images (5)
A cura dell’avv. Filomena Agnese Chionna

La questione posta all’attenzione del giudice costituzionale delineata dalla sentenza 90/2016, analizza la questione di  legittimità costituzionale sollevata in tema di espropriazioni per causa di pubblica utilità, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Nel caso di specie, la questione tare origine da un giudizio di opposizione alla stima dell’indennità espropriativa, mediante la quale si contestava la congruità dell’indennità di esproprio, sulla base dell’asserita edificabilità dell’area. In seguito al quale la Corte d’appello accoglieva la domanda attorea e rideterminava l’indennità.

Nell’ulteriore grado di giudizio, la Corte di cassazione, accoglieva il ricorso del comune, precisando che i terreni ablati avrebbero dovuto essere qualificati come inedificabili e, conseguentemente, indennizzati per il loro esproprio, secondo il criterio previsto dal comma 3 dell’art. 8 della legge (provinciale) n. 10 del 1991. In seguito alla quale, si richiedeva la rideterminazione dell’indennità di esproprio in base alla disposizione indicata, come applicabile dalla Corte di cassazione, secondo tale orientamento, l’indennità d’espropriazione per le aree non edificabili consiste nel giusto prezzo da attribuire, entro i valori minimi e massimi stabiliti dalla Commissione, all’area quale terreno agricolo considerato libero da vincoli di contratti agrari, secondo il tipo di coltura in atto al momento dell’emanazione del decreto.

Il giudice remittente condividendo le impostazioni sostenute dalla pronuncia n. 213 del 2014, solleva la questione, osservando che, «la determinazione dell’indennità espropriativa non può prescindere dal valore effettivo del bene espropriato» e che, «pur non avendo il legislatore il dovere di commisurare integralmente l’indennità al valore di mercato, quest’ultimo parametro rappresenta un importante termine di riferimento ai fini della individuazione di una congrua indennità in modo “da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui”.

In particolare, si richiama la sentenza n. 181 del 2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (previsto per le aree non edificabili), in quanto «non teneva conto delle caratteristiche specifiche del bene espropriato quali la posizione del suolo, del valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione) e di quant’altro può incidere sul valore venale di esso». Il giudice a quo ritiene che il criterio sia «del tutto simile» al criterio del valore agricolo medio, ritenuto illegittimo in quanto «elusivo del legame che l’indennità deve avere con il valore di mercato del bene ablato», secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e non «rispondente all’esigenza di garantire un serio ristoro più volte espressa dalla giurisprudenza costituzionale».

La questione di legittimità costituzionale non è fondata, poiché le disposizioni legislative dichiarate costituzionalmente illegittime dalle sentenze n. 181 del 2011 e n. 187 del 2014 delineano il carattere astratto del criterio di determinazione dell’indennità, corrispondente ad un «valore agricolo medio» definito ogni anno in base a due elementi: la zona agraria e il tipo di coltura. L’automaticità e l’astrattezza del meccanismo di quantificazione previsto da quelle norme conducevano a determinare un’indennità che non teneva conto delle caratteristiche specifiche del terreno e che, dunque, poteva essere priva di un ragionevole legame con il valore di mercato. La norma contestata prevede, invece, un’indennità che «consiste nel giusto prezzo» da individuare «entro i valori minimi e massimi» stabiliti dalla commissione provinciale estimatrice. Che evoca l’idea di un corrispettivo commisurato al valore effettivo del bene espropriato; dunque, essa conferisce all’organo competente alla determinazione dell’indennità un margine di apprezzamento, che va esercitato avendo come riferimento le caratteristiche effettive del bene espropriando.

Alla luce di queste considerazioni l’indennità d’espropriazione per le aree non edificabili consiste nel giusto prezzo da attribuire all’area secondo il tipo di coltura , conduce a negare la difformità tra il criterio di determinazione dell’indennità utilizzato, e i parametri costituzionali.

L’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro» sulla base del «valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge».

Esclusa, dunque, la necessaria coincidenza tra valore di mercato e indennità espropriativa, resta fermo che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato, in modo da assicurare un ristoro economico che abbia un «ragionevole legame» con tale valore. Analoghi principi sono stati fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, che garantisce a ogni persona fisica e giuridica la protezione della proprietà. Secondo la Corte europea, la citata previsione convenzionale, pur non garantendo il diritto a un pieno indennizzo in tutte le circostanze, poiché legittimi obiettivi di “pubblica utilità” possono esigere un rimborso inferiore al pieno valore venale, impone che le modalità di indennizzo previste dalla legislazione interna consentano la corresponsione di una somma ragionevolmente correlata al valore del bene, senza la quale una privazione di proprietà costituisce normalmente una sproporzionata interferenza.

Alla luce delle considerazioni espresse di recente dalla Corte Costituzionale, che in un certo senso vanno a riprendere le conclusioni espresse in altre sedi in giurisprudenza, nonché rinvenienti dall’analisi dottrinale e  desumibili in via interpretativa dal quadro normativo di riferimento.

Tale ultimo si presenta, variegato, ancorché unidirezionale, nel senso che tende a tutelare i valori espressi in primis, partendo da un criterio cronologico, dal codice civile,  poi ribaditi in sede costituzionale, da ultimo rafforzati alla luce della cedu e delle sue recenti applicazioni.

La particolare questione posta all’attenzione del giudice costituzionale evidenzia ancora una volta le incertezze su cui versa la disciplina in tema di indennizzo destinata a essere oggetto di disamina da parte della dottrina e della giurisprudenza.

Se ne ricava, in conclusione, il principio secondo cui l’indennità d’espropriazione deve necessariamente consistere nel giusto, criterio imprescindibile, il quale è destinato a divenire il fulcro della  disciplina in esame, espressivo dei parametri costituzionali.

L’indennizzo cui fa riferimento l’art. 42, Cost., viene espressamente perimetrato dalla giurisprudenza quale ristoro derivante dalla riparazione per la perdita subita, con il limite ontologico al di sotto del quale sarebbe anticostituzionale scendere fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, per contro, esso deve rappresentare un serio ristoro. L’analisi della corte costituzionale va ben oltre la semplice descrizione e definizione, essa difatti mira a qualificare lì indennità di espropriazione quale valore del bene, prendendo in considerazione le sue qualità, in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica, secondo legge.

Ancora una volta, si vuole dare attuazione delle prerogative del privato, intese nella sua più ampia accezione, volte ad effettuare un bilanciamento, tra valori costituzionali che certamente concorrono a determinare l’evoluzione del sistema economico sociale, quale luogo di espressione della personalità umana.

 

Copyright © Associazione culturale non riconosciuta Nuove Frontiere del Diritto Via Guglielmo Petroni, n. 44 00139 Roma, Rappresentante Legale Federica Federici P.I. 12495861002. 
Nuove frontiere del diritto è rivista registrata con decreto n. 228 del 9/10/2013, presso il Tribunale di Roma. Proprietà: Nuove Frontiere Diritto. ISSN 2240-726X

Lascia un commento

Help-Desk