LA CORTE COSTITUZIONALE BLOCCA LA RIFORMA ISEE

 

a cura dell’Avv. Giuseppe Benfatto

 

Corte Costituzionale, 19 dicembre 2012 n. 297

 

Con una recente pronuncia la Corte Costituzionale ha fermato la riforma dell’ISEE (l’indicatore della situazione economica equivalente) operata dal Decreto Salva Italia.

La Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5, D.L. n. 201 del 2011(Decreto Salva Italia)  nella parte in cui prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri vengano fissate le modalità di determinazione e i campi di applicazione del nuovo indicatore, senza alcuna intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni. Difatti, il Decreto Salva-Italia aveva attribuito alla Presidenza del Consiglio dei ministri la facoltà di rivedere i criteri di calcolo dell’ISEE, modificando i pesi da attribuire alle diverse voci che compongono l’indicatore, ridefinendo le agevolazioni fiscali, i benefici e le prestazioni a cui applicare il nuovo ISEE a decorrere dal 1° gennaio 2013. Più precisamente, l’art. 5  prevedeva che la revisione dei suddetti aspetti tecnici fosse operata da un DPCM, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il MEF. La questione di illegittimità era stata sollevata dalla Regione Veneto, con la richiesta avanzata alla Corte di dichiarare l’illegittimità della norma per violazione degli artt. 3, 117, comma 3 e 4, 118, comma 1 e 2, 119 della Costituzione, lamentando l’assenza nell’articolo impugnato della previsione di un’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni nella rideterminazione, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei parametri per il calcolo dell’ISEE.

La Regione Veneto sosteneva la violazione delle procedure di “leale collaborazione” fra Stato e Regioni già previste per la revisione dell’ISEE operata dal D.Lgs. n. 130 del 2000 (recante disposizioni correttive in materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate). La norma impugnata, prevedendo una modificazione unilaterale da parte dello Stato della determinazione dei criteri strumentali alla definizione dei requisiti di accesso a prestazioni che ineriscono alla competenza regionale (quali l’accesso ad asili nido, mense scolastiche o servizi socio-sanitari) “restringerebbe senza giustificazione gli spazi di autonomia regionale attribuiti dalla normativa statale”.

I giudici costituzionali hanno condiviso la tesi di parte ricorrente argomentando che, sebbene la norma impugnata costituisca espressione dell’esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sociale (ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m della Costituzione), la competenza statale alla quale deve essere ricondotta la normativa impugnata “non attiene ad una materia in senso stretto”, costituendo piuttosto una competenza “trasversale”, idonea ad investire una pluralità di materie, determinando quindi “una forte incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle Regioni”. Di conseguenza, l’omessa previsione, nella norma impugnata, di una qualsiasi forma di leale collaborazione con le Regioni, affermano i giudici della Consulta, comporta la fondatezza della questione di illegittimità sollevata dalla  Regione Veneto.

 

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