a cura della dott.ssa Francesca Lucchese

 

Massima

“L’art. 569 del codice penale è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 117 primo comma Cost., nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato previsto dall’art. 566, comma secondo del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto”.(Massima Corte Costituzionale).

 

Sintesi del caso

Il Tribunale di Brescia aveva dichiarato gli imputati colpevoli del delitto di cui all’art. 566, comma 2, c.p. per avere, nella loro qualità di genitori di una bambina nata a Brescia il 13.10.2000, omesso di dichiarare all’ufficiale di stato civile la nascita della stessa entro il termine previsto del D.P.R. n. 396 del 2000; per aver occultato la neonata fino al 27.01.2005 e per averne soppresso, in tal modo, lo stato civile. Nei confronti di entrambi gli imputati veniva disposta l’applicazione, secondo il disposto dell’art. 569 c.p., della pena accessoria della perdita della potestà genitoriale sulla minore.

La sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Brescia.

Avverso tale decisione gli imputati proponevano ricorso per Cassazione e, in prossimità dell’udienza, gli stessi ricorrenti presentavano una “istanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, denunciando la illegittimità degli art. 566 e 569 del codice penale”.

La Corte di Cassazione penale, ritenendo la questione sollevata non manifestamente infondata, ha promosso giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale.

 

La materia del contendere

La Corte rimettente ha rilevato l’intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale n. 31 del 2012, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall’art. 567, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

In punto di non manifesta infondatezza, i giudici a quo hanno fatto espresso riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione, violati perché, escludendo in capo al giudice ogni tipo di valutazione sugli interessi del minore, non sarebbero tutelati i relativi diritti inviolabili del caso concreto, quali sono quelli di crescere con i genitori e di essere da loro educati: salvo che da ciò scaturisca un grave pregiudizio.

In relazione all’art. 117 della Costituzione, vengono evocati:

– l’art. 3, primo comma della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989) il quale prevede che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»;

– la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996) la quale stabilisce che l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualsiasi decisione riguardante un minore, deve acquisire «informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore»;

-la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che all’art. 24, secondo e terzo comma, da un lato, prescrive che «In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente» e, dall’altro, che «Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora sia contrario al suo interesse».

Secondo la Corte rimettente, dunque, l’ordinamento internazionale considera di assoluta preminenza l’interesse del minore e la medesima centralità è stata “posta a fulcro della riforma del diritto di famiglia e della disciplina dell’adozione”.

Sulla base di tali considerazioni, poste come impianto argomentativo della richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale, i Giudici a quo  ritengono che la norma denunciata si rileva irragionevole “ in quanto ignora gli interessi del minore stabilendo la perdita della potestà genitoriale in forza di un mero automatismo, preclusivo di qualsiasi apprezzamento del giudice del caso concreto”.

 

Quaestio juris

E’ da ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 569 c.p., in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 117 della Costituzione nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’art. 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto?

 

Normativa di riferimento

• Artt. 2,3 ,29, 30 e 117 Costituzione;

• Legge 27 maggio 1991, n. 176. Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989;

• Legge 20 marzo 2003,  n. 77. Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996;

• Art. 24, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

•Art. 566 e 569 codice penale.

 

Nota esplicativa

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 569 c.p., sollevata dalla Corte di Cassazione, in riferimento agli artt. 2,3, 29, 30 e 117 della Costituzione.

Preliminarmente, i giudici hanno rilevato i principi affermati dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 31 del 23 febbraio 2012, relativa alla fattispecie prevista del delitto di alterazione di stato prevista dall’art. 567, comma 2, c.p. In quella decisione la Corte ha osservato che l’art. 569 c.p., prevedendo la perdita automatica della potestà genitoriale come conseguenza derivante dalla commissione di uno dei delitti del medesimo capo, compromette «l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione». Muovendo da tali considerazioni, si è affermato che la norma in oggetto viola il principio di ragionevolezza. Si è osservato, infatti, che attraverso l’automatismo che contraddistingue la pena accessoria, viene completamente ignorato l’interesse primario del minore ed è precluso al giudice ogni tipo di bilanciamento tra quel medesimo interesse e “la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso, tali da giustificare la detta applicazione appunto a tutela di quell’interesse».

Viene evidenziato, inoltre, che il delitto previsto dall’art. 567, comma 2 c.p. «diversamente da altre ipotesi criminose in danno di minori, non reca in sé una presunzione assoluta di pregiudizio per i loro interessi morali e materiali, tale da indurre a ravvisare sempre l’inidoneità del genitore all’esercizio della potestà genitoriale».

Tenendo conto della ratio decidendi  della richiamata pronuncia, la Corte ha affermato che i rilievi mossi all’art. 567 c.p. possono riguardare anche il delitto di cui all’art. 566 c.p., oggetto del giudizio a quo. Infatti, l’automatismo che contraddistingue l’applicazione della pena accessoria risulta compromettere i medesimi interessi del minore che la richiamata decisione della Corte ha voluto tutelare. Si aggiunge, poi, che le considerazioni “di non necessaria indegnità del genitore” evocate per la fattispecie prevista dall’art. 567 c.p., valgono anche per il reato di soppressione di stato.

Ciò detto, la Corte affronta il nodo problematico che contraddistingue l’applicazione della pena accessoria: il contemperamento tra l’esigenza di personalizzazione del trattamento sanzionatorio, finalizzato alla necessaria rieducazione, e la salvaguardia delle esigenze affettive ed educative del minore. Sulla base di tali argomentazioni, si è affermato che l’automatismo e la fissità delle pene accessorie compromette in maniera inaccettabile la tutela del minore, “ove si fa luogo ad una non necessaria interruzione del rapporto tra il minore e i propri genitori”.

In altri termini, secondo i giudici di legittimità, l’interruzione della relazione tra genitore e figlio può essere giustificata e giustificabile solo in funzione della tutela effettiva e concreta degli interessi del minore: “all’irragionevole automatismo legale occorre dunque sostituire – quale soluzione costituzionalmente più congrua – una valutazione concreta del giudice, così da assegnare all’accertamento giurisdizionale sul reato null’altro che il valore di “indice” per misurare la idoneità o meno del genitore ad esercitare le proprie potestà: vale a dire il fascio di doveri e poteri sulla cui falsariga realizzare in concreto gli interessi del figlio minore”.

Ebbene, la Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale in relazione alla necessaria conformazione della legge interna agli impegni internazionali assunti dallo Stato Italiano sul versante specifico della tutela dei minori.

Richiamate le norme internazionali in materia di diritto dei fanciulli, viene evidenziato l’obbligo degli Stati membri di garantire una “giustizia a misura di minore” che sia idonea a tutelare in maniera effettiva e preminente l’interesse superiore del fanciullo. Tale interesse deve essere considerato al primo posto, davanti ad ogni considerazione, in tutte le questioni che riguardano o vedono coinvolti minori.

Proprio in virtù di una interpretazione “internazionalmente” orientata,  la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 c.p. per contrasto con gli artt. 3 e 117 , comma 1 Cost, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato previsto dall’art. 566, comma secondo del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

 

Sentenze conformi e difformi.

Conforme

Corte Cost. 15.02.2012- Dep.   23.02.2012, n. 31. “E’ costituzionalmente   illegittimo l’articolo 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce   che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di   alterazione di stato, previsto dall’articolo 567, secondo comma, del codice   penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così   precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del   minore nel caso concreto. Nella fattispecie in questione vengono in rilievo   non soltanto l’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva   nonché l’interesse dell’imputato (e delle altre eventuali parti processuali)   alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti   sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l’interesse del figlio   minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo   un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali   ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione. Orbene, tanto nell’ordinamento   internazionale, quanto in quello interno, è principio acquisito che in ogni   atto comunque riguardante un minore deve tenersi presente il suo interesse   morale e materiale, che ha assunto carattere di piena centralità ed è   considerato preminente. Incidendo su di esso la pronunzia di decadenza, non è   conforme al principio di ragionevolezza, e contrasta quindi con il dettato   dell’art. 3 Cost., il disposto della norma censurata che, ignorando   l’interesse del minore, statuisce la perdita della potestà sulla base di un   mero automatismo, che preclude al giudice ogni possibilità di valutazione e   di bilanciamento, nel caso concreto, tra l’interesse stesso e la necessità di   applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle   caratteristiche dell’episodio criminoso. La violazione del principio di   ragionevolezza, che consegue all’automatismo previsto dalla norma censurata,   deve essere affermata anche alla luce dei caratteri propri del delitto di cui   all’art. 567, secondo comma, cod. pen., il quale, diversamente da altre   ipotesi criminose in danno di minori, non reca in sé una presunzione assoluta   di pregiudizio per i loro interessi morali e materiali, tale da indurre a   ravvisare sempre l’inidoneità del genitore all’esercizio della potestà genitoriale.   È ragionevole, pertanto, affermare che il giudice possa valutare, nel caso   concreto, la sussistenza di detta idoneità in funzione della tutela   dell’interesse del minore”. (Massima Corte Costituzionale).

Difforme: Corte Cost. 23.06.1988 n. 724.

 

Bibliografia

Pene accessorie, in Manuale di diritto penale, Marinucci-Dolcini, Giuffrè 2012.

 

Testo sentenza

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 569 del codice penale promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di C.F. e D.M.C., con ordinanza del 12 giugno 2012, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto in fatto

1.— La Corte di cassazione solleva, in riferimento agli articoli 2, 3, 29, 30 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’art. 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

Premette la Corte rimettente di essere stata investita a seguito di ricorso per cassazione proposto dalla difesa degli imputati avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Brescia aveva confermato la sentenza di primo grado, la quale, a sua volta, aveva dichiarato gli imputati colpevoli del delitto di cui all’art. 566, secondo comma, del codice penale, per avere, nella loro qualità di genitori di una bambina nata a Brescia il 13 ottobre 2000, omesso di dichiarare all’ufficiale di stato civile la nascita della stessa entro il termine previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) e fino al 27 gennaio 2005, occultando la neonata e sopprimendone così lo stato civile. Entrambi gli imputati erano stati condannati alla pena ritenuta di giustizia e, in applicazione dell’art. 569 del codice penale, alla perdita della potestà genitoriale sulla minore. Veniva altresì concessa la sospensione condizionale della pena principale e di quella accessoria e applicato l’indulto alla pena principale.

Dopo aver analiticamente passato in rassegna la articolata motivazione posta a fondamento della sentenza pronunciata dai giudici dell’appello e scandagliato i motivi di ricorso – nei quali si è, in sintesi, prospettato che gli imputati si sarebbero limitati a far formare tardivamente l’atto di nascita con dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile, completa della prescritta esposizione dei motivi a giustificazione del ritardo, con la conseguenza che non sarebbe nella specie ravvisabile il delitto di cui all’art. 566, secondo comma, del codice penale – la Corte segnala che, in prossimità della udienza, gli stessi ricorrenti avevano presentato una “istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale”, denunciando la illegittimità degli articoli 566 e 569 del codice penale.

Tanto premesso, la Corte rimettente rileva come, successivamente alla presentazione del ricorso, sia intervenuta la pronuncia di questa Corte n. 31 del 2012, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall’art. 567, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto. «Una situazione – si è puntualizzato – riferibile a fortiori all’ipotesi di reato di cui all’art. 569, 2° comma, c.p. [verosimilmente: 566, secondo comma, del codice penale], vulnerando l’automatismo dell’applicazione della pena accessoria i medesimi parametri costituzionali posti a base della sentenza n. 31 del 2012».

In punto di rilevanza osserva la Corte rimettente che agli imputati è stata inflitta la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale quale conseguenza del reato per il quale è stata pronunciata condanna, mentre il beneficio della sospensione condizionale della pena accessoria non incide sulla rilevanza, sia perché il beneficio stesso è revocabile a norma dell’art. 168 del codice penale, sia per i profili di ordine morale e sociale connessi alla applicazione della pena accessoria, anche se sospesa.

Sempre in punto di rilevanza, la Corte sottolinea altresì che, nella vicenda in esame, una dichiarazione di nascita, anche se tardiva, vi fu e che in conseguenza di essa la bambina fu allevata da entrambi i genitori, al punto che la stessa Corte territoriale non mancò di segnalare come da parte degli imputati non vi fosse stata una «volontà di privare la nuova nata delle attenzioni materiali e anche dell’affetto e dell’assistenza che certamente non le sono mancate».

In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo richiama i princìpi posti a fondamento della richiamata sentenza di questa Corte. Inevitabile sarebbe, dunque, il riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 30 Cost., vulnerati perché, escludendosi in capo al giudice qualsiasi valutazione degli interessi del minore, non sarebbero tutelati i relativi diritti inviolabili nel caso concreto, quali sono quelli di crescere con i genitori e di essere da loro educati, salvo che da ciò scaturisca un grave pregiudizio.

Vengono poi evocati, in riferimento all’art. 117 Cost., l’art. 3, primo comma, della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989) il quale prevede che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»; la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996) la quale stabilisce che l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualsiasi decisione riguardante un minore, deve acquisire «informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore»; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che all’art. 24, secondo e terzo comma, da un lato, prescrive che «In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente» e, dall’altro, che «Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora sia contrario al suo interesse». L’ordinamento internazionale, considera, dunque, preminente l’interesse del fanciullo e analoga centralità sarebbe stata posta a fulcro della riforma del diritto di famiglia e della disciplina dell’adozione.

A fronte di tali rilievi, posti a base della richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale, la norma denunciata si rivelerebbe dunque irragionevole, in quanto ignora gli interessi del minore stabilendo la perdita della potestà genitoriale in forza di un mero automatismo, preclusivo di qualsiasi apprezzamento del giudice del caso concreto.

Considerato in diritto

1.— La Corte di cassazione – chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso la sentenza di appello con la quale era stata confermata la condanna per il delitto di cui all’art. 566, secondo comma, del codice penale, pronunciata nei confronti dei due genitori di una bambina della quale era stata dichiarata la nascita oltre il termine di legge, e nei confronti dei quali era stata disposta l’applicazione, a norma dell’art. 569 del codice penale, della pena accessoria della perdita della potestà genitoriale sulla minore – ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 29, 30 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’art. 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

Nel richiamare le affermazioni contenute nella sentenza n. 31 del 2012 di questa Corte, il giudice a quo reputa il quadro normativo coinvolto dal dubbio di costituzionalità in contrasto con gli articoli 2, 3, 29 e 30 Cost., dal momento che essendo precluso al giudice qualsiasi potere di valutazione degli interessi del minore, non risulterebbero salvaguardati i relativi diritti inviolabili nel caso concreto, «quali sarebbero quelli di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che da ciò derivi un grave pregiudizio».

Risulterebbe altresì compromesso l’art. 117 Cost., richiamandosi a tal proposito l’art. 3, primo comma, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, il quale prevede che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». Viene pure evocata, quale normativa interposta, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, la quale stabilisce che l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualsiasi decisione riguardante un minore, deve «esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo».

Si richiama, infine, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale, all’art. 24, secondo e terzo comma, da un lato prescrive che «In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente» e, dall’altro, che «Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse». L’ordinamento internazionale – sottolinea la Corte rimettente – considera, dunque, preminente l’interesse del fanciullo e analoga centralità sarebbe stata posta a fulcro della riforma del diritto di famiglia e della disciplina dell’adozione.

2. — La questione è fondata.

3. — La soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolge, come è evidente, i princìpi affermati da questa Corte nella sentenza n. 31 del 2012, relativa alla finitima fattispecie del delitto di alterazione di stato di cui all’art. 567, secondo comma, del codice penale.

In quella pronuncia, infatti, come ha puntualmente rilevato il giudice a quo, venne dichiarata, in riferimento all’art. 3 Cost., la illegittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui prevedeva che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall’art. 567, secondo comma, del codice penale, dovesse conseguire automaticamente la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto. In quella vicenda, la questione venne sollevata nel corso di un procedimento penale promosso nei confronti di una donna imputata del delitto di cui all’art. 567, secondo comma, del codice penale, per avere alterato lo stato civile della figlia neonata nella formazione dell’atto di nascita, mediante false attestazioni consistite nel dichiararla come figlia naturale, sapendola legittima in quanto concepita in costanza di matrimonio. La Corte sottolineò come l’art. 569 del codice penale, nel prevedere la perdita della potestà dei genitori come conseguenza automatica derivante dalla commissione di uno dei delitti previsti nel medesimo capo, compromettesse anche «l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione».

Da ciò, la violazione del principio di ragionevolezza, posto che la norma, ignorando del tutto l’interesse del minore, precludeva al giudice – attraverso l’automatismo che la caratterizzava – qualsiasi bilanciamento tra quell’interesse e «la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso, tali da giustificare la detta applicazione appunto a tutela di quell’interesse».

Considerazioni, quelle appena accennate, che traevano ulteriore fondamento alla luce del fatto che il delitto di cui all’art. 567, secondo comma, del codice penale, «diversamente da altre ipotesi criminose in danno di minori, non reca in sé una presunzione assoluta di pregiudizio per i loro interessi morali e materiali, tale da indurre a ravvisare sempre l’inidoneità del genitore all’esercizio della potestà genitoriale».

4. — Ebbene, tenuto conto della ratio decidendi che ha informato la richiamata pronuncia, appare evidente che lo stesso ordine di rilievi può riguardare anche il delitto di soppressione di stato, oggetto del giudizio a quo, posto che l’automatismo che caratterizza l’applicazione della pena accessoria risulta compromettere gli stessi interessi del minore che la richiamata sentenza della Corte ha inteso salvaguardare; mentre è certo che anche per la soppressione di stato valgono le stesse considerazioni di non necessaria “indegnità” del genitore che sono state evocate per la alterazione di stato.

Va infatti evidenziato – come il giudice a quo non ha mancato di sottolineare in punto di rilevanza della questione – che nella specie, una dichiarazione di nascita, seppure tardiva di oltre quattro anni, vi è stata, mentre, quanto agli interessi del minore ed alla condotta serbata dai genitori, il giudice dell’appello ha avuto modo di puntualizzare che, pur dovendosi stigmatizzare il fatto- reato loro addebitato, «non fu presente negli imputati la volontà di privare la nuova nata delle attenzioni materiali e anche dell’affetto e dell’assistenza che certamente non le sono mancate».

La nota problematica che affligge i perduranti caratteri di automatismo – e, per il caso qui in esame, anche la fissità che connota l’applicazione della pena accessoria, in perenne tensione rispetto alle esigenze di personalizzazione del trattamento sanzionatorio e della sua necessaria finalizzazione rieducativa – assume, con riferimento al quadro normativo qui coinvolto, una dimensione di particolare acutezza, proprio perché viene a proporsi in tutto il suo risalto, come necessario termine di raffronto (e, dunque, quale limite costituzionale di operatività della sanzione), la salvaguardia delle esigenze educative ed affettive del minore: esigenze che finirebbero per essere inaccettabilmente compromesse, ove si facesse luogo ad una non necessaria interruzione del rapporto tra il minore ed i propri genitori in virtù di quell’automatismo e di quella fissità: connotati, questi, in varie circostanze stigmatizzati da questa Corte, la quale, anche di recente, non ha mancato di segnalare «l’opportunità che il legislatore ponga mano ad una riforma del sistema delle pene accessorie» (sentenza n. 134 del 2012).

5. — In sostanza, incidendo la pena accessoria su una potestà che coinvolge non soltanto il suo titolare ma anche, necessariamente, il figlio minore, è evidente che, in tanto può ritenersi giustificabile l’interruzione di quella relatio (sul piano giuridico, se non naturalistico), in quanto essa si giustifichi proprio in funzione di tutela degli interessi del minore. All’irragionevole automatismo legale occorre dunque sostituire – quale soluzione costituzionalmente più congrua – una valutazione concreta del giudice, così da assegnare all’accertamento giurisdizionale sul reato null’altro che il valore di “indice” per misurare la idoneità o meno del genitore ad esercitare le proprie potestà: vale a dire il fascio di doveri e poteri sulla cui falsariga realizzare in concreto gli interessi del figlio minore.

6. — Ma la questione risulta fondata anche sul versante della necessaria conformazione del quadro normativo agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese sul versante specifico della protezione dei minori. Come ha infatti puntualmente rammentato la Corte rimettente, sulla falsariga dei rilievi svolti nella richiamata sentenza n. 31 del 2012, vengono qui in discorso, quali norme interposte rispetto al principio sancito dall’art. 117, primo comma, Cost., una serie di importanti – e per quel che qui rileva, del tutto univoci – strumenti di carattere pattizio. La disciplina oggetto di impugnativa, infatti, viene a porsi in evidente ed insanabile frizione, anzitutto con la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989), posto che l’art. 3, primo comma, di tale Convenzione stabilisce che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

Del pari viene in discorso anche la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996), la quale, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta, all’art. 6, le modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi «prima di adottare qualsiasi decisione», stabilendo che l’autorità stessa deve «esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo».

In tale contesto non sembrano, infine, neppure trascurabili le specifiche indicazioni enunciate nelle Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa su una “giustizia a misura di minore”, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098^ riunione dei delegati dei ministri, posto che, fra gli altri importanti princìpi, il documento espressamente afferma che «Gli Stati membri dovrebbero garantire l’effettiva attuazione del diritto dei minori a che il loro interesse superiore sia al primo posto, davanti ad ogni altra considerazione, in tutte le questioni che li vedono coinvolti o che li riguardano».

7. — Deve conseguentemente essere dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost. – restando assorbiti i profili di censura riferiti agli ulteriori parametri evocati dal giudice a quo – l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’art. 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall’articolo 566, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2013.

 

 

 

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