Consiglio di Stato sezione VI ordinanza 18 giugno 2012 n 3541
Facoltà a numero chiuso e prove selettive

La sesta sezione
Pres. Volpe – est. De Nictolis , n.3541 – Pres. Volpe – est. De Nictolis

con sentenza parziale
1) sull’appello principale numero di registro generale 5472 del 2008, proposto dal Ministero
dell’università e della ricerca e dall’Università degli Studi di Bologna “Alma Mater
Studiorum”, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro Lorenzo Gasperoni e Maria Carla Mazzotti, rappresentati e difesi dagli avv. Andrea
Fornasari, Michele Bonetti, Cristina Rimondi, con domicilio eletto presso Michele Bonetti in
Roma, viale Angelico 97;
2) sull’appello principale proposto da Giovanna Accolti, Niccolò Principi, Irene Sgambaro,
Margherita Tiezzi, Valentina Valpiani e Claudia Zanetti, rappresentati e difesi dagli avv.
Andrea Fornasari, Michele Bonetti, Cristina Rimondi, con domicilio eletto presso Michele
Bonetti in Roma, viale Angelico 97;
contro ill Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e l’Università degli studi di
Bologna “Alma Mater Studiorum”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica
e nei confronti di Davide Campagna
Entrambi per la riforma della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA,
SEZIONE I n. 1773/2008, resa tra le parti, concernente diniego di ammissione al corso di
laurea specialistica a ciclo unico medicina e chirurgia.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 giugno 2012 il Cons. Rosanna De Nictolis e udito
per le amministrazioni appellanti l’avvocato dello Stato Fedeli.
1. Con ricorso di primo grado al Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, notificato l’11 ottobre
2007 i signori Accolti, Gasperoni, Mazzotti, Principi, Sgambaro, Tiezzi, Valpiani e Zanetti
(insieme ad altri 3 soggetti che non sono parti del presente giudizio di appello) hanno
impugnato la graduatoria delle prove selettive per l’ammissione alla facoltà di medicina e
chirurgia dell’Università di Bologna per l’anno accademico 2007/2008, in cui non si sono
collocati in posizione utile. 1.1. Hanno sostenuto l’illegittimità dell’annullamento ministeriale di due degli ottanta quesiti
(il n. 71 e il n. 79), l’irregolare svolgimento delle prove, l’illegittimità della previsione di
graduatorie diversificate per singole facoltà.
1.2. Con successivi motivi aggiunti al ricorso di primo grado, notificati il 9 novembre 2007,
hanno proposto ulteriori censure contro la graduatoria e l’annullamento ministeriale dei
quesiti 71 e 79; hanno contestato anche i quesiti 9, 13 e 14; hanno impugnato altresì il d.m. 17
maggio 2007 e il d.m. 19 giugno 2007.
1.3. Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 21 gennaio 2008, è stato impugnato il
d.m. 21 novembre 2007 con cui il Ministero dell’università e della ricerca ha confermato gli atti
e le operazioni del procedimento di correzione degli elaborati sulla base di 78 anziché di 80
quesiti.
1.4. Nel corso del giudizio di primo grado era stata accolta la domanda cautelare
limitatamente ai candidati Gasperoni e Mazzotti, ma il Consiglio di Stato riformava il
provvedimento cautelare di primo grado, con ordinanza della VI sezione n. 1092/2008.
2. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe (Tar Emilia – Romagna, Bologna, sez. I, 8 maggio
2008 n. 1773):
– ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per genericità e per conflitto di
interesse, essendo stato proposto da 11 candidati senza indicare le rispettive posizioni e il
rispettivo interesse all’annullamento della sola graduatoria o dell’intera procedura;
– ha esaminato il primo motivo del primo atto di motivi aggiunti, in relazione al quale ha
rilevato che: l’ultimo soggetto collocato in posizione utile in graduatoria (al 335° posto) ha
conseguito 47 punti; dei candidati ricorrenti, gli unici che, con la prova di resistenza, ove fosse
fondato il ricorso, potrebbero raggiungere o superare tale punteggio, sono Santucci, Gasperoni
e Mazzotti; sicché tutti gli altri non hanno interesse al ricorso; quanto, poi, alla Santucci, non
avendo risposto al quesito 71 e avendo dato risposta esatta ai quesiti 13 e 14, non ha del pari a
dolersi dell’annullamento del primo e degli asseriti vizi dei secondi; i candidati Gasperoni e
Mazzotti, avendo dato risposta esatta al quesito 71, hanno interesse a dolersi del suo
annullamento; l’annullamento del quesito 71 (motivato in base al rilievo che erano due le
possibili risposte esatte) secondo il Tar sarebbe illegittimo perché ha leso l’affidamento di
coloro che vi avevano dato risposta esatta;
– ha respinto il secondo motivo del primo atto di motivi aggiunti, con cui si censurava il
sistema di graduatorie separate in luogo di una unica nazionale;
– ha ritenuto fondato il secondo atto di motivi aggiunti, nei limiti in cui ha accolto il primo atto
di motivi aggiunti, ossia limitatamente alla posizione dei candidati Gasperoni e Mazzotti.
3. La sentenza è stata gravata anzitutto con appello principale del Ministero dell’università e
della ricerca e dell’Università di Bologna, notificato ai soli candidati Gasperoni e Mazzotti. 3.1. E’ stato poi proposto un secondo appello (qualificato: ricorso in appello contenente motivi
aggiunti) proposto dai signori Giovanna Accolti, Niccolò Principi, Irene Sgambaro, Margherita
Tiezzi, Valentina Valpiani e Claudia Zanetti.
3.2. Tale secondo appello, confluito nel medesimo fascicolo del primo appello principale, va
qualificato come appello principale e non come appello incidentale, atteso che l’appello
incidentale presuppone la ricevuta notifica dell’appello principale, che nella specie non vi è
stata.
4. La domanda cautelare di sospensione della sentenza, proposta con il primo appello
principale, è stata accolta, e per l’effetto nessuno dei candidati ricorrenti in primo grado è
stato ammesso al corso di laurea.
5. I due appelli principali devono essere riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima
sentenza.
6. Nell’ordine logico delle questioni va esaminato per primo l’appello principale delle
Amministrazioni (Ministero e Università).
6.1. Si contesta il capo di sentenza che ha ritenuto illegittimo l’annullamento in autotutela del
quesito 71.
Si osserva che tale quesito era errato perché consentiva due risposte esatte, e pertanto era in
contrasto con l’art. 3, comma 2, d.m. 17 maggio 2007, a tenore del quale i quesiti a risposta
multipla devono consentire una sola risposta esatta tra le cinque proposte.
Non sarebbe stata lesa la par condicio, perché l’annullamento in autotutela ha avuto effetti
per tutti i concorrenti.
L’annullamento in autotutela mirerebbe anche a neutralizzare il rischio che, essendovi più di
una risposta esatta, la risposta esatta in concreto sia stata frutto del caso e non di una scelta
consapevole.
La sentenza viene contestata anche laddove afferma che le singole commissioni avrebbero
potuto risolvere l’anomalia del quesito applicando le regole di ermeneutica contrattuale.
7. L’appello delle Amministrazioni è fondato.
7.1. Dispone l’art. 3, commi 1 e 2, d.m. 17 maggio 2007:
“Prova di ammissione ai corsi di laurea specialistica/magistrale in medicina e chirurgia, in
odontoiatria e protesi dentaria e in medicina veterinaria.
1. Per l’accesso ai corsi di laurea specialistica/magistrale in medicina e chirurgia, in
odontoiatria e protesi dentaria e in medicina veterinaria, le relative prove di ammissione, di
contenuto identico sul territorio nazionale, sono predisposte dal Ministero dell’università e
della ricerca avvalendosi di una apposita commissione di esperti, costituita con decreto
ministeriale che opera in conformità dei commi seguenti. 2. La prova di ammissione per l’accesso a ciascun corso di laurea specialistica/magistrale, di
cui al comma precedente, consiste nella soluzione di ottanta quesiti a risposta multipla, di cui
una sola esatta tra le cinque indicate su argomenti di:
– logica e cultura generale;
– biologia;
– chimica;
– fisica e matematica”.
Costituisce pertanto prescrizione imperativa quella secondo cui ogni quesito deve prevedere
una sola risposta esatta tra le cinque proposte.
Ne consegue che sono illegittimi non solo i quesiti che non prevedono nessuna risposta esatta,
ma anche quelli che prevedono più di una risposta esatta.
L’annullamento di tali quesiti in via di autotutela, deve essere vagliato alla luce dei consueti
canoni dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento di atto illegittimo, al
ragionevole lasso temporale, alla valutazione comparativa dei contrapposti interessi (art. 21-

nonies, l. n. 241 del 1990).
Tali canoni sono stati pienamente rispettati, in quanto:
– vi è l’illegittimità dell’atto;
– vi è l’interesse pubblico concreto e attuale a rimuovere l’illegittimità, e il rispetto di un
termine ragionevole per l’esercizio dell’autotutela, atteso che al momento dell’annullamento in
autotutela la procedura era in corso;
– vi è stata una corretta valutazione comparativa degli interessi pubblico e privati, perché un
quesito con una pluralità di risposte esatte altera la correttezza della prova concorsuale
(atteso che aumenta il rischio di una risposta casuale che si riveli esatta), e per l’effetto la par
condicio tra i concorrenti.
Né può ritenersi che debba essere tutelato il ragionevole affidamento di chi ha dato al quesito
71 una delle due risposte esatte, perché non può esserci ragionevole affidamento a fronte di un
quesito che prevede più di una risposta esatta.
Va poi considerato che a fronte di uno o più quesiti inesatti, l’amministrazione, nell’esercizio
discrezionale del potere di autotutela, ha in teoria due alternative: annullare solo i quesiti
inesatti, annullare l’intera prova concorsuale.
Siffatta scelta costituisce merito amministrativo e implica valutazioni di opportunità riservate
all’amministrazione, sindacabili in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta
irragionevolezza o travisamento.
A fronte di un numero limitatissimo di quesiti erronei (nel caso di specie due su ottanta)
appare del tutto ragionevole la scelta di non inficiare l’intera procedura, ma solo i quesiti
inesatti, scelta coerente con il principio di conservazione degli atti (utile per inutile non vitiatur), con il principio di tutela dell’affidamento della massa di candidati che hanno
partecipato alla procedura e che la hanno superata, con il principio di buon andamento
dell’amministrazione.
Va per l’effetto accolto l’appello delle Amministrazioni.
8. Occorre a questo punto passare all’esame del secondo appello principale, autoqualificato
“ricorso in appello contenente motivi aggiunti”.
8.1. Alla pubblica udienza del 5 giugno 2012 il Collegio ha rilevato d’ufficio, dandone atto a
verbale ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., l’inammissibilità di taluni motivi di
appello perché nuovi o perché generici.
Ritiene il Collegio, in dettaglio, che vada dichiarata:
a) l’inammissibilità di motivi proposti per la prima volta in appello (pagg. 14-16 e pagg. 23-30
dell’atto di appello);
b) l’inammissibilità della mera riproposizione di motivi primo grado senza critica alla sentenza
(da pag. 7 a pag. 13, da pag. 16 a pag. 23, da pag. 31 a pag. 33 dell’atto di appello);
c) l’inammissibilità della proposizione di un motivo aggiunto in appello (da pag. 36 a pag. 41
dell’atto di appello).
Il Collegio ha in conclusione rilevato che l’appello è ammissibile solo a pag. 14 (dove si lamenta
il vizio di omessa pronuncia) e da pag. 33 a pag. 36 (dove si ripropone il secondo motivo del
primo atto di motivi aggiunti in primo grado).
9. Da pag. 7 a pag. 13 di tale atto di appello viene riproposto in toto l’originario ricorso di
primo grado.
A pag. 14 viene riproposto il primo motivo del ricorso di primo grado.
Inoltre da pag. 31 a pag. 33 viene riproposto tal quale il secondo motivo dell’originario ricorso
di primo grado.
A pag. 33 viene riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado.
9.1. Tuttavia, l’intero ricorso di primo grado è stato dichiarato inammissibile dal Tar, e non vi
è alcuna critica contro tale capo di sentenza.
Sicché l’atto di appello è inammissibile da pag. 7 a pag. 13, nonché a pag. 14, a pag. 31 e a pag.
33 dove contiene, rispettivamente, riproposizione del primo, secondo e terzo motivo del ricorso
introduttivo di primo grado.
9.2. Solo per completezza il Collegio osserva che correttamente il Tar ha dichiarato
inammissibile l’originario ricorso di primo grado, perché proposto collettivamente senza
indicazione della posizione specifica di ciascuno.
Questo Consesso ha infatti già statuito, proprio con riguardo a ricorsi in materia di procedure
per l’ammissione a corsi di laurea in caso di così detto numero chiuso, che la presentazione di
un gravame da parte di un gran numero di ricorrenti, che non specifichino, come nella fattispecie, le singole e concrete posizioni legittimanti e i presupposti dell’azione, e quindi né
l’esito delle prove, né il punteggio singolarmente riportato, né, addirittura, l’ateneo presso il
quale hanno sostenuto la prova e la specifica graduatoria impugnata, priva il giudice della
possibilità di controllare la concreta e individuale pretesa vantata dai singoli e, quindi,
l’effettiva sussistenza delle condizioni di ammissibilità del ricorso, anche alla luce del principio
del contraddittorio e con particolare riguardo all’effettiva esistenza di un interesse ristorabile
per effetto dell’accoglimento delle pretese fatte valere in giudizio (per tutte, Cons. St., sez. VI,
4 febbraio 2008, n. 301; Id., 6 aprile 2009 n. 2127).
10. A pag. 14 dell’atto di appello, poi, si lamenta che il Tar avrebbe omesso di motivare in
ordine all’implicito rigetto dei motivi di ricorso rivolti contro i plurimi quesiti errati,
irragionevoli o contenenti plurime risposte esatte.
10.1. Le censura è infondata.
Infatti il Tar, con riguardo alla posizione degli odierni appellanti, ha reso una pronuncia di
difetto di interesse, sulla base di una prova di resistenza, atteso che in base alla stessa tabella
prodotta in primo grado dai ricorrenti, risulta che gli stessi, anche con l’aggiunta di ulteriori
punti, non raggiungerebbero i 47 punti necessari per l’ammissione in graduatoria (47 è il
punteggio dell’ultimo classificato in posizione utile nella graduatoria dell’Università di
Bologna).
11. A pag. 14 dell’appello si assume che in base ai criteri prestabiliti, degli 80 quesiti 13
avrebbero dovuto attenere alla materia fisica e matematica. Con l’annullamento di due
quesiti, solo 11 attengono alla materia fisica e matematica, con violazione dei detti criteri.
Si lamenta poi la violazione del diritto allo studio ex art. 34 Cost..
11.1. Entrambi tali due censure sono inammissibili perché proposte per la prima volta in
appello.
12. Da pag. 16 a pag. 30 dell’atto di appello viene riproposto il primo motivo aggiunto del
primo ricorso di primo grado, e vengono addotti a suo sostegno argomenti ulteriori tratti da
giurisprudenza del Tar Lazio.
12.1. La pura e semplice riproposizione del primo motivo aggiunto al ricorso di primo grado,
senza alcuna critica alla sentenza, è inammissibile, dovendo i motivi di appello essere specifici
(Cons. St., ad. plen., n. 10/2011).
Peraltro nel caso di specie il Tar ha dichiarato, nei confronti degli odierni appellanti,
inammissibile il primo motivo del primo atto di motivi aggiunti, per mancato superamento
della prova di resistenza, e tale capo di inammissibilità non viene in alcun modo contestato
con l’atto di appello. 13. Inoltre da pag. 23 a pag. 30 nella misura in cui vengono riportati gli argomenti della
sentenza del Tar Lazio – Roma sez. III-bis, n. 5986/2008, che non riguarda il presente
contenzioso, si introducono motivi del tutto nuovi non proposti in prime cure.
Non senza considerare (ad abundantiam) che la invocata sentenza del Tar Lazio – Roma sez.
III-bis, n. 5986/2008 è stata annullata senza rinvio dalla sentenza del Cons. St., sez. VI, 6
aprile 2009 n. 2127 (che ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado proposto al Tar
Lazio), e pertanto, non esistendo più nel mondo del diritto, non costituisce precedente utile.
14. Da pag. 33 a pag. 36 viene contestato il capo di sentenza che ha respinto il secondo motivo
del primo atto di motivi aggiunti.
14.1. Il Tar ha ritenuto legittimo che in luogo di una graduatoria unica nazionale siano state
predisposte graduatorie singole per ciascuna sede universitaria, ancorché sulla base di una
prova nazionale unica, perché in tal modo si privilegerebbe la scelta di ciascuno studente per
singoli Atenei.
14.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che il sistema delle graduatorie
plurime in luogo di quella unica comporta che in alcuni Atenei vengono esclusi candidati che
hanno riportato un punteggio maggiore rispetto a quello di candidati ammessi in altri Atenei.
Esemplificando, mentre a Bologna sono stati necessari 47 punti per il collocamento utile in
graduatoria, a Sassari ne sarebbero stati sufficienti 37, a Napoli 40,75; vengono menzionati
altri 4 Atenei (Brescia, Firenze, Roma Tor Vergata, Siena) in cui sono stati collocati in
posizione utile candidati con meno di 47 punti.
Assume l’appellante che se anche il sistema della graduatoria unica può creare problemi
organizzativi, sarebbe un criterio più ragionevole ed equo, e lo stesso legislatore ha scelto tale
sistema per i concorsi pubblici quale quello in magistratura, e in passato per le prove di
ammissione per l’accesso alla facoltà di odontoiatria.
Il modesto beneficio di scegliere la sede non sarebbe comparabile con quello ben maggiore di
rientrare in graduatoria, ancorché in una sede meno gradita.
Sarebbero perciò violati gli artt. 3 e 34 Cost..
15. In relazione a tale mezzo è rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale nei termini che si vanno ad esporre.
15.1. La legge 2 agosto 1999, n. 264 detta disposizioni per l’accesso ai corsi universitari,
indicando per quali la programmazione è stabilita a livello statale (art. 1) e per quali a livello
universitario (art. 2).
Si prevede inoltre che le prove di ammissione si svolgono, in entrambi i casi, presso i singoli
Atenei; peraltro per alcuni corsi a programmazione statale [quelli di cui all’art. 1, lett. a) e b)]
tra cui quello di medicina e chirurgia, rilevante nel caso di specie, spetta al Ministero stabilire i contenuti delle prove di ammissione, dunque con una prova unica nazionale che si svolge
contemporaneamente presso i singoli Atenei.
In sintesi, ferma la unicità delle prova, essa si svolge presso i singoli Atenei, e il collocamento
in posizione utile avviene in singole graduatorie anziché in una graduatoria unica. Con la
conseguenza che il collocamento in posizione utile dipende sia dal numero di posti disponibili
presso ciascun Ateneo, sia dal numero di concorrenti presso ciascun Ateneo, e dunque può
accadere che, se presso un Ateneo è maggiore il numero dei posti, o minore il numero dei
concorrenti, è sufficiente, per il collocamento in graduatoria, un punteggio inferiore rispetto a
quello necessario in altro Ateneo.
15.2. Parte appellante sostiene che tale sistema sarebbe irrazionale, per disparità di
trattamento, perché gli appellanti avrebbero conseguito un punteggio maggiore di quello
sufficiente, in Atenei diversi da Bologna, per essere collocati in posizione utile.
Sicché, il sistema normativo avrebbe dovuto prevedere una graduatoria unica nazionale.
15.3. La censura proposta appare diretta, piuttosto che contro provvedimenti amministrativi,
contro la stessa legge, art. 4 citato, di cui i provvedimenti impugnati sono mera attuazione.
La censura si traduce dunque in una critica alla legge, e può in astratto trovare ingresso solo
se si ravvisino vizi di incostituzionalità della disposizione.
La scelta tra graduatoria unica e graduatorie di Ateneo per l’ammissione ai corsi di laurea a
numero chiuso è una scelta discrezionale riservata all’Amministrazione e, prima ancora, al
legislatore, e non è sindacabile se non si ravvisano vizi di palese illogicità, irrazionalità,
travisamento, disparità di trattamento, difetto di proporzionalità.
15.4. Tali vizi ad avviso del Collegio sussistono.
15.5. La prospettata questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini del giudizio in
corso, perché se accolta comporterebbe l’accoglimento dell’appello quanto meno per la
concessione del risarcimento del danno per equivalente (atteso che il decorso del tempo ha
fatto verosimilmente venir meno l’interesse all’annullamento degli atti impugnati, anche se
questo non è stato specificamente dedotto (v. art. 34, comma 3, cod. proc. amm.).
In definitiva, l’accoglimento della censura di costituzionalità è essenziale per affermare
l’illegittimità derivata dei provvedimenti amministrativi applicativi della legge e
conseguentemente per accordare il risarcimento del danno per equivalente chiesto dalle parti.
15.6. La prospettata questione è non manifestamente infondata, atteso che il sistema delle
graduatorie di Ateneo in luogo di una graduatoria unica nazionale appare lesiva anzitutto
degli artt. 3, 34 e 97 Cost..
Infatti, a fronte di una prova unica nazionale, con 80 quesiti, l’ammissione al corso di laurea
non dipende in definitiva dal merito del candidato, ma da fattori casuali e affatto aleatori legati al numero di posti disponibili presso ciascun Ateneo e dal numero di concorrenti presso
ciascun Ateneo, ossia fattori non ponderabili ex ante.
Infatti, ove in ipotesi il concorrente scegliesse un dato Ateneo perché ci sono più posti
disponibili e dunque maggiori speranze di vittoria, la stessa scelta potrebbero farla un numero
indeterminato di candidati, e per converso in una sede con pochi posti potrebbero esservi
pochissime domande.
Va poi evidenziato che, svolgendosi la prova unica nazionale nello stesso giorno presso tutti gli
Atenei, a ciascun candidato è data una unica possibilità di concorrere, in una sola università,
per una sola graduatoria (one shot), con l’effetto pratico che coloro che conseguono in un dato
Ateneo un punteggio più elevato di quello conseguito da altri in un altro Ateneo, rischiano di
essere scartati, e dunque posposti, solo in virtù del dato casuale del numero di posti e di
concorrenti in ciascun Ateneo.
Questo è del tutto contrario alla logica del concorso unico nazionale.
In tal modo non solo si lede l’eguaglianza tra i candidati, e il loro diritto fondamentale allo
studio (diritto sancito anche dall’art. 2 del protocollo addizionale alla CEDU, Carta europea
dei diritti dell’uomo protocollo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (a tenore del quale “il diritto
all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno”, nonché, limitatamente alle materie di
competenza dell’Unione europea, dall’art. 14 della Carta di Nizza, Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea), atteso che i candidati non vengono ammessi in base al
merito, ma in base a fattori casuali e aleatori, ma si lede anche il principio di buon andamento
dell’Amministrazione, atteso che la procedura concorsuale non sortisce l’esito della selezione
dei migliori.
Si determina, in definitiva, una ingiusta penalizzazione della aspettativa dei candidati di
essere giudicati con un criterio meritocratico, senza consentire alle Università la selezione dei
migliori; la scelta degli ammessi risulta dominata in buona misura dal caso.
Sicché è violato anche il principio di ragionevolezza e logicità delle scelte legislative (art. 3
Cost.).
Né possono opporsi, alla soluzione della graduatoria unica, ragioni organizzative o di
autonomia universitaria, ostandovi il principio di ragionevole proporzionalità tra mezzi
impiegati e obiettivo perseguito; esigenze organizzative non possono infatti ragionevolmente
penalizzare il diritto allo studio sulla base di un criterio meritocratico.
Neppure le ragioni organizzative sono effettive, atteso che sarebbe ben possibile che il concorso
si svolgesse presso i singoli Atenei, e che i candidati esprimessero opzione in ordine
decrescente per le varie sedi universitarie, e che poi le prove confluissero in un sistema di
correzione unica e graduatoria unica nazionale, in cui tener conto del punteggio conseguito da
ciascun concorrente e delle sedi da esso prescelte. Non si lederebbe in tal modo né il diritto allo studio, né il diritto alla vittoria dei più meritevoli, né il diritto dello studente a scegliere la
sede universitaria (diritto di scelta che, come ben evidenziato nell’atto di appello, è recessivo
rispetto all’interesse a entrare comunque all’università, ancorché in una sede meno appetita, a
fronte dell’alternativa di non entrare affatto nella sede prescelta). Non si lede nemmeno
l’autonomia universitaria, atteso che, in un sistema in cui le prove sono predisposte dal
Ministero e dunque sono identiche per tutte le Università, e sono prestabiliti i posti disponibili
in ciascun Ateneo, per i singoli Atenei è del tutto indifferente l’opzione tra graduatoria unica e
graduatorie plurime, e, anzi, è più vantaggioso il sistema della graduatoria unica, che
consente la selezione e l’accesso dei più meritevoli.
Non si tratta, poi, qui, di sindacare una tra le tante possibili opzioni lasciate alla
discrezionalità del legislatore, perché una volta che il legislatore abbia optato, a monte, per il
sistema meritocratico dei tests unici nazionali da svolgersi nello stesso giorno in tutti gli
Atenei italiani, non può che residuare l’unica opzione della graduatoria unica nazionale, e non
quella delle graduatorie plurime a cui si accede con diversi punteggi minimi.
Una volta che il legislatore abbia, nella sua insindacabile discrezionalità, optato per il criterio
meritocratico, esso deve essere portato alle estreme conseguenze e non può essere contraddetto
da un metodo applicativo non meritocratico in cui i punteggi minimi di accesso varino da
Università a Università a fronte di un concorso unico.
15.7. Il Collegio sottopone alla Corte costituzionale anche la questione della violazione dell’art.
2, par. 1, del protocollo addizionale alla CEDU, e per l’effetto dell’art. 117, comma 1, Cost.
(violazione da parte dello Stato italiano degli obblighi internazionali).
Dispone la citata previsione della CEDU che “No person shall be denied the right to education”
(il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno).
Secondo l’interpretazione data dalla CorteEDU a tale disposizione, la stessa si applica anche
all’istruzione universitaria, e la previsione implica che il diritto all’istruzione, anche
universitaria, sia pratico ed effettivo non meramente teorico ed illusorio; ad avviso della Corte,
sebbene la previsione non imponga agli Stati di istituire le Università, una volta che gli Stati
le abbiano istituite, essi devono garantire che l’accesso ad esse sia effettivo.
Secondo la Corte il diritto all’istruzione non è assoluto, ma può essere soggetto a limitazioni, e
gli Stati godono di un certo margine di discrezionalità in questo ambito; tuttavia le restrizioni
imposte al diritto all’istruzione non possono limitarlo al punto di snaturarne l’essenza e
privarlo della sua effettività.
Le restrizioni devono perseguire uno “scopo legittimo”; non esiste un catalogo chiuso e
predefinito di “scopi legittimi”, tuttavia le limitazioni, ad avviso della Corte, sono compatibili
con l’art. 2, par. 1 citato solo se c’è una ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi
impiegati e lo scopo perseguito. Ad esempio sono state ritenute giustificate restrizioni all’accesso universitario per ragioni penali o disciplinari, o per il mancato rispetto di regole
interne dell’Università (CorteEDU, 10 novembre 2005, Sahin v. Turkey, che richiama anche la
precedente giurisprudenza della medesima Corte), o giustificate regole interne scolastiche
ritenute non limitative del diritto all’istruzione (CorteEDU 18 marzo 2011 Lautsi c. Gov.
Italia).
Sembra al Collegio rimettente che alla luce di tale interpretazione del diritto all’accesso
all’istruzione universitaria, dato dalla Corte EDU, la restrizione imposta dal legislatore
italiano, in base alla quale in luogo di una graduatoria unica, si formano graduatorie plurime,
che vanificano il criterio meritocratico prescelto dallo stesso legislatore, sia una restrizione
non proporzionata rispetto allo scopo perseguito (numero chiuso) e che vanifica nella sua
essenza e nella sua effettività il diritto fondamentale allo studio universitario.
15.8. Si riportano, per comodità della Corte costituzionale, i paragrafi rilevanti della citata
decisione della Corte EDU (v. in particolare parr. da 134 a 142 e da 152 a 162):“ 134. The first
sentence of Article 2 of Protocol No. 1 provides that no one shall be denied the right to
education. Although the provision makes no mention of higher education, there is nothing to
suggest that it does not apply to all levels of education, including higher education.
135. As to the content of the right to education and the scope of the obligation it imposes, the
Court notes that in the Case “relating to certain aspects of laws on the use of languages in
education in Belgium” (“the Belgian linguistic case” (merits), judgment of 23 July 1968, Series
A no. 6, pp. 30-31, § 3), it stated: “The negative formulation indicates, as is confirmed by the
‘preparatory work’ …, that the Contracting Parties do not recognise such a right to education
as would require them to establish at their own expense, or to subsidise, education of any
particular type or at any particular level. However, it cannot be concluded from this that the
State has no positive obligation to ensure respect for such a right as is protected by Article 2 of
the Protocol. As a ‘right’ does exist, it is secured, by virtue of Article 1 of the Convention, to
everyone within the jurisdiction of a Contracting State.”
136. The Court does not lose sight of the fact that the development of the right to education,
whose content varies from one time or place to another according to economic and social
circumstances, mainly depends on the needs and resources of the community. However, it is of
crucial importance that the Convention is interpreted and applied in a manner which renders
its rights practical and effective, not theoretical and illusory. Moreover, the Convention is a
living instrument which must be interpreted in the light of present-day conditions (see
Marckx v. Belgium, judgment of 13 June 1979, Series A no. 31, p. 19, § 41; Airey v. Ireland,
judgment of 9 October 1979, Series A no. 32, pp. 14-15, § 26; and, as the most recent authority,
Mamatkulov and Askarov v. Turkey [GC], nos. 46827/99 and 46951/99, § 121, ECHR 2005-I).
While the first sentence of Article 2 essentially establishes access to primary and secondary education, there is no watertight division separating higher education from other forms of
education. In a number of recently adopted instruments, the Council of Europe has stressed
the key role and importance of higher education in the promotion of human rights and
fundamental freedoms and the strengthening of democracy (see, inter alia, Recommendation
No. R (98) 3 and Recommendation 1353 (1998) – cited in paragraphs 68 and 69 above). As the
Convention on the Recognition of Qualifications concerning Higher Education in the European
Region (see paragraph 67 above) states, higher education “is instrumental in the pursuit and
advancement of knowledge” and “constitutes an exceptionally rich cultural and scientific asset
for both individuals and society”.
137. Consequently, it would be hard to imagine that institutions of higher education existing
at a given time do not come within the scope of the first sentence of Article 2 of Protocol No 1.
Although that Article does not impose a duty on the Contracting States to set up institutions
of higher education, any State doing so will be under an obligation to afford an effective right
of access to them. In a democratic society, the right to education, which is indispensable to the
furtherance of human rights, plays such a fundamental role that a restrictive interpretation of
the first sentence of Article 2 of Protocol No. 1 would not be consistent with the aim or purpose
of that provision (see, mutatis mutandis, the Belgian linguistic case, cited above, pp. 33-34, §
9, and Delcourt v. Belgium, judgment of 17 January 1970, Series A no. 11, pp. 13-15, § 25).
138. This approach is in line with the Commission’s report in the Belgian linguistic case
(judgment cited above, p. 22), in which as far back as 1965 it stated that, although the scope of
the right protected by Article 2 of Protocol No. 1 was not defined or specified in the
Convention, it included, “for the purposes of examining the present case”, “entry to nursery,
primary, secondary and higher education”
139. The Commission subsequently observed in a series of decisions: “[T]he right to education
envisaged in Article 2 is concerned primarily with elementary education and not necessarily
advanced studies such as technology” (see X v. the United Kingdom, no. 5962/72, Commission
decision of 13 March 1975, DR 2, p. 50, and Kramelius v. Sweden, no. 21062/92, Commission
decision of 17 January 1996, unreported). In more recent cases, leaving the door open to the
application of Article 2 of Protocol No. 1 to university education, it examined the legitimacy of
certain restrictions on access to institutions of higher education (see, with regard to
restrictions on access to higher education, X v. the United Kingdom, no. 8844/80, Commission
decision of 9 December 1980, DR 23, p. 228; and with regard to suspension or expulsion from
educational institutions, Yanasik v. Turkey, no. 14524/89, Commission decision of 6 January
1993, DR 74, p. 14, and Sulak v. Turkey, no. 24515/94, Commission decision of 17 January
1996, DR 84-A, p. 98). 140. For its part, after the Belgian linguistic case the Court declared a series of cases on
higher education inadmissible, not because the first sentence of Article 2 of Protocol No. 1 was
inapplicable, but on other grounds (complaint of a disabled person who did not satisfy a
university’s entrance requirements, Lukach v. Russia (dec.), no. 48041/99, 16 November 1999;
refusal of permission to an applicant in custody to prepare for and sit a final university
examination for a legal diploma, Georgiou v. Greece (dec.), no. 45138/98, 13 January 2000;
interruption of advanced studies by a valid conviction and sentence, Durmaz and Others v.
Turkey (dec.), nos. 46506/99, 46569/99, 46570/99 and 46939/99, 4 September 2001).
141. In the light of all the foregoing considerations, it is clear that any institutions of higher
education existing at a given time come within the scope of the first sentence of Article 2 of
Protocol No. 1, since the right of access to such institutions is an inherent part of the right set
out in that provision. This is not an extensive interpretation forcing new obligations on the
Contracting States: it is based on the very terms of the first sentence of Article 2 of Protocol
No. 1 read in its context and having regard to the object and purpose of the Convention, a law-

making treaty (see, mutatis mutandis, Golder v. the United Kingdom, judgment of 21
February 1975, Series A no. 18, p. 18, § 36).
142. Consequently, the first sentence of Article 2 of Protocol No. 1 is applicable in the instant
case. The manner in which it is applied will, however, obviously depend on the special features
of the right to education.”
“152. The right to education, as set out in the first sentence of Article 2 of Protocol No. 1,
guarantees everyone within the jurisdiction of the Contracting States “a right of access to
educational institutions existing at a given time”, but such access constitutes only a part of the
right to education. For that right “to be effective, it is further necessary that, inter alia, the
individual who is the beneficiary should have the possibility of drawing profit from the
education received, that is to say, the right to obtain, in conformity with the rules in force in
each State, and in one form or another, official recognition of the studies which he has
completed” (see the Belgian linguistic case, cited above, pp. 30-32, §§ 3-5; see also Kjeldsen,
Busk Madsen and Pedersen v. Denmark, judgment of 7 December 1976, Series A no. 23, pp.
25-26, § 52). Similarly, implicit in the phrase “No person shall …” is the principle of equality of
treatment of all citizens in the exercise of their right to education.
153. The fundamental right of everyone to education is a right guaranteed equally to pupils in
State and independent schools, without distinction (see Costello-Roberts v. the United
Kingdom, judgment of 25 March 1993, Series A no. 247-C, p. 58, § 27).
154. In spite of its importance, this right is not, however, absolute, but may be subject to
limitations; these are permitted by implication since the right of access “by its very nature
calls for regulation by the State” (see the Belgian linguistic case, cited above, p. 32, § 5; see also, mutatis mutandis, Golder, cited above, pp. 18-19, § 38, and Fayed v. the United
Kingdom, judgment of 21 September 1994, Series A no. 294-B, pp. 49-50, § 65). Admittedly,
the regulation of educational institutions may vary in time and in place, inter alia, according
to the needs and resources of the community and the distinctive features of different levels of
education. Consequently, the Contracting States enjoy a certain margin of appreciation in this
sphere, although the final decision as to the observance of the Convention’s requirements rests
with the Court. In order to ensure that the restrictions that are imposed do not curtail the
right in question to such an extent as to impair its very essence and deprive it of its
effectiveness, the Court must satisfy itself that they are foreseeable for those concerned and
pursue a legitimate aim. However, unlike the position with respect to Articles 8 to 11 of the
Convention, it is not bound by an exhaustive list of “legitimate aims” under Article 2 of
Protocol No. 1 (see, mutatis mutandis, Podkolzina v. Latvia, no. 46726/99, § 36, ECHR 2002-

II). Furthermore, a limitation will only be compatible with Article 2 of Protocol No. 1 if there is
a reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim sought
to be achieved.
155. Such restrictions must not conflict with other rights enshrined in the Convention and its
Protocols either (see the Belgian linguistic case, cited above, p. 32, § 5; Campbell and Cosans
v. the United Kingdom, judgment of 25 February 1982, Series A no. 48, p. 19, § 41; and
Yanasik, decision cited above). The provisions of the Convention and its Protocols must be
considered as a whole. Accordingly, the first sentence of Article 2 of Protocol No. 1 must,
where appropriate, be read in the light in particular of Articles 8, 9 and 10 of the Convention
(see Kjeldsen, Busk Madsen and Pedersen, cited above, p. 26, § 52 in fine).
156. The right to education does not in principle exclude recourse to disciplinary measures,
including suspension or expulsion from an educational institution in order to ensure
compliance with its internal rules. The imposition of disciplinary penalties is an integral part
of the process whereby a school seeks to achieve the object for which it was established,
including the development and moulding of the character and mental powers of its pupils (see,
among other authorities, Campbell and Cosans, judgment cited above, p. 14, § 33; see also,
with respect to the expulsion of a cadet from a military academy, Yanasik, decision cited
above, and the expulsion of a student for fraud, Sulak, decision cited above).
(b) Application of these principles to the present case
157. By analogy with its reasoning on the question of the existence of interference under
Article 9 of the Convention (see paragraph 78 above), the Court is able to accept that the
regulations on the basis of which the applicant was refused access to various lectures and
examinations for wearing the Islamic headscarf constituted a restriction on her right to
education, notwithstanding the fact that she had had access to the university and been able to read the subject of her choice in accordance with the results she had achieved in the university
entrance examination. However, an analysis of the case by reference to the right to education
cannot in this instance be divorced from the conclusion reached by the Court with respect to
Article 9 (see paragraph 122 above), as the considerations taken into account under that
provision are clearly applicable to the complaint under Article 2 of Protocol No. 1, which
complaint consists of criticism of the regulation concerned that takes much the same form as
that made with respect to Article 9.
158. In that connection, the Court has already found that the restriction was foreseeable to
those concerned and pursued the legitimate aims of protecting the rights and freedoms of
others and maintaining public order (see paragraphs 98 and 99 above). The obvious purpose of
the restriction was to preserve the secular character of educational institutions
159. As regards the principle of proportionality, the Court found in paragraphs 118 to 121
above that there was a reasonable relationship of proportionality between the means used and
the aim pursued. In so finding, it relied in particular on the following factors which are clearly
relevant here. Firstly, the measures in question manifestly did not hinder the students in
performing the duties imposed by the habitual forms of religious observance. Secondly, the
decision-making process for applying the internal regulations satisfied, so far as was possible,
the requirement to weigh up the various interests at stake. The university authorities
judiciously sought a means whereby they could avoid having to turn away students wearing
the headscarf and at the same time honour their obligation to protect the rights of others and
the interests of the education system. Lastly, the process also appears to have been
accompanied by safeguards – the rule requiring conformity with statute and judicial review –

that were apt to protect the students’ interests (see paragraph 95 above).
160. It would, furthermore, be unrealistic to imagine that the applicant, a medical student,
was unaware of Istanbul University’s internal regulations restricting the places where
religious dress could be worn or had not been sufficiently informed about the reasons for their
introduction. She could reasonably have foreseen that she ran the risk of being refused access
to lectures and examinations if, as subsequently happened, she continued to wear the Islamic
headscarf after 23 February 1998.
161. Consequently, the restriction in question did not impair the very essence of the
applicant’s right to education. In addition, in the light of its findings with respect to the other
Articles relied on by the applicant (see paragraphs 122 above and 166 below), the Court
observes that the restriction did not conflict with other rights enshrined in the Convention or
its Protocols either.
162. In conclusion, there has been no violation of the first sentence of Article 2 of Protocol No.
1”. 15.9. In conclusione, è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 1, legge 2 agosto 1999, n. 264, in relazione agli artt. 3, 34, 97
e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui, per l’ammissione ai corsi di laurea a programmazione
nazionale che si svolgono sulla base di una prova predisposta dal Ministero dell’università e
della ricerca, uguale per tutte le Università e che si svolge nello stesso giorno in tutta Italia,
non prevede la formazione di una graduatoria unica nazionale in luogo di graduatorie plurime,
per singoli Atenei.
16. Da pag. 36 a pag. 41 viene proposto un motivo aggiunto in appello, avverso un atto non
impugnato in precedenza, e in particolare avverso i lavori di predisposizione dei quesiti ad
opera dell’apposita Commissione ministeriale.
Il vizio di tali lavori consisterebbe nella mancata verbalizzazione delle operazioni di
predisposizione dei quesiti.
Si assume che tale vizio sarebbe stato conosciuto solo a seguito della lettura della sentenza del
Tar Lazio – Roma n. 5986/2008 che ha ritenuto sussistente tale vizio.
Si assume che i lavori della commissione sarebbero stati impugnati sin dal primo grado di
giudizio con la formula della contestazione degli atti preordinati conseguenti e connessi, e
tanto giustificherebbe la proposizione di motivi aggiunti per la prima volta in appello.
16.1. Il motivo aggiunto proposto per la prima volta in appello è nel caso specifico
inammissibile.
Infatti secondo la giurisprudenza preferibile, formatasi prima del cod. proc. amm. ed
applicabile ratione temporis, e ora codificata nell’art. 104, comma 3, cod. proc. amm., in
appello possono essere proposti motivi aggiunti solo qualora la parte venga a conoscenza di
documenti non prodotti dalle parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o
provvedimenti amministrativi già impugnati in primo grado.
In definitiva, in grado di appello sono ammessi i motivi aggiunti solo avverso gli atti già
impugnati in primo grado, e non anche contro atti mai impugnati in primo grado.
Nel caso di specie, in primo grado non sono mai stati contestati i lavori della Commissione di
predisposizione degli 80 quesiti, ma semmai solo il risultato di tali lavori, e in particolare i
singoli quesiti.
Né può ritenersi, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, che tale atto sarebbe
stato impugnato con la formula di stile della impugnazione “di tutti gli atti del procedimento,
preordinati, conseguenti e connessi”.
Si tratta infatti di formula di stile che non esonera dall’identificare, se non con gli estremi
esatti, quanto meno genericamente nel contenuto, gli atti che si contestano, al fine di una
corretta delimitazione della materia del contendere. 17. In conclusione, è accolto l’appello del Ministero dell’università e della ricerca e
dell’Università di Bologna.
Invece l’appello proposto da Giovanna Accolti, Niccolò Principi, Irene Sgambaro, Margherita
Tiezzi, Valentina Valpiani e Claudia Zanetti va in parte dichiarato inammissibile, in parte
respinto, e infine, limitatamente al motivo da pag. 33 a pag. 36, va sospeso il giudizio e vanno
rimessi gli atti alla Corte costituzionale.
Spese al definitivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), parzialmente e non
definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe e previa loro riunione:
a) accoglie l’appello del Ministero dell’università e della ricerca e dell’Università di Bologna;
b) quanto all’appello proposto da Giovanna Accolti, Niccolò Principi, Irene Sgambaro,
Margherita Tiezzi, Valentina Valpiani e Claudia Zanetti in parte lo dichiara inammissibile, in
parte lo respinge, in parte sospende il giudizio limitatamente al motivo da pag. 33 a pag. 36;
c) visti gli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23
della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, l. 2 agosto 1999 n. 264, in relazione
agli artt. 3, 34, 97 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui, per l’ammissione ai corsi di laurea
a programmazione nazionale che si svolgono sulla base di una prova predisposta dal Ministero
dell’università e della ricerca, uguale per tutte le Università e da tenersi nello stesso giorno in
tutta Italia, non prevede la formazione di una graduatoria unica nazionale in luogo di
graduatorie plurime, per singoli Atenei;
d) ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
e) ordina che a cura della segreteria della sezione la presente ordinanza sia notificata alle
parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti delle
Camere dei Deputati e del Senato della Repubblica;
f) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle
spese.

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