Cassazione penale sezione III sentenza 26 novembre 2012 n 45912
Stupefacenti, consumo di gruppo, uso personale, esclusione

La terza sezione penale
(Presidente Fiale – Relatore Orilia)

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 19.5.2011 il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale per i
minorenni di Palermo ha ritenuto provata la responsabilità dei minori in epigrafe indicati in
ordine al reato di concorso in illecita detenzione di stupefacenti (artt. 110 c.p. e 73 comma 1
bis D.P.R. n. 309/1990) e, ritenuta l’ipotesi della lieve entità, applicata la diminuente della
minore età e concesse le attenuanti generiche, ha dichiarato non luogo a procedere nei
confronti degli stessi per concessione del perdono giudiziale. Il giudice di merito ha escluso la
detenzione per uso personale in considerazione della quantità di sostanza trovata e dalla
mancanza di circostanze che potessero dimostrare la tesi difensiva, non potendosi ritenere
sufficienti le dichiarazioni degli imputati.
2. Ricorrono per cassazione i D.G. e il D.F. nonché, con separato ricorso, il B., denunciando
tutti la violazione dell’art. 73 comma 1 bis in relazione all’art. 73 comma 5 del D.P.R. n.
309/1990 e il vizio di omessa, e/o contraddittoria e illogicità della motivazione, dolendosi in
sostanza del mancato riconoscimento della detenzione per uso personale e di gruppo e quindi
della particolare causa di non punibilità che avrebbe dovuto comportare la loro assoluzione con
formula ampia.

Considerato in diritto
1. I ricorsi sono infondati.
La questione dell’uso di gruppo di sostanze stupefacenti era stata risolta, sotto la previdente
normativa, dalle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza n. 4/97 avevano stabilito che non sono
punibili, e rientrano, pertanto, nella sfera dell’illecito amministrativo di cui al D.P.R. n. 309
del 1990, art. 75 l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale
che avvengano, sin dall’inizio, per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente,
quando è certa, ab origine, la identità dei medesimi, nonché manifesta la volontà di essi di
procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo.
A tale conclusione le S.U. erano pervenute osservando che la omogeneità ideologica della
condotta del procacciatore, rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo,
caratterizzava la detenzione quale codetenzione ed impediva che il primo si ponesse in
rapporto di estraneità rispetto ai secondi, con conseguente impossibilità di connotazione della
sua condotta quale cessione. Il problema si è riproposto dopo la novella legislativa del 2006 (L.
n. 49) che, nel modificare il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, ha stabilito che è
punito con le medesime pene di cui al comma 1 chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art.
17, comunque, illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope, che per quantità,
ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al
confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un
uso non esclusivamente personale.
Parallelamente, il novellato art. 75 dispone che è punito con delle semplici sanzioni
amministrative chiunque, comunque, detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalla
ipotesi di cui all’art. 73, comma 1 bis, il che significa che è soggetto alle sanzioni
amministrative solo colui che detiene dette sostanze ad uso esclusivamente personale.
Il mutato quadro legislativo impone, pertanto, di ripensare il citato consolidato orientamento
giurisprudenziale, formatosi sotto il previdente regime.
Infatti, la introduzione dell’avverbio “esclusivamente” assume un significato particolarmente
pregnante, proprio sotto il profilo semantico, perché una cosa è l’uso personale di droga, altra
e ben diversa cosa è l’uso esclusivamente personale, frase che proprio in virtù dell’avverbio non
può che condurre ad una interpretazione più restrittiva rispetto a quella che, sotto la
previgente normativa, veniva data dall’espressione “uso personale”. In tale ottica è del tutto
evidente che non può più farsi rientrare nella ipotesi di uso esclusivamente personale la
fattispecie del c.d. uso di gruppo, all’interno della quale è inclusa sia la ipotesi di un gruppo di
persone che conferisce mandato ad una di esse di acquistare dello stupefacente, sia l’altra Ipotesi in cui l’Intero gruppo procede all’acquisto della droga, destinata ad essere consumata
collettivamente (Cass. 6/5/09, n. 23574). È di immediato apprezzamento la circostanza che il
legislatore ha inteso reprimere, in un modo più severo, ogni attività connessa al traffico di
stupefacenti, tant’è che ha equiparato ogni tipo di droga, eliminando la distinzione tabellare
preesistente.
Ne consegue che non può più farsi rientrare nella ipotesi dell’uso esclusivamente personale il
c.d. uso di gruppo, giacché l’acquisto per il gruppo presuppone che la droga non sia destinata
ad uso esclusivamente personale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7971 del 13/01/2011 Ud. dep.
01/03/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23574 del 06/05/2009 Cc. dep. 05/06/2009).
Ma se anche – come sostiene la difesa del ricorrente B. – si volesse aderire al diverso
orientamento seguito dalla sesta sezione che esclude la punibilità del consumo di gruppo
considerando l’uso di gruppo una forma di uso “esclusivamente personale” (cfr. sentenza Sez. 6,
Sentenza n. 17396 del 27/02/2012 Ud. dep. 09/05/2012; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 8366 del
26/01/2011 Ud. dep. 02/03/2011), ugualmente non potrebbe escludersi nel caso di specie la
sussistenza del reato perché una tale giurisprudenza richiede ai fini dell’esistenza del consumo
di gruppo, non solo che sia certa sin dall’inizio l’identità dei componenti il gruppo e manifesta
la comune e condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo
personale, ma anche che si sia del pari raggiunta un’intesa in ordine al luogo ed ai tempi del
relativo consumo e che gli effetti dell’acquisizione traslino direttamente in capo agli
interessati, senza passaggi mediati: ma tali ultimi due elementi non risultano dimostrati dai
ricorrenti (e per la verità il primo di essi non risulta neppure mai dedotto).
2. Venendo al caso di specie, dalla sentenza impugnata risulta che i Carabinieri – al momento
del fermo dell’autovettura su cui viaggiavano i giovani imputati in compagnia del maggiorenne
G.G.R. – avevano rinvenuto nascosto nel vano clacson un panetto di Hashish del peso di 42,00
grammi circa e un involucro di cellophane contenente cocaina del peso di g. 0,6 circa. Dalle
analisi di laboratorio è risultato che l’Hashish aveva un contenuto medio di principio attivo del
5,9% da cui erano ricavabili grammi 2,429 pari a 97,16 dosi medie singole mentre il miscuglio a
base di cocaina cloridrato pura era pari a 1,05 dosi medie singole.
Correttamente quindi è stata ritenuta la sussistenza del reato di cui all’art. 73 comma 1 bis del
DPR 309/1990.
3. Quanto al vizio di omessa o illogicità della motivazione, occorre osservare che il controllo
del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale
della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo restando
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr.
Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528).
Si è altresì affermato che nell’ipotesi di ricorso per mancanza o manifesta illogicità della
motivazione, il sindacato in sede di legittimità è limitato alla sola verifica della sussistenza
dell’esposizione dei fatti probatori e dei alteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza
giuridica nonché della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del
provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive. Ne consegue che resta esclusa la
possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità
delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o
illogiche (cfr. Cass. sez. terza 12.10.2007 n.40542).
Nel caso di specie, il giudice palermitano ha ritenuto insussistente l’ipotesi dell’uso
esclusivamente personale in considerazione della quantità di sostanza stupefacente trovata in
possesso degli imputati; ha altresì rilevato che dagli atti non risultavano circostanze che
potessero dimostrare la destinazione della sostanza al detto uso esclusivamente personale,
apparendo a tal fine insufficienti le dichiarazioni degli imputati.
Come si vede, la sentenza impugnata, non solo ha fatto corretta applicazione della legge
penale, ma ha dato conto, attraverso un percorso argomentativo succinto ma congruo, delle
ragioni della decisione e quindi non merita le censure che le vengono rivolte dai ricorrenti.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi.

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