Avv. Annunziata Staffieri

 

A seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 che da mesi sta flagellando la nostra penisola si sono registrati, secondo i dati INAIL, più di 28.000  contagi da coronavirus  per motivi di lavoro tra la fine di febbraio  e lo scorso 21 aprile.

Si pensi non solo agli operatori sanitari (es. medici, infermieri, o.o.s e tecnici della salute) ma anche a coloro che lavorano front-office, oppure alle cassiere dei supermercati, agli addetti alle vendite, ai banconisti, ai corrieri ecc.

Oppure al personale non sanitario operante all’interno dei nosocomi quali ad esempio gli addetti alle pulizie, alle guardie giurate, ai dipendenti delle pompe funebri ecc.

L’art. 42, co.2, del decreto-legge “Cura Italia”

Al fine garantire un’adeguata tutela ai lavoratori infettati dal coronavirus durante lo svolgimento delle proprie mansioni, il decreto-legge n.18 del 17 marzo 2020, noto come decreto “Cura Italia”, all’art. 42, co. 2[1], ha previsto l’equiparazione dell’infezione da Covid-19 all’infortunio sul lavoro a condizione che sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa.

Il rischio professionale è, dunque, il presupposto fondamentale per poter accedere alla tutela in esame.

Come precisato, infatti, dal Sommo Consesso in innumerevoli sentenze “per essere indennizzabile, la malattia-infortunio deve costituire una conseguenza dell’esposizione del soggetto infortunato a un determinato rischio professionale”[2]

Il contagio da coronavirus avvenuto in occasione di lavoro viene dunque ricondotto alla categoria degli infortuni sul lavoro per tutti i lavoratori assicurati dall’INAIL.

Dunque se nello svolgimento delle proprie mansioni il dipendente viene contagiato dal Covid-19 tale infezione viene considerata non malattia comune ma come infortunio sul lavoro come precisato dall’INAIL dapprima con la nota del 17 marzo n.3675 e successivamente con la circolare n.13 del 3 aprile 2020.

I chiarimenti dell’INAIL: la nota n. 3675 del 17 marzo 2020

e la circolare n.13 del 3 aprile 2020

In caso di contagio da Covid-19 occorso per motivi di lavoro viene, dunque, garantita la tutela INAIL dell’infortunato: la causa virulenta è stata infatti equiparata dall’INAIL alla causa violenta[3] alla luce delle linee giuda per la trattazione di malattie infettive e parassitarie recate dalla circolare del 23.11.94 n.74.

Soggetti beneficiari della tutela INAIL

Possono beneficiare di tale copertura INAIL “i lavatori dipendenti (pubblici e privati) e assimilati, in presenza dei requisiti soggettivi previsti dal DPR n.1124/65 nonché gli altri soggetti previsti dal dlgs n.38/2000 (lavoratori parasubordinati, sportivi professionisti, i dipendenti e lavoratori appartenenti all’area dirigenziale) e dalle altre norme speciali in tema di obbligo e tutela assicurativa INAIL “

Soggetti esclusi dalla tutela INAIL

Sono, invece, esclusi dalla copertura in esame i lavoratori autonomi comunque assicurati all’INAIL.

Non potranno beneficiare della tutela in esame, ad esempio, i liberi professionisti iscritti agli albi professionali, i giornalisti, i titolari di imprese non artigiane e via discorrendo.

E’ lampante dunque la disparità di trattamento tra i lavoratori, ad esempio tra gli stessi tecnici della salute titolari di un rapporto di lavoro subordinato e quelli invece che prestano la loro attività come liberi professionisti.

Cosa fare in caso di contagio

da COVID-19 per ragioni di lavoro?

Gli obblighi del medico certificatore

In caso di contagio in azienda il medico certificatore deve predisporre e trasmettere telematicamente il consueto certificato medico[4] all’INAIL avendo cura di indicare correttamente:

– i dati anagrafici completi del dipendente,

-i dati anagrafi completi del datore di lavoro;

-la data del contagio;

-la data di astensione dal lavoro per inabilità temporanea assoluta conseguente al contagio da coronavirus ovvero la data di astensione dal lavoro per quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria.

Al fine del riconoscimento dell’infortunio in esame è di fondamentale importanza acquisire inoltre anche la certificazione dell’avvenuto contagio.

 L’INAIL nella ricordata circolare n. 13 del 3 aprile 2020 ha precisato al riguardo che si considera valida “qualsiasi documentazione classico-strumentale in grado di attestare, in base alle conoscenze scientifiche, il contagio stesso”

Obblighi dell’infortunato

In caso di infezione da coronavirus in occasione di lavoro il dipendente è obbligato a dare immediata notizia al datore dell’infortunio fornendo il numero identificativo del certificato medico, la data in cui lo stesso è stato rilasciato e i giorni di prognosi.

Se il datore di lavoro, non informato tempestivamente, presenta tardivamente la denuncia di infortunio, il lavoratore perde il diritto all’indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore ha avuto notizia dell’infortunio.

Obblighi del datore di lavoro:

la trasmissione della denuncia di infortunio.

Anche in ipotesi di infortunio da Covid-19 permane l’obbligo per i datori di lavoro, sia pubblici che privati, di trasmettere telematicamente all’INAIL competente per territorio la denuncia di infortunio ex art. 53 DPR n.1124/65 e s.m.

In particolare il datore di lavoro dovrà compilare l’apposito campo “malattia infortunio” presente nell’applicativo relativo alla denuncia di infortunio on-line.

Nel compilare la denuncia   il datore di lavoro dovrà prestare particolare attenzione a non dimenticare di compilare il campo relativo alla data dell’evento, alla data di abbandono del lavoro e la data di conoscenza della certificazione medica in quanto sono questi i dati fondamenti per poter assolvere l’obbligo di denuncia di infortunio.

Da quando decorre l’obbligo della

 denuncia di infortunio da parte del datore di lavoro?

Si rammenta che l’obbligo per il datore di lavoro di trasmettere telematicamente all’INAIL la denuncia di infortunio decorre dalla positiva conoscenza dell’avvenuto contagio: da tale termine decorrono le 48 ore per la trasmissione on-line della denuncia di infortunio da parte dell’azienda.

 In sintesi l’azienda è tenuta a trasmettere la denuncia di infortunio entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico.

La scadenza, se si verifica in un giorno festivo, è prorogato al primo giorno successivo non festivo.

Se l’azienda ha adottato la settimana corta articolata su 5 giorni lavorativi, il sabato è considerato giorno feriale e non festivo.

Sanzioni per la omessa o tardiva

presentazione della denuncia di infortunio sul lavoro

Se il datore di lavoro omette o presenta tardivamente la denuncia di infortunio sarà passibile di una sanzione amministrativa piuttosto salata che oscilla tra i 1.290 euro e i 7.745 euro.

Da quando decorre la tutela INAIL

 in caso di contagio da covid-19?

Relativamente alla decorrenza della tutela in esame l’INAIL nella nota n.3675 del 17 marzo 2020 ha precisato che “il termine iniziale è quello della data di attestazione positiva dell’avvenuto contagio tramite il test specifico di competenza (il cd tampone) da parte dalle strutture sanitarie.

Onere della prova a carico dell’infortunato.

Relativamente alla dimostrazione del rischio professionale l’INAIL nei provvedimenti citati ha distinto i lavatori in due grandi categorie.

Nella prima ha ricondotto i tecnici della salute e coloro che operano a stretto contatto con l’utenza e nella seconda tutti gli altri dipendenti.

Per i lavoratori appartenenti alla prima categoria l’onere probatorio è meno gravoso: l’INAIL nella ricordata circolare n.1/2020 ha, infatti, adottato per tale famiglia di lavoratori il principio di presunzione semplice ex art. 2792 cc[5] in considerazione dell’altissimo rischio di infezione cui tale categoria di dipendenti è esposta nello svolgimento delle proprie mansioni.

Ne consegue pertanto che in caso di mancato riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto l’infortunato dovrà, in corso di causa, limitarsi a dimostrare l’avvenuto contagio da Covid-19 e lo svolgimento di mansioni appartenenti a tale prima categoria.

Sarà onere, invece, dell’INAIL contestare la natura professionale dell’infezione (ad esempio dimostrando che la stessa è stata contratta in ambito familiare) con conseguente inversione dell’onere della prova.

L’onere probatorio è invece notevolmente più gravoso per la seconda categoria di lavoratori: essa infatti è totalmente a carico dell’infortunato.

Spetterà infatti a quest’ultimo dimostrare che l’infezione da Covid-19 è stata contratta sul luogo di lavoro o durante il tragitto casa-lavoro.

 Mentre all’Istituto spetta solo la controprova dei fatti allegati dal ricorrente e l’interruzione del nesso di causalità tra l’evento e il lavoro.

Al tal riguardo nella circolare l’INAIL precisa che “…ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si può desumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro elemento che in tal senso deponga, l’accertamento medico legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale”.

Pertanto in caso di mancato riconoscimento della natura professionale del contagio, il Giudice del lavoro dovrà valutare, tramite CTU, se vi è la probabilità di ritenere che l’infezione da coronavirus sia stata contratta dal dipendente sul luogo di lavoro applicando il criterio logico-scientifico che valorizza appunto l’elemento epidemiologico, clinico, anamnastico e circostanziale.

Cosa succede in caso di decesso del lavoratore

a seguito del contagio in esame?

In tal caso ai superstiti del de cuius sarà erogata la prestazione economica prevista dal Fondo delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.

Giova annotare che tale prestazione sarà corrisposta una tantum sia ai soggetti assicurati INAIL sia ai soggetti non assicurati dall’ istituto come ad esempio i militari, i vigili del fuoco, i liberi professionisti, le forze dell’ordine e via discorrendo.

Infortunio in itinere.

Il contagio da coronavirus occorso al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro è considerato a tutti gli effetti come “infortunio in itinere”.

Poiché l’uso del mezzo pubblici è sicuramente più rischioso rispetto all’utilizzo del mezzo proprio, l’INAIL nella ricordata circolare ha precisato che in questo periodo di emergenza epidemiologica è consentita la deroga all’art.13 dlgs n.38/2000.

Dunque fino alla fine della pandemia in corso è considerato “necessitato” l’utilizzo del mezzo proprio per gli spostamenti casa/lavoro e viceversa.

A seguito del riconoscimento dell’infortunio in parola l’INAIL potrà rivalersi nei confronti del datore di lavoro mediante la cd “azione di rivalsa” che comprende il regresso e la surroga.

Resta ferma, inoltre, la possibilità per il dipendente, a seguito dell’infezione in esame, di agire sia civilmente che penalmente nei confronti dell’azienda.

Alla luce delle considerazioni esposte è fondamentale per il datore di lavoro adottare tutte quelle misure volte ad evitare il contagio in esame al fine di scongiurare eventuali azioni sia civili che penali.

Sarà pertanto cura del datore di lavoro usare le mascherine, i guanti, il distanziamento sociale, i body scanner utili per monitorare la temperatura, i tamponi e test sierologici al fine di poter lavorare in sicurezza.

[1] L’art. 42, comma 2, del citato decreto-legge stabilisce infatti che “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortuni e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.

[2] Vedi Cassazione civile, sentenza n.1373 e 6390/98; Cass.civ., sentenza  n. 3090/92; Cass. civ., sentenza n. 8058/91 e Cass. civ. sentenza n.5764/82;

[3] Infatti si rammenta che affinché un accadimento possa considerarsi infortunio sul lavoro è necessaria la ricorrenza di tre fondamentali elementi:

  • la causa violenta;
  • la lesione;
  • l’occasione di lavoro.

In caso di contagio da coronavirus la causa virulenta è stata equiparata, pertanto, alla causa violenta.

[4] Il certificato medico in questione è quello previsto dall’art. 53 , commi 8 ,9,10, del DPR n.1124/65.

[5] Adottando l’orientamento della Sezione lavoro del Supremo Collegio, espresso nelle decisioni n. 8058 del 25.07.91 e n.3090 del 13.03.92.

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