CONSENSO INFORMATO: RESPONSABILITA’ MEDICA IN ASSENZA DI RISCHIO

 

Cassazione Civile, Sezione III, sentenza 19  settembre 2014  n. 19731

 

(a cura della Dott. ssa Gabriella Longo)

 

Massima

 

Il consenso informato costituisce elemento strutturale dei contratti di protezione, quali sono quelli nel settore sanitario.

In essi gli interessi da realizzare riguardano la sfera della salute intesa in senso ampio, al punto che l’inadempimento del debitore della prestazione è idoneo a ledere diritti inviolabili della persona cagionando anche pregiudizi non patrimoniali.

La cd informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su un trattamento sanitario per accertamenti in prevenzione o in preparazione, se costituisce di per sè un obbligo o dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed è elemento indispensabile per la validità del consenso che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, è inoltre un elemento costitutivo della protezione del paziente con rilievo costituzionale, per gli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost..

La valutazione del rischio appartiene al titolare del diritto esposto, e cioè al paziente e costituisce una operazione di bilanciamento che non può essere annullata in favore della parte che interviene sia pure con intenti salvifici.

Sintesi del caso

 

L.G. , erede di C. , deceduto a 62 anni, per improvvisa e mortale ipotensione, conveniva dinanzi al tribunale di Milano, il chirurgo  e la casa di cura, chiedendone la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali derivati dal decesso di C..

In particolare si assume la responsabilità del chirurgo e della struttura sia relativamente alla produzione del fatto dannoso determinante la morte sia con riguardo alla responsabilità da inadempimento in relazione alla omessa o incompleta prestazione del consenso informato.

I convenuti costituendosi contestavano il fondamento delle domande, il medico chiamava in garanzia la Allianz che, a sua volta, chiamava la coassicuratrice Ras.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 10 dicembre 2003 rigettava le domande, compensando tra le parti le spese di lite.

Contro la decisione veniva proposto appello da L. G. , resistevano medico, casa di cura e le assicurazioni.

La Corte di Milano, con sentenza del 31 agosto 2007, accogliendo parzialmente l’appello, condannava casa di cura e medico al risarcimento del danno, nella misura di 5000 euro, e compensava le spese tra il L. , il medico e la casa di cura, condannando il medico a rifondere alle assicurazioni le spese del grado.

Contro la decisione ricorre L. G., resistono con controricorso la Casa di Cura e Allianz, non resiste il medico pur ritualmente citato.

La materia del contendere

 

Configurabilità della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria per omesso od erroneo consenso informato in assenza di rischio di morte.

 

Quaestio iuris

 

In cosa consiste il consenso informato? Quali sono i parametri di rilievo della responsabilità medica per erroneo od omesso consenso informato?  Qual è l’incidenza del rischio morte nei contratti di protezione?

 

Normativa di riferimento

 

 

Art. 2 Cost., art. 3 Cost., art.13 Cost. e 32 Cost., art. 3 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, art. 1175 c.c. , art. 1176 c.c.,  art. 1218 c.c., art. 1375 c.c., art. 2236 c.c., art. 33 l. 833/78.

 

Nota esplicativa

 

 

Nella sentenza in esame la Cassazione coglie l’occasione per affrontare nuovamente la questione sul consenso informato nel settore medico e sul rilievo che esso assume ai fini della configurabilità di una responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e correlativo risarcimento del danno.

La Corte Costituzionale, conformandosi all’orientamento della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e all’art. 8 CEDU, interviene, nel 2008 con la pronuncia n. 438 e nel 2009 con la pronuncia n. 253, per sottolineare che il consenso del paziente al trattamento medico- chirurgico è espressione della libertà di autodeterminazione del singolo, vero e proprio diritto della persona che trova fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost., oltre che nell’art. 33 l. n. 833/78 e art. 3 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, e rappresenta la sintesi del diritto fondamentale alla salute e all’autodeterminazione.

In tal senso la Cassazione con la sentenza 1572 del 2001 precisa che il consenso concerne la libertà morale del soggetto e la sua autodeterminazione, nonchè libertà fisica, ovvero rispetto per l’integrità corporea.

Esso non costituisce, così come chiarito dalla giurisprudenza, una causa di giustificazione ex art. 50 c.p. (consenso dell’avente diritto) poichè a ciò osta il divieto ex art. 5 c.c. di atti di disposizione del proprio corpo.

Il consenso è espressione di una consapevole manifestazione della libertà individuale, e deve essere personale, esplicito, specifico, libero, reale e non formale, effettivo, attuale e sempre revocabile, informato e consapevole.

L’informazione deve avere ad oggetto la natura dell’intervento, la portata ed estensione, i rischi, i risultati conseguibili, le possibili conseguenze negative, la possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri interventi e rischi di questi ultimi.

Secondo la Cassazione nella sentenza in esame l’informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico è un obbligo che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed  è elemento indispensabile per la validità del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico,  ed, inoltre, è elemento costitutivo della protezione del paziente con rilievo costituzionale.

La ratio dell’istituto consiste nel consentire al paziente di decidere se sottoporsi o meno all’intervento sulla base di una propria valutazione comparativa dei rischi che ne derivano.

La mancata acquisizione del consenso non realizza quell’effetto traslativo del rischio sul paziente che permane in capo al medico che si sostituisce al paziente nella decisione (Cass. 20832/06).

L’omesso consenso non cagiona in sè il danno, ma lo cagiona solo ove si arrivi a dimostrare che il comportamento scorretto del medico abbia fatto correre al paziente un rischio che il paziente avrebbe deciso di non correre se correttamente informato.

Con la sentenza 2847/10 e 2334/11 la Cassazione ammette uno spazio risarcitorio in caso di sola violazione del diritto all’autodeterminazione senza lesione alla salute, affermando che l’informazione cui è tenuto il medico vale a determinare nel paziente l’accettazione di quel che di non gradito può avvenire, in una sorta di “alleanza terapeutica”.

Diritto alla salute  e all’autodeterminazione sono diritti autonomi tanto che nel 2010 la Cassazione ha sostenuto che il medico risponda per omessa informazione anche qualora abbia compiuto correttamente l’intervento chirurgico, a nulla rilevando la prova che il paziente, ove informato, non avrebbe negato il consenso.

A quest’orientamento se ne contrappone un altro che richiede la prova a carico del paziente, che, ove informato, avrebbe rifiutato.

Il fondamento del consenso informato si configura come elemento strutturale dei contratti di protezione ( vedi S.U. 26973/08), quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario in cui gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio.

Ne consegue che l’inadempimento ad opera dell debitore della prestazione di garanzia e’ idonea a ledere diritti inviolabili della persona, cagionando anche pregiudizi non patrimoniali.

Inteso come inadempimento contrattuale, alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite n. 13533/01, il paziente creditore avrà un mero onere allegatorio, spettando al medico l’onere della prova liberatoria, e cioè di aver diligentemente e compiutamente informato il paziente.

Se si opinasse diversamente la prova della violazione del dovere di informazione incomberebbe sul paziente.

Ciò posto non è il creditore a dover dimostrare la violazione dell’obbligo del debitore di acquisire il consenso, essendo un fatto negativo, altrimenti si ricadrebbe in una probatio diabolica, ma sarà il medico debitore a provare, insieme agli adempimenti degli obblighi diagnostici e terapeutici, anche l’obbligo non accessorio ma principale di acquisizione del consenso informato.

La violazione dell’obbligo del consenso informato è fonte autonoma di responsabilità in cui la configurazione dell’ingiustizia del danno consiste nel deficit di informazione che non l’ha messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con volontà consapevole.

Non vale la considerazione della prevalenza del bene “vita” rispetto ad altri interessi, poichè una valutazione comparativa assume rilievo quando soggetti diversi siano titolari di interessi confliggenti, in questo caso, invece essi fanno capo al medesimo soggetto, al quale solo compete la scelta.

Condizione di risarcibilità di tale danno è che si caratterizzi per la gravità dell’offesa, nel bilanciamento tra solidarietà e tolleranza dato dalla coscienza sociale in un dato momento storico (Cass. S.U. 26972, 26973, 26974 del 2008).

Nell’ipotesi di rifiuto di prestare il consenso l’onere probatorio anche mediante il ricorso a presunzioni grava sul paziente perchè la prova del nesso causale tra inadempimento e danno compete alla parte che allega l’inadempimento, oltre al fatto che in tal caso la prova ha ad oggetto il rifiuto opposto dal paziente al medico.

Alle medesime conclusioni inducono il principio della vicinitas della prova oltre e il rilievo secondo cui il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di opportunità del medico è un’eventualità non rispondente all’id quod plerumque accidit”.

Nel caso di specie l’informazione esatta sulle condizioni e rischi dell’intervento è dovuta anche nel caso di una percentuale statistica di mortalità pari all’1 %, in quanto la valutazione del rischio e l’operazione di bilanciamento appartiene al titolare del diritto, cioè il paziente.

I giudici del Palazzaccio hanno rilevato che il consenso informato risulta sintetico e incompleto, lasciando la sua integrazione ad un colloquio medico- paziente che non risulta da cartella clinica.

Ciò vale a ritenere sussistente la prova dell’inadempimento in relazione alla mancata e completa informazione sul rischio inerente il primo intervento.

Alla luce di tali considerazioni la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione alla Corte di Appello di Milano.

 

Bibliografia

 

F. Caringella – L. Buffoni, Manuale di diritto civile, III edizione, Trento 2011;

F. Caringella – Danilo Dimatteo, Lezioni e sentenze di diritto civile, Roma 2012;

G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, V edizione, Roma 2014;

R. Garofoli, Le lezioni, Diritto Civile n. 1 e 2 , Roma 2012;

R. Garofoli , Manuale di diritto penale, Roma 2010

F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XIII edizione, Napoli 2007;

 

 

 

Testo sentenza

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

 

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 17 settembre – 22 ottobre 2013, n. 23915

(Presidente Segreto – Relatore Petti)

 

Svolgimento del processo

1. Con citazione del 2 ottobre 1998 L.G. , erede di C. , deceduto il (omissis) a 62 anni sul letto operatorio, già anestetizzato e incubato, per improvvisa e mortale ipotensione, convenne dinanzi al tribunale di Milano, il chirurgo dr S.H. e la casa di cura san Camillo e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali derivati dal decesso dell’ingegner C. , a sessantadue anni, sul rilievo della responsabilità del chirurgo e della struttura sia in relazione alla produzione del fatto dannoso determinante la morte sia in relazione alla responsabilità da inadempimento in relazione alla omessa o incompleta prestazione del consenso informato. Le convenute si costituivano contestando il fondamento delle domande ed il medico chiamava in garanzia la Allianz che chiamava la coassicuratrice Ras. La causa era istruita con consulenza medico legale ed acquisizione di documenti medici e della cartella clinica.
2. Il tribunale di Milano con sentenza del 10 dicembre 2003 rigettava le domande, compensando tra le parti le spese di lite.

3. Contro la decisione proponeva appello L. , chiedendone la riforma, resistevano il medico, la casa di cura e le assicurazioni terze chiamate. La corte disponeva nuova consulenza medico legale collegiale specialistica, la consulenza era successivamente integrata con dichiarazioni suppletive e di approfondimento.
4. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 31 agosto 2007, in parziale accoglimento dello appello condannava il medico e la casa di cura al risarcimento del danno per la malattia chirurgica, nella misura di 5000 Euro, e compensava le spese tra il L. , il medico e la casa di cura, condannando il medico a rifondere alle assicurazioni le spese del grado.

5. Contro la decisione ricorre L. deducendo tre motivi, resistono con controricorso la Casa di Cura e Allianz, non resiste il medico pur ritualmente citato.

Motivi della decisione

6. Il ricorso, soggetto al regime dei quesiti, conformemente alle motivate richieste del procuratore generale, merita accoglimento per il terzo motivo, risultando infondati i restanti motivi e fondata la deduzione dell’assicuratore Allianz in ordine alla intangibilità della statuizione della Corte di appello che aveva rigettato la domanda proposta nei suoi confronti non essendo tale capo della sentenza coinvolto da alcuna censura da parte del L. .

Per chiarezza espositiva si offre una sintesi dei motivi, ed a seguire le ragioni del rigetto e dello accoglimento del terzo motivo che concerne il consenso informato.
6.1. Sintesi dei motivi.

Nel PRIMO MOTIVO si deduce violazione e o falsa applicazione di norme di cui agli artt. 1175, 1176, 1218, 1375, 2230, 2236, 2727, 2729 primo comma, 2697 primo comma c.c. e artt. 115, 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nel punto in cui la Corte ha ritenuto assolto l’onere della prova per adeguatezza della terapia preventiva antitrombotica anticoagulante, nonché illogica e contraddittoria motivazione sul punto ed omesso esame della cartella clinica, riguardante un punto decisivo della controversia in relazione allo art. 360 n. 5 c.p.c. I relativi quesiti vengono articolati ai ff 20 e 21.

Nel secondo motivo si deduce vizio della motivazione illogica, contraddittoria e insufficiente nel punto in cui la Corte ha ritenuto non doverosa da parte dei sanitari la esecuzione di accertamenti diagnostici per rilevare la presenza di una trombosi venosa profonda, che ha dato origine alla tromboembolia polmonare fatale.

Nel terzo motivo si deduce error in iudicando e vizio della motivazione in punto di consenso informato, con quesiti in termini a ff 40 e la riproduzione in esteso dell’unico consenso predisposto. Ma vedi infra sotto le ragioni di accoglimento.
6.3. Ragioni in confutazione dei  primi due motivi ed in accoglimento del terzo.
I primi due motivi vengono in esame congiunto in quanto investono il nesso causale tra la condotta del convenuto chirurgo ed il decesso. Le censure, per quanto articolate, non valgono a smontare le conclusioni raggiunte nelle due consulenze collegiali e nella consulenza penale e nel supplemento di consulenza, in ordine alla mancanza di un nesso causale tra l’errore nel primo intervento chirurgico ed il successivo decesso quando ancora il secondo intervento non era iniziato.

Le censure, per quanto attiene al catalogo degli errores in iudicando, risultano dunque prive della necessaria autonomia e specificità, mentre come errores in iudicando risultano prive di un momento coerente di sintesi e della stessa indicazione del fatto controverso.

In conclusione coesistono profili in inammissibilità oltre che di evidente infondatezza in relazione alla chiara ratio decidendi espressa dai giudici del riesame sul punto.

6.4. Ragioni di accoglimento del terzo motivo.

Il terzo motivo merita accoglimento in relazione al primo intervento ed alla mancanza al riguardo di idoneo consenso, mentre risulta infondato in relazione al c.d. secondo intervento riparatore, sul rilievo che nella fattispecie viene a mancare il c.d. danno consequenziale, secondo i principi di cui all’art. 1223 c.c. come si dirà in limine.

In relazione al primo intervento si osserva che il ed consenso informato è stato riprodotto in esteso, ed evidenzia di per sé la sua lacunosità, posto che risulta sintetico ma incompleto, lasciando la integrazione del suo contenuto ad un colloquio esaustivo tra paziente e medico, che non risulta neppure dalla cartella clinica.
Il fondamento del consenso informato,come richiamato nei punti 4.1, 4.2 e 4.3 delle sezioni unite civili 11 novembre 2008 n. 26973, viene ad essere configurato come elemento strutturale dei contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l’inadempimento del debitore della prestazione di garanzia è idonea a ledere diritti inviolabili della persona cagionando anche pregiudizi non patrimoniali.

Pertanto la ed informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su un trattamento sanitario per accertamenti in prevenzione o in preparazione, se costituisce di per sé un obbligo o dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed è elemento indispensabile per la validità del consenso che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, è inoltre un elemento costitutivo della protezione del paziente con rilievo costituzionale, per gli artt. 2, 3, 13 e 32 della Cost. assieme ad altre norme di diritto positivo, che nel corso del tempo abbiano da aumentare le garanzie a favore dei consumatori del bene della salute.
Orbene, applicando i principi di garanzia al caso concreto ed in tema di adempimento o esatto adempimento ad una completa ed adeguata informazione, la erronea applicazione della Corte in tema di principi del consenso informato è duplice in quanto : da un lato presuppone che il consenso informato non debba investire anche i rischi dello intervento sanitario allorché essi non siano letali, pur avendo un alto livello di probabilità statistica (-tvp al 50 per cento) e d’altro lato ritiene non dovuta la informazione in presenza di una percentuale statistica di mortalità dell’uno per cento, perché fenomeno prossimo al fortuito, mentre la valutazione del rischio appartiene al titolare del diritto esposto, e cioè al paziente e costituisce una operazione di bilanciamento che non può essere annullata in favore della parte che interviene sia pure con intenti salvifici. Sussiste dunque la prova evidente dell’inadempimento in relazione alla mancata e completa informazione sul rischio inerente al primo intervento, con l’effetto che su tale punto resta fermo l’an debeatur, mentre per il quantum dovranno essere riesaminate le pretese risarcitorie dell’erede che agisce in proprio o in tale veste, come si dovrà desumere dall’atto introduttivo.

Deve essere invece rigettato il ricorso relativamente al secondo profilo del consenso informato per il secondo intervento riparatore. Infatti tale intervento, per il quale anche occorreva il consenso informato, non è derivato alcun danno consequenziale secondo i principi di cui all’art. 1223 c.c.. Ne consegue che se non esiste un rapporto causale tra lo aggravamento delle condizioni del paziente e la insorgenza di nuove patologie e l’intervento sanitario, non può darsi luogo ad alcun risarcimento del danno.

Il terzo motivo merita accoglimento nei termini in cui in motivazione.

La Cassazione è con rinvio alla Corte di Appello di Milano, che si atterrà ai principi di diritto come sopra formulati nel riesaminare le domande risarcitorie del L. e provvederà anche in ordine al riparto delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

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