi e dimostri quando è venuto a conoscenza dell’atto presupposto nullo (cioè della sua mancata comunicazione e, quindi, della relativa nullità) e di quelli conseguenti, ivi compreso l’ultimo, e l’opposizione risulti avanzata nel termine (ora) di venti giorni da tale sopravvenuta conoscenza di fatto (Cass. 17 marzo 2010, n. 6487).

3.1. Tanto premesso, il Collegio osserva che il principio di diritto applicato dalla sentenza impugnata, nel senso che – una volta allegata dall’opponente l’avvenuta conoscenza dell’iscrizione ipotecaria a seguito di comunicazione a mezzo di posta prioritaria – fosse onere della medesima parte dimostrare la data della ricezione di siffatta comunicazione, risulta conforme ai principi sopra esposti. Le conseguenze della mancata prova sono state, dunque, correttamente poste a carico dell’odierno ricorrente, con correlativa dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione.

È il caso di osservare che, alla luce delle premesse sopra svolte, non rileva l’argomento, confusamente esposto da parte ricorrente, in ordine alla rituale comunicazione dell’iscrizione ipotecaria nell’anno 2006, e ciò perché – a prescindere da qualsiasi questione circa la correttezza o meno della precedente comunicazione a mezzo posta prioritaria (questione che, come osservato dai giudici a quibus, esula dal presente giudizio) – è assorbente la considerazione che è lo stesso odierno ricorrente a dare atto dell’avvenuta conoscenza (legale o di fatto, qui non interessa) dell’atto impugnato – prima ancora che con le precise ammissioni svolte nell’atto di opposizione – con il fatto stesso di aver proposto opposizione avverso l’atto in questione.

In sostanza una volta che il soggetto interessato, proponendo l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., mostri necessariamente – proprio perché propone l’opposizione – di avere avuto conoscenza dell’atto impugnato, ancorché non gliene sia stata fatta rituale comunicazione o prima che gli venga comunicato un atto del procedimento successivo, idoneo a fargli acquisire necessariamente la conoscenza (o il dovere di conoscenza) degli atti precedenti, fra cui quello non comunicato (o non ritualmente comunicato), rientra, tra gli oneri di allegazione connessi alla soggezione dell’opposizione agli atti ad un termine decadenziale decorrente dal compimento dell’atto nullo e dall’individuazione del dies a quo nella conoscenza, comunque acquisita, del provvedimento, indicare nell’atto di opposizione quando, in concreto e di fatto, sia stata acquisita detta conoscenza, nonché darne dimostrazione (sempreché la relativa prova non sia evincibile dai documenti prodotti dalla controparte o, comunque, acquisiti al processo), essendone l’opponente onerato sulla base del principio per cui incombe a chi deve agire nell’osservanza di un termine di decadenza, dare dimostrazione di averlo osservato (cfr. Cass. n.6847/2010 cit. in motivazione).
Nel caso all’esame – per quanto emerge dalla sentenza impugnata – l’odierno ricorrente non ha neppure indicato la data di avvenuta comunicazione dell’iscrizione ipotecaria di cui trattasi, né tantomeno ha provveduto a depositare il plico postale a mezzo del quale, per sua stessa ammissione, ne ha ricevuto comunicazione. Alla luce delle considerazioni che precedono, oltre che del principio della c.d. vicinanza della prova richiamato nella sentenza impugnata, risultano, dunque, del tutto inconferenti le deduzioni dell’opponente, circa le difficoltà della prova e l’asserita presenza del solo timbro di invio sul plico in questione.

In definitiva il ricorso principale va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, in considerazione del suo esito, vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa interamente le spese del giudizio di cassazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

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