Nota a sentenza

Corte di Cassazione sez III pen.

Sentenza 14 settembre 2012, n.34572

Pres. Mannino, Rel. Gazzara.

“Quando si dice che un buon curriculum apre la porte della carriera”

Massima

L’ordinanza applicativa della misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di ginecologo, e dal divieto di esercizio della professione deve essere annullata se avuto riguardo al grado della colpa e alle modalità di svolgimento dell’attività professionale, non è fondata su una valutazione del percorso professionale pregresso del ricorrente.

 

Sintesi del caso

È passato quasi un anno  dalla precedente sentenza con cui la Corte di Cassazione, pronunciatasi sul ricorso avverso la decisione di conferma dell’ordinanza del gip, annullava con rinvio il provvedimento del Tribunale aquilano, non avendo ravvisato nella decisione una corretta individuazione dei parametri, di cui agli 274 c.p.p. in relazione agli artt. 297-290-308 e di quelli previsti dall’art. 133 c.p. La Suprema Corte, interpellata sulla legittimità dell’ordinanza reiettiva della misura interdittiva della sospensione temporanea dell’esercizio dell’attività professionale di medico –ginecologo, sottolineava che le coordinate normative da applicare nel caso di specie sono destinate ad indicare da un lato la gravità del delitto contestato e dall’altro le forme di negligenza riscontrate nel caso in esame.

Ed invero, trattandosi di un delitto colposo, l’attenzione dell’organo giudicante deve riflettersi in primis sulla condotta contestata, sulla difformità di questa rispetto a quella esigibile e dovuta secondo le leges artis  ed ancora sulla personalità dell’indagato e della sussistenza di ulteriori procedimenti penali autonomi rispetto a quello per cui è ricorso. Viene affrontata una tematica delicata, per alcuni versi, dove la peculiare natura dei reati di natura colposa viene esaminata alla luce degli elementi indiziari propri del giudizio cautelare. Punto di partenza di questa analisi è costituito dalla gravità del delitto e soprattutto dal grado della colpa, ma posta in relazione con il pericolo di reiterazione del comportamento colposo. Il grado della colpa presuppone invero un’analisi approfondita della fattispecie contestata, e di seguito delle regole cautelari violate, se generiche o specifiche e del contesto fattuale in cui ha operato il ricorrente. Tale aspetto va a sua volta collegato con l’esigenza cautelare del periculum in mora, ed in questo del ripetersi di una condotta negligente, nell’ambito della propria sfera lavorativa. Invero il giudice delle indagini preliminari, in prima battuta, ed il tribunale del riesame, poi,  sono chiamati a valutare se la condotta colposa contestata è uno sfortunato incidente di percorso destinato a non ripetersi o se fa scaturire delle condizioni di pericolo, che richiedono la sospensione dell’attività. Su tale profilo la Corte di Cassazione sez IV si era espressa con un giudizio rigoroso, ritenendo necessario un ulteriore apprezzamento della condotta dell’indagato in relazione ad elementi esterni indicativi delle modalità di svolgimento dell’attività professionale sia delle caratteristiche della struttura in cui questi opera. Tali profili sono ritenuti fondamentali dai giudici di Piazza Cavour per poter formulare una prognosi sulla reiterazione di comportamenti colposi. Su un altro versante argomentativo si pone invece la sentenza, oggetto della presente nota esplicativa, ritenendo che il giudice del riesame, in sede di giudizio di rinvio, non ha valutato altresì in seno al corpo motivazionale le emergenze esterne, quali il percorso professionale del sanitario in relazione a procedimenti penali archiviati ed a quelli ancora in corso. Il giudice del rinvio non ha offerto un’esauriente analisi dell’attuale posizione professionale e lavorativa dell’indagato in relazione e al contesto lavorativo e alla pendenza di altri procedimenti e alla sua preparazione. La Corte di Cassazione boccia il giudizio di rinvio non rinvenendo nel provvedimento traccia ossequiosa dei punti di diritto indicati dalla Corte sez IV con la sentenza precedente di annullamento.

Caso concreto.

La Procura di Pescara, iscriveva nel registro degli indagati il dott, per avere provocato colposamente il decesso della paziente, in particolare per avere eseguito un intervento di laparoscopia non osservando le peculiari tecniche chirurgiche, suggerite dal caso,  e per tale motivo cagionava gravi lesioni sia all’utero sia all’intestino, e per non avere adeguatamente curato le ferite inferte e diagnosticato nei giorni seguenti le ragioni di una condizione complessiva della paziente estremamente delicata. Il P.M, considerata la gravità della condotta, ha chiesto l’applicazione della misura interdittiva di cui agli artt.   287, 289, 290, di divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali e di sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio.  E per due volte consecutive il gip ha respinto la richiesta della pubblica accusa. Per entrambi i provvedimenti il P.M ha proposto appello dinanzi al Tribunale del Riesame, che ha confermato le ordinanze reiettive. L’ultimo provvedimento del Tribunale oggetto di ricorso per Cassazione, è stato annullato con rinvio, come sopra detto, per non avere il giudice del merito adeguatamente valutato il grado della colpa e gli elementi che incidono sulla configurabilità della reiterazione di reato. Rinviato il giudizio al Tribunale del Riesame, sulla scorta dei punti di diritto indicati dal giudice di legittimità, con provvedimento del 15/12/2011, il giudice aquilano procedeva a riesaminare i presupposti per l’applicazione della misura interdittiva. Ritenuti esistenti plurimi e rilevanti profili di negligenza ed un elevato grado di colpa, veniva cosi interdetto al medico ginecologo di esercitare la professione di ginecologo per due mesi. Proposto ricorso dall’indagato avverso il suindicato provvedimento, veniva censurata la violazione dell’art. 627 co. 3 c.p.p., per non avere il Tribunale del Riesame osservato i punti di diritto come enucleati nella sentenza di annullamento con rinvio, e veniva altresì censurato il vizio di motivazione.

Più nel dettaglio oggetto di doglianza era il vizio di motivazione con riferimento all’elevato grado di colpa addebitata al ricorrente, non avendo il Tribunale del Riesame valutato le documentazioni prodotte dalla difesa, relative al giudizio professionale negativo espresso sull’aiuto chirurgo. Ed ancora  era sollevato un deficit motivazionale nella parte in cui non era stato oggetto di debita valutazione il provvedimento di sospensione adottato dal direttore del reparto ospedaliero nei confronti del ricorrente, e la non partecipazione di questo alle attività di chirurgia ed ai turni di notte. La Corte di Cassazione, non ha ravvisato nel corpo del provvedimento una completa ed esaustiva valutazione degli elementi sintomatici delle esigenze cautelari. Nessuna riflessione è stata maturata sul percorso professionale del ricorrente, sull’ottimo curriculum, ed ancora sulla assenza di precedenti episodi connotati da colpa. A riprova di ciò, la Suprema Corte conclude che il percorso professionale del ricorrente non può essere facilmente superato dalla sopravvenienza di altri procedimenti penali, di cui, uno ancora in corso, e l’altro archiviato.  L’esame sulla personalità dell’indagato ai sensi dell’art. 133 c.p. è in questa sede metro di rilevazione del periculum in mora, base cognitiva su cui fondare una prognosi sulla possibile reiterazione del reato. Per tali ragioni, la Corte sez. III annulla rinviando al giudice del merito una ulteriore analisi degli elementi fattuali, ed in particolare sui requisiti inerenti la personalità del ricorrente.

Quaestio iuris

Oggetto di dibattito è l’analisi e lo studio di un reato di natura colposa in relazione al giudizio cautelare. Se da un lato l’elemento soggettivo della colpa occupa uno spazio di riflessione non indifferente nella ricostruzione fattuale, dall’altro la cooperazione a titolo di colpa ai sensi dell’art. 113 c.p. solleva l’ulteriore e rilevante questione sulla ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 274 lett. c), ed in particolare sulle possibilità di reiterazione del reato.  Premessa ineludibile di questa riflessione è la considerazione che il giudizio prognostico, nonostante sia rivolto a valutare la ripetibilità in futuro di un comportamento illecito ha come base di partenza l’esame dei fatti accaduti. Quindi due sono i punti di riferimento i fatti contestati, ed in questo la valutazione della cooperazione criminosa e la personalità dell’indagato. Tuttavia già in altre pronunce la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie deve essere desunto da elementi concreti che lo facciano ritenere sussistente. Nella sentenza in commento, la Suprema Corte, privilegiando l’ottica argomentativa della sez IV, che per prima ha avuto modo di esaminare l’intera vicenda, ha sottolineato la carenza argomentativa del provvedimento di merito, chiedendo al giudice aquilano uno sforzo maggiore nel rilevare la sussistenza di un concreto pericolo di reiterazione, atteso che la presenza di un procedimento penale in corso non giustificherebbe in termini adeguati l’applicazione di una misura interdittiva. Invero ciò che in modo latente ed un po’ ambiguo la Suprema Corte ha rilevato è la indefettibilità di un giudizio cautelare che in tema di periculum in mora non può prescindere dall’esame del grado della colpa, nonostante di questo non sia dato adeguato conto. Pervero un elevato grado colpevolezza, nella specie, un profilo colposo di un certo spessore, come nel caso de quo, correlato all’esistenza di procedimenti penali, in corso, sarebbe di per sé idoneo a fondare una misura interdittiva, trattandosi di elementi fattuali che giustificherebbero l’esigenza cautelare di impedire il protrarsi ed il verificarsi di ulteriori reati di siffatta natura. Diversamente si ritiene che un elevato profilo professionale possa fungere da garante della capacità del ricorrente di svolgere serenamente la propria attività. In effetti la Corte ha taciuto, malamente, sul fatto e sulla sua dinamica, impedendo di valutare l’incidenza della gravità della condotta colposa assunta in relazione al probabile ripetersi di reati della stessa specie.

Riferimenti normativi:

artt. 274, 287 290 c.p.p.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 penale

Sentenza 14 settembre 2012, n. 35472
Integrale

MISURE CAUTELARI – PERSONALI

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio Felice – Presidente

Dott. GRILLO Renato – Consigliere

Dott. MARINI Luigi – Consigliere

Dott. GAZZARA Santi – rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 15/1272011 del Tribunale di L’Aquila che ha, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, ha riformato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari di Pescara del 4/5/2011 ed emesso nei confronti del Dr. (OMISSIS), medico ginecologo, la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di ginecologo e del divieto di esercizio della professione per la durata di due mesi, ritenendo sussistere gravi indizi di negligenza che hanno concorso alla causazione di lesioni e della morte in danno di una pazienza;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. MARINI Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza con rinvio;

udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15/12/2011 il Tribunale di L’Aquila, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, ha riformato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari di Pescara del 4/5/2011 ed emesso nei confronti del dr. (OMISSIS), medico ginecologo, la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di ginecologo e del divieto di esercizio della professione per la durata di due mesi, ritenendo sussistere gravi indizi di ripetute condotte gravemente negligenti che hanno dato causa a molteplici lesioni e quindi alla morte della sig.ra (OMISSIS). Per tali condotte il dr. (OMISSIS) e’ soggetto ad indagine per il reato previsto dagli articoli 113-589 c.p..

2. Osserva il Tribunale che in due precedenti occasioni il Giudice delle indagini preliminari ha rigettato la richiesta del Pubblico ministero di applicare al dr. (OMISSIS) la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di ginecologo e del divieto di esercizio della professione per la durata di due mesi. In entrambi i casi l’appello proposto dal Pubblico ministero e’ stato respinto dal tribunale del riesame, una prima volta in data 21/4/2011 e quindi in data 26/5/2011. La decisione del 26/5/2011, che confermava l’ordinanza reiettiva emessa dal Giudice delle indagini preliminari il 4/5/2011, e’ stata oggetto di ricorso avanti la Corte di cassazione, che ha annullato il provvedimento con rinvio affermando che il Tribunale non aveva adeguatamente valutato il grado della colpa dell’indagato e gli elementi che incidono sulla configurabilita’ del pericolo di reiterazione del reato.

Cosi’ ricostruita la vicenda processuale, l’ordinanza 15/12/2011 del Tribunale procede all’esame delle condotte del sig. (OMISSIS) e, ravvisati plurimi rilevanti profili di negligenza nonche’ un elevato grado di colpa, conclude per l’esistenza dei presupposi per l’emissione della misura interdittiva richiesta dal Pubblico ministero e negata dal Giudice delle indagini preliminari con l’ordinanza del 4/5/2011, che viene dunque riformata.

2. Avverso tale decisione il sig. (OMISSIS) propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando:

a. violazione dell’articolo 627 c.p.p., n. 3, per essersi il Tribunale discostato dai principi fissati dalla Corte di cassazione con al sentenza di annullamento della precedente ordinanza: la motivazione del Tribunale si concentra solo sul profilo relativo all’elemento della colpa e trascura del tutto il secondo profilo indicato dal giudice di legittimita’, e cioe’ la ricostruzione della personalita’ dell’indagato in relazione ai parametri enunciati nell’articolo 133 c.p.. A tale proposito va rilevato che lo stesso Tribunale (pag. 8) evidenzia l’ottimo curriculum professionale e l’assenza di precedenti episodi connotati da colpa, dovendosi escludere ogni rilevanza negativa sia del procedimento conclusosi con archiviazione sia delle indagini ancora in corso che hanno condotto all’espletamento di una perizia dall’esito del tutto favorevole all’indagato, come da documentazione prodotta;

b. vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) con riferimento all’elevato grado di colpa della condotta addebitata al ricorrente, sussistendo un’evidente contrasto di valutazione con quella contenuta nella precedente ordinanza del 21/4/2011 e sussistendo un’altrettanto evidente omissione di esame delle consulenze prodotte dalla difesa e della documentazione che riguarda il giudizio professionale negativo espresso sull’aiuto chirurgo dalla stessa A.S.L.;

c. vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) in ordine alla concretezza e attualita’ delle esigenze cautelari anche in relazione al provvedimento con cui il direttore del reparto ospedaliero avesse sospeso l’esecuzione degli interventi chirurgici di natura corrispondente a quello compiuto sulla persona offesa dal ricorrente e avesse disposto la non partecipazione del ricorrente ai turni notturni e alle attivita’ di chirurgia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ritiene opportuno muovere da un sintetico esame della sentenza di legittimita’ in data 3/11/2011 (sentenza n. 42588/11). Si legge a pag. 3 della motivazione che il tribunale non ha correttamente individuato e preso in esame le esigenze cautelari di per se’ idonee a giustificare eventualmente l’emissione della misura, avendo riguardo sia al contenuto dell’articolo 274 c.p.p., lettera c) sia al contenuto dell’articolo 133 cod. pen.; in particolare occorre avere riguardo al grado della colpa (difformita’ della condotta rispetto alle regole cautelari violate; livello di evitabilita’ dell’evento; quantum di esigibilita’ dell’osservanza della condotta doverosa pretermessa) e alle modalita’ di svolgimento dell’attivita’ professionale, pure emergenti da elementi esterni al presente processo.

2. Cosi’ ricostruiti i passaggi motivazionali della sentenza di annullamento, occorre verificare se l’ordinanza impugnata abbia fatto buon uso dei principi fissati dalla Corte di cassazione e abbia fornito una motivazione non manifestamente illogica delle proprie scelte, tale essendo il compito del giudice di rinvio.

3. La Corte ritiene che il Tribunale di L’Aquila sia incorso in vizio di motivazione nella parte in cui, come osservato dal ricorrente, non e’ stata compiuta una valutazione del percorso e del pregresso professionale del ricorrente, che non puo’ ricevere notazioni negative in relazione ad accertamenti ancora in corso o da procedimenti archiviati in relazione a fatti diversi. Tale vizio deve porsi in relazione al secondo principio fissato con la sentenza di annullamento (la ricostruzione della personalita’ dell’indagato) e impone una nuova decisione di annullamento affinche’ il profilo citato venga esaminato da parte dei giudici di merito e fatto oggetto di specifica valutazione.

Esula, invece, dalla presente decisione il tema introdotto dal ricorrente con riguardo ai provvedimenti amministrativi adottati dalla direzione del reparto ospedaliere e che sembrano essere sopravvenuti; si tratta di tema estraneo alla sentenza di annullamento e all’ordinanza impugnata e potra’ essere fatto oggetto, ove necessario, di separata istanza da parte dell’indagato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di L’Aquila per nuovo esame.

 

 

 

 

 

 

 

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