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Costituisce donazione indiretta, la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari

A cura della dott.ssa Filomena Agnese Chionna

 

La Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 febbraio 2015, n. 3819, addiviene alla risoluzione di un contrasto in tema di successioni, ed in particolare analizza il rapporto sussistente tra la donazione indiretta e la rinunzia alla quota di comproprietà.

Con tale sentenza si afferma il principio di diritto secondo cui costituisce donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari.

In tal caso si è infatti di fronte ad una rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, perché l’acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo in modo indiretto attraverso l’eliminazione dello stato di compressione in cui l’interesse degli altri contitolari si trovava a causa dell’appartenenza del diritto in comunione anche ad un altro soggetto; e poiché per la realizzazione del fine di liberalità viene utilizzato un negozio, la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per quest’ultimo.

Di tale principio ha fatto corretta applicazione la Corte del merito, dopo avere sottolineato che la rinuncia alla quota di un mezzo sulla proprietà della casa è stata compiuta dalla madre puramente e semplicemente in favore di tutti gli altri comproprietari, con una estensione automatica in proporzione delle loro quote di comproprietà, mediante l’utilizzazione di un negozio tipico, appunto la rinunzia di uno dei comproprietari ai sensi dell’art. 1104 cod. civ.

L’insegnamento consolidato di questa Corte regolatrice è nel senso che l’indagine diretta a stabilire, ai fini della conservazione del negozio, se la pattuizione nulla debba ritenersi essenziale, va condotta con criterio oggettivo, in funzione del permanere o meno dell’utilità del contratto in relazione agli interessi che si intendono attraverso di esso perseguire, quali risultano individuati attraverso l’interpretazione del negozio.

Ciò premesso, la denunziata violazione dell’art. 1419 cod. civ. non sussiste, avendo ravvisato un rapporto di interdipendenza tra il patto successorio nullo (ex art. 458 cod. civ.) e la parte residua dei negozi racchiusi nelle scritture private in questione, sul rilievo,fondato su un’attenta e compiuta considerazione dei termini della scrittura:

(a) della formulazione estremamente vaga ed ipotetica della convenzione, collegata a diritti successori discendenti dalle disposizioni mortis causa di un eventuale testatore;

(b) dal contesto di tutta l’operazione economico-sociale posta in essere con le suddette scritture

(c) “la rinuncia ad eventuali diritti ereditari,non sarebbe, comunque, dovuta avvenire a

titolo gratuito, ma ‘previo equo corrispettivo”.

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