di Pietro Algieri

 

La legislazione moderna esprime una visione antropomorfica e antropocentrica del diritto penale. Sin dall’epoca illuminista, l’impianto ideologico del diritto penale liberale ha invero proiettato la sua attenzione sulle azioni umane, frutto della scelta volontaria dell’individuo. In questa prospettiva solo l’uomo è considerato possibile destinatario di un precetto o un divieto; solo rispetto alla persona fisica si è quindi reputato prospettabile una responsabilità penale. Gli stessi concetti di dopo, colpa, azione e colpevolezza sono, infatti, elaborati con riferimento al fatto illecito posto in essere da una persona fisica.

Per avvalorare l’estraneità al sistema della responsabilità penale delle persone giuridiche, la dottrina, ricorre alle norme costituzionali in materia penale, basando le proprie argomentazioni sul dettato dell’art. 27 Cost.  Quest’ultimo, consacra la natura personale della responsabilità penale e, soprattutto, pretende un minimo di partecipazione psichica in capo all’autore, in tal modo si giustifica un rimprovero al soggettivo attivo del reato con finalità rieducativa. Tutto ciò non è ipotizzabile nei confronti di una persona giuridica. L’art. 27 Cost., pertanto, funge da vero e proprio sbarramento rispetto alla costituzione di una responsabilità di un ente collettivo. E’ maturata, quindi, la consapevolezza che nel nostro ordinamento, una responsabilità di questo genere, difficilmente può trovare ragion d’essere e, perciò, vige il principio “societas delinquere non potest”.Tuttavia bisogna sottolineare come nel nostro ordinamento manchi una disposizione normativa che attesti la vigenza del principio in esame. Alcun autori, invero, hanno cercato di desumere la sua vigenza dal dettato disposto dall’art. 197 c. p.  Si è così ritenuto che prevedendo per la persona giuridica una mera obbligazione di garanzia e sussidiaria, rispetto alle persona fisica che ha commesso il reato, il legislatore, avrebbe implicitamente espresso l’opzione per l’irresponsabilità dell’ente.

La presenza delle norme costituzionali e un certo scetticismo da parte del mondo imprenditoriale avevano, quindi, sancito l’esclusione dell’ente dal novero dei soggetti attivi del reato, fin quando non è intervenuta l’Unione Europea. In modo particolare, a partire dal 1995, l’Italia ha sottoscritto una serie di trattati internazionali sia a livello europeo che extra-europeo, che prendevano atto della situazione riguardante il dilagare della criminalità, soprattutto, in materia economico finanziaria. All’interno di questi trattati, pertanto, erano precipuamente previsti dei rimedi al fine di arginare tale fenomeno criminale, compreso la responsabilità delle persone giuridiche.

L’Unione europea, pertanto, spinta da un’analisi sociologica che ha accertato, in modo particolare negli ultimi anni, che si è verificato un notevole incremento delle aggressioni agli interessi finanziari dell’Unione ad opera di gruppi criminali, tra cui vi rientrano gli enti collettivi. Sulla base di tale dato di fatto, quindi, l’Unione Europea si fece promotore di numerose convenzioni di cui fa parte l’Italia e che sono state ratificate nel nostro ordinamento con la legge del 29 settembre del 2000 n. 3000.  L’attenzione va posta, in particolare, sull’art. 11 che ha delegato il Governo di individuare una forma di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Sulla scorta di tale delega, quindi, il Governo promulgò il D.l.ga 231/2001. Nonostante ciò, vi era un ostacolo insormontabile, rappresentato dall’art. 27 Cost. Per vero, già in passato e prima che intervenisse l’Unione Europea, non è mancato chi ha tenacemente criticato l’indirizzo prevalente propenso ad escludere la responsabilità degli enti, basando le proprie argomentazioni sull’incapacità di tener conto delle moderne analisi sociologiche sulla fenomenologia delinquenziale oltre che con le differenti soluzioni legislative adottate in altri sistemi giuridici. Le analisi criminologiche, infatti, avevano evidenziato un’ampia propensione da parte degli enti a delinquere, non già sulla iniziativa delle persona fisica che opera al suo interno, ma sulla scorte di scelte generali di organizzazione e politica dell’impresa. Nel corso degli ultimi anni l’emergere di problematiche connesse all’evolversi della società industriale, ha gradualmente posto in crisi il principio “societas delinquere non potest”, almeno sotto alcuni profili . Si è cosi ravvisato l’interesse in favore di scelte di criminalizzazione intese a coinvolgere, quale diretta responsabile, anche la persona giuridica. La dottrina, quindi, si è impegnata nel cercare di superare le argomentazioni che sostengono l’indirizzo che esclude la colpevolezza degli enti. In primis, si è sostenuto che non è decisivo l’argomento secondo cui il diritto penale descrive condotte imputabili solo all’uomo, dato che anche le persone giuridiche operano per il tramite delle persone fisiche.

Né appare idoneo l’argomento che si basa sull’art. 197 c.p., in quanto la pena per la quale l’ente può essere chiamato a rispondere in garanzia dovrà essere commisurata dal giudice prendendo come punto di riferimento le condizione economiche della persona fisica responsabile, che saranno certamente più limitate di quelle dell’ente.  E’ stata auspicata, pertanto, un’applicazione analogica dei principi del diritto penale classico ad un soggetto di diritto, che ha assunto con il passare del tempo una sempre maggiore valenza sociale. Tale prospettiva, infatti, è stata fatta propria dalla giurisprudenza anglosassone, la quale ha affermato il principio per cui la società ha una conoscenza e volontà che è quella dei suoi organi, il cervello dell’ente; basterà allora l’elemento soggettivo delle persone fisiche che rappresentano ed operano per l’ente nei limiti dei loro poteri conferiti, per considerare quest’ultimo consapevole autore del reato.

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