PENALITA’ DI MORA NEL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA: NON APPLICABILITA’ ALLO STATO PER CONDANNA PECUNIARIA DA IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

 

Tar Campania, Sezione IV, sentenza 18  settembre 2014 n. 4975

(a cura della Dott. ssa Gabriella Longo)

Massima

Nel caso di giudizio avente ad oggetto il pagamento di somma di denaro a titolo di equa riparazione per irragionevole durata del processo, a carico dello Stato, l’esigenza di contenere la spesa pubblica in considerazione della crisi finanziaria della finanza pubblica e del debito pubblico, giustifica nel caso concreto la mancata condanna di parte pubblica al pagamento della penalità di mora ex art. 114 c.p.a.

 

Sintesi del caso

Con decreto decisorio la Corte di Appello di Napoli ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare a favore di parte ricorrente l’indennizzo a titolo di equa riparazione per irragionevole durata del processo, nonché spese diritti e onorari con aggiunta di spese generali, IVA e CPA.

Essendo il decreto divenuto definitivo per non esser stata proposta impugnazione e non avendo l’Amministrazione adempiuto parte ricorrente propone giudizio di ottemperanza e lo notifica al Ministero della Giustizia e al Ministero delle Finanze, chiedendo l’esecuzione del decreto e nominando un commissario ad acta che provveda al pagamento a spese dell’Amministrazione.

 

La materia del contendere

Applicazione della penalità di mora ex art. 114 co. 4 lett. e c.p.a. per l’ipotesi di ottemperanza a condanna ex legge Pinto, l. 89/01, al pagamento di una somma di denaro a carico dello Stato.

 

Quaestio iuris

In cosa consiste l’istituto della penalità di mora nel diritto amministrativo? Qualisono, se ci sono, differenze tra l’art. 114 c.p.a. e l’art. 614 bis c.p.c.? E’ applicabile l’astreinte per l’ipotesi di condanna al pagamento di una somma pecuniaria?

 

Normativa di riferimento

Art. 114 co. 4 lett. e c.p.a., 614 bis c.p.c.

 

Nota esplicativa

 

Nella sentenza in esame il Tar Campania affronta la questione relativa al contenuto e limiti della penalità di mora così come prevista dall’art. 114 c.p.a., seguendo l’orientamento espresso dalla Plenaria n. 15/14 nella quale i giudici di Palazzo Spada ampliano l’applicazione dell’istituto in esame ai casi di esecuzione di condanne aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria.

La peculiarità della pronuncia consiste nel fatto che i giudici del Tar campano sostengono che l’astreinte non vada applicata in ipotesi di esecuzione dei provvedimenti di condanna a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo.

L’analisi della pronuncia richiede una preliminare disamina sulla fattispecie di cui all’art. 114 co. 4 lett. e c.p.a. al fine di meglio addivenire alla ratio sottesa alla c.d. penalità di mora.

A tal riguardo sarà inoltre utile un’analisi comparativa con la parallela previsione nel codice di procedura civile all’art. 614 bis,

L’art. 114 co. 4 lett. e stabilisce che “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo”.

Tale disposizione introduce una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario volta ad indurre il debitore ad adempiere all’obbligazione stabilita dall’ordine del giudice.

Il fine è quello di assicurare la pienezza ed effettività della tutela a fronte della non esatta o mancata esecuzione delle sentenze emesse avverso la pubblica amministrazione.

A livello civilistico l’art. 49 co. 1 della legge di riforma n. 69/09 ha introdotto l’art. 614 bis c.p.c.  il quale statuisce che “ Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. […]”.

Prima della riforma del 2009 la penalità di mora era prevista solo per taluni sporadici episodi previsti da norme speciali, non applicabili in via analogica, ad esempio l’art. 18 ultimo comma Statuto dei lavoratori, o ancora gli artt. 124 co. 2 e 131 co. 2 Codice Proprietà Industriale, art. 156 legge sui diritti d’autore, l’art. 140 co. 7 Codice del consumo, art. 8 co. 3 d. lgs. 231/02 o, a livello codicistico,  l’art. 709 ter co. 2 n. 4 c.p.c.

La novità legislativa risponde alle indicazioni provenienti a livello europeo dalla Corte dei Diritti dell’Uomo in base alla quale ai fini di una tutela effettiva ed efficace le decisioni giudiziali definitive necessitano di strumenti che ne garantiscano l’attuazione.

Il legislatore italiano ha seguito il modello francese delle astreintes, misure coercitive indirette a carattere patrimoniale che incentivano l’adeguamento del debitore alla sentenza di condanna attraverso una sanzione pecuniaria a favore del creditore.

La natura giuridica di questa misura non è di tipo riparatorio ma bensì sanzionatorio tanto da applicarsi a prescindere dalla sussistenza e dalla dimostrazione di un danno.

Anche nell’ordinamento tedesco ed inglese sono presenti norme simili anche se con alcune peculiarità: le c.d. “zwangsgeld” riguardano solo provvedimenti di condanna ad obblighi di fare infungibili o non fare, diversamente il c.d. “contempt of court” può essere disposto a seguito di una qualsiasi violazione di provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Da ciò se ne deduce che la scelta dell’art. 614 bis c.p.c. di limitare la penalità al caso di inadempimento degli obblighi di non fare o fare infungibili deriva da una precisa volontà del legislatore.

Diversa invece è l’ipotesi prevista dall’art. 114 co. 4 lett. e c.p.a. sotto molteplici aspetti, messi tra l’altro in rilievo dalla pronuncia della Plenaria del 2014.

La penalità di mora è irrogata dal giudice amministrativo in sede di ottemperanza, diversamente dalla sanzione di cui all’art. 614 bis c.p.c. che è adottata con sentenza di cognizione, pertanto nel processo civile la sanzione è ad esecuzione differita mentre nel processo amministrativo può essere di esecuzione immediata.

Inoltre la penalità di mora ex art. 114 c.p.a. presenta una portata applicativa più ampia poiché nell’articolo non è stato riprodotto il limite dell’inadempimento degli abblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile.

Il codice del processo amministrativo non richiama i parametri di quantificazione stabiliti dall’art. 614 bis c.p.c. e prevede oltre al requisito dell’inesecuzione della sentenza la manifesta iniquità e la sussistenza di ragioni ostative.

Da queste differenze emerge che per il processo amministrativo manca una previsione che limiti la penalità di mora al solo caso di inadempimento degli obblighi di non fare o fare fungibile.

Ciò ha aperto il dibattito in merito alla possibilità di farne applicazione per l’ottemperanza di sentenze aventi ad oggetto la dazione di una somma di denaro.

L’orientamento della dottrina è apparso per lo più favorevole diversamente dalla giurisprudenza che al riguardo si è divisa tanto da richiedere l’intervento della Plenaria.

L’opinione largamente prevalente apre alla penalità di mora per le sentenze di condanna pecuniaria (ex multis, C.d.S. sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462; C.d.S. sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781; C.d.S.  sez. V, 19 giugno 2014, n. ri 3339, 3340, 3341, 3342; C.d.S. sez. III, 30 maggio 2013, n. 2933; C.g.a.r.s., 30 aprile 2013, n. 424; C.d.S. sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3272; C.d.S. sez. V, 14 maggio 2012, n. 2744; C.d.S. sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688; C.d.S. sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4216; C.g.a.r.s. 22 gennaio 2013, n. 26; C.d.S. sez. VI, 6 agosto 2012, n. 4523, C.d.S. sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4685).

Diversamente un’altra posizione giurisprudenziale avalla una lettura restrittiva della norma in esame (cfr. C.d.S. sez. IV, 13 giugno 2013 n. 3293; C.d.S. sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819)

La Plenaria accoglie l’orientamento maggioritario che viene riportato anche dalla pronuncia in esame la quale però pur ammettendo in astratto l’applicabilità della penalità di mora, ne esclude l’applicazione in concreto richiamando quel passaggio della Adunanza Plenaria che interpreta l’art. 114 nel senso di ammettere situazioni speciali che possono portare il giudice amministrativo a non applicare l’astreinte.

Si tratta di quelle difficoltà nell’adempimento da parte del debitore pubblico, collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici”.

Da ciò il Tar Campania ne deduce che il caso in esame rientra nelle ipotesi testè delineate e che, pertanto, nei giudizi inerenti al pagamento di una somma pecuniaria, a carico dello Stato, quale equa riparazione ex legge 89/01, il contenimento della spesa pubblica in presenza di crisi finanziaria della finanza pubblica e del debito pubblico, costituisce giustificazione idonea in concreto della mancata condanna.

Alla luce di tali considerazioni il Tar accoglie il ricorso e dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di eseguire il decreto in favore della parte ricorrente entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notifica della presente sentenza.

Nel caso di protratta inottemperanza, nomina Commissario ad acta Dirigente della Corte dei Conti preposto al Servizio Amministrativo Unico Regionale per la Campania.

 

Bibliografia

 

F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, VII edizione, Roma 2014;

R. Garofoli – G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, VII edizione, Roma 2013;

 

Testo sentenza

 

TAR CAMPANIA Sezione IV

Sentenza 18 settembre 2014, n. 4975

(Presidente Scafuri – Estensore D’Alessandri)

FATTO

Parte ricorrente premette:

– che la Corte di Appello di Napoli il decreto decisorio di cui n. 3895 del 25.11.2011 (Ruolo n. 632/11 VG), reso dalla Corte di Appello di Napoli, concernente l’equa riparazione, che ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare in suo favore,l’indennizzo a titolo di equa riparazione per irragionevole durata del processo, nel medesimo decreto decisorio quantificato, nonchè le spese, i diritti e gli onorari di giudizio, con aggiunta di spese generali, IVA e CPA;

– che il suddetto decreto è divenuto definitivo per non essere stata proposta impugnazione;

– che a tutt’oggi l’Amministrazione non ha effettuato il pagamento del dovuto.

A fronte di tale situazione parte ricorrente ha proposto il presente giudizio di ottemperanza, notificandolo al Ministero della Giustizia, quale destinatario della pronuncia di condanna, e al Ministero delle Finanze, quale responsabile in forma centralizzata dei pagamenti di cui alla cosiddetta legge Pinto, ex art. 1 comma 1225 della L. 27 dicembre 2006, n. 296, chiedendo al presente T.A.R. di disporre l’esecuzione del decreto in epigrafe, nominando a tal fine un commissario ad acta che provveda al pagamento, a cura e spese dell’Amministrazione;

Parte ricorrente ha chiesto, altresì, la condanna dell’Amministrazione al pagamento di una somma di denaro da determinarsi in via equitativa per ogni ulteriore giorno di ritardo nell’esecuzione del giudicato.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Finanze e il Ministero della Giustizia a mezzo dell’Avvocatura dello Stato.

DIRITTO

1) Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni e nei termini che seguono.

2) Il Collegio rileva come nel caso di specie ricorrano tutti i presupposti necessari per l’accoglimento, essendo il decreto in questione divenuto definitivo in seguito alla mancata proposizione di impugnazione in Cassazione, come da certificato della competente cancelleria e stante in ogni caso la mancata contestazione sul punto dei costituiti ministeri.

Il comma 6, dell’art.3, della legge 24/03/2001 n. 89, prevede che il decreto che decide in ordine alla concessione dell’indennizzo sia immediatamente esecutivo ed impugnabile per cassazione e, sotto tale profilo, dalla mancata proposizione della suddetta forma di impugnazione deriva la definitività del decreto.

In tal senso l’art. 112, comma 2, c.p.a., ha codificato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi ed è, sotto tale profilo, equiparato al giudicato, con conseguente idoneità a fungere da titolo per l’azione di ottemperanza (Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484; Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484).

Per quanto riguarda le spese successive al decreto azionato, e come tali non liquidate nello stesso, il Collegio specifica che, in sede di giudizio di ottemperanza può riconoscersi l’obbligo di corresponsione alla parte ricorrente oltre che degli interessi sulle somme liquidate in giudicato, anche delle spese accessorie (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094).

Infatti, nel giudizio di ottemperanza le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti ed onorari successivi al decreto sono dovute solo in relazione alle alla pubblicazione, all’esame ed alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti

accessori, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale; non sono dovute, invece, le eventuali non spese funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza quali quelle di precetto, che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss., c.p.c., né quelle relative a procedure esecutive risultate non satisfattive, poiché, come indicato, l’uso di strumenti di esecuzione diversi dall’ottemperanza al giudicato è imputabile alla libera scelta del creditore (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 11 maggio 2010 , n. 699; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 22 dicembre 2009 , n. 1348; Tar Campania – Napoli n. 9145/05 ; T.A.R. Campania – Napoli n. 12998/03; C.d.S. sez. IV n.2490/01; C.d.S. sez. IV n. 175/87).

Ciò in considerazione del fatto che il creditore della P.A. può scegliere liberamente di agire, o in sede di esecuzione civile, ovvero in sede di giudizio di ottemperanza, una volta scelta questa seconda via non può chiedere la corresponsione delle spese derivanti dalla eventuale notifica al debitore di uno o più atti di precetto (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 14.07.2009, n. 1268).

Le spese, i diritti e gli onorari di atti successivi al decreto azionato sono quindi dovute solo per le voci suindicate ed, in quanto funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, vengono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell’ambito delle spese di lite del presente giudizio come quantificate in dispositivo, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite.

3) Quanto alla domanda di condanna dell’Amministrazione al pagamento di una somma di denaro da determinarsi in via equitativa per ogni ulteriore giorno di ritardo nell’esecuzione del giudicato – ovverosia di applicazione della cd. astreinte, ai sensi dell’art. 114 comma 4 lett. e) – va ricordato che questa Sezione e una parte della giurisprudenza hanno costantemente ritenuto che la stessa non possa essere accolta qualora l’esecuzione del giudicato riguardi il pagamento di una somma di denaro, consistendo l’astreinte in un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario in particolare quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili.

In questi casi, pertanto, non sembra equo condannare l’Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento consiste, esso stesso, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, essendo in tal caso, per il ritardo nell’adempimento, già previsti dalla legge gli interessi legali, ai quali, pertanto, la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi, con effetti iniqui di indebito arricchimento per il creditore (ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 9 novembre 2012, n. 4553; id., sez. IV, 15 aprile 2011 n. 2162; T.A.R. Lazio, Roma sez. I-bis, 12 novembre 2013 n. 9606; id., sez. II bis 21 gennaio 2013, n. 640; id., sez. II quater, 31 gennaio 2012, n. 1080; id., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 10305).

Tuttavia, risolvendo il contrasto tra la giurisprudenza sopra citata e l’orientamento favorevole all’applicazione generalizzata dell’astreinte, l’Adunanza Plenaria, con la decisione del 25 giugno 2014 n. 15, ha ritenuto che, nel giudizio di ottemperanza, la comminatoria delle penalità di mora di cui all’art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi per oggetto prestazioni di natura pecuniaria.

A questa pronuncia, la Sezione ha ritenuto di doversi adeguare, riconsiderando il proprio orientamento e riconoscendo l’applicazione della penalità di mora anche in caso di condanna della p.a. al pagamento di una somma di denaro.

Il principio sopra enunciato non può, tuttavia, trascurare che è lo stesso art. 114 co. 4 lett. e) ad escludere l’applicazione dell’astreinte ove sia dimostrata l’esistenza di ulteriori ragioni ostative ovvero la manifesta iniquità alla sua applicazione.

La stessa decisione plenaria sopra citata (par. 6.5.1.), nel sancire la sostanziale equivalenza tra sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario e le altre pronunce di condanna, ha comunque evidenziato che “la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell’esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un’astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nonché al momento dell’esercizio del potere discrezionale di graduazione dell’importo”, e ciò sottolineando il valore del tutto autonomo del dato letterale della sussistenza di “ altre ragioni ostative” rispetto al limite negativo della manifesta iniquità, quest’ultimo, a differenza del primo, presente anche nel codice di procedura civile, laddove il primo è caratteristico solo del codice del processo amministrativo e, come tale, va considerato.

In sostanza, è proprio la lett. e) dell’art. 114 cod. proc. amm. a consentire la valorizzazione di specifiche motivazioni che possono essere, in concreto, poste dal giudice amministrativo alla base della decisione di non comminare la sanzione pecuniaria, attraverso l’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui dispone.

Tali specifiche circostanze devono essere addotte dalla parte debitrice, in capo alla quale, pertanto, è posto l’onere probatorio.

Nel caso del debitore pubblico, l’Adunanza Plenaria ravvisa la specialità del contesto “con specifico riferimento alle difficoltà nell’adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici”.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, questa Sezione ritiene che, nel caso di giudizi aventi ad oggetto il pagamento, a carico dello Stato, di somme di denaro a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo, l’esigenza di contenimento della spesa pubblica in ragione della condizione di crisi finanziaria della finanza pubblica e dell’ammontare del debito pubblico, giustifichi in concreto la mancata condanna della parte pubblica al pagamento dell’astreinte.

Le suddette ragioni ostative, pur non essendo state dedotte in giudizio (non va

dimenticato che i processi sono stati instaurati prima della decisione dell’Adunanza Plenaria 15/2014), rientrano pacificamente nei fatti notori ex art. 115 c.p.c., e come tali devono considerarsi provati, trattandosi di fatti acquisiti alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili (ex multis, Cass. civ., sez. trib. 20 giugno 2014 n. 14063; sez. I 19 marzo 2014 n. 6299; sez. II 05 luglio 2013 n. 16881).

4) Deve, pertanto, essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione al decreto in epigrafe, mediante il pagamento in favore di parte ricorrente degli importi liquidati nel medesimo decreto, oltre interessi legali sino al soddisfo.

5) L’Amministrazione darà quindi esecuzione al predetto decreto entro giorni sessanta dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il Dirigente della Corte dei Conti preposto al Servizio Amministrativo Unico Regionale per la Campania – SAUR Campania, che entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’inottemperanza (a cura di parte ricorrente) darà corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Le spese per l’eventuale funzione commissariale andranno poste a carico dell’Amministrazione in epigrafe e vengono sin d’ora liquidate nella somma complessiva indicata in dispositivo.

Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all’esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all’ente debitore.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, venendo poste a carico del Ministero della Giustizia, in quanto destinatario della pronuncia di condanna

inottemperata, e si liquidano come da dispositivo, in considerazione della semplicità e ripetitività della controversia.

A quest’ultimo riguardo il Collegio precisa che, come già indicato, tra le spese di lite liquidate in dispositivo per il presente giudizio di ottemperanza rientrano, in modo omnicomprensivo, le spese, i diritti e gli onorari relativi ad atti successivi al decreto ingiuntivo azionato e funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, fatte salve le eventuali spese di registrazione del decreto azionato non ricomprese in detta quantificazione

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania accoglie il ricorso indicato in epigrafe nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione in favore della parte ricorrente al decreto azionato di cui in epigrafe nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notifica della presente sentenza, nei termini indicati in parte motiva.

Nel caso di ulteriore inottemperanza, nomina Commissario ad acta Dirigente della Corte dei Conti preposto al Servizio Amministrativo Unico Regionale per la Campania.

 

 

 

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