Le molteplici forme del maltrattamento a danno degli animali[1]

di Samantha Mendicino

1) Breve premessa: nessuna polemica ma chiariamo!

 Si inizierà da questo mese l’analisi dei maltrattamenti, in concomitanza con l’intervista che gentilmente ci ha concesso il giudice Santoloci[2] il quale, per chi non lo sapesse, ha dedicato moltissimi anni della propria attività ai reati contro gli animali ed a quelli a danno dell’ambiente. Prima di iniziare l’analisi, però, desidero fare una premessa, la cui necessità discende da alcune recenti polemiche, sviluppatesi in televisione[3] e sulle riviste, e pervenute, in via indiretta, anche nella e-mail personale.

Mi riferisco a chi, anche per più di una volta, mi ha scritto che il focalizzare l’attenzione  sui problemi relativi agli animali è errato, perchè (e qui seguo un personale ordine crescente di irragionevolezza): 1) ci sono i problemi che riguardano i bambini e la pedofilia; 2) abbiamo altri pensieri seri, come la crisi da affrontare (!); 3) gli animali sono stati creati per servire l’uomo; 4) chi si occupa degli animali è un misantropo (sic!).

Orbene, tralascio le altre motivazioni addotte “contro” l’interessamento ai problemi degli animali, perchè fondamentalmente sono tutte ricollegabili a queste macro-aree di contestazione.

Sia precisato che, nel pieno rispetto dello spirito della rivista, non si ha alcuna intenzione di cedere il passo a facili polemiche. Tuttavia, si desidera fare chiarezza su quello che si reputa un caos logico-cognitivo determinato, anche, da supeficilità e da spicciola demagogia.

E’ risaputo, e gli storici come gli psicologi possono darne conferma, che in tempi difficili l’uomo cerca di “personificare” le proprie paure, per lo più, focalizzando rabbia e rancore contro una determinata categoria di soggetti che, da quel momento in poi, rappresenterà per lo stesso un “nemico tangibile”. Ma, nella scelta del soggetto passivo su cui scaricare la propria ansia e la tensione sociale, l’uomo (che ha in sè anche una radice di vigliaccheria) si indirizza su soggetti tendenzialmente più deboli o in minoranza.

Oggi, va molto di moda l’affermazione del concetto secondo cui “con tutti i problemi che abbiamo, non possiamo mica preoccuparci di cani, gatti ed animali vari che rimangono pur sempre delle bestie”.

Questa è “la” criptica asserzione che fa da sfondo alla materia.

Orbene, se è vero che l’uomo è, tra tutti gli esseri viventi, quello più razionale e con “in sè” il senso della giustizia, ne segue che è indispensabile affrontare l’intera questione riportando ogni problema sul campo della razionalità. Faremo entrare in gioco il senso della giustizia e dell’umanità che, ontologicamente, non dipendono dalle contingenze temporali. E tentando di essere scevri dalle opinioni personali, affonderemo un passo alla volta nella palude della nostra realtà, tentando (perchè no?) di bonificarla.

Dunque, partiamo dal concetto di “bestia”, così per come qualificato nei volcabolari italiani: “… in locuzioni figurative esprime l’immagine della forza bruta, spaventosa, che non si può capire né controllare” (secondo il Sabatini Coletti, dizionario della lingua italiana su www.corriere.dizionario.it).

Ed ancora: “crudele imposizione di prove avvilenti o dolorose; atto di arroganza, prepotenza, violenta sopraffazione…” (secondo il Devoto- Oli, vocabolario della lingua italiana 2011)

A questo punto nasce spontanea una domanda: ma da quando il mondo è tale, si è mai visto un animale “imporre prove avvilenti o dolorose” ai propri simili? E parimenti: da quando il mondo è tale, si è mai saputo di animali che hanno usato la propria forza “in modo spaventoso e senza motivo”?

Scienza e statistica rappresentano, dell’applicazione della razionalità e della logica dell’uomo, due tra i suoi migliori risultati. Ebbene: scienza e statisca insegnano che, da sempre, è solo ed unicamente l’uomo ad imporre prove dolorose ed avvilenti, anche a carico dei propri simili, al fine di raggiungere i propri interessi particolari. Ed è sempre e solo l’uomo, l’unico essere vivente capace di togliere la vita, anche ad un proprio simile, per ragioni e scopi diversi dalla necessità della “sopravvivenza”.

E, dunque, per rispetto al senso della ragionevolezza, della corretta dialettica e di giustizia: iniziamo a non chiamare “bestie” gli animali.

L’ultima precisazione, infine, si riserva a chi, personalmente, ho pazientemente ascoltato e letto: le critiche menzionate all’inizio di questo articolo non possono, però, restar prive di confronto dialettico. Ebbene:

1) è vero che esiste (ed è particolarmente preoccupante) il problema della pedofilia che rappresenta la madre degli orrori umani. Ma a cosa gioverebbe il non curarsi delle violenze sugli animali rispetto ai soprusi sui bambini? Qual è il nesso logico-causale tra il disinteressamento verso i primi, rispetto all’utilità che ne seguirebbe nei secondi?!

Ed inoltre: non è altrettanto vero che per la criminologia (che è una scienza forense) chi effettua violenze sulle persone ha nel suo passato esperienze di violenze sugli animali[4]? Non è forse vero che le vittime vanno tutelate tutte e che sarebbe un controsenso tutelarne alcune a discapito di altre? Non sono vittime, oltre ai bambini ed agli animali, anche le donne quando sono oggetto di violenza (tra cui la violenza sessuale); gli anziani (soprattutto quando si parla delle case di cura dell’horror) o i portatori di handicap (in special modo chi è affetto da handicap psichico)?

Chi si sente a tal punto “arbitro delle vite” da poter stabilire quale vittima è degna di tutela e quale no, ha, probabilmente, problemi di presunzione.

2) la crisi peggiore che l’uomo deve affrontare -oggi come probabilmente da sempre- non è la crisi economica ma la crisi dei valori. Quando si ha una malattia, si combattono i sintomi (che ne sono la conseguenza) oppure la patologia?

3) non è il concetto in sè che è erroneo e, cioè, che l’animale sia stato creato per servire l’uomo. Si tratta di un pensiero che affonda le sue radici nell’antichità. Tuttavia, è la modalità di questo utilizzo che è totalmente fuori da ogni logica giuridico-morale. Se è vero che il cavallo ed il mulo sono animali da soma, è altrettanto vero che gli stessi non sono nati per divenire oggetto di stupro dagli squilibrati di turno. E se è vero che la gallina, il maiale o la mucca devono essere macellati per garantire all’uomo la carne per il suo sostentamento, è altrettanto vero che non c’è ragione logica nè umanità nello sgozzarli e farli morire lentamente anzicchè scegliere per essi una morte repentina.

4) è conosciuto quel detto che fa “più conosco gli uomini, più amo gli animali”. Ma associare l’uomo che si prende cura degli animali ad un carattere “di certo” misantropo, pare oggettivamente eccessivo. Inoltre, il pregiudizio è un male da cui bisogna stare lontani. I preconcetti malevoli sono come un boomerang: quando meno ce lo aspettiamo, tornano indietro.

 


 

[1] Per tutti coloro che dovessero avere dei quesiti in tema, si ricorda che l’e-mail della redazione a cui inviare qualunque richiesta e/o domanda e/o comunicazione e/o commento è: redazione@nuovefrontierediritto.it

[2] Puoi leggere l’intervista a pag. 178 di questo numero di Nuove frontiere del diritto

[3] Recentemente è scoppiata una polemica sulla frase di Don Mazzi, sacerdote ed operatore calato nei problemi sociali, soprattutto dei tossicodipendenti e dei ragazzi emarginati, nonchè personaggio pubblico e collaboratore di diverse riviste, il quale ha detto: “Italiani, non spendete soldi per salvare cani e gatti, ma destinate denaro alle nostre strutture. Noi salviamo vite umane” (cft. su www.lastampa.it, articolo del 14 aprile 2012, http://www3.lastampa.it/lazampa/articolo/lstp/449748/). La gravità della affermazione, per quanto personale, di Don Mazzi si intravede sia nel fatto che, trattandosi di operatore della comunicazione, il sacerdote dovrebbe sapere quale peso psicologico (soprattutto in tempo di crisi) hanno certe affermazioni così assolute; sia nel fatto di voler discriminare un problema a favore della soluzione di un altro, come se il venir meno dell’attenzione sociale sul primo possa garantire la buona riuscita ed il successo al secondo.

[4] Sulla rivista americana Psychology of Violence è stato pubblicato uno studio effettuato in Svizzera su un campione di 3.648 adolescenti e concernente la violenza dei minori sugli animali. I risultati degli studi sono stati analizzati dai criminologi ed hanno evidenziato che una piccola parte dei giovani aveva effettuato sevizie su animali (per lo più, cani, gatti, altri animali domestici, pesci, rane, lucertole ecc)  mentre la stragrande maggioranza degli adolescenti (che rispecchiano gli uomini del prossimo futuro) risultava indifferente al problema. Ma ciò che è peggiore è che è comprovato che la crudeltà sugli animali è associata ai reati violenti. Difatti, tutti gli studi scientifici che si sono occupati della relazione tra “sevizie su animali” e “delinquenti violenti”, ormai da anni hanno dimostrato che un giovane che ha maltrattato e/o seviziato un animale ha una probabilità statistica pari a tre volte in più rispetto ad altri di commettere reati gravi, caratterizzati dalla violenza e con componenti di collera. In sintesi: la sevizia su di un animale (essere indifeso e nella facile disponibilità di una persona) è indice di devianza. Cft. sul sito del “Corriere del Ticino”

[5] ex multis, vogliamo ricordare una recentissima sentenza della Corte di Cassazione perchè capace di influenzare anche altri aspetti del maltrattamento contro gli animali. Di preciso, ci si riferisce a Cass. Pen., sez. III, sent. n. 11606/2012 secondo cui il reato di maltrattamento sugli animali è applicato sia che si tratti di animali domestici sia che ci si trovi di fronte ad animali non domestici. Ma vi è di più: atteso che nella medesima sentenza la Cassazione ha precisato che il concetto di ‘maltrattamento’ è applicabile anche a caccia, circhi e sperimentazione (dunque, anche se ci si trova nei cd. settori speciali, sottoposti, cioè, a leggi speciali). Ricordiamo che l’art. 19 disp. att. c.p.  è quella norma che esclude dal reato di violenza sugli animali le attività svolte nelle suddette attività speciali di caccia, manifestazioni storiche o culturali, attività circense, sperimentazione, pesca e/o macellazione ecc. In questa pronuncia la Corte precisa che “l’articolo 19ter disp. coord. C.P non esclude in ogni caso l’applicabilità delle disposizioni del Titolo IX-bis del Libro Secondo del codice penale all’attività circense ed alle altre attività menzionate, ma esclusivamente a quelle svolte nel rispetto delle normative speciali che espressamente le disciplinano”.

 

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