Intervista al prof. Vincenzo Musacchio

Lucia De Sanctis

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane ed estere, ha insegnato diritto penale presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma (2011-2012) è dal 2018 associato della School of Public Affairs and Administration (SPAA) presso la Rutgers University di Newark (USA), presidente dell’ Osservatorio Antimafia del Molise e direttore Scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.

 

Professore, secondo lei nelle condizioni in cui versano attualmente le carceri italiane, i detenuti possono contrarre il coronavirus?

Le persone private della loro libertà, come le persone in carcere o in altri luoghi di detenzione e quelle che li lavorano, sono certamente più vulnerabili all’epidemia di coronavirus (Covid-19) rispetto alla popolazione generale a causa dell’ambiente confinato in cui vivono. L’esperienza, tuttavia, mostra che gli istituti detentivi, o ambienti simili in cui le persone soggiornano in spazi ristretti, possono fungere da fonte d’infezione, amplificazione e diffusione di malattie infettive.

Ritiene lei che nelle nostre carceri siano adottate misure di prevenzione per contrastare efficacemente il rischio di diffusione del contagio tra i detenuti e tra chi ivi lavora?

Uno dei problemi delle carceri italiane, che qui rende ancor più pericolosa l’emergenza coronavirus, è il sovraffollamento. L’incapacità dell’Italia di risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri ha portato poi nel corso degli ultimi anni anche a diverse condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di conseguenza adottare misure di prevenzione in una situazione simile è difficile se non addirittura impossibile. L’azione di Governo per ridurre il sovraffollamento carcerario e limitare il contagio nelle carceri da coronavirus del decreto “Cura Italia” a un’attenta lettura presenta numerose criticità. Siamo purtroppo di fronte a provvedimenti tampone.

Cosa ne pensa delle ulteriori privazioni imposte ai detenuti come ad esempio quella di sospendere i colloqui?

In tal contesto sarebbe opportuno precisare che i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati sono svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica. I direttori degli istituti penitenziari possono autorizzare per ogni detenuto più colloqui telefonici. Di solito è invece una sola telefonata alla settimana di dieci minuti. La sospensione dei colloqui in carcere è limitata laddove vi sono i focolai dell’epidemia.

Se un detenuto dovesse contrarre il coronavirus, quali sono le misure sanitarie che scattano?

Ci sono già dei contagi tra i detenuti e casi tra gli agenti di polizia penitenziaria, ma quello che va detto è che in carcere è molto complicato fermare l’avanzata del virus. Le nostre carceri, a volte hanno celle che “ospitano” anche dieci detenuti con un solo servizio igienico e docce fuori dalle celle dove si accede per gruppi, in totale assenza di norme sanitarie e senza che siano assicurati dall’amministrazione penitenziaria nemmeno i prodotti primari quali sapone o disinfettanti, sia per l’igiene personale sia per le pulizie delle celle. Il contagio una volta entrato all’interno delle celle non potrà in alcun modo essere fermato e gli esiti, ampiamente prevedibili, potranno essere catastrofici.

Lei poco prima ha detto che l’azione di Governo presenta numerose criticità: quali sono?

La più evidente è di aver legato la detenzione domiciliare ai braccialetti elettronici, di fatto, indisponibili. Questa decisione, al momento, rende questo istituto inidoneo alle sue finalità. Va precisato, inoltre, che una parte cospicua della popolazione detenuta non potrà, avere accesso alla misura della detenzione domiciliare per l’indisponibilità o l’inutilizzo di un effettivo domicilio. Per i detenuti che potranno fruirne, l’incisività dell’intervento sarà invece fortemente depotenziata come detto dall’indisponibilità degli strumenti di controllo elettronici, la cui mancanza, purtroppo non da oggi, costituisce una delle maggiori criticità del nostro sistema penitenziario.

Professore ma dov’è la funzione rieducativa della pena allora?

Parlare di funzione rieducativa del carcere, tanto più in questo momento, è semplicemente sconsigliabile. Ricordiamo tuttavia che nel nostro sistema penale la pena detentiva è l’extrema ratio. Di conseguenza, siamo convinti che, mai come in questo periodo, occorra incoraggiare le misure alternative idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere. Ovviamente, sia chiaro, questo limitatamente ai delitti che non rientrano nel perimetro presuntivo di pericolosità sociale e con l’ulteriore necessaria eccezione legata ai reati di particolare gravità (criminalità organizzata, terrorismo, codice rosso e così via).

Quali sono le misure che a suo parere andrebbero adottate?

Una soluzione di buon senso sarebbe di introdurre un piano di scarcerazione che rilasci quei detenuti che scontano brevi condanne per reati non violenti; quelli vicino alla fine della loro pena; e quelli con condizioni di salute precarie. Con questa tipologia d’intervento potremmo raggiungere l’obiettivo di ridurre la popolazione carceraria di circa nove o diecimila detenuti, migliorando il decreto e ampliandone gli effetti, facendo in tal modo con proporzione, senza creare allarme sociale, una sintesi che miri ad accontentare un po’ tutti. Questo sarebbe giusto sia nell’interesse di chi sta in carcere, sia per chi in carcere ci lavora. Oggi occorre agire subito e fare ciò che è possibile. L’alternativa sarà sicuramente l’agitazione nelle nostre carceri e l’aumento di prigionieri malati, in competizione con cittadini per i ventilatori e i letti di terapia intensiva.

Chiudiamo con un messaggio di speranza?

Aristotele grande filosofo dell’antica Grecia diceva che la speranza è un sogno fatto da svegli. L’arrivo in Italia del Coronavirus ha portato un enorme cambiamento nella vita di tutti noi. La situazione va affrontata con coraggio e nel rispetto di noi stessi e soprattutto degli altri. Finirà anche la notte più buia e tornerà a sorgere il sole più splendente di prima. Auguriamoci che da questa esperienza critica ognuno possa trarre insegnamento per migliorare se stesso e l’ambiente in cui vive.

 

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