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A mortuo tributum exigere
a cura dell’Avv. Marianna Sabino
La tradizione riconduce l’origine del termine “brocardo” a Burchardus, vescovo di Worms, vissuto tra gli ultimi anni del 900 e i primi dell’anno 1000 d.C. Il giurista tedesco, infatti, raccolse in maniera certosina nelle Regulae Burchardicae una serie di locuzioni latine a carattere giuridico, ordinandole secondo il criterio alfabetico.
Il brocardo, per definizione, cristallizza in poche parole un pensiero, un principio, una regola. L’interesse verso tali locuzioni latine deriva dall’attualità dei concetti da esse espressi, così che sia possibile adoperarli per fare riferimento a situazioni di vita quotidiana, a peculiarità caratteriali dell’individuo e persino a principi e istituti giuridici.
Ahimè, mai brocardo fu più rappresentativo della realtà odierna di quello che attribuisce il titolo al presente elaborato.
Tuttavia, la circostanza per cui in epoche remote fu coniata l’espressione “Riscuotere le tasse dai morti” impone di pensare che il problema connesso ad una eccessiva tassazione non ha origini recenti.
Ciò è dimostrato dalla presenza del brocardo in tre opere, la Retorica di Aristotele, la Geografia di Strabone e gli Adagia di Erasmo da Rotterdam.
Quest’ultimo, in particolare, lo utilizza con riferimento alle tasse dovute dai sudditi per compiere le più disparate attività di vita quotidiana.
Ad esempio, un viaggiatore che fosse sbarcato in un porto avrebbe dovuto pagare un pedaggio al suo arrivo; inoltre, qualora per recarsi in città avesse avuto la necessità di attraversare un ponte, avrebbe dovuto pagare un altro pedaggio, a meno che non avesse preferito guadare il fiume a piedi!
Condizione di certo non migliore era quella in cui si trovava il contadino che, dopo aver arato con cura il proprio campo di grano, avrebbe dovuto pagare una tassa per poterlo raccogliere e un’altra per poterlo macinare.
L’allegoria dei governati rappresentati come individui ridotti pelle e ossa e dei governanti raffigurati come uomini grassi e sudici è sempre attuale.
Ma noi siamo fortunati, perché il nostro sistema tributario è informato a criteri di progressività!
Ciò vuol dire che il carico tributario cresce in misura più che proporzionale con il crescere della ricchezza imponibile.
In altre parole, più un soggetto è ricco e più paga (o dovrebbe farlo, a sua discrezione).
L’art. 53 della Costituzione sancisce anche il principio dell’universalità dell’imposta, che si ricava dall’utilizzo del pronome “tutti”: pertanto, chiunque realizzi i presupposti di legge necessari, sarà soggetto all’imposizione fiscale, a prescindere dal suo status di cittadino, straniero o apolide.
La norma costituzionale, inoltre, precisa che ognuno è tenuto a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Chiaramente, anche tale principio è rivolto al legislatore che, nel determinare i tributi, deve tener conto della capacità contributiva dei soggetti passivi: in dottrina si è notato che essa funge, allora, sia come presupposto che come limite all’imposizione tributaria, oltre che come parametro per differenziare il prelievo tributario stesso.
Questi principi, nell’idea del legislatore costituente, sarebbero stati atti a rendere l’imposizione tributaria rispettosa, al tempo stesso, del principio di uguaglianza formale ma anche di quello sostanziale.
Ma se il sistema tributario è così equo, com’è possibile che si esiga il pagamento dei tributi anche dai defunti?
E’ presto detto: la scomparsa della persona fisica non produce l’estinzione del debito già sorto e non ancora estinto.
Agli eredi, tuttavia, non si trasmette la sanzione irrogata per il mancato versamento di tributi quando il de cuius era ancora in vita.
E’ evidente, allora, che passar a miglior vita non costituisce un valido escamotage per sfuggire al pagamento della gabella!!!