Dott.ssa Gianna Giuliano

Il riconoscimento del ruolo svolto dalla genitorialità sociale –per le relazioni gia’ intessute tra il minore e l’ adulto di riferimento- trova fondamento anche attraverso l’ applicazione della disciplina di cui all’ art. 44della L.184/83.

Come noto, infatti, parte della dottrina e, soprattutto, della giurisprudenza di merito hanno individuato nell’adozione del figlio del coniuge – previo consenso del genitore biologico e dell’adottando che abbia compiuto 14 anni – il fondamento normativo esistente per la stepchild adoption.

La valenza del procedimento in funzione esclusiva dell’ interesse minorile a costituire un rapporto di filiazione li dove già esiste un rilevante rapporto con il genitore di fatto -cioè colui che socialmente e soprattutto dal minore è riconosciuto come tale- è individuabile anche nella disposizione con cui è previsto che il minore con adeguata capacità di discernimento[1] –“che abbia 12 anni o non li abbia ancora compiuti”- debba essere sentito[2].Tale apertura verso una rilevanza dell’aspetto affettivo e del legame di fatto instaurato tra il partner del genitore ed il minore non può però eliminare, nel Best interest[3] del minore, anche un’ imprescindibile e rigorosa indagine volta a verificare l’idoneità affettiva e la capacità di educare ed istruire l’adottando[4].

Come noto nel nostro ordinamento è prevista la costituzione di un rapporto di filiazione pur in assenza di un legame biologico[5], evidente manifestazione ditale orientamento è l’adozione che, attraverso una fictio giuridica, costruisce un rapporto di filiazione legale.

Se tale fictio consente – anche alla luce della riforma della filiazione che ha costituito l’unicità dello status di figlio[6]– al genitore adottivo l’esercizio della responsabilità genitoriale[7]sull’adottato[8]vi è da chiedersi se tale munus possa essere esteso anche al genitore sociale al pari del genitore biologico[9] o legale.

Nel corso del tempo la famiglia è cambiata profondamente sia come nozione sia sul piano fattuale e come conseguenza di ciò l’evoluzione del costume sociale ha mutato il “dato realtà” di orestaniana memoria[10],ma questo mutamento per quanto profondo  non ha avuto riscontro sul piano normativo e per lungo tempo il “dato norma”[11] è rimasto identico. I mutamenti avvenuti nelle concezioni diffuse nella società contemporanea hanno reso comunque necessario un processo di apertura, di modernizzazione. Esso è stato reso possibile dalla sentenza della Corte di Cassazione che è intervenuta incisivamente in questo processo di creazione del diritto, rispondente ai mutamenti avvenuti sul piano fattuale, pronunciando una sentenza innovativa di grande rilevanza ed impatto. Allineandosi agli orientamenti  europei la Suprema Corte ha proceduto al riconoscimento al minore dello status di figlio di due madri. Il Tribunale per i minorenni di Milano e quello di Firenze hanno poi esteso questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali senza che venissero prese in considerazione le unioni civili tra persone dello stesso sesso, di cui si è poi discusso in Parlamento nel 2013 sia pure senza pervenire ad una promulgazione legislativa; l’anno successivo poi una proposta in tal senso è stata depositata dall’onorevole Monica Cirinnà.  Il testo iniziale prevedeva, oltre a una serie di diritti e doveri simili a quelli previsti per il matrimonio, anche la possibilità di adozione coparentale[12].Dopo una serie di emendamenti ed un iter parlamentare travagliato, il disegno è stato definitivamente approvato nel maggio del 2016, stralciando la possibilità di adozione del figlio naturale del partner[13]. Per comprendere meglio la rilevanza di queste sentenze e l’apporto creativo dato dalla Giurisprudenza è sembrato opportuno richiamare, sia pure con brevi cenni, il percorso legislativo e giurisprudenziale necessario al raggiungimento del riconoscimento del diritto del figlio ad aver un rapporto filiale anche non fondato biologicamente.  E  proprio in tal modo è stata aperta una via per raggiungere un risultato di grande rilievo in quanto la legge in questione stabilisce che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, così da non impedire ai Tribunali la possibilità di applicare le norme sulle adozioni in casi particolari anche a coppie omosessuali.

Pur in assenza di norme specifiche i Tribunali, nelle loro decisioni, hanno considerato preminente il superiore interesse del minore, così come previsto dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/1989 e dalla Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla stessa Legge 184/1983.

Una delle prime sentenze in tal senso è stata quella del Tribunale dei Minorenni di Roma che, nel 2014, attraverso un’interpretazione estensiva del dettato dell’art. 44, comma 1, lettera d) della legge 184/1983 stabilì’ che, “considerando che l’obiettivo primario è il bene superiore del minore”, una donna potesse adottare la figlia naturale della compagna. Le donne si erano sposate in Spagna ed erano ricorse alla procreazione assistita per avere un figlio.

Ribadendo quanto deciso un anno prima, nel 2015, lo stesso Tribunale aveva accolto il ricorso da parte del coniuge di un padre biologico che lo aveva presentato per chiedere l’adozione del figlio.

I due uomini, dopo una convivenza stabile di sette anni, avevano contratto matrimonio in Canada, Stato in cui il vincolo matrimoniale tra persone dello stesso sesso è riconosciuto come diritto della persona.

Ad un certo punto della loro relazione è emerso un forte desiderio di genitorialità e hanno scelto lo stesso paese per realizzare tale progetto affidandosi alla maternità surrogata, utilizzando l’utero di una donna per la gestazione dopo la fecondazione in vitro dell’ovulo.

I coniugi hanno costantemente  mantenuto i rapporti con la gestante e alla nascita del bambino si sono ritrasferiti in Canada per i primi due mesi della sua vita.

Il giudice delegato inviava al Procuratore dei Minorenni richiesta di parere sul ricorso all’adozione, adducendo a fondamento della sua richiesta il principio secondo cui l’adozione in casi particolari, disciplinata dall’art. 44 della legge 184/1983, deve sempre essere applicata nell’interesse superiore del minore, tenendo conto della relazione dei Servizi sociali che, dopo un’attenta indagine della realtà familiare in cui viveva il minore, avevano dichiarato che si trattava di un bambino “con un livello di competenze adeguato all’età: sono presenti le regole di cortesia, l’interessamento all’altro, la capacità di intraprendere iniziative, di verbalizzare le proprie necessità, di chiedere conferma e aspettarsi risposte soddisfacenti. Si può dire che stia sviluppando uno stile di attaccamento sicuro, esito di un ambiente di crescita adeguato”.

Questo parere era il frutto di un’analisi approfondita da parte del Servizio sociale Area Minori che era riuscito ad analizzare la quotidianità della vita familiare del padre, del coniuge e del bambino. Gli operatori sociali si erano preoccupati di osservare attentamente la relazione di coppia e gli effetti della stessa sul minore, chiedendo informazioni sul comportamento del bambino a scuola e sul suo rapporto con i compagni di classe. Avevano altresì appurato che i due uomini provenivano da famiglie che li avevano sempre appoggiati, ricevendo stima ed affetto da parenti ed amici che avevano accolto con gioia loro e il bambino al rientro in Italia.

Il Procuratore dei Minorenni non riteneva si dovesse accogliere il ricorso, in quanto si trattava di una fattispecie riconducibile alla stepchild adoption non ancora regolamentata nel nostro ordinamento e proprio in quel momento storico al vaglio del Parlamento.

Inoltre, motivava la sua decisione asserendo che la lettera d) dell’art.44 della legge 184/1983 che disciplina l’adozione in casi particolari, richiede come presupposto della sua applicabilità l’impossibilità dell’affidamento preadottivo e una situazione di abbandono del minore.

Il Collegio, di avviso contrario, ha accolto il ricorso, realizzando la finalità del disposto dell’art.57, n.2 che impone al Tribunale di verificare se l’adozione in casi particolari “realizza il preminente interesse del minore”, sottolineando che l’art.44 della suddetta legge non richiede la condizione di abbandono, ma l’impossibilità dell’affidamento preadottivo.

Dello stesso tenore, ma di qualche anno prima, una sentenza del Tribunale di Milano[14] e una sentenza della Corte d’Appello di Firenze[15].

Quasi due anni dopo, nel maggio 2016, anche la Corte di Cassazione ha confermato la decisione, offrendo un’approvazione,un sì alla stepchild adoption arrivato non molto tempo dopo lo stralcio dell’adozione coparentale nella legge Cirinnà.

La Suprema Corte[16], con sentenza 12962/16[17]pubblicata il 22 giugno 2016, ha definitivamente riconosciuto la stepchild adoption a coppie dello stesso sesso in Italia, respingendo il ricorso del procuratore generale, affermando che questa adozione “non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato dal giudice”.

Questa adozione prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”.

Risulta evidente che l’orientamento ermeneutico seguito dalla giurisprudenza in linea generale è costantemente diretto a dare stabilità alle relazioni affettive connotate dal costante adempimento dell’officium genitoriale, sia per quanto riguarda la cura che l’assistenza del minore e si fonda su tale orientamento anche la tutela della continuità dei legami affettivi tra genitore sociale e minore.

Si può concludere che, nonostante non ci sia ad oggi una vera e propria regolamentazione esaustiva della fattispecie in questione, la legge 184/1983, le pronunce dei Tribunali dei Minorenni e la Corte di Cassazione hanno creato un terreno favorevole al riconoscimento della bi-genitorialità anche per le coppie formate da persone dello stesso sesso.

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[1]Capacità di discernimento in relazione all’età e al grado di maturità del minore, una capacità critica proporzionale all’età, da intendere come capacità di formare una propria opinione e capacità di comunicarla, nonché capacità di non farsi travolgere da suggestioni. Cfr. Ruscello F.,  Minori-minore età  e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a “supernorme”, in Famiglia e diritto, 4/ 2011.

[2]Il diritto d’ascolto, come noto, in base agli articoli 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25.01.1996 costituisce un obbligo per il giudice che dall’audizione trae elementi da ponderare, necessari ad accertare la capacità di discernimento del minore e tale accertamento rientra nell’insindacabile giudizio del Tribunale dei Minorenni . Si tratta di un principio fondamentale e inderogabile che garantisce la conoscenza ed il rispetto delle capacità del minore, delle sue predisposizioni naturali, delle sue aspirazioni, in breve il rispetto della sua identità come persona. Sulla normativa e la giurisprudenza in tema di audizione del minore si vedano Di Gregorio V., L’ascolto: da strumento giudiziario a diritto del minore, in La Nuova Giurisprudenza Civile 11/ 2013; Mangano C., L’ascolto del minore nelle controversie civili che lo riguardano: evoluzione normativa e giurisprudenziale, soluzioni applicative, in Magistratura Indipendente, 2015; Pesce R., L’ascolto del minore tra riforme legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in Famiglia e Diritto, 3/2015; Bonafine A. L., Su alcuni profili processuali dell’ascolto del minore, in Riv. Dir. Proc. 4-5/ 2017. L’ Autore esamina la normativa italiana sull’argomento, richiamando anche le fonti internazionali che ne costituiscono il presupposto, con particolare attenzione alle modalità di acquisizione della volontà e delle opinioni del minore, nonché del modo di procedere all’acquisizione di tali aspetti col chiaro e fermo proposito di evitare che dall’ascolto derivino al minore inutili turbamenti. Nascosi A., Nuove direttive sull’ascolto del minore infradodicenne, in Famiglia e diritto, 4/ 2018  .

[3]Il Best interest of the child costituisce il cardine fondamentale della normativa e della sua applicazione. La giurisprudenza legittima e di merito mostra sempre di avere come obiettivo principale la realizzazione del migliore interesse del minore.

[4]Tale indagine ha per oggetto anche la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dell’adottante, i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore, la personalità del minore e la possibilità di idonea posta in essere nell’interesse del minore convivenza. Un’analisi, quindi, a tutto tondo proprio per garantire che sia tutelato l’interesse del minore, tenendo conto di una pluralità di aspetti che possono incidere positivamente o negativamente sul rapporto adottante – adottando.

[5] La dottrina si è soffermata sul valore della genitorialità biologica, legale e sociale. Sul genitore sociale cfr.  Cinque M. , Quale statuto per il “genitore sociale”, Riv. Dir. Civ. 2017, 6, 1475.

[6]E’ ormai acquisito il principio dell’unicità dello status di figlio, che si acquista al momento della nascita, sia egli nato all’interno di un matrimonio sia al di fuori di esso.

[7]Prima della riforma del  diritto di famiglia il rapporto del figlio col proprio genitore era impostato in termini di soggezione del minore alla potestà solamente del padre, modellata sulla patria potestas dell’antica Roma.  Tale concezione è ormai del tutto superata in quanto la nuova normativa riconosce al padre e alla madre una “responsabilità genitoriale” paritaria e condivisa. La redistribuzione dei ruoli familiari tra uomo e donna all’interno della famiglia è effettuata prescindendo da distinzione di genere perché tutto è impostato in funzione dell’interesse superiore del minore in funzione del quale è stata configurata la “bigenitorialità”. Il nuovo modello di responsabilità genitoriale, a seguito della riforma posta in essere con la L. n.151/ 1975, ha modificato a fondo la precedente disciplina codicistica delineando ex novo la potestà genitoriale, “condivisa” dal padre e dalla madre e non più esclusiva del padre.

[8]Art.48, comma I, L. 04/05/1983, n.184.

[9]Sul genitore sociale cfr.  Cinque M. , Quale statuto per il “genitore sociale”, Riv. Dir. Civ. 2017, 6, 1475. La studiosa, partendo dalla più recente giurisprudenza ha esaminato la normativa che ha riconosciuto spazi  al genitore “sociale” ad esempio in materia di risarcimento del danno dovuto alla perdita del “diritto di visita”  come conseguenza del fatto che la relazione tra genitore sociale e genitore biologico è stata interrotta.

[10] Cfr. Orestano R., Introduzione allo studi del diritto, Bologna 1987, passim.

[11] Ricordiamo che le componenti della nozione di “esperienza giuridica” sono, oltre il “dato norma”, il “dato realtà” ed il “dato scienza”, cioè la riflessione sul fenomeno giuridico. Ed è proprio inquadrando la normativa nello specifico contesto storico che la Giurisprudenza di legittimità e di meo innova, dà il proprio apporto creativo.  Sulla concezione storica del diritto si veda Orestano R., Introduzione cit., passim.

[12][12]“I giudici di Strasburgo con la sentenza del 21 luglio 2015 hanno condannato l’Italia per inottemperanza all’obbligo positivo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, il Parlamento italiano è chiamato oggi ad approvare “con la massima sollecitudine” una “disciplina di carattere generale” che tuteli le unioni omosessuali. Le corti europee richiedono che la normativa da emanare sia conforme al principio di non discriminazione ed assicuri un trattamento giuridico omogeneo a quello delle coppie coniugate, giacché ogni disparità esporrebbe la legge a nuovo vaglio di legittimità”(dal testo dell’Appello promosso dal Centro Studi Rosario Livatino contro le modifiche intervenute al testo del cosiddetto ddl. Cirinnà e sullo stralcio della stepchild adoption – www.centrostudilivatino.it).

[13] L. 20 maggio 2016, n.76.

[14] Sentenza n. 626/2007: “Nel caso di specie la presenza della madre che da sempre si occupa della figlia esclude la configurabilità dello stato di abbandono e dunque la giuridica impossibilità di procedere ad un affidamento preadottivo consente di ritenere integrato uno dei casi particolari, quello di cui alla lettera d), che consente di far luogo alla adozione e che è clausola residuale. Va quindi valutato in concreto ciò che può comportare maggiore utilità per il minore (utilità intesa come preminente somma di vantaggi di ogni genere e specie e minor numero di inconvenienti) nella prospettiva del pieno sviluppo della personalità del minore stesso e della realizzazione di validi rapporti interpersonali ed affettivi, tenuto conto delle particolarissime situazioni esistenziali che caratterizzano le persone coinvolte. Tale situazione di fatto appare meritevole d tutela nell’ambito delle ipotesi di adozione particolare nel rispetto dei principi della tutela del minore e del perseguimento del suo esclusivo interesse”.

[15]Sentenza n. 1274/2012 che riforma la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Firenze20 marzo 2012.

[16] Sulla rilevanza delle sentenze della Suprema Corte si veda Veronesi S., La Corte di Cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption, in Famiglia e Diritto, 2016.

[17]Nella sentenza della Corte, viene stabilito che la nascita della bimba “è frutto di un progetto genitoriale maturato e realizzato con la propria compagna di vita; la decisione di scegliere la più giovane ai fini della gravidanza è stata dettata dalle maggiori probabilità di successo delle procedure di procreazione medicalmente assistita” e che la bimba “ha vissuto sin dalla nascita con lei e la sua compagna, in un contesto familiare e di relazioni scolastiche e sociali analogo a quello delle altre bambine della sua età , nel quale sono presenti anche i nonni e alcuni familiari della ricorrente”. I magistrati hanno escluso che questo progetto di “bi-genitorialità” sia in conflitto con gli interessi della minore, precisando che “l’unica ragione posta a sostegno della denunciata incompatibilità di interessi è stata individuata nell’interesse della madre della minore al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale”. Ma accettare tale ragione significherebbe ritenere “che sia proprio la relazione della coppia sottostante (coppia omo-affettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa, con l’interesse della minore, incorrendo però in un’ammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione, di natura discriminatoria e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio scientifico”.

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