Avv. Roberto Pusceddu

 

Sommario: 0. L’oggetto d’indagine. 1. La funzione integrativa della volontà contrattuale. 2. La posizione della giurisprudenza.

 

  1. L’oggetto d’indagine.

L’oggetto di indagine è rappresentato dai contratti e dal possibile ruolo e dalle possibili funzioni che le immagini svolgono nell’ambito del contratto stesso.

Generalmente, i contratti, quali strumenti di autoregolamentazione di interessi, si concepiscono come documenti giuridici, testi o insieme di enunciati giuridici formulati linguisticamente (siano essi enunciati constatativi siano essi enunciati performativi).

Ciò che mi propongo di indagare nel presente elaborato è se, nell’ambito di un contratto, l’immagine o, più in generale, il disegno possa assolvere una specifica funzione: la funzione integrativa della volontà contrattuale. L’immagine può rilevare secondo due direttrici:

  • all’interno dell’attività di documentazione del contratto (si pensi agli allegati ad un contratto come, per esempio, le planimetrie). In questo primo senso, l’immagine rileva con riferimento alla ‘completezza’ del contratto;
  • nell’attività di contrattazione: l’immagine, in questo secondo senso, rileva in quanto contribuisce ad individuare l’oggetto del contratto e costituisce elemento perfezionativo della fattispecie contrattuale. L’oggetto del contratto non si identificherà con il bene (che può anche non essere ancora venuto ad esistenza) ma con il c.d. ‘risultato programmato’.

Il rapporto tra il diritto ed il disegno non può certo definirsi pacifico. Nel diritto, storicamente, non vi sono immagini che impongano determinati comportamenti o ‘descrivano’ il contenuto di norme.

Nel presente elaborato verranno indagate le due direttrici di cui ai punti (i) e (ii). Da tale indagine, emergerà quale specifica funzione l’immagine assolve nella teoria del contratto: si tratta della c.d. funzione integrativa della dichiarazione di volontà delle parti contraenti.

  1. La funzione integrativa della volontà contrattuale.

La funzione integrativa assolta dall’immagine rileva, per esempio, in tema di vendita immobiliare in quanto in questo ambito è di estrema importanza l’esatta identificazione dell’immobile che ne costituisce l’oggetto, sia esso un appartamento, una porzione di fabbricato, un fondo. A questo proposito, gli estremi di identificazione catastale devono essere integrati con l’indicazione delle c.d. coerenze, vale a dire degli esatti confini perimetrali del bene (la cui specificazione esclude la censura di indeterminatezza del bene oggetto della vendita (Cass. Civ. Sez. II, n. 9857/07).

  1. La posizione della giurisprudenza.

La questione relativa all’esatta identificazione del bene che forma oggetto del contratto non è immune da problematicità. Ai fini del presente elaborato, è opportuno soffermarsi su come, recentemente, la giurisprudenza ha affrontato la questione relativa all’integrazione della volontà contrattuale mediante l’utilizzo di ‘immagini’, allegate al ‘testo’ contrattuale.

 

2.1. È opportuno richiamare la sentenza della Suprema Corte: Cassazione civile, sez. II, 28/11/2012, ud. 25/10/2012,  n. 21127. Il fatto è così sintetizzabile.

Il fatto. C.C. e D.A. convenivano in giudizio, innanzi ai Tribunale di Torre Annunziata, sez dist. di Gragnano, M.M. e M.S. per sentirli condannare a ripristinare la servitù di passaggio eliminando l’occlusione che impediva l’accesso alla loro proprietà, nonché per rimuovere la serratura apposta al cancello di ingresso al cortile comune oltre al risarcimento dei danni. Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e deducendo che il cortile non era comune ma di loro esclusiva proprietà; assumevano, inoltre, che a seguito della transazione per notaio Dello Ioio, in data 22.5.1980, la servitù di passaggio attraverso il vano cucina non aveva più ragione di esistere.

Con sentenza depositata il 5.9.2003 il Tribunale condannava i convenuti a rimuovere gli ostacoli frapposti alla servitù di passaggio attraverso la cucina a piano terra di loro proprietà e, per il resto, rigettava la domande relative alla corte comune ed al risarcimento del danno.

Avverso tale sentenza M.M. e S. proponevano appello cui resistevano C.C. e D.A., proponendo, altresì, appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento del loro diritto di comproprietà del cortile ed in ordine al rigetto della domanda risarcitoria. Sostenevano gli appellanti che le controparti, avevano realizzato un nuovo accesso alle loro proprietà, concordando, con detto atto di transazione, la modifica della servitù di passaggio fino ad allora esistente, rinunciandovi e contestualmente trasferendo la servitù sul diverso ingresso. Con sentenza depositata il 15.3.2006 la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello principale e quello incidentale compensando interamente tra le parti le spese del grado. Osservava la Corte di merito, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, che l’atto di transazione specificava le concessioni fatte dai M. ai coniugi C. – D. dietro pagamento di un corrispettivo, senza alcun riferimento all’asserita “rinuncia” della servitù di passaggio attraverso la cucina degli appellanti;

peraltro, trattandosi della soppressione e/o modifica di diritti reali, occorreva una rappresentazione certa mediante forma scritta. Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso M.M. sulla base di un motivo articolato sotto tre diversi profili, seguito dalla formulazione dei relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

Resistono con controricorso C.C.A. e D. A.; M.S. non ha svolto attività difensiva. Le parti costituite hanno depositato memoria.

Il diritto. la Corte di Cassazione ha rilevato, in particolare: […] c) la Corte territoriale aveva omesso di accertare la comune intenzione delle parti sulla base non solo del senso letterale delle parole adoperate nell’atto transattivo ma anche del comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione della transazione, non avendo accertato il significato dell’espressione “ex vano scala” adoperata nella didascalia riportata in planimetria ed il dato oggettivo temporale della instaurazione del giudizio de quo, da parte dei C. – D., ben 19 anni dopo l’accordo transattivo che aveva comportato la soppressione del vecchio accesso attraverso la cucina dei M. e la coeva realizzazione di un nuovo, autonomo accesso direttamente dal cortile; sussisteva, quindi, la violazione del criterio interpretativo della buona fede ex art. 1366 c.c. e di quello di cui all’art. 1367 e 1371 c.c., nonchè del canone previsto in materia di servitù dall’art. 1065 c.c., stante il mancato contemperamento degli interessi dei contraenti con riferimento al permanere di una servitù di accesso attraverso il vano cucina di un appartamento altrui, pur in presenza della realizzazione di un nuovo accesso diretto dal cortile alla via pubblica,senza tener conto, inoltre,della deposizione de teste C.G. il quale aveva riferito di un accordo tra le parti, in occasione della transazione del 1980, per l’eliminare l’accesso all’immobile C.. D. attraverso il vano cucina dei M..

Orbene, secondo il principio di diritto affermato da questa Corte, il requisito di forma scritta stabilito dall’art. 1350 c.c., n. 5, per la rinuncia ad una servitù, può essere integrato dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso richiamati nel contratto, non essendo necessarie formule sacramentali sicché le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale, quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto(Cfr. Cass. n. 10457/2011; n. 6764/2003).

Il giudice di appello avrebbe dovuto, quindi, valutare dette diciture apposte sugli allegati planimetrici richiamati in contratto, trattandosi di atti scritti che se fossero stati esaminati, avrebbe potuto comportare una diversa soluzione della causa( Cfr. Cass. n. 3932/1981; n. 13263/09).

Così la massima che si ricava dalla citata sentenza è così formulabile: “le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale, quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto”.

2.2. La Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con sentenza 3 marzo 2014 – n. 4934, è stata investita nuovamente della medesima questione. In particolare, si è espressa in questi termini per ciò che concerne i profili che interessano in questa sede.

Con le due censure (assistite dall’idoneo assolvimento del requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.), la ricorrente ha inteso confutare la sentenza impugnata rilevando che la Corte territoriale si era limitata alla mera espressione (“scala comune”) utilizzata nel rogito di divisione del 1970 (quale atto di provenienza presupposto del contratto di vendita oggetto del contendere), senza, tuttavia, procedere – al fine di giungere all’individuazione dell’intenzione effettiva dei contraenti – ad una valutazione complessiva della volontà espressa dalle parti contraenti al momento della conclusione del suddetto atto pubblico di provenienza e, soprattutto, senza valorizzare la planimetria ad esso allegata con il tipo di frazionamento, espressamente richiamato nel medesimo atto notarile. I due motivi sono meritevoli di pregio perché la Corte di appello piemontese, al di là del mancato esame del contenuto complessivo dell’atto negoziale in questione (nello stesso controricorso, peraltro, si afferma che in esso era stata usata l’espressione “la scala resterà comune” e non “scala comune”, in tal senso adottandosi una terminologia equivoca in relazione all’effettiva attribuzione petitoria in regime di comunione della stessa, non potendosi escludere il riferimento alla sola mera utilizzazione della scala), la Corte di appello non ha valorizzato il dato – in funzione dell’interpretazione dell’effettiva intenzione delle parti contraenti – del riferimento alle risultanze della planimetria alla quale era stato fatto univoco richiamo e che formava parte integrante nel negozio divisionale presupposto, le quali avrebbero dovuto svolgere una funzione essenziale in chiave ermeneutica per stabilire l’effetto regime giuridico che si era inteso assegnare alla scala.

Inoltre, ancorché sia esatto qualificare le mappe catastali come fonti di valutazione semplicemente sussidiaria (alle quali, peraltro, non può farsi ricorso a fronte di un riferimento letterale del titolo che risulti univocamente interpretabile), la Corte di merito ha, nella fattispecie, omesso di considerare che la planimetria allegata all’atto notarile divisionale (con l’allegazione del relativo tipo di frazionamento) – contenente l’esatta individuazione delle parti oggetto della convenzione ed opportunamente distinte ai fini delle attribuzioni ai condividenti – formava propriamente parte integrante del predetto atto notarile, ragion per cui non avrebbe potuto essere completamente obliterato in funzione della valutazione, sul piano ermeneutico, del contenuto dell’atto medesimo.

A tal proposito, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 10698 del 1994; Cass. n. 11744 del 1999; Cass. n. 15304 del 2006 c. da ultimo, Cass. n. 20131 del 2013) ha condivisibilmente statuito che nell’interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa l’estensione dell’immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all’atto notarile trascritto, e l’indicazione dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari valore. Pertanto, si è specificato (v. Cass. n. 5123 del 1999 e Cass. n. 6764 del 2003) che le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la “quaestio voluntatis” della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto.

Da ciò consegue che il giudice del merito chiamato ad interpretare la volontà negoziale in un contratto di trasferimento di bene immobile è tenuto ad utilizzare il tipo di frazionamento e la planimetria catastale ai quali le parti abbiano posto univoco riferimento, onde, in caso di configurazione di dati contrattuali configgenti con tali documenti, egli deve risolvere la “quaestio voluntatis” in base all’esame complessivo del contratto stesso (e, quindi, valorizzando adeguatamente anche le risultanze planimetriche formanti parte integrante del rogito di provenienza), offrendo una motivazione che risponda ai requisiti di logicità e sufficienza (per potersi sottrarre al controllo in sede di legittimità).

A questo compito non ha assolto, nel caso di specie, la Corte di secondo grado che, per un verso, non si è conformata ai richiamati principi di diritto e, per altro verso, non ha valorizzato il criterio ermeneutico principale (previsto dall’art. 1362 c.c., comma 1) riconducibile alla necessità di indagare su quale fosse stata l’effettiva intenzione comune dei contraenti (in sede di conclusione dell’atto divisionale di provenienza) a fronte di un’espressione letterale incerta ed ambigua, soprattutto omettendo di spiegare, in presenza di questo presupposto, se, pur attribuendo al significato letterale dell’espressione adoperata quello secondo cui era stato inteso conservare un regime di comproprietà sulla scala tra i condividenti, tale vantazione fosse risultata divergente rispetto all’allegata planimetria ed al frazionamento espressamente menzionati e richiamati nel testo del rogito divisionale (con particolare riguardo alle attribuzioni operate in favore della P.I., dante causa degli attuali controricorrenti), quali documenti che ricoprivano, alla stregua di quanto precedentemente evidenziato, un’efficacia probatoria di pari valore in funzione dell’accertamento dell’effettiva portata complessiva del contratto.

2.3. Nelle sentenze Cass. Sez. II, n. 26609 del 2016 e la n. 26266 dello stesso anno  si ribadisce quello che è il valore da attribuire alle planimetrie, riaffermando come le stesse debbano essere considerate.

È opportuno in maniera succinta descrivere il caso concreto sottoposto al vaglio della Suprema Corte nella sentenza n. 26609 del 2016.

Il fatto. Un ente comunale acquistava da un costruttore un intero edificio, fatta eccezione per due unità immobiliare che il venditore si riservava e che poi successivamente cedeva ad altri. Successivamente, Il Comune chiudeva una parte dei portici per realizzare unità immobiliari: i condòmini non ci stavano e rivendicano la natura condominiale dei portici, chiedendo la rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Il giudizio di primo grado ha visto soccombere i condòmini ma la Corte d’Appello ha dato loro ragione: quel portico, senza dubbio, era condominiale. Tale, infatti, risultava dal contratto di cessione concluso tra il Comune ed il costruttore ed, in particolare, dalle planimetrie allegate al predetto contratto.

Il diritto. la Corte di Cassazione ha rilevato che: “come questa Corte ha avuto modo di chiarire (cfr. sent. n. 6764/03) le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la quaestio voluntatis della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto. Nella specie la corte territoriale ha dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto – con accertamento di fatto sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto i profili del rispetto dei criteri legali di interpretazione e del difetto di motivazione (cfr. Cass. 12594/13) – che nell’atto di acquisto del Comune il portico per cui è causa sia stato considerato bene condominiale; nella sentenza gravata, infatti, si valorizza, per un verso, il rilievo che nel testo contrattuale si richiama espressamente, per la miglior identificazione del cespite compravenduto, la planimetria allegata all’atto (“il tutto meglio individuato con contorno di colore rosso nella planimetria, che, previa sottoscrizione delle parti con me notaio, si allega sub C”) e, per altro verso, il percorso argomentativo sviluppato nella perizia dell’ufficio tecnico comunale (pur essa richiamata nell’atto notarile ed al medesimo allegata) di stima della congruità del prezzo delle compravendita (nella quale, si evidenzia nella sentenza gravata, la superficie del porticato de quo risultava espressamente definita “di uso comune” e, ai fini della valutazione, veniva diminuita di due dodicesimi, pari al rapporto tra il numero delle unità immobiliari non vendute al Comune e il numero delle unità immobiliari costituenti il fabbricato)”.

Dalla sentenza poc’anzi richiamata sono ricavabili le seguenti massime: “le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la quaestio voluntatis della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto” (Cass. n. 26609/2016).

Ed, ancora, “nella sentenza gravata, infatti, si valorizza, per un verso, il rilievo che nel testo contrattuale si richiama espressamente, per la miglior identificazione del cespite compravenduto, la planimetria allegata all’atto (“il tutto meglio individuato con contorno di colore rosso nella planimetria, che, previa sottoscrizione delle parti con me notaio, si allega sub C”)” (Cass. n. 26609/2016).

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