Avv. Loretta Moramarco

Cassazione Civile n. 18927 del 10 ottobre 2012

La sentenza in esame censura la decisione del giudice d’appello che, a fronte della domanda di accertamento della responsabilità del datore di lavoro per una pluralità di comportamenti di natura vessatoria, negava il richiesto risarcimento del danno non ritenendo configurabile un’ipotesi di mobbing mancando il fine persecutorio comune. In tali ipotesi, infatti, evidenzia la Corte di Cassazione, il Giudice del merito è tenuto a valutare «se alcuni dei comportamenti denunciati – esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili». Il datore di lavoro, infatti, non è solo obbligato a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica e psichica del lavoratore dipendente (ai sensi dell’art. 2087 cod. civ.), ma deve altresì rispettare il generale obbligo di neminem laedere, che può essere violato anche da comportamenti non determinati ex ante da norme di legge. Alla risarcibilità dei danni cagionati da tali comportamenti non osta l’eventuale qualificazione della domanda di risarcimento in termini di danno da mobbing – peraltro insussistente nel caso di specie – in quanto la qualificazione giuridica dell’azione è compito del giudicante (purché si rispettino i limiti di rispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.).  La sentenza si segnala anche per l’interessante esame della legislazione e della giurisprudenza (anche europea) in materia di mobbing.

Fonte: http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_12709.asp

Di admin

Lascia un commento

Help-Desk