L’appellante può costituirsi tramite la c.d. velina?

Cassazione civile, sezione sesta, sentenza del 25.3.2013, n. 7451

La costituzione con la copia non notificata non rende impossibile il controllo sulla procedibilità sotto il profilo della effettiva proposizione dell’impugnazione: invero, atteso che il controllo dev’essere fatto alla detta udienza, si comprende come la constatazione solo in essa, della conformità della copia (la velina), con cui l’appellante si è costituito, all’originale che egli produca in quella udienza, consente di ritenere che lo scopo della costituzione quoad deposito dell’originale della citazione notificata, mancante al momento della costituzione, ma non prescritta a pena di improcedibilità, risulti raggiunto attraverso la constatazione che la copia è conforme all’originale.

 

…omissis…

 

Esso propone due motivi.

 

Il primo è di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 156, 347 e 348 c.p.c., e vi si sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe dichiarato l’improcedibilità nonostante la costituzione dell’appellata ed in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, della quale viene evocata Cass. n. 11783 del 2007. Inoltre, il Tribunale avrebbe male applicato l’art. 348 c.p.c., equiparando la mancata costituzione in termini e l’inosservanza delle sue forme, alle quali era de ricondurre il mancato deposito dell’originale all’atto della costituzione stessa.

 

Il secondo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il Giudice sostenuto che il mancato deposito dell’originale abbia determinato anche il mancato deposito della procura alle liti” e censura il rilievo del Tribunale, per la verità meramente assertorio e non esplicitato nelle sue conseguenze, che il mancato deposito dell’originale aveva comportato quello della procura su di esso. Si sostiene che avendo la controparte ricevuto la notifica dell’originale ed avendo lo stesso Tribunale esaminato e provveduto su un’istanza ai sensi dell’art. 351 c.p.c., comma 2, che era stata accolta inaudita altera parte, nessun dubbio sulla sussistenza delle procura ai fini dell’appello si sarebbe potuto configurare. Vengono, altresì, invocate Cass. nn. 23027 del 2007 e 13315 del 1999.

 

p.3.1. I due motivi, esaminabili congiuntamente, appaiono fondati alla stregua dei principi di diritto recentemente enunciati, con considerazione dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte ed individuazione dei suoi finali approdi, da Cass. n. 6912 del 2012.

 

In particolare tale sentenza si è così espressa:

 

le conseguenze della scelta del legislatore di applicare la sanzione della improcedibilità, che significano sottrazione dell’inosservanza delle forme al regime delle nullità e, quindi, esclusione dell’operatività del principio della sanatoria per l’eventuale configurabilità di una fattispecie di raggiungimento dello scopo, si giustificano soltanto per il caso di costituzione mancata entro il termine, cioè che non sia mai avvenuta, o sia avvenuta successivamente ad esso. Le conseguenze di una costituzione avvenuta nel termine ma senza l’osservanza delle forme evocate nel primo comma dell’art. 347, essendo il regime della improcedibilità, in quanto di maggior rigore rispetto al sistema generale delle nullità, di stretta interpretazione, soggiacciono, viceversa, al regime delle nullità di cui all’art. 156 c.p.c. e ss., e, quindi, vanno disciplinate applicando il principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo e ciò anche attraverso l’esame di atti distinti o di comportamenti successivi rispetto a quello entro il quale la costituzione doveva avvenire.

 

2.4. In questa prospettiva, premesso il rilievo che, essendo il controllo sulla procedibilità demandato alla prima udienza di trattazione – siccome previsto dall’art. 350 c.p.c., comma 2, – non risulta conferente l’osservazione della decisione sopra ricordata che la costituzione con la copia non notificata mette il giudice nell’impossibilità di controllare la procedibilità sotto il profilo della effettiva proposizione dell’impugnazione: invero, atteso che il controllo dev’essere fatto alla detta udienza, si comprende come la constatazione solo in essa, della conformità della copia (la velina), con cui l’appellante si è costituito, all’originale che egli produca in quella udienza, consente di ritenere che lo scopo della costituzione quoad deposito dell’originale della citazione notificata, mancante al momento della costituzione, ma non prescritta a pena di improcedibilità, risulti raggiunto attraverso la constatazione che la copia è conforme all’originale.

 

Solo in caso di difformità dall’originale oppure in caso di mancato deposito della copia notificata senza alcuna richiesta o allegazione di ragioni giustificative di una richiesta di rinvio per produrla, emerge che la costituzione mediante il deposito della copia è priva di rispondenza con la vocatio in ius siccome espressa nella citazione notificata e risulta, quindi, che riguardo a quest’ultima nessuna costituzione tempestiva vi è stata. L’appello, per come incardinato presso il giudice d’appello risulta, pertanto, in questo caso improcedibile. Il fatto che l’improcedibilità emerga solo alla prima udienza di trattazione, essendo questo il momento in cui il relativo controllo dev’essere fatto, non contraddice del resto l’indisponibilità della sanzione da parte del giudice in essa espressa, perchè il giudice ne rileva le condizioni alla prima udienza di trattazione, ma con riferimento al momento entro il quale l’adempimento previsto a pena di improcedibilità – cioè la costituzione e non le sue forme – doveva compiersi.

 

D’altro canto, alla prima udienza di cui all’art. 350 c.p.c., comma 2, (e, comunque, alla prima udienza del giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, giudice dell’appello sulle sentenze dei giudici di pace), poichè la legge prevede che il controllo della regolarità della costituzione e, quindi, delle ritualità delle sue forme, debba essere compiuto in essa, il giudice, di fronte alla mancata produzione in cancelleria nelle more fra l’iscrizione tempestiva con la velina e l’udienza oppure alla mancata produzione direttamente in udienza, potrà a questo punto, nell’esercizio dei suoi poteri di direzione del procedimento ai sensi dell’art. 175 c.p.c., comma 1, e, particolarmente del sollecito svolgimento del processo, assegnare un termine alla parte appellante a norma dell’art. 152 c.p.c., sì da scongiurare manovre dilatorie, nel quale caso al termine – in quanto ordinatorio e fissato dal giudice – sarà applicabile il regime di cui all’art. 154 c.p.c..

 

Questa gestione della vicenda esclude la preoccupazione che traspare tra le righe dall’orientamento degli uffici di merito che insistentemente mostra di essere contrario alla ricostruzione qui prospettata, dovendo fare i conti con il probabile fisiologico ritardo nella restituzione degli atti introduttivi notificato al foro, specie nei grandi centri urbani.

 

p.2.5. Le considerazioni qui svolte si sono reputate, d’altro canto, opportune perchè la sentenza impugnata è l’indizio di una non chiara percezione da parte della giurisprudenza di merito dell’esegesi dell’art. 348 c.p.c., comma 1, forse dovuta al mancato approfondimento anche da parte della giurisprudenza di questa Corte dell’esatta dimensione dei termini della iscrizione a ruolo dell’appello mediante una velina in riferimento alla esistenza (o meglio alla necessaria inesistenza) su di essa di una relazione di notificazione.

 

La loro opportunità non deve sembrare un fuor d’opera nemmeno dopo l’arresto con cui recentemente le stesse Sezioni Unite hanno confermato incidenter che l’iscrizione a ruolo della citazione d’appello può avvenire sulla base di una velina (Cass. sez. un. n. 10864 del 2011), atteso che l’affermazione è stata fatta senza un’espressa considerazione, non necessaria, peraltro, ai fini della questione allora esaminata, della mancanza della relazione di notificazione (o meglio dello schema in bianco di essa nei sensi sopra precisati).

 

p.2.6. Il primo motivo è, dunque, accolto e la sentenza impugnata è cassata sul punto in cui ha dichiarato l’improcedibilità per essere stata la causa iscritta con una copia non recante alcuna relata di notificazione (o meglio, ripetesi, il suo schema).

 

3. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 165, 125, 182 e 83 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla nullità dell’atto di appello per difetto di ius postulandi in quanto all’atto della costituzione non risultava depositata la procura al difensore, rilasciata a margine dell’atto di citazione del giudizio di primo grado, con espressa estensione al giudizio di secondo grado.

 

Vi si censura la sentenza impugnata là dove, nella parte finale, ha ritenuto affetto da nullità l’atto di appello perchè all’atto della costituzione non era stata depositato la procura, non sussistendo alcun onere del giudice d’appello di ordinare la regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c..

 

Ancorchè non lo espliciti, la sentenza impugnata è pervenuta a tale conclusione sempre sulla scorta della sua errata esegesi dell’art. 348 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 347 c.p.c., comma 1, cioè considerando che, quando la prima norma prevede l’improcedibilità, non la riferisce solo all’inosservanza del termine, ma anche delle forme della costituzione. Fra esse, infatti, per il tramite del rinvio dell’art. 347, comma 1, all’art. 165 c.p.c., vi è anche il deposito della procura e, dunque, in un caso nel quale lo ius postulandi in appello era stato esercitato sulla base della procura conferita con la citazione di primo grado che abilitava al ministero anche in appello, attraverso la produzione dell’originale (o della copia) della citazione di primo grado recante la procura.

 

Nella specie, infatti, è pacifico che il qui ricorrente non depositò al momento della costituzione la citazione di primo grado, essa venendo acquisita – come dice la stessa sentenza impugnata – solo per effetto dell’acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudice di primo grado il 30.9.2008, evidentemente avvenuta ai sensi dell’art. 347 c.p.c., comma 2.

 

p.3.1. Anche questo secondo motivo è fondato.

 

Questa Corte, già nel vigore del testo degli artt. 347 e 348, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 353 del 1990 (il quale imponeva a pena di improcedibilità all’appellante di depositare il proprio fascicolo dopo essersi costituito: art. 348 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dalla L. n. 581 del 1950), aveva ritenuto che Qualora la procura al difensore dell’appellante sia stata rilasciata in calce alla copia notificata della citazione di primo grado, con espressa estensione al giudizio di secondo grado, e l’atto di gravame ne faccia precisa menzione, il suo mancato inserimento nel fascicolo dell’appellante medesimo, tempestivamente presentato a norma dello art. 348 c.p.c., comma 2, non comporta l’improcedibilità del gravame ove sia suscettibile di successiva regolarizzazione ex art. 182 c.p.c., su invito dell’istruttore (o su iniziativa spontanea della parte),mediante la produzione del fascicolo di primo grado contenente detta copia notificata della citazione introduttiva. (Cass. n. 3342 del 1982).

 

Con riferimento a fattispecie soggetta al regime successivo alla L. n. 353 del 1990, a sua volta, senza particolari motivazioni e senza percepire il cambiamento dell’art. 348 c.p.c., il riferito precedente è stato reiterato da Cass. n. 6327 del 2006.

 

La sua giustificazione, nel regime attualmente vigente, si fonda sia sulla ricostruzione del significato dell’art. 348, comma 1, nel senso che sanzioni solo l’inosservanza del termine di costituzione e non delle sue forme e, quindi, delle produzioni che dovrebbero farsi a norma dell’art. 165 c.p.c., sia – qualora non risulti che la citazione di primo grado recante la procura sia contenuta nel fascicolo del giudice di primo grado doverosamente acquisito ai sensi dell’art. 347 c.p.c., comma 1, (ad esempio, perchè, la parte aveva ritirato il suo fascicolo che conteneva l’atto), sul carattere altrettanto doveroso del potere del giudice di ordinare la produzione ai sensi dell’art. 182 c.p.c. (come ampiamente argomentato da Cass. n. 10123 del 2011).

 

In base alle sopra riportate motivazioni, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata con rinvio al Tribunale di Foggia, Sezione Distaccata di Trinitapoli, perchè esamini l’appello, che era procedibile”.

 

p.2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere.

 

Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Foggia, Sezione Distaccata di Trinitapoli, perchè esamini l’appello, che era procedibile.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Foggia, Sezione Distaccata di Trinitapoli, che deciderà in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 7 febbraio 2013.

 

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2013

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