Dott. Orazio Longo

Sostituto Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale di Enna

La situazione di illiquidità finanziaria, che ha fatto seguito all’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia da covid-19, ha certamente delle inevitabili ricadute sulla possibilità, da parte di famiglie e imprese, di adempiere agli obblighi tributari.

Il legislatore si è, dunque, fatto carico di predisporre tutta una serie di strumenti che, in particolare, consentono al contribuente di “posticipare” i pagamenti e di accedere a finanziamenti dedicati, per lo più garantiti dallo Stato, al precipuo fine di favorire la ripresa economica delle numerose imprese che, costrette alla chiusura, sono risultate più colpite dalla crisi di liquidità; crisi che – come ci insegnano gli economisti – ha notevolmente alterato i normali meccanismi aziendali di reperimento e accantonamento delle risorse economiche destinate a far fronte alle obbligazioni tributarie e che, scaduti i più lunghi termini previsti per l’adempimento ed esauriti gli eventuali finanziamenti ricevuti, rischia di esporre gli imprenditori non soltanto al fallimento e alle altre procedure concorsuali (invero, allo stato, anch’esse temporaneamente sospese) ma anche il rischio di essere sottoposti a procedimento penale, in particolare per i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000.

Ci si chiede, dunque, se a fronte di una situazione di emergenza che non ha eguali – negli ultimi cento anni – per diffusività, sia a livello geografico, sia a livello settoriale, debbano essere in qualche modo rimeditati quegli orientamenti, particolarmente rigoristi, della giurisprudenza, anche di legittimità, che in tema di reati tributari limitano fortemente (se non, addirittura, escludono del tutto) la possibilità di invocare, al fine di giustificare l’inadempimento delle obbligazioni tributarie, la scriminante dello stato di necessità ovvero la forza maggiore ovvero ancora la scusante non codificata della inesigibilità del comportamento conforme al dovere.

Ci si riferisce, in particolare, a quelle decisioni della Corte di Cassazione[2] che, a fronte di una situazione di conclamata illiquidità finanziaria dell’impresa hanno, innanzitutto, escluso tout court la possibilità di ricorrere alla scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.: l’ipotesi era quella in cui l’imprenditore, a seguito della crisi, abbia deciso – per evitare licenziamenti – di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti e – per evitare il fallimento – di pagare i debiti ai fornitori e che non abbia potuto riscuotere crediti vantati e documentati anche nei confronti dello Stato.

Si è evidenziato che, in tale evenienza, il licenziamento dei lavoratori, pur essendo il diritto al lavoro costituzionalmente garantito, non costituisca “danno grave alla persona”, poiché con la predetta espressione il legislatore ha inteso riferirsi soltanto a quei beni, morali e materiali, che costituiscono il nucleo essenziale dei diritti della persona umana (come la vita, la salute, l’integrità fisica, la libertà morale e sessuale, l’onore, il nome, etc.).

La giurisprudenza di legittimità, ha del pari escluso che possano assumere rilievo, al fine di integrare la forza maggiore di cui all’art. 45 c.p., l’adempimento da parte dell’imprenditore delle obbligazioni nei confronti dei debitori al fine di evitare il fallimento ovvero la circostanza che l’imprenditore vanti dei crediti nei confronti dello Stato: ciò perché, da un lato, il prioritario pagamento dei fornitori non scongiura affatto il rischio di fallimento (visto che questo può essere richiesto, nell’interesse dell’Erario, anche dal Pubblico Ministero) e, dall’altro, nessuna rilevanza autonoma può attribuirsi alla circostanza che l’impresa non abbia potuto riscuotere crediti vantati nei confronti di terzi o addirittura dello stesso Erario, visto che ciò rientra nel normale rischio d’impresa e, con specifico riferimento ai crediti verso lo Stato, le ipotesi in cui è consentita la compensazione del debito tributario sono tassative.

Tuttavia la stessa giurisprudenza lascia aperta la possibilità che vi siano casi in cui può invocarsi l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria, ma è necessario che l’imprenditore, in queste ipotesi, non solo assolva all’onere di allegare la lamentata crisi di liquidità ma che provi, altresì, che la crisi non sarebbe altrimenti fronteggiabile con il ricorso ad altre misure (quali, ad esempio, il ricorso al credito bancario).

Orbene, ci si chiede se la generalizzata crisi di liquidità che attraversano le imprese a causa della pandemia possa portare ad alleggerire l’onere probatorio in discorso, ritenendo, ad esempio, in re ipsa l’impossibilità di fronteggiare la crisi con il ricorso ad altre misure, essendo all’uopo sufficiente dimostrare che la crisi di liquidità sia la conseguenza della pandemia: se così non fosse, infatti, si “traslerebbe” sulle imprese il rischio di inadeguatezza delle misure legislative volte a fronteggiare la generalizzata crisi imprenditoriale e ciò, ad avviso di chi scrive, sarebbe incompatibile con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. e con gli stessi criteri di imputazione soggettiva della responsabilità penale (ovvero con il principio di soggettività espresso dal brocardo nullum crimen sine culpa), oltre che con il principio che assegna alla responsabilità penale un ruolo di extrema ratio nell’ambito del sistema sanzionatorio.

Occorre perciò chiedersi, soprattutto ai fini del riparto dell’onere della prova tra accusa e difesa, se la sopra citata impossibilità di fronteggiare la crisi con il ricorso ad altre misure, invocata dall’imprenditore che non abbia ottemperato agli obblighi tributari di cui ai già citati artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000, integri gli elementi di una scriminante (o causa di giustificazione) ovvero rappresenti una scusante (o causa di esclusione della colpevolezza).

Le conseguenze dell’adesione all’una o all’altra opzione non sono di poco momento in quanto nella prima ipotesi la difesa potrà limitarsi ad allegare elementi (come, ad esempio, lo stato di solidità finanziaria dell’impresa ante emergenza covid) volti a “insinuare”, quantomeno, il ragionevole dubbio che, nel caso di specie, il fatto tipico (l’omesso versamento di imposte) sia stato commesso in presenza di una causa di giustificazione; nel secondo caso, al contrario, l’imputato non potrà limitarsi ad assolvere un onere di mera allegazione ma dovrà spingersi oltre e fornire degli elementi probatori che, seppur meramente indiziari, dimostrino che l’imprenditore abbia diligentemente adottato tutte le possibili misure idonee a scongiurare il rischio di illiquidità che lo ha portato al mancato assolvimento dell’obbligo tributario.

Questa seconda opzione interpretativa, ove volta a riconoscere l’esistenza della inesigibilità quale causa di esclusione della colpevolezza non codificata, oltre a comportare un aggravio per la posizione dell’imputato, sembra anche essere in contrasto con i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità[3] che, proprio in materia di reati tributari, ha affermato che il principio della non esigibilità di una condotta diversa da parte dell’agente – sia che si ricolleghi alla ratio della colpevolezza, sia che si riferisca all’ambito dell’antigiuridicità – non può trovare alcuno spazio e collocazione al di fuori delle cause di giustificazione e di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse, senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso il ricorso all’analogia juris.

Ebbene, de iure condendo, anche al fine di evitare interpretazioni difformi e fugare ogni dubbio circa la configurabilità e il corretto inquadramento dell’esimente in questione, sarebbe opportuno, ad avviso di chi scrive, anche un intervento legislativo che, pur consentendo al giudice penale di apprezzare, caso per caso, le peculiarità concrete della fattispecie, fissi dei criteri (quantomeno in termini di riparto e consistenza dell’onere probatorio) che orientino l’applicazione del diritto penale tributario, specie con riferimento alle condotte di omesso versamento, nella fase post emergenza covid.

NOTE

[1] Testo della relazione tenuta al webinar “Il fisco nell’epoca dell’emergenza” del 19 maggio 2020 organizzato dall’Associazione “Nuove Frontiere del Diritto” in collaborazione con il “Gruppo24ore”.

[2] Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2014, n. 23532.

[3] Cass. pen., sez. III, 9 aprile 2019, n. 22458.

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