Diritto di opzione fra assegno di invalidità e indennità di disoccupazione
Corte Costituzionale , sentenza 22.07.2011 n° 234

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7,
del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione),
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della
stessa legge n. 236 del 1993, che ha fatti salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di
decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio
1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26,
decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge
12 febbraio 1993, n. 31), nella parte in cui dette norme non prevedono, per i lavoratori che
fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti
di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al
periodo di disoccupazione indennizzato.

Corte Costituzionale
Sentenza 22 luglio 2011, n. 234

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Alfonso QUARANTA Presidente
– Alfio FINOCCHIARO Giudice
– Franco GALLO “
– Luigi MAZZELLA “
– Gaetano SILVESTRI “ – Sabino CASSESE “
– Giuseppe TESAURO “
– Paolo Maria NAPOLITANO “
– Giuseppe FRIGO “
– Alessandro CRISCUOLO “
– Paolo GROSSI “
– Giorgio LATTANZI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20
maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e dell’articolo 1 della stessa legge n. 236
del 1993, promosso dal Tribunale di Bologna nel procedimento vertente tra M.L. e l’Istituto
nazionale per la previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 4 maggio 2010, iscritta al n.
375 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50,
prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di M. L. e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per M.L., Antonietta Coretti per
l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza del 4 maggio 2010, il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento
agli articoli 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno
dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché
dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, «nella parte in cui tali norme non prevedono
che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere
diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti e quelli di
invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato».
Il rimettente riferisce che, nel giudizio sottoposto al suo esame la ricorrente, dopo la
concessione dell’assegno di invalidità parziale, aveva continuato a prestare la propria attività
lavorativa. Licenziata per riduzione di personale, ed essendo assicurata contro la
disoccupazione presso l’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), la predetta ricorrente aveva dichiarato di optare per il trattamento più favorevole tra l’assegno di invalidità e
l’indennità di disoccupazione. La sede INPS competente, tuttavia, aveva respinto la domanda,
affermando che l’assegno di invalidità era incompatibile con l’indennità di disoccupazione, in
forza dell’art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 (Interventi urgenti a salvaguardia
dei livelli occupazionali), non convertito in legge, i cui effetti sono stati fatti salvi dal
successivo decreto-legge n. 148 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236
del 1993.
L’art. 6, comma 7, del predetto decreto-legge n. 148 del 1993, infatti, riferisce il rimettente,
inizialmente prevedeva solo che i trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e
l’indennità di mobilità fossero incompatibili con i trattamenti pensionistici diretti a carico
dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei
lavoratori dipendenti, nonché dei lavoratori autonomi. In seguito, prosegue il rimettente, tale
norma è stata modificata per effetto della sentenza n. 218 del 1995, con cui questa Corte ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso articolo, nonché dell’art. 1 della legge n.
236 del 1993, solo per lavoratori aventi diritto alla mobilità, nella parte in cui non prevedono
che, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità, i lavoratori che fruiscono dell’assegno o della
pensione di invalidità, possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilità, nei modi e con
gli effetti di cui agli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 16 maggio 1994, n.
299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali),
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451.
Tornando al caso del giudizio a quo, il rimettente riferisce che, poiché la normativa in vigore
prevede tale facoltà solo nel caso di concorso tra il trattamento di mobilità e l’assegno o la
pensione di invalidità, la ricorrente, avendo diritto al solo trattamento ordinario di
disoccupazione, non aveva avuto la facoltà di optare tra l’assegno di invalidità, di cui è
titolare, e il predetto trattamento di disoccupazione, in concreto più favorevole.
Ebbene, secondo il Tribunale di Bologna, la mancata previsione delle facoltà di opzione
anche nel caso di concorso tra indennità di disoccupazione e trattamento di invalidità, si pone
in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., per le stesse ragioni poste a fondamento della già citata
sentenza n. 218 del 1995 della Corte costituzionale, violando ulteriormente l’art. 3 della Carta
costituzionale, sotto l’aspetto della disparità di trattamento tra chi, fruendo di un trattamento
di invalidità, si trova in stato di disoccupazione con o senza collocazione in mobilità, posto
che nel primo caso può esercitare la facoltà di opzione del trattamento più favorevole, mentre
nel secondo tale facoltà è preclusa.
Secondo il rimettente, la questione di costituzionalità della norma citata, inoltre, è rilevante
nel giudizio a quo, posto che l’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993 e l’art. 1
della legge n. 236 del 1993 non prevedono la suddetta opzione e non sono superabili in via
meramente interpretativa, stante il letterale e chiaro disposto delle norme in questione.
2.− Con memoria depositata il 22 dicembre del 2010, l’Istituto nazionale per la previdenza
sociale ha chiesto che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile e infondata.
Quanto alla dedotta inammissibilità, secondo l’INPS, l’ordinanza di rimessione non sarebbe
motivata in modo esauriente ed autosufficiente, facendo rinvio alle «ragioni poste a
fondamento della già citata sentenza n. 218 del 1995 della Corte costituzionale», senza
motivare in ordine alla configurabilità di una coincidenza – quanto a natura, presupposti ed
effetti – tra il trattamento di disoccupazione ed il trattamento di mobilità, così riproducendo il

profilo di inammissibilità stigmatizzato dalla Corte nell’ordinanza n. 297 del 2000, in
relazione ad altra questione sollevata con riferimento alla medesima norma.
Quanto al merito, l’INPS ha chiesto che la questione di costituzionalità sia dichiarata
infondata, attesa la non comparabilità tra l’istituto dell’indennità di disoccupazione, rispetto
al quale è intervenuta la sentenza citata dal rimettente, e quello dell’indennità di
disoccupazione. Secondo l’INPS, infatti, nei due istituti sarebbero diversi la natura giuridica,
i presupposti di applicabilità e la struttura, per cui, come rimarcato dalla Corte nella citata
ordinanza n. 297 del 2000, la pronuncia additiva richiesta non sarebbe “a rime obbligate”.
3.− Con memoria, depositata il 23 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, ed ha chiesto che la questione di legittimità sollevata sia dichiarata inammissibile
e comunque infondata.
Quanto al primo aspetto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sottolineato il carattere
eccezionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994 – norma della cui
efficacia il rimettente ha chiesto l’estensione anche alla fattispecie sottoposta al suo esame –
atteso che, come già la Corte costituzionale avrebbe evidenziato nell’ordinanza n. 218 del
2000, tale norma, introducendo l’opzione soltanto tra l’indennità di mobilità e le prestazioni
di invalidità, costituirebbe eccezione al principio generale, dettato dall’art. 6, comma 7, del
decreto-legge n. 148 del 1993, di incompatibilità tra trattamenti ordinari e speciali di
disoccupazione, indennità di mobilità e trattamenti pensionistici diretti.
Nel merito, secondo il Presidente del Consiglio non vi sarebbe coincidenza tra l’indennità di
mobilità e l’indennità di disoccupazione: mentre la prima, connessa strettamente al
trattamento di integrazione salariale, sarebbe svincolata dall’accertamento dello stato di
bisogno individuale e sarebbe legata a obiettivi di politica economico-sociale di tutela
dell’occupazione (tanto da essere strettamente connessa alla dimensione occupazionale
dell’azienda presso la quale il lavoratore presta la sua opera), la seconda avrebbe natura
prettamente assicurativa e sarebbe legata funzionalmente alla situazione di bisogno del
lavoratore. Inoltre, quanto ai presupposti, l’indennità di mobilità, a differenza di quella di
disoccupazione (riconosciuta a tutti i lavoratori, in conseguenza di un licenziamento anche
individuale), è attribuita ai soli lavoratori dipendenti di imprese del settore industriale con
almeno quindici dipendenti e a condizione che possano far valere un minimo di anzianità
lavorativa presso l’azienda datrice di lavoro, e solo a seguito di licenziamento collettivo e
dopo l’inizio di una procedura sindacale di messa in mobilità.
Diverse, poi, sarebbero anche la struttura e l’articolazione dei due istituti indennitari, sia con
riferimento all’entità che alla durata dei benefici concessi.
4.− Si è costituita in giudizio anche la ricorrente L.M., chiedendo che la questione di
costituzionalità sollevata sia dichiarata rilevante nel giudizio a quo, a causa della
impossibilità di riconoscere al titolare dell’indennità di invalidità il diritto di optare per
l’indennità di disoccupazione in via interpretativa, sulla base della legislazione vigente. Essa
ha poi chiesto che la questione sia dichiarata fondata, potendosi desumere la ratio decidendi
dell’accoglimento dalla stessa sentenza n. 218 del 1995, citando alcuni passi della stessa
pronuncia e svolgendo ulteriori considerazioni a sostegno della tesi della perfetta adattabilità
di tale pronuncia anche al caso della opzione tra indennità di invalidità ed indennità di
disoccupazione. 5.− Con memoria depositata in data 14 giugno 2001, la parte privata ha illustrato
ulteriormente le proprie argomentazioni a sostegno della sollevata questione.
Considerato in diritto
1.− Il Tribunale di Bologna dubita, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, della
legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148
(Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19
luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n. 236, nella
parte in cui non prevedono che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità,
nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali
trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.
1.1.− La norma censurata, nella sua originaria formulazione, si limitava ad introdurre il
divieto di cumulo dei trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e dell’indennità di
mobilità con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, degli
ordinamenti sostitutivi, esonerativi ed esclusivi dell’assicurazione medesima, nonché delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi; escludendo, dunque, che i soggetti che si trovavano
nelle condizioni di poter astrattamente fruire, contemporaneamente, di entrambi tali tipologie
di prestazioni previdenziali potessero in concreto godere di entrambe, cumulandole.
1.2.− Successivamente alla sua emanazione, la norma è stata integrata per effetto dell’art. 2
del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e
di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio
1994, n. 451, che ha introdotto un temperamento al divieto di cumulo, consentendo, ai soli
lavoratori aventi diritto alla mobilità, di scegliere, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità,
tra tali trattamenti e quello di mobilità e stabilendo che, in caso di opzione a favore del
trattamento di mobilità, l’erogazione dell’assegno o della pensione di invalidità resti sospesa
per tutto il periodo di fruizione del predetto trattamento.
Tale facoltà di opzione, invece, non risulta estensibile ai lavoratori titolari dell’assegno di
invalidità che abbiano diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione. Questi ultimi, al
momento del licenziamento, durante il periodo di disoccupazione potranno percepire il solo
assegno parziale di invalidità.
1.3.− In seguito, questa Corte, con la sentenza n. 218 del 1995, ha esteso l’operatività del
diritto di opzione anche al periodo precedente alla riforma del 1994, rendendo, dunque,
retroattiva la norma introdotta dal legislatore appena l’anno precedente.
2.− Preliminarmente, deve osservarsi che la questione è stata sollevata con riferimento sia
all’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993, sia all’art. 1 della legge n. 236 del
1993, che, nel convertire in legge il predetto decreto, ha fatto salvi gli effetti prodotti da
analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57,
decreto-legge 5 gennaio 1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1°
febbraio 1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992,
n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), tra i quali v’è quella posta a fondamento
dell’impugnato provvedimento di reiezione dell’istanza di opzione.

2.1.− Sempre in via preliminare, l’INPS e il Presidente del Consiglio hanno eccepito
l’inammissibilità della questione, in quanto la stessa, in punto di non manifesta infondatezza,
risulterebbe motivata solo per relationem, mediante rinvio integrale alle argomentazioni
contenute in altra sentenza di questa Corte.
Tale eccezione è fondata solo con riferimento all’art. 38 Cost.
Questa Corte ha avuto modo di ribadire (ex plurimis, sentenze n. 64 del 2009, n. 328 del 2008
e ordinanze n. 354, n. 75 e n. 42 del 2007, n. 312 del 2005) che, nell’ordinanza di rimessione,
il giudice deve rendere esplicite le ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalità
della norma con una motivazione autosufficiente, non potendosi limitare ad un generico
richiamo alla giurisprudenza, o ad altri atti estranei all’ordinanza stessa.
Ebbene, con riferimento al parametro di cui all’art. 38 Cost., l’ordinanza di rimessione, oggi
in esame, risulta motivata unicamente attraverso il rinvio recettizio alle motivazioni contenute
nella già citata sentenza n. 218 del 1995. Al di fuori di tale inammissibile rinvio, non è
rinvenibile alcuna motivazione specificamente riferibile all’art. 38 Cost. Pertanto, la predetta
questione va dichiarata, in parte qua, inammissibile.
Al contrario, con riferimento al principio di cui all’art. 3 Cost., l’eccezione di inammissibilità
deve essere respinta. Il rimettente, infatti, dopo aver richiamato le argomentazioni contenute
nella motivazione della predetta sentenza, nel prosieguo dell’ordinanza, individua in modo
autonomo il vulnus costituzionale denunciato con riferimento al principio di uguaglianza,
identificandolo nella disparità di trattamento tra lavoratori aventi diritto alla mobilità e
lavoratori che, pur disoccupati, ne sono esclusi. Tale motivazione, ancorché sintetica, deve
ritenersi idonea a circoscrivere in modo adeguato ed autosufficiente l’oggetto dello scrutinio
di costituzionalità demandato a questa Corte.
2.3.− Né sussiste l’eccepito profilo di inammissibilità, connesso all’asserito carattere non “a
rime obbligate” dell’intervento additivo richiesto, perché quest’ultimo costituisce l’unica
possibile soluzione alla denunciata disparità di trattamento.
3.− Nel merito, la questione è fondata.
3.1.− La disposizione censurata, come integrata dall’art. 2 del decreto-legge n. 299 del 1994 e
dalla sentenza n. 218 del 1995, determina un’oggettiva diversità di trattamento tra il
lavoratore inabile, titolare di un assegno o di una pensione di invalidità che, al momento del
licenziamento, rientri nel novero dei lavoratori aventi diritto al trattamento di mobilità e
quello che abbia invece diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione.
Mentre nel primo caso, infatti, il lavoratore che, a causa del regime di incompatibilità, non
può percepire entrambi gli assegni (di invalidità e di mobilità), ha però la facoltà di scegliere
tra le due prestazioni, a seconda di quale dei due trattamenti sia, in concreto, più conveniente,
nel secondo caso, non ha tale possibilità di scelta e si trova, di fatto, obbligato a beneficiare di
quello connesso al suo stato di invalidità. L’impossibilità di optare per il trattamento di
disoccupazione in occasione del licenziamento, determina, dunque, per i soli lavoratori inabili
non aventi diritto alla mobilità, la concreta inutilizzabilità di tale tutela assicurativa.
3.2.− Come questa Corte ha affermato, il legislatore, nel regolamentare il concorso tra più
assicurazioni sociali e, in particolare, tra quelle connesse allo stato di invalidità e vecchiaia e quelle connesse allo stato di disoccupazione, gode certamente della più ampia discrezionalità
(e può ben valutare, quindi, come sufficiente l’attribuzione di un unico trattamento
previdenziale al fine di garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita
sue e della sua famiglia), ma, nel fare tale scelta, deve soddisfare il principio di eguaglianza e
di ragionevolezza (sentenza n. 218 del 1995).
Nel caso in esame, la descritta diversità di disciplina tra indennità di disoccupazione ed
indennità di mobilità non è ragionevole, perché, non essendo connessa a rilevanti differenze
strutturali delle due situazioni poste a confronto, risulta irragionevolmente discriminatoria.
Diversamente, infatti, da quello che sostengono l’INPS e il Presidente del Consiglio dei
ministri, circa la non equiparabilità dell’assegno ordinario di disoccupazione al trattamento di
mobilità, le differenze tra i due emolumenti (che si assumono essere connesse a diversità di
presupposti, entità e struttura degli stessi) sono marginali e non giustificano, per i lavoratori
non aventi diritto alla mobilità, la mancata previsione del diritto di opzione.
Infatti, l’indennità ordinaria di disoccupazione e l’indennità di mobilità − valutate non in
astratto ma con specifico riferimento alla ratio della disposizione di cui si chiede l’estensione
– presentano, nella finalità e nella struttura, assorbenti analogie, perché tali sussidi rientrano
nel più ampio genus delle assicurazioni sociali contro la disoccupazione.
Un tale inquadramento è stato già avallato, da questa Corte, nella sentenza n. 184 del 2000,
laddove si è affermato che, nell’ambito dei cosiddetti “ammortizzatori sociali”, l’indennità di
mobilità − a differenza della Cassa integrazione guadagni, connessa ad un mero stato
transitorio di crisi dell’impresa – è finalizzata a favorire il ricollocamento del lavoratore in
altre imprese ed è, dunque, collegata ad una crisi irreversibile dell’impresa. Essa, cioè, deve
considerarsi un vero e proprio trattamento di disoccupazione.
3.3.− D’altra parte, la norma censurata, come da questa Corte sottolineato (per i lavoratori in
mobilità) nella citata sentenza n. 218 del 1995, presenta un’ulteriore disparità di trattamento,
perché discrimina i lavoratori disoccupati invalidi, non aventi diritto alla mobilità, anche
rispetto agli altri lavoratori disoccupati pienamente validi. I primi, infatti, secondo la
normativa attualmente vigente, percepiscono la sola indennità di invalidità (che potrebbe,
peraltro, essere solo parziale), mentre i secondi, a partire dal momento del licenziamento,
godono del più vantaggioso trattamento, ordinario o speciale, di disoccupazione.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la norma censurata determina una lesione del principio di
uguaglianza, dal momento che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire nella più volte
citata sentenza n. 218 del 1995, «il lavoratore parzialmente invalido, ove collocato in
mobilità, viene a trovarsi in una situazione di più urgente bisogno del lavoratore valido,
anch’egli collocato in mobilità, essendo prevedibile che egli, rispetto a quest’ultimo, abbia
maggiori esigenze di mantenimento», e considerato che «chi subisce plurimi eventi
pregiudizievoli si trova esposto ad una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno
solo e quindi il primo non potrà, rispetto a quest’ultimo, avere un trattamento deteriore».
4.− Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale, in parte qua, delle norme censurate.

per questi motivi

la corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20
maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge
n. 236 del 1993, che ha fatti salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, 

n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26,
decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-

legge 12 febbraio 1993, n. 31), nella parte in cui dette norme non prevedono, per i
lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere
diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di
invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19
luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2011.

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