I REATI SESSUALI

a cura del Dott. Fabio G. Squillaci

  • La Riforma dei reati sessuali: profili storico-sistematici
  • Reductio ad unum: perimetrazione della nozione di atto sessuale
  • Il nuovo 609bis : centralità della norma e fatti di minore gravità
  • Atti sessuali con minorenne e child grooming
  • Conclusioni

 

1. La Riforma dei reati sessuali: profili storico-sistematici

La l. 15 febbraio 1996 n. 66 ha operato in primo luogo un radicale mutamento della collocazione sistematica dei reati sessuali, procedendo all´abrogazione di tutti i delitti previsti e puniti dal Capo I (Dei delitti contro la libertà sessuale) del Titolo IX (Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume) del codice penale, e alla contestuale introduzione, nell´ambito della Sezione II (Dei delitti contro la libertà personale) del Capo III (Dei delitti contro la libertà individuale) del Titolo XII (Delitti contro la persona) dei nuovi articoli da 609-bis a 609-decies c.p. nei quali sono disciplinati i nuovi delitti sessuali (con esclusione delle fattispecie criminose in tema di prostituzione/ pornografia, anche concernenti i minori , e di osceno).

I nuovi delitti sessuali sono stati pertanto esplicitamente ricondotti dal legislatore del 1996 alla categoria dei delitti contro la libertà personale, valorizzandone il carattere offensivo della libertà psico-fisica dell´individuo che spesso li contraddistingue. Sul punto parte della dottrina ha osservato come sarebbe stata più corretta una diversa collocazione sistematica di tali fattispecie incriminatrici, ovverosia tra i delitti contro la libertà morale, considerando quale bene interesse giuridico tutelato la lesione della libertà di autodeterminazione del soggetto nella sfera sessuale, non già la libertà in un ottica spaziale. In verità, pur ritenendo legittima l’obiezione mossa a tal riguardo, è altresi palese come la scelta legislativa sia stata orientata dal preciso obiettivo di valorizzare il ruolo della persona e di attribuire ai reati di matrice sessuale una valenza “privatistica”. É senz´altro da riconoscere per un verso la centralità del fattore fisico, e dunque della lesione della libertà personale di disporre del proprio corpo senza interferenze altrui, giacché sempre e comunque la violenza sessuale (mono- o plurisoggettiva) si caratterizza dal dato ineludibile del corpore corporis, ma, d´altra parte, non si può disconoscere la rilevanza che spesso assume la lesione delle prerogative ´morali´ del soggetto, intese come libertà di ogni persona di autodeterminarsi liberamente in relazione alla scelta di come, quando e con chi relazionarsi sessualmente. Sarebbe stato dunque preferibile collocare sistematicamente i delitti sessuali in un’autonoma Sez. II-bis intitolata ´Delitti contro la libertà sessuale.

Ciò sottolineato, é comunque da rilevare il mutamento di prospettiva del legislatore del 1996, il quale ha ribaltato la prospettiva del codice Rocco, che aveva inquadrato la tutela della libertà sessuale quale mezzo per conseguire la tutela di un bene giuridico collettivo come la morale pubblica. È evidente che tale ratio puniendi risente del clima sociale di un’epoca in cui per la tutela di alcuni beni si dà rilievo alla dimensione collettiva più che a quella individuale. Rappresentativo risulta l’uso dell’aggettivo “pubblica” che accompagna il termine morale in quanto da esso emerge con chiarezza che le stesse istituzioni si fanno garanti per la conservazione di quei valori sociali come la morale che protegge la società da qualsiasi mutamento. A seguito della riforma, invece, é ormai chiara la valenza personalistica e individuale del bene giuridico sotteso ai reati sessuali, ovverosia di quella libertà sessuale intesa come fondamentale connotato della persona umana, la cui protezione non può essere oggetto di baratto con beni di altra natura e ontologicamente eterogenei.

Già da molti anni, invero, la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito come oggetto giuridico dei reati sessuali di cui ai previgenti artt. 519 ss. c.p. fosse in realtà il bene individuale della libertà sessuale della persona offesa. La prassi applicativa dei reati sessuali, infatti, é stata solo marginalmente toccata dalla riconduzione formale dei reati sessuali nell´ambito dei delitti contro la persona, e ciò trova conferma nell´analisi della giurisprudenza successiva al 1996, nella quale non si sono avute, sotto questo profilo, rilevanti variazioni rispetto a quella antecedente. Tutto ciò trova giustificazione nel mutato panorama istituzionale atteso che con l’avvento della Costituzione del 1948 era venuta meno l’impostazione totalitaria nella quale aveva visto la luce il codice penale.

Prima di passare all´approfondimento di alcune delle principali modifiche che hanno investito il diritto penale sessuale italiano a seguito della riforma apportata dalla l. 66/1996, é bene fornire un quadro generale della disciplina dei delitti sessuali prima e dopo il suddetto intervento legislativo. Fino al 1996, il Capo I del Titolo IX, comprendente i delitti contro la libertà sessuale era incentrato su tre fattispecie incriminatrici facenti parte del c.d. diritto penale sessuale in senso stretto, cioè la violenza carnale (art. 519), la congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale (art. 520) e gli atti di libidine violenti (art. 521), e su quattro fattispecie, di più rara applicazione, rientranti nel diritto penale sessuale in senso lato, cioè il ratto a fine di matrimonio, il ratto a fine di libidine, il ratto di persona minore a fine di libidine o matrimonio e la seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata (rispettivamente artt. 522, 523, 524 e 526 c.p.).

La l. 66/1996, abrogando integralmente tale Capo del codice Rocco, ha introdotto nuove fattispecie criminose che solo parzialmente ricalcano quelle previgenti. In particolare, non sono state riprodotte (con conseguente abrogatio criminis) tutte le disposizioni normative di cui agli artt. 522-526 c.p., ovvero quei reati facenti parte del diritto penale sessuale in senso lato che – si pensi al ratto a fine di libidine – oramai apparivano anacronistici con la rinnovata posizione di parità e di piena dignità assunta dalla donna e dal minore professata dalla Costituzione.

Per quanto concerne le altre infrazioni penali, i due delitti principali di violenza carnale (generale e del pubblico ufficiale) e di atti di libidine violenti sono confluiti nella fattispecie centrale di “Violenza sessuale” di cui all´ art. 609-bis c.p., la quale peraltro non ha riprodotto la distinzione tra atti sessuali penetrativi (cioè la congiunzione carnale) ed atti sessuali non penetrativi (cioè gli atti di libidine), incentrandosi sulla nuova nozione di atti sessuali, e su modalità costrittive e induttive descritte, per quanto concerne la costrizione abusiva di cui al comma 1° e l´induzione abusiva di cui al comma 2, in modo fortemente differenziato rispetto al passato. Accanto a tale fattispecie incriminatrice, il legislatore del 1996 ha introdotto due nuove fattispecie: gli atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), mediante la quale si attribuisce autonoma rilevanza alle relazioni sessuali con minori non connotate da induzione (ingannevole o abusiva) o costrizione, e la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies), attraverso la quale la partecipazione riunita di almeno due soggetti all´aggressione o abuso sessuale diventa elemento costitutivo di una fattispecie criminosa autonoma.

2. Reductio ad unum: perimetrazione della nozione di atto sessuale

Elemento cardine caratterizzante la condotta di tutti i quattro nuovi delitti sessuali introdotti dalla l. 66/1996 é il concetto di “atti sessuali”, il cui compimento connota, sotto il profilo oggettivo, l’illiceità penale di tali fattispecie incriminatrici.

Con la locuzione “atti sessuali” il legislatore del 1996 ha proceduto ad una – almeno apparente – semplificazione nella descrizione delle condotte sessualmente rilevanti, rinunciando ad una qualsiasi ripartizione, in astratto, tra rapporti sessuali di maggiore o minore gravità, ed adottando un modello unitario che si discosta, oltre che dalla disciplina codi cistica previgente, dai modelli adottati in quasi tutte le legislazioni penali degli altri paesi europei.

Tale scelta legislativa é peraltro stata oggetto di numerose critiche, soprattutto sotto il profilo della carente determinatezza della locuzione “atti sessuali”, da parte di ampi settori della dottrina. Sul punto infatti non poche voci hanno dipinto il nuovo diritto penale sessuale come un coacervo di fattispecie “inconsistenti”, sposando quel filone ermeneutico che riconosce all’interno del codice del 1930 una serie di reati a dir poco sterili sotto il profilo della tassatività ed offensività. La teoria dell’inconsistenza nel reato sessuale é stata in un certo qual senso anche avallato da una pronuncia della giurisprudenza di merito, che ha riconosciuto rilevanza alla questione di costituzionalitá avente ad oggetto la previsione incriminatrice della violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), proprio con riferimento alla indeterminatezza del concetto summenzionato. Infatti si è avuto modo di osservare come  la  nuova  formula sintetica  ”atti  sessuali”  è troppo generica e indeterminata per  non suscitare riserve sotto il profilo dell’osservanza del  principio  di  tassatività”,  proprio  fondandosi  sul  fatto  che, “non sembra possibile rinvenire una nozione sufficientemente univoca di atto o comportamento sessuale, che rifletta un significato consolidato  nel  linguaggio  comune  o  nella   stessa   letteratura scientifica”.( N. 881 Ordinanza emessa il 21 ottobre 1998 dal tribunale di Crema). A tal proposito in merito alla declaratoria d’illegittimità costituzionale del reato di plagio sentenza 8 giugno 1981, n. 96 la Corte ha precisato che, alla base del principio  di  tassatività, “sta in primo luogo l’intento di evitare arbitri nell’applicazione di misure limitative di quel bene sommo e inviolabile costituito dalla libertà personale”. Ha perciò ritenuto che, “per  effetto  di tale principio, onere della legge penale sia quello di determinare la fattispecie criminosa con connotati precisi in modo che l’interprete, nel ricondurre un’ipotesi concreta alla norma  di  legge, possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto  da  fondamento controllabile. Tale onere richiede una  descrizione  intellegibile della   fattispecie   astratta,  sia pure  attraverso  l’impiego  di espressioni indicative e di valore”. Si è altresì manifestato il dubbio di una difficile armonizzabilità della nuove previsioni incriminatrici con il principio di uguaglianza e di proporzionalità della pena in ragione dell’approccio unitario al fenomeno di violenza sessuale. In verità tali obiezioni non sono state esenti da critiche da parte di chi a sostegno della riforma ha avuto modo di evidenziare come la scelta unificante del legislatore sia da ritenere conforme all’unicità del bene interesse giuridico tutelato attraverso un’unica fattispecie di portata generale (rectius 609-bis), la quale peraltro prevedendo una circostanza attenuante per i casi di minor gravità è destinata a far riemergere quanto meno una differenza qualitativa tra gli atti sessuali.

Passate indenni al vaglio di costituzionalità le nuove disposizioni normative di cui agli artt. 609-bis ss. c.p., si é posto il problema di stabilire se il nuovo concetto di atti sessuali corrisponda alla mera sommatoria dei precedenti atti di libidine e congiunzione carnale. In tal senso la massima tralatizia, ricorsa in numerose decisioni della giurisprudenza di legittimità, é che “il concetto di atti sessuali è semplicemente la somma dei concetti previgenti di congiunzione carnale e atti di libidine.

Anche la dottrina si é impegnata in modo massiccio nella risoluzione della questione in esame, contendendosi il campo tre indirizzi : l’orientamento soggettivista, secondo il quale vi sarebbe la perfetta coincidenza di contenuto tra la nozione di atto sessuale di cui all´art. 609-bis c.p. e quella di atto di libidine di cui all’art. 521 c.p. previgente; la tesi della maggiore ampiezza dell’atto sessuale rispetto alla categoria degli atti di libidine; l’orientamento oggettivista secondo il quale l’atto sessuale  sarebbe solo quello che possiede un’ontologica natura sessuale indipendentemente  da valutazioni subiettive.

Al riguardo va subito fatta una prima osservazione la quale, infatti, le ricostruzioni soggettivistiche sono nel corso degli anni divenute sempre più rare, in dottrina ma anche in giurisprudenza atteso che il grande dibattito ermeneutico, si sta spostando sull’individuazione della ‘natura’ e delle caratteristiche dell’oggettività che deve contrassegnare gli atti sessuali. Peraltro la ricostruzione soggettivamente orientata della nozione di atto sessuale é difficilmente conciliabile con l´evoluzione “costituzionale” del diritto penale moderno, e più nello specifico si pone in chiara antitesi con il principio di offensività. ravvisare una violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. in una condotta che non intacca minimamente la corporeità sessuale del soggetto passivo della condotta, porta ad un’estensione della portata incriminatrice della norma a sottofattispecie lesive della libertà morale o comunque non certo della libertà sessuale, intesa come libertà di poter scegliere liberamente, senza sopraffazioni, come e con chi porre in essere attività sessuali.

Di fronte ai tali innegabili limiti dell´orientamento soggettivista, numerosi Autori hanno ricercato in criteri oggettivi la soluzione allo spinoso problema esegetico.  Se tuttavia la tesi restrittiva si fa preferire anche in nome del principio di frammentarietà , vi sono situazioni e comportamenti al limite non suscettibili di essere aprioristicamente esclusi dalle condotte sessualmente rilevanti. Sul punto sono emersi approcci distinti in ordine alla determinazione dei nebulosi confini della nozione di atto sessuale penalmente rilevante.

Per un primo orientamento, l´atto sessuale viene ad essere costruito dal ‘contatto fisico tra una parte qualsiasi del corpo di una persona con una zona genitale (compresa la mammella nella donna), anale od orale del partner.  L’orientamento in questione, pur se ampiamento connotato in senso positivo, presenta comunque alcuni ´punti deboli´. Come ammettono del resto anche alcuni tra i più autorevoli assertori di tale approccio interpretativo, vi sono certamente degli atti-limite (quali il bacio sulle labbra, i toccamenti dei glutei ed i baci sul collo)che pongono all´interprete seri problemi di qualificazione penalistica sulla base di criteri puramente anatomico culturali. Altri autori, attraverso un approccio realistico, al fine di enucleare la nozione di atto sessuale ritengono che sia necessaria una valutazione globalizzante della relazione interpersonale, calata nel contesto fattuale, asserendo che ‘il baricentro stesso della tipizzazione (…) va spostato dalla definizione “medico corporale” (ovvero “sociologico-culturale”) del singolo o dei singoli atti fisici, al tipo di rapporto instaurato dall’agente con la vittima, mediante modalità di condotta illecite (violenza, minaccia, abuso inganno), che determinano l’an ed il quantum della lesione della sua libertà del proprio corpo a fini sessuali’. Si è giunti così a considerare penal-mente rilevanti anche baci sulla guancia, o carezze sul braccio, qualora si inseriscano in un ‘tipo di rapporto illecito’.

A sostegno di un approccio oggettivo- restrittivo della nozione di atti sessuali si pone anche la giurisprudenza di legittimità, la quale afferma che “la connotazione sessuale dell´atto fa assumere alla nozione un significato prevalentemente oggettivo e non soggettivo come, invece, avveniva per quella di atti di libidine, e determina un restringimento dell´area di rilevanza penale di alcuni aspetti marginali dei c.d. atti di libidine, giacché il riferimento al sesso comporta un rapporto corpore corpori che , però, non deve limitarsi alle zone genitali, ma comprende anche tutte quelle ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica erogene tali da dimostrare l´istinto sessuale con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare (…)” e che di conseguenza “devono includersi nella nozione di atti sessuali tutti quelli indirizzati verso zone erogene che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo” (Cass. pen., 27 aprile 1998, n. 6551, Di Francia).

L’approccio oggettivo condiviso dalla giurisprudenza si colora di un quid pluris rappresentato dal richiamato concetto di “zone erogene”, intese quali zone del corpo umano deputate ad essere teatro precipuo delle violazioni sessuali penalmente rilevanti. Il concetto di zona erogena, di per sé preso, è dotato di un’ontologica indeterminatezza in quanto la scienza medico-anatomica e la sessuologia considera come erogene quelle parti del corpo nella quale si ha una più intensa reattività od eccitabilità sessuale del soggetto che viene ´stimolato´, e dunque, variando tale eccitabilità da persona a persona, il criterio della “zona erogena” non costituisce di per sé solo un parametro pienamente oggettivo. In conseguenza di ciò la dottrina che ha fatto uso di tale nozione ne ha tassativamente ristretto l’ampiezza applicativa alle zone genitali, anali ed orali, e mammellari fondando tale restrizione sul fatto che in base alle piú affidabili acquisizioni scientifiche i toccamenti di tali zone sono suscettibili di incidere sulla eccitabilità sessuale dell´individuo nella quasi totalità dei casi. Se però con le sentenze succitate che fanno riferimento al concetto di zona erogena la giurisprudenza con certezza si attiene (per quanto forzandola nei suoi esiti applicativi) alla concezione oggettivo-anatomica, negli ultimi anni alcune sentenze hanno, pur non rinunciando alla selezione anatomica delle condotte, coniugato a tale impostazione quella ‘oggettivo-interpersonale’. La Corte di Cassazione ha infatti affermato che “non basta, dunque, talvolta, il solo riferimento alle parti anatomiche aggredite dal soggetto attivo e/o al grado di intensità fisica del contatto instaurato, non potendo trascurarsi la valenza significativa dell’intero contesto in cui il contatto si realizza e la complessa dinamica intersoggettiva si sviluppa in una situazione che oltretutto, è connotata dalla presenza di fattori coartanti.

Pertanto ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di cui all’art 609-bis cp a seguito del suo inquadramento tra i delitti contro la libertà personale e non più tra quelli contro la moralità pubblica l’illiceità dei comportamenti deve essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona e alla sua attitudine ad offendere la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale che prescinde dal grado di intrusione corporale subito dalla vittima assumendo minore rilievo l’indagine sul loro impatto nel contesto sociale. La fattispecie criminosa è peraltro integrata pur in assenza di un contatto fisico diretto con la vittima quando gli atti sessuali coinvolgono oggettivamente la sessualità della persona offesa e siano finalizzati a compromettere il bene primario della libertà individuale: tra questi vanno ricompresi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime, nonché i contatti anche solo simulati con parti erogene. L’evoluzione giurisprudenziale sulla natura giuridica del bacio è quella che più di ogni altra da segno del cambiamento di prospettiva rispetto al passato. Nella vigenza del reato di cui all’art.512 cp si riteneva che il bacio potesse costituire un atto di libidine violenta solo se fosse manifestazione erotica, mentre se lo stesso si fosse atteggiato quale espressione amorosa tutt’al più poteva ricadere nell’ambito del reato di molestia. In verità già la giurisprudenza ante riforma aveva considerato il bacio quale atto di manifestazione di molteplici sentimenti si quali non può essere assegnata un’aprioristica connotazione. Tale natura polivalente del bacio è stata a fortiori riaffermata  seguito dell’introduzione dell’art.609-bis cp ed ecco perché a fonte di baci idonei ad integrare atti sessuali perché destinati a zone erogene(labbra, bocca), devono ammettersi ipotesi di baci penalmente irrilevanti perché inidonei sul piano offensivo ( bacio sulla fronte, bacio sulla gamba).

In definitiva ne discende un’accezione più contenuta di atto sessuale per una serie di ragioni : per un verso esso risulta depurato dai riferimenti moraleggianti che caratterizzavano il reato previsto e punito dall’art.521 cp; per altro esso è qualificato dall’aggettivo sessuale con esplicito riferimento se non all’atto sessuale strictu sensu quanto meno ad un rapporto corpore corporis ; da ultimo da una selezione qualitativa degli atti penalmente rilevanti coincidenti con quelli idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo.

Non risultano integrare atti penalmente rilevanti a titolo di violenza sessuale l’esibizionismo, il voyeurismo e l’autoerotismo nonché attività di mero corteggiamento, proprio perché trattandosi di atti compiuti in assenza di quel rapporto corpore corporis sono stati ritenuti inidonei ad intaccare la sfera della sessualità della vittima. Se il corteggiamento tuttavia si estrinseca mediante gesti a sfondo sessuale ed allusioni si può trasformare in tentativo di violenza sessuale, nel caso in cui la vittima non abbia possibilità di fuga. E’ configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale, secondo i giudici di legittimità, quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. (Cassazione penale , sez. III, sentenza 04.10.2012 n° 38719)

Proprio tale notazione fornisce lo spunto per comprendere come in realtà non é tanto la connotazione letterale della locuzione “atti sessuali” ad aver comportato i summenzionati contrasti giurisprudenziali, quanto piuttosto la mancata introduzione di una fattispecie di ´molestie sessuali´. In assenza di una tale incriminazione l’organo giudicante, in presenza di ´ingerenze sessuali minori´, si trova nell´alternativa tra condannare per violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. oppure assolvere l´imputato, salva la possibile applicazione, qualora ne ricorrano i presupposti, di fattispecie del tutto eterogenee quali l´ingiuria (art. 594 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.) o le molestie alle persone (art. 660 c.p.).

3. Il nuovo 609bis : centralità della norma e fatti di minore gravità

L’assenza nell’arcipelago normativo di una fattispecie incriminatrice per i fenomeni di molestia che presentano un quid minoris rispetto alla violenza sessuale permette di cogliere la centralità, non già per sole ragioni sistematiche, assegnata dal legislatore all’art. 609-bis c.p. la fattispecie de qua come detto rappresenta la figura principe dei reati sessuali, rappresentando la sagoma sulla quale sono state cucite tute le altre disposizioni. La fattispecie centrale di “Violenza sessuale” di cui all´ art. 609-bis c.p non ha riprodotto la distinzione tra atti sessuali penetrativi (cioè la congiunzione carnale) ed atti sessuali non penetrativi (cioè gli atti di libidine), incentrandosi sulla nuova nozione di atti sessuali, e su modalità costrittive e induttive descritte, per quanto concerne la costrizione abusiva di cui al comma 1° e l´induzione abusiva di cui al comma 2, in modo fortemente differenziato rispetto al passato. La condotta tipica prevista dalla disposizione non può prescindere dalla verifica della ricorrenza in concreto della violenza o minaccia quali precipitati connotativi dell’agere criminoso. L’elemento oggettivo pertanto consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nell’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali sia anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini compiuti senza il consenso del destinatario.  A parte questo discorso, il legislatore riformista ha introdotto, nel nuovo art. 609-bis comma 1° c.p., una nuova fattispecie di costrizione agli atti sessuali mediante abuso di autorità. Tale previsione incriminatrice si pone in chiara discontinuità con il passato, in quanto prima del 1996 gli artt. 520 e 521 c.p. prevedevano unicamente due reati propri di abuso sessuale presunto da parte di pubblici ufficiali su persone arrestate o detenute, puniti con pena notevolmente inferiore rispetto ai reati comuni di atti di libidine e congiunzione carnale caratterizzati dalla violenza, minaccia ecc.. L´obiettivo perseguito dalla l. 66/1996 attraverso questa nuova fattispecie incriminatrice (come emerge dai lavori preparatori), consiste nell´offrire alle donne una tutela rafforzata – sotto il profilo sessuale – nell’ambito dei rapporti lavorativi e familiari. In ordine all’esegesi del concetto di autorità di cui al comma primo dell’art. 609 bis c.p., in dottrina si sono diffusi tre principali orientamenti. Al riguardo, secondo alcuni Autori, l´autorità va interpretata in modo estensivo, indipendentemente dalla natura giuridica o di fatto di essa, e inoltre tra la connotazione pubblica o privata della stessa. Una seconda corrente di pensiero intende, viceversa, per abuso di autorità un abuso di poteri inerenti ad una “posizione di preminenza attribuita dalla legge”, posizione in cui rientra sia l’autorità pubblica che quella privata101. Da ultimo, vi sono Autori secondo i quali la fattispecie abusiva di cui all’art. 609-bis comma 1° c.p. può trovare applicazione solo qualora il soggetto ‘abusante’ sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.

Come in parte già detto, mentre per l´abuso ingannatorio da sostituzione di persona nulla é mutato, per quanto concerne le interrelazioni sessuali con persone in condizioni di inferiorità psichica si passati da una presunzione assoluta di illiceità ad una incriminazione selettiva delle sole condotte di induzione agli atti sessuali mediante abuso di tale inferiorità (cui inutilmente é stata accostata l´inferiorità psichica).

La tipicità della nuova fattispecie di violenza sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica di cui all´art. 609-bis comma 2° c.p. é incentrata sulla sussistenza di tre presupposti: le condizioni di inferiorità psichica o fisica del soggetto passivo, l´abuso di tali condizioni da parte dell´agente, ed infine il compimento o patimento dell´atto sessuale da parte della vittima a seguito di induzione del soggetto attivo. Ribadendo la condivisibilità della scelta di accordare anche ai deficienti psichici uno spazio di estrinsecazione della propria libertà sessuale, delimitato dai casi di abuso induttivo del partner, i primi due requisiti non pongono particolari criticità e pertanto non si rende necessario soffermarsi a lungo sugli stessi. Per quanto concerne la condizione di inferiorità psichica o fisica, autorevole dottrina ha sostenuto l´inutilità della menzione di quest´ultima, in quanto l´abuso vi sarà nei casi di inferiorità psichica, mentre nei casi di inferiorità fisica, in presenza di un soggetto pienamente capace, l´aggressore dovrà ricorrere alla costrizione, e dunque alla violenza o alla minaccia, onde conseguire l´interrelazione sessuale voluta.

Ciò premesso, per inferiorità psichica la giurisprudenza di legittimità – e con alcune piccole sfumature di differenziazione la dottrina – intende “uno stato, che si ricollega ad una situazione di menomazione, dovuta a fenomeni patologici, permanenti o momentanei, di carattere organico o funzionale ovvero a traumi o a fattori ambientali di tale consistenza, da incidere in modo negativo sulla formazione della personalità dell´individuo, che mostra capacità di resistenza agli stimoli esterni assente o diminuita rispetto al comportamento della ´persona media´ ”. Determina invece l´insorgere di numerose problematiche, costringendo la giurisprudenza a ricorrere all´analogia in malam partem, la subordinazione della rilevanza penale dell´abuso sessuale alla sussistenza di un´opera di induzione da parte del soggetto attivo. Occorre infatti, ai sensi dell´art. 609-bis comma 2° c.p. introdotto con la riforma del 1996, che l´agente “induca” il menomato psichico al compimento o al patimento degli atti sessuali. L´inserimento di tale requisito, assente nelle principali legislazioni penali europee, é del tutto ultroneo, ed anzi controproducente rispetto alla finalità di tutelare pienamente la libertà sessuale dei soggetti in condizioni di inferiorità psichica da condotte di approfittamento altrui.

La giurisprudenza, in realtà, nei casi in cui si é trovata a dover decidere su abusi sessuali rientranti nelle categorie summenzionate, ha ritenuto sussistente la tipicità del delitto di cui all´art. 609-bis comma 2° c.p., operando una interpretatio abrogans del requisito in parola, operando chiaramente al di là dei confini dell´ interpretazione estensiva in violazione ( per quanto del tutto condivisibile) del principio di tassatività (Cass. pen., 6 novembre 2003).

L’ultimo comma dell’art. 609 bis disciplina i casi di minore gravità e sono diversi i punti che in dottrina e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione hanno portato alla definizione della locuzione prevista dalla legge. E’ opportuno precisare come sulla questione riguardante i casi di “lieve entità” si pronunciò il 18 luglio del 1995 la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati. Il suggerimento della Commissione fu di spingere il legislatore a predefinire in maniera più puntuale i criteri di giudizio in base ai quali valutare i casi di lieve entità del fatto, relativi alla normativa in tema di violenza sessuale antecedenti alla legge del 1996. Con la riforma dei reati sessuali si ottenne la sostituzione della formula “lieve entità” con l’altra che fa riferimento ai “casi di minore gravità”. Sul punto una questione cruciale da risolvere ha riguardato la natura giuridica da attribuire ai casi di minore gravità atteso che due erano le teorie che si fronteggiavano il campo. Per alcuni Autori infatti l’ultimo comma del 609-bis rappresentava una mera circostanza attenuante idonea ad avere un’incidenza solo quod poenam, per altri invece la locuzione doveva essere elevata a rango di titolo autonomo di reato in grado in quanto tale di colmare l’horror vacui delle violenze di bassa lega. Se dal punto di vista ontologico non esiste una differenza tra circostanze ed elementi costitutivi del reato, dal punto di vista della disciplina, sia sostanziale che processuale, invece, la differenza c’è, ed è notevolissima. Infatti: a) solo le circostanze sono soggette al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69; b) il regime di imputazione delle circostanze, stabilito dall’art.59 co. 1 e 2 (tendenziale necessità almeno della colpa se si tratta di aggravanti; tendenziale sufficienza della loro oggettiva presenza se si tratta di attenuanti), è diverso da quello, risultante dall’art. 42 co. 2, degli elementi costitutivi (per i quali è di regola necessario il dolo, salva espressa previsione della colpa); c) le circostanze, a differenza degli elementi costitutivi, non incidono sul tempus e sul locus commissi delicti, sicché la qualificazione di un elemento come circostanziale anziché come costitutivo comporta importanti ricadute, sulla individuazione del momento consumativo del reato e sulla determinazione del giudice competente per territorio ai sensi dell’art. 8 c.p.p. Senza in questa sede dilungarci sui criteri distintivi forti e deboli tra circostanze ed elementi autonomi di reato, giova senza indugi affermare la prevalenza accordata alla tesi che attribuisce all’art 609-bis ultimo comma valenza di circostanza attenuante quanto meno in ragione di un rapporto di continuità di beni interessi giuridici tutelati nei quali viene in rilevo solo un diverso grado di aggressione. Con riferimento all’attenuante del fatto di minore gravità, occorre ricordare come la Corte di Cassazione abbia avuto modo di osservare che l’attenuante di  cui all’art. 609 bis c.p., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico. (Cass. Penale,  Sez. III, 18 novembre 2013 n.46184) In sostanza, quindi per giudicare della minore gravità del fatto, bisogna aver riguardo, non già della “quantità” di violenza fisica impiegata o alla tipologia dell’aggressione sessuale, ma piuttosto alla “qualità” dell’atto compiuto, che deve desumersi dall’intero contesto del fatto e delle condizioni personali della vittima (grado di coartazione esercitato dal soggetto agente, caratteristiche psicologiche della persona offesa anche in relazione all’età, danno arrecato alla vittima in termini psichici).

Da un punto di vista squisitamente processuale di recente è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, per contrarietà all’art. 3e 25 Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.(Corte Cost. 106/2014). Nel ritenere fondata la censura relativa al principio di proporzionalità della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), i giudici costituzionali hanno ricordato come l’introduzione dell’unitaria nozione di atto sessuale ha fatto sorgere «l’esigenza di introdurre una circostanza attenuante per i casi di minore gravità. impedisce il necessario adeguamento, che dovrebbe avvenire appunto attraverso l’applicazione della pena stabilita dal legislatore per il caso di «minore gravità». L’art. 69, quarto comma, cod. pen., nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza «una deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze» (sentenze n. 251 del 2012 e n. 183 del 2011). Anche la censura relativa al principio di uguaglianza è stata ritenuta fondata, perché, come ha rilevato la Corte rimettente, fatti anche di minima entità vengono, per effetto del divieto in questione, ad essere irragionevolmente sanzionati con la stessa pena, prevista dal primo comma dell’art. 609-bis cod. pen., per le ipotesi di violenza più gravi.

4. Atti sessuali con minorenne e child grooming

Nell’ambito dei reati di violenza sessuale uno spazio a se stante è occupato dall’art.609-quater rubricato “Atti sessuali con minorenne” che assume la valenza di fattispecie incriminatrice connotata da  un profilo di specificità rispetto al genus dei reati sessuali previsto e punito dall’art.609-bis. La fattispecie de qua è stata introdotta dalla al. 15 febbraio 1996 n.66 e successivamente modificato dapprima nel 2006 e di recente dalla L. 1 ottobre 2012 n. 172 di attuazione della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. L’intervento da ultimo citato si colloca in un filone già consolidato di restyling normativi finalizzati a dare rilevanza penale allo status di convivenza atteso che tali fattispecie di reato prescindono dalla verificva della sussistenza di rapporti formali atteso che risulta essere sufficiente il solo dato fattuale di “relazione esistente” emergente dal compendio probatorio per ritenere astrattamente configurabili tali fattispecie. La scelta del legislatore in suddetta fattispecie è stata quella di prevedere diverse modalità di integrazione del reato prevedendo nel comma primo due distinte ipotesi (sub a) e sub b) ), concentrandosi sul profilo dell’età ( minore di anni 14 o di anni 16). Diversamente nel comma secondo la scelta è differente in quanto pur essendo in presenza di soggetto infradiciottenne ed ultrasedicenne sembrerebbe che la ratio puniendi risieda nel diverso profilo della particolare relazione sussistente tra soggetto attivo e la vittima. Da ultimo il terzo comma esclude la punibilità nell’ipotesi in cui l’autore del reato, ultratredicenne, abbia comunque una differenza di età non superiore a tre anni con la persona offesa. Tale scelta legislativa ha creato in dottrina non poche perplessità non solo con riferimento alla natura giuridica da attribuire alla previsione, quanto piuttosto alle ragioni di opportunità sottese a tale scelta. In relazione alla prima questione alcuni Autori ritengono che la previsione in esame rappresenti una causa di giustificazione essendo esclusa l’antigiuridicità della condotta; per altri invece la spiegazione dovrebbe essere ricercata sul piano dell’elemento soggettivo essendo in presenza di una scusante ovvero di una causa di eslusione della punibilità in senso lato.

L’art. 609 quater pur atteggiandosi come fattispecie speciale rispetto al reato di violenza sessuale, non fosse altro per la clausola di riserva presente nell’incipit della norma, è caratterizzato in verità da una diversa oggettività giuridica. Infatti il bene interesse giuridico tutelato non è la libertà di autodeterminazione della vittima, non potendo la stessa esprimere alcun consenso, quanto piuttosto l’integrità fisio psichica della stessa nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità.

Sul punto la dottrina è divisa in quanto sostenere che l’oggettività giuridica della fattispecie de qua sia circoscritta all’interesse ad un corretto sviluppo della sessualità significherebbe svilire la rinnovata tesi, frutto delle nuove conquiste in ambito sociologico, di attribuire una percezione della libido anche ai minori ed agli incapaci. Riconosciuta allora l’esistenza di una sessualità anche dei minori seppur in stato primordiale è evidente come l’esigenza di protezione deve essere compendiata altresì dalla tutela di quest’area di sessualità ibrida che non può essere sottaciuta. Proprio perché in presenza di minori il legislatore procede a costruire in una prospettiva apicale il livello di protezione stabilendo una intangibilità della sfera sessuale assoluta per il minore di anni quattordici e relativa per l’infrasedicenne a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia coercizione. Il reato pertanto si caratterizza per essere un reato a forma libera comprensivo di tutte le condotte incisive sulla sfera sessuale dei minori con l’esclusione di quei contegni rientranti nel limes applicativo del 609-bis, i quali avendo come destinatario un minore potrebbero configurare una fattispecie aggravata di violenza sessuale. Pertanto può senza indugio affermarsi che l’art 609 quater configurando una fattispecie autonoma di reato e non già una circostanza aggravante del reato di violenza sessuale offre una protezione a quelle ipotesi che non possono essere sussunte nell’art 609 bis, emergendo con tutta evidenza la pregnante tutela apprestata dall’ordinamento italiano ai minori in piena sintonia con gli impulsi comunitari. Sul piano oggettivo  il delitto di atti sessuali con minorenne si configura a prescindere o meno dal consenso della vittima non soltanto perché la violenza è presunta dalla legge ma anche perché la persona offesa è considerata immatura ed incapace di disporre del proprio corpo a fini sessuali (Cass. Pen. Sez III 27588/2010). In verità il mero dato anagrafico è sufficiente ad escludere qualsivoglia libertà sessuale per l’infraquattodicenne ma non anche per infrasedicenne per il quale invece occorrerà verificare la sussistenza di particolari condizioni richieste dalla stessa fattispecie. Sul piano soggettivo il reato è caratterizzato dalla sussistenza di un dolo specifico caratterizzato dalla coscienza e volontà di pervenire non solo all’obbiettivo di soddisfare i propri desiderata ma altresì di farlo attraverso la invasione della sfera sessuale del minore. Il tentativo è astrattamente configurabile dovendo tuttavia accertarsi la ricorrenza di entrambi i presupposti di idoneità ed univocità degli atti: sarà infatti necessario verificare per un verso l’univoca intenzione da parte dell’agente di soddisfare la propria concupiscenza, per l’altro l’oggettiva idoneità degli atti compiuti ad incidere sulla libertà di autodeterminazione della vittima. Infatti attività che si traducano in meri inviti non risultano essere di per se idonei ad integrare la fattispecie di cui al 609- quater neppure in forma tentata. Il bisogno di protezione anche in ragione di uno sviluppo sempre più diffuso dei social network, ha indotto il legislatore ad anticipare la soglia di punibilità attraverso la repressione di condotte soltanto prodromiche alla violenza sessuale residuando non pochi dubbi sul piano della piena rispondenza al principio di tassatività.

La Legge 1 ottobre 2012 n. 172, come già detto, recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno”, , delinea due nuove fattispecie di reato: l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art. 414-bis c.p.), e l’adescamento di minorenni (art. 609-undecies c.p.), altrimenti noto come childgrooming. Grooming, dal punto vista letterale, indica “il gesto di accarezzare il pelo” che gli animali si scambiano per igiene o affetto. Per child-grooming si è soliti designare l’insieme dei comportamenti volontariamente intrapresi da un adulto per suscitare la simpatia, carpire la fiducia e stabilire un rapporto di tipo emozionale con un minore, riducendone le difese e la capacità di autocontrollo, con il proposito di realizzare attività di natura sessuale o di sfruttamento. L’art. 609-undecies c.p. configura un reato di pericolo costituendo uno strumento di anticipazione della tutela dei beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici dei fatti alla cui commissione è finalisticamente orientata l’attività di adescamento. La norma è dunque posta a protezione della libertà di autodeterminazione dell’individuo sul piano della sua libertà sessuale.

Nella giurisprudenza manca una chiara definizione della nozione di “adescamento”, richiamata a livello normativo, soltanto dall’art. 600-ter, terzo comma, c.p. Tale disposizione configura come delitto la condotta di chi “con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto”. Sul tema si è recentemente pronunciata la Corte di cassazione con  sentenza n. 15927 del 5 marzo 2009, osservando come essa abbia “di mira un comportamento propedeutico al più grave delitto di cui al comma 1 che punisce il «pericolo di un altro pericolo», vale a dire, l’adescamento”. In verità il legislatore della riforma consapevole del monito della S.C. introduce nella fattispecie una clausola descrittiva definendo compiutamente la nozione di adescamento “ Per adescamento si  intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”. La fattispecie pertanto si presenta a forma vincolata ruotando attorno alla nozione di adescamento che in verità pare richiamare nozione già copiosamente presenti nel sistema penale. Con il termine artifizi si intende “la  simulazione o dissimulazione della realtà atta ad indurre in errore una persona per effetto della percezione di una falsa apparenza; in altri termini, ogni comportamento  effettuato simulando ciò che non esiste, e che agisca sulla realtà esterna”. Il termine “lusinghe”, invece, è inedito nell’impianto codicistico italiano. Esso sembrerebbe alludere ad atti di adulazione, di falsa gratificazione oppure ad atti connotati dalla finalità di accattivarsi la simpatia e la benevolenza di qualcuno per indurlo ad un determinato comportamento. L’atto rilevante ex art. 609-undecies c.p. deve essere “volto a carpire la fiducia del minore”. Ne consegue che non è necessario che l’adescamento vada a buon fine. Si tratta di una tecnica che anticipa ulteriormente la tutela dei beni giuridici in gioco. Per cercare di conferire una maggior concretezza al pericolo gravante sugli stessi, il legislatore ha inserito tra gli elementi della norma il dolo specifico di commissione del delitto di cui all’art. 609-bis c.p.. Interpretando la disposizione alla luce del principio di offensività, la dottrina tende a ritenere necessaria l’idoneità degli atti al compimento dello scopo costituente il dolo specifico. Ciononostante il reato per come delineato appare caratterizzato da un profilo di inconsistenza non già esterna o parziale quanto ontologica. Infatti tale fattispecie pur se apprezzabile sotto il profilo del bisogno di protezione si dimostra scarsamente applicabile in concreto oltre che in odore di illegittimità costituzionale per contrarietà al principio di offensività e di personalità. Il problema che infatti appare insormontabile è rappresentato per un verso dalla difficoltà di attribuire al di la di ogni ragionevole dubbio una condotta di adescamento al titolare di un account online, e per altro quello di verificare la sussistenza di una finalità sessuale idonea ad incidere negativamente sulla libertà di autodeterminazione della vittima.

5. Conclusioni

Tirando le fila del discorso i reati di violenza sessuale in tutte le loro diverse modalità esecutive rappresentano ipotesi di particolare allarme sociale. I dati statistici evidenziano come una buona percentuale dei processi in materia sessuale incardinati nel dibattimento si concludono con un nulla di fatto con conseguente spreco di risorse e di tempo. Il vero problema ad avviso di chi scrive è rappresentato per un verso da una riforma che non ha attecchito in modo fecondo ma che anzi attraverso una generalizzazione della nozione di atto sessuale ha finito per moltiplicare i dubbi ermeneutici, e per altro da una ontologica difficoltà probatoria in ragione del carattere intimo di tali reati. De jure condendo due sarebbero le direzioni da intraprendere, l’una più garantista e votata al rispetto dei principi fondamentali del diritto penale moderno, l’altra meno garantista ma maggiormente adatta alle esigenze di celerità processuale. La prima opzione di riforma dei reati sessuali potrebbe essere rappresentata da un ritorno al passato attraverso lo spacchettamento della nozione di atto sessuale e la delimitazione tassativa delle condotte idonee ad integrare un reato. La seconda invece si baserebbe su una serie di presunzioni tanto sul piano oggettivo, tanto su quello soggettivo al fine di semplificare l’accertamento processuale della responsabilità con un evidente, è bene dirlo, attenuazione dell’onere di prova gravante sulla pubblica accusa.

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