Dott. Emanuele Mascolo

Delle false attestazioni e delle relative conseguenze penali, si sta recentemente parlando, viste le dichiarazioni dovute alla stregua dei provvedimenti restrittivi adottati dal nostro Governo a seguito della situazione di emergenza a cui stiamo assistendo a causa del Covid 19.

Per gli spostamenti, sia in caso di necessita, che per lavoro, si sta rendendo necessario controfirmare una certificazione predisposta, dichiarando di conoscere il contenuto dell’articolo 495 del codice penale.

Alla stregua di ciò è utile chiarire cosa prevede la norma richiamata, in caso di attestazioni mendaci, nonché i profili giurisprudenziali e dottrinali della stessa.

L’articolo 495 del codice penale prevede che: “chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni. La reclusione non è inferiore a due anni:1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome”.

La condotta di falsità dell’attestazione, può, stante l’emergenza che stiamo vivendo, essere commessa da un soggetto che dichiara in modo mendace la propria o altrui identità, pertanto è utile rimarcare a tal proposito ciò che sostiene la dottrina e la giurisprudenza.

Si ritiene infatti di dover applicare il principio del “nemo tenetur se detegere, operante in ragione del particolare momento in cui la dichiarazione mendace è realizzata, e per il fine al quale è diretta: cioè evitare una contestazione da parte dell’agente accertatore[1]

E’ stato evidenziato però, che le eventuali false attestazioni relative alla circostanza di trovarsi in un determinato luogo, non riguardano “né l’identità, né lo stato, né la qualità della persona a meno di attenersi a una interpretazione abbastanza ardua, in contrasto con le indicazioni tassative della legge sulle dichiarazioni sostitutive”.[2]

Tale posizione emerge anche da convinzioni e punti fermi dottrinali, nel ritenere non applicabile l’articolo 495 del codice penale, “dal momento che lo stesso verrebbe integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi a oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona; chiaramente, dichiarare il motivo del proprio spostamento non rientrerebbe nelle ipotesi descritte dalla norma”.[3]

La dottrina e la giurisprudenza, inoltre, hanno anche sostenuto che, mentire circa l’identità e le qualità personali, integra il reato di falsa generalità, dunque, non ogni falsa dichiarazione, sic et simpliciter risulta essere “idonea a costituire reato”. [4]

Dunque, “l’identità fa riferimento ai dati anagrafici, quelli riportati sul documento di riconoscimento: nome e cognome, data di nascita, ecc. Lo stato e le altre qualità fanno riferimento a tutti gli altri dati, secondari rispetto a quelli d’identità in senso stretto, ma comunque importanti per determinare l’individuazione precisa di una persona: si pensi alla professione svolta, alla residenza, ecc. Ad esempio, mentire sull’età significa mentire sulla propria identità; di conseguenza, commette reato chi fornisce generalità false ad un carabiniere o ad un poliziotto nel corso di un normale controllo”.[5]

Deve essere chiarito inoltre che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, consolidata sul punto, “non commette illecito colui che spontaneamente menta sulla propria identità o sulle qualità personali.”[6]

Alla stregua delle osservazioni svolte, si deve ritenere, come parte della dottrina ha fatto, che “la menzogna deve essere diretta necessariamente a un pubblico ufficiale, non anche ad un incaricato di pubblico servizio. Inoltre, si ritiene che tale mendacio debba essere cristallizzato in un atto, come può essere, ad esempio, un verbale dei carabinieri o quello elevato dal controllare che redige una multa”.[7]

Va osservato, che, a seguito del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 2020, lo Stato ha inteso collegare gli effetti della dichiarazione sull’identità personale, ad altre dichiarazioni: quella relativa alla causa degli spostamenti e quella relativa al non essere stati in contatto con soggetti contagiati da Covid 19 e non essere a conoscenza di averne avuti i sintomi.

Da ciò discende che, la punibilità ex articolo 495 del codice penale, si configura solo nel caso di dichiarazioni false relative all’identità, per le altre dichiarazioni in discorso, “l’ordinamento collega effetti giuridici, quali presupposti o condizioni di legittimazione nei rapporti intersoggettivi”.[8]

Giunti a questo punto si deve evidenziare che, le restrizioni alle quali siamo sottoposti, si sono rese necessarie in seguito alla diffusione del virus, per tutelare la salute di tutti e, sul tema, deve essere richiamata la Corte Costituzionale circa la validità di tali restrizioni, la quale non lascia spazi a dubbi alcuni, sostenendo che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non contrasta con la Carta fondamentale se il trattamento  è diretto a preservare lo stato di salute degli altri, giacché proprio tale ulteriore scopo, attinente all’interesse della collettività, giustifica la compressione dell’autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale” [9] ed in modo più rigoroso, altra sentenza della Corte Costituzionale, ha chiarito che “motivi di sanità o di sicurezza possono nascere da situazioni generali o particolari: tra le prime, obiettivamente accertabili e valevoli per tutti, si può annoverare la necessità di vietare l’accesso a località infette o di ordinarne lo sgombero; le seconde frequentemente derivano da esigenze che si riferiscono a casi individuali, accertabili dietro valutazioni di carattere personale”.

Orbene, alla luce delle esposizioni svolte deve essere aggiunta un ulteriore riflessione: la presa di coscienza, sotto il profilo punitivo, della blanda soglia punitiva della fattispecie di cui all’articolo 495 del codice penale e ciò per due motivi.

Il primo motivo è dato, in concreto, dalla possibilità di addivenire ad una sanzione amministrativa grazie all’applicazione dell’istituto dell’oblazione.

 Ciò evidentemente, priva la norma di “qualsivoglia effetto deterrente”.[10]

L’altro motivo riguarda l’aspetto psicologico, relativo all’impulso legato allo stato di paura, che può spingere un soggetto a violare le norme repressive imposte.

Tale aspetto può rendersi agevole perché non contrastato dalla previsione di una pena adeguata, o, comunque non è fronteggiato da una buona “controspinta dissuasiva[11]

A maggior chiarimento della fattispecie relativa all’ipotesi delittuosa descritta dalla norma in commento, va detto che è a forma libera, potendo essere commessa da chiunque, che è sufficiente il dolo generico e che il momento consumativo è da individuarsi, nel momento, sic et simpliciter della falsa attestazione fatta al Pubblico Ufficiale.

Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che il reato di false attestazioni si configura a carico dell’agente che, “privo di documento di identificazione”, fornisca, in casi di controlli; “false dichiarazioni sulla propria identità”, poiché “in assenza di altri mezzi identificativi, rivestono carattere di dichiarazione preordinata a garantire al Pubblico Ufficiale le proprie qualità generali”.[12]

Ed ancora, in via del tutto generale, occupandosi di un caso di specie, va chiarito che la Cassazione sull’argomento, ha ribadito che “integra il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale di cui all’art. 495 c.p. la condotta di colui che declini generalità false al «controllore» di un’azienda di trasporto urbano, in quanto le dichiarazioni del privato sono destinate ad incidere direttamente sulla formazione dell’atto pubblico costituito dal verbale di accertamento dell’infrazione”.[13] Ciò perché “la corte ha precisato che il «controllore» riveste la qualità di pubblico ufficiale in ragione dell’attribuzione di poteri autoritativi e certificativi individuati nelle funzioni di accertamento dell’infrazione, di identificazione personale dell’autore della violazione e di redazione del relativo verbale di accertamento, attribuiti dalle norme di legge, regionale e nazionale)”.[14]

[1] Flick G.M., “Coronavirus: attenzione a quegli arresti, potrebbero essere illegittimi”, https://www.open.online/2020/03/13/giovanni-maria-flick-coronavirus-attenzione-a-quegli-agli-arresti-potrebbero-essere-illegittimi/ del 13 marzo 2020

[2] Flick G.M., op.cit.

[3] Sgarbossa M., “Rilevanza penale delle false dichiarazioni al tempo del Covid-2019. L’interpretazione della Proc. della Rep. presso il Tribunale di Genova”, in Persona&Danno, 19.03.2020.

[4] C. Cass., n. 41135/2010.

[5] C. Cass., n. 41135/2010.

[6] C. Cass., n. 31391/2008.

[7] Acquaviva M., “E’ reato fornire false generalità?”, in https://www.laleggepertutti.it/232538_e-reato-fornire-false-generalita, 23 agosto 2018.

[8] C. Cass., n. 44111/2019.

[9] C. Cost., sentenza n. 307/1990.

[10] Natalini A., “In fuga da virus: cosa rischia chi viola la zona rossa”, in Guida al Diritto, 21 marzo 2020, n. 14, pagg. 69 e ss.

[11] Natalini A., op.cit.

[12] C. Cass., n. 41709/2019.

[13] C. Cass., n. 25649/2018.

[14] C. Cass., n. 25649/2018.

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