Sentenza nulla se non si capisce il comando giudiziale.

 

E’ nulla la sentenza se c’è contrasto tra motivazione e dispositivo, per la sua inidoneità a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale.

  

Cassazione civile, sezione tributaria, sentenza del 1.3.2013, n. 5161

omissis…

Con il primo motivo di ricorso, il contribuente – deducendo “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, e degli artt. 2121-2729 c.c. (criteri giuridici in tema di formazione della prova critica) in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 3” – formula il seguente quesito di diritto:

 

“…se la sommatoria di elementi tra loro contrastanti possa costituire prova presuntiva dell’evasione dell’imposta irpef derivante da una plusvalenza patrimoniale conseguente a vendita di terreno edificatile; – in particolare, se possa correttamente ravvisarsi prova presuntiva dell’evasione della predetta imposta nella indicazione di un corrispettivo, quattro volte superiore, in una compravendita immediatamente successiva dello stesso bene, quand’anche emergano in giudizio elementi oggettivi (nella fattispecie una stima tecnica approvata dal Comune ove è ubicato l’immobile che ai fini dell’imposizione locale determini, per beni similari a quello compravenduto e per lo stesso periodo di imposta un valore in linea con il prezzo dichiarato nell’atto di vendita) dai quali è possibile trarre che il corrispettivo della vendita successiva non corrisponde al valore normale di mercato dell’immobile”.

 

Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente deduce “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5”, poichè, a suo giudizio, la prova presuntiva ritenuta dal giudice a quo si fonderebbe su due indizi di tenore contrastante.

 

Con il terzo motivo di ricorso, il contribuente deduce “insufficienza della motivazione circa un fatto contro verso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5”, poichè il giudice a quo avrebbe insufficientemente motivato la ricorrenza dei supposti elementi presuntivi.

 

Le doglianze, che, per la stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminate, vanno disattese.

 

La prima non coglie la ratio della decisione del giudice di appello.

 

Questo, infatti, allo specifico fine di definire il valore della plusvalenza rilevante ai fini irpef, ha rapportato il valore (finale) del terreno ceduto a quello determinato ai fini dell’imposta di registro (che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, costituisce, del resto, idonea presunzione quanto alla definizione del valore della plusvalenza di cessione a fini dell’imposizione diretta: cfr. Cass. 23608/11, 5070/11), e si è ritenuto in ciò confortato dal rilievo che, nello stesso giorno della cessione in rassegna, il terreno è risultato essere stato ulteriormente ceduto ad un prezzo di quattro volte superiore a quello dichiarato.

 

Tutte doglianze si risolvono, d’altro canto, in inammissibili sindacati in fatto.

 

Invero – a fronte delle precise indicazioni poste dal giudice di appello a fondamento della ritenuta congruità della rettifica del valore della plusvalenza, dopo aver compiutamente valutato tutti gli elementi suscettibili d’incidenza sul valore dell’immobile – con i riportati motivi di ricorso, il contribuente, pur apparentemente prospettando carenze motivazionali, tende, in realtà, a rimettere in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice di merito, che, in quanto basato sulla disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espresso con motivazione immune da lacune o vizi logici, si sottrae al giudizio di legittimità.

 

Nell’ambito di tale giudizio, non è, infatti, conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, restando a questo riservate l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all’uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonchè la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03).

 

Con il quarto motivo di ricorso, il contribuente deduce “nullità della sentenza della commissione tributaria regionale per insanabile contrasto fra motivazione e dispositivo della stessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Riscontra, infatti, la mancata indicazione in dispositivo della, pur affermata in motivazione, limitazione della sua responsabilità, quale erede beneficiato, intra vires hereditatis.

 

La doglianza è fondata.

 

Invero – sulla questione dei limiti della responsabilità del ricorrente (prospettata in primo grado e riproposta in appello – alla motivazione della decisione, univocamente e chiaramente orientata nel senso dell’accoglimento della tesi del contribuente medesimo (leggendovisi “… l’odierno appellante è tenuto a rispondere della pretesa tributaria solo nei limiti del valore dell’eredità e dei beni che ne sono il compendio”) si contrappone, inconciliabilmente, il dispositivo, che recita: “… respinge l’appello e conferma la decisione di primo grado: Condanna parte appellante a rifondere a parte appellata le spese …”.

 

Ne consegue, che – poichè, per consolidata giurisprudenza, in tale ipotesi non è consentito individuare la statuizione del giudice attraverso la valutazione della prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza nè ricorrere ali1I’nterpretazione complessiva della decisione (che presuppone una sostanziale coerenza delle diverse parti delle proposizioni della medesima) o alla procedura di correzione dell’errore materiale – s’impone la declaratoria della nullità del capo della sentenza (art. 156 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4) per la sua inidoneità a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale (v. Cass. 24914/11, nella motivazione, 11299/11, 14966/07, 4754/99).

 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, respinti i primi tre motivi di ricorso, va accolto il quarto. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa, anche per la determinazione sulle spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.

 

P.Q.M.

 

La Corte: rigetta i primi tre motivi di ricorso e accoglie il quarto;

 

cassa, in relazione, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la determinazione sulle spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 gennaio 2013.

Di admin

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