Commento alla Sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 6352/2019 

Dott. Emanuele Mascolo

 

La Sentenza della Corte di Cassazione Penale, del 11 febbraio 2019, numero 6352, ha chiarito che “la tolleranza dell’attività di prostituzione è un concetto non necessariamente coincidente con un esplicito attivo comportamento da parte del reo, per il quale è sufficiente la conoscenza dell’attività di prostituzione, nel caso di specie, all’interno dell’albergo[1].
Un tema, quello della tolleranza abituale, che – ed è notizia giuridica recente – è destinato ad interessare la Corte Costituzionale, poiché il Tribunale di Reggio Emilia, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale.[2]
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata sotto i profili dell’offensività e della precisione, relativamente alla tolleranza abituale e al favoreggiamento della prostituzione.
La ratio della legittimità costituzionale, si rinviene nel dato di fatto che, attualmente, sotto il primo profilo, “l’interesse tutelato dalle incriminazioni[3], possono essere ritenute “quasi scomparsi” sia sotto il profilo giuridico che sotto il profilo legislativo, trattandosi effettivamente di moralità pubblica e buon costume.
Relativamente alla dignità della persona, viene rilevato che non si può “trattare la prostituta come minorenne o incapace e imporle il nostro concetto di dignità; possiamo invece riferirci alla dignità soggettiva, quella che consegue alle scelte di ciascuno, libere finché non cagionino danno ad altri, ma nemmeno può essere bene giuridico protetto da norme che puniscono chi collabora all’attuazione di una scelta libera di persone maggiorenni e capaci.”[4]
Sotto il secondo profilo, della precisione, nell’Ordinanza viene richiamato e chiarito che il favoreggiamento rientra tra i reati a forma libera e che quindi ricomprendono un evento, ma generalmente viene ritenuto reato di pura condotta, pertanto “costituisce la negazione di ogni determianzione”.[5]
A ben vedere infatti, è la Costituzione che ci deve far riflettere sul punto, in quanto, il legislatore, deve prevedere in astratto, fattispecie lesive, per condividere la tesi della collisione tra tolleranza abituale, favoreggiamento alla prostituzione e principio di offensività.
In entrambe le fattispecie richiamate, evidentemente, non vi è l’elemento della costrizione e inganno, ergo, non vi può essere la circostanza aggravante.
Inoltre l’Ordinanza, fa riflettere su un punto molto importante e cioè “la libertà di determinazione della donna, anche nel prostituirsi, individuato come il bene protetto dall’intero art. 3 della legge n.75/1958, ma non può essere, in tutta evidenza, il fuoco delle nostre incriminazioni, che non postulano come elemento di fattispecie nessuna lesione della libertà di determinazione e si applicano anche quando la prostituta si concede per scelta libera e consapevole.”[6]
Pertanto si finisce per avere nel nostro ordinamento, “due norme incriminatrici, la tolleranza abituale ex art. 3, comma 1, n. 3 e il favoreggiamento ex art. 3, comma 1, n. 8, della legge n. 75/1958, che sacrificano il bene primario della libertà personale, comminando la reclusione da due a sei anni, senza offrire protezione a nessun bene riconoscibile.”[7]
Circa il favoreggiamento della prostituzione., inoltre, l’Ordinanza richiamata aiuta a riflettere su un altro punto e cioè: “favorire la prostituzione significa aiutarla, agevolarla, renderla più facile, comoda o proficua – ma presenta confini esterni indefiniti e indefinibili, con la conseguenza che una moltitudine di casi possono essere compresi o esclusi a seconda delle personali concezioni, in definitiva della personale visione della vita, del giudice”.[8]
A questo punto, al fine di meglio chiarire cos’è la tolleranza abituale, si riporta il testo normativo dell’art. 3, n. 3, L. n. 75/1958, secondo cui “chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto ad un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico o utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione.”[9]
Affinchè si possa configurare è necessaria l’abitualità, ossia la reiterazione della condotta e, come la dottrina ha sottolineato, “l’abitualità si deve riferire al comportamento del soggetto attivo e non con riferimento alla presenza nel locale delle persone che esercitano la prostituzione, in quanto la presenza di esse potrebbe essere del tutto ignorata dal colpevole. Siamo in presenza di un reato necessariamente abituale, per il quale, dal compimento di un solo atto non può in alcun modo presumersi la sua ripetibilità. La norma richiede che la condotta si realizzi in ordine a locali aperti aventi carattere pubblico, ovvero in luoghi dove l’attività lecitamente esercitata è quella principale, mentre l’esercizio della prostituzione rappresenta una mera attività secondaria o accessoria, attraverso la quale si realizza un lucro aggiuntivo o “una migliore utilità per l’avviamento del locale o per favorire la clientela esistente.[10]
Recentemente, inoltre la Corte di Cassazione, ha evidenziato come, nelle ipotesi di tolleranza abituale, il favoreggiamento alla prostituzione è assorbito, “in quanto norma di chiusura che si configura in relazione ad ogni interposizione personale diretta a procurare in qualsiasi modo condizioni favorevoli all’esercizio della prostituzione” e, di conseguenza, “ in presenza dell’integrazione della fattispecie di reato di tolleranza abituale della prostituzione, ulteriori condotte dirette ad agevolarla, costituiscono, in presenza di comportamenti, quantunque successivi ma contestuali, tutti finalisticamente orientati a favorire il meretricio, un “post factum” non punibile, rimanendo assorbite nel reato di tolleranza abituale”.[11]
Con l’ausilio della giurisprudenza, va inoltre chiarito che il configurarsi della tolleranza abituale, non richiede lo scopo di lucro, “giacchè tale fine non è previsto come elemento costitutivo del reato, ma si esaurisce in un atteggiamento meramente passivo, cioè, di tolleranza del fatto che le prostitute esercitino la loro attività nei  locali; se l’agente non si limiti a tollerare semplicemente tale attività, ma partecipi anche ai proventi che le prostitute ricavano dall’esercizio dell’attività di prostituzione, egli commette il concorrente reato di sfruttamento che consiste nel profittare indebitamente, in qualsiasi modo, dei guadagni della prostituta.”[12]
Per completezza, si deve anche dare atto, che le fattispecie di favoreggiamento della prostituzione e tolleranza abituale, sono in un rapporto di genere a specie di favoreggiamento della prostituzione che quello tolleranza abituale- reati non eterogenei ma in rapporto di genere a specie, perciò non è violato il principio di correlazione se, nel corso di un procedimento “si pervenga alla condanna per il reato di favoreggiamento della prostituzione rispetto alla quale il prevenuto, alla luce della imputazione e delle risultanze probatorie portate a sua conoscenza e poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità’ da parte dei Giudici di merito abbia avuto ampia possibilità di difesa.”[13]

[1] C. Cass. Pen., Sez.3, 11 febbraio 2019, n. 6352.

[2] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, in Giurisprudenza Penale, 06 giugno 2019.

[3] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, op. cit.

[4] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, op. cit.

[5] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, op. cit.

[6] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, op. cit.

[7] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, op. cit.

[8] Trib. Reggio Emilia, Ordinanza 31 gennaio 2019, op. cit.

[9] Legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, n.3.

[10] Marani S., “Tolleranza abituale nella prostituzione”, in Altalex, 21.10.2013.

[11] C. Cass. Pen., Sez.3, Sentenza 23 ottobre 2018, n. 48244.

[12] C. Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46325.

[13] C. Cass. Pen., Sez.3, Sentenza 31 maggio 2018 n. 24600.

 

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