a cura della D.ssa Antonella Martucci

 

Inquadramento: L’art. 348 c.p. è inserito del titolo II, capo II, relativo ai delitti dei privati contro la pubblica amministrazione.  Tale disposizione punisce chi esercita abusivamente una professione per il cui esercizio lo Stato prevede una speciale abilitazione.

La  ratio della norma consiste nella tutela dell’interesse generale a che una determinata professione, che richieda determinate competenze tecniche e qualità morali, sia esercitata dopo aver conseguito una specifica abilitazione amministrativa.

Bene giuridico: l’interesse a che determinate attività siano poste in essere da soggetti dichiarati idonei per aver conseguito l’abilitazione richiesta dalla legge.

Soggetto attivo: chiunque si trovi sprovvisto dei requisiti richiesti per l’esercizi della professione; ovvero, pur possedendo i suddetti requisiti sotto il profilo sostanziale, non abbia conseguito l’abilitazione formale.

Soggetto passivo: è lo Stato. Ciò determina due conseguenze:

  1. Non può essere considerata scriminante l’eventuale consenso da parte del destinatario della prestazione professionale abusiva;
  2. Non è ammessa la costituzione come parte civile nel processi penali da parte degli ordini professionali. Ciò in quanto il loro danneggiamento è solo riflesso e mediato.

Elemento soggettivo: il dolo. Consapevolezza e volontà di compiere uno o più atti relativi ad una professione senza essere in possesso dei requisiti formali richiesti.

Condotta: consiste nell’esercizio abusivo della professione. Quindi, la professione deve essere esercitata abusivamente, inteso con ciò, a livello generale, l’esercizio dell’attività senza essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. Vi è un indirizzo generalmente seguito in dottrina e giurisprudenza (recentemente avvallato delle S.U.)secondo cui la capacità di esercizio della professione non è limitato al solo possesso della speciale abilitazione, ma riconosce che tale capacità può essere connessa ad altri requisiti, quale l’iscrizione in appositi albi.

Consumazione: nel momento e luogo in cui è posto in essere il primo atto d’esercizio.

Tentativo: è configurabile.

 

Aspetti peculiari: La norma in esame è considerata una norma penale in bianco. Secondo giurisprudenza costante, detta norma necessità d’integrazione da parte di altre fonti con riferimento:

  • All’attività oggetto di abilitazione statale;
  • All’abusività del loro esercizio.

Sul punto si è inoltre precisato che possono essere considerate fonti integrative non solo quelle che determinano la disciplina dei vari ordinamenti professionali, ma tutte le normative rilevanti allo scopo.

Più in particolare, nel 2007 i giudici di legittimità avevano rilevato che l’integrazioni da parte di norme di rango primario può riguardare le condizioni oggettive e soggettive in mancanza delle quali vi è un esercizio abusivo della professione. Diversamente, l’integrazione da parte di norme di rango secondario dove limitarsi a indicare regole tecniche in grado di specificare elementi già contenuti nel precetto penale.

A fronte di tale orientamento, vi è una diversa tesi di dottrina e Corte Costituzionale, secondo cui l’art. 348 c.p. delinea in maniera esauriente gli elementi costitutivi della fattispecie, senza che i contenuti  e i limiti di ciascuna abilitazione confluiscano nel fatto tipico.

Al di là dei contrapposti orientamenti illustrati, è pacifico che la fattispecie oggetto di studio presenti una formulazione eccessivamente astratta in cui l’eterointegrazione da parte di norme extrapenali assume un ruolo determinante nella determinazione dell’area penalmente rilevante. Tale rilevanza diventa massima in caso integrazione da parte di una normativa dell’Unione Europea, che può condurre, in alcuni casi, alla disapplicazione dell’art. 348 c.p.

Ambito applicativo: l’argomento è stato oggetto di una querelle giurisprudenziale recentemente risolta dalle Sezioni Unite. In particolare, ci si è posti il problema di quali atti debbano rientrare nel campo applicativo dell’articolo in questione. Al riguardo si sono sviluppati due diverse linee di pensiero:

1)      orientamento tradizionale: gli atti rilevanti ex l’art. 348 c.p. sono quelli attribuiti in via esclusiva ad una determinata professione. Tale orientamento si basa sul principio di libertà economica ex art. 41, co. 1 Cost., oltre che sulla considerazione che altrimenti vi sarebbe un’applicazione analogica della legge penale e la violazione del principio di tassatività. In particolare, il principio di tassatività richiede che la fonte esterna individui in modo preciso gli atti specifici di quella professione, al fine di evitare confusione con professioni limitrofe. Ed è proprio tale considerazione che rappresenta un punto di debolezza per tale orientamento. Al riguardo, si è, infatti, osservato come le varie normative di settore siano carenti di chiarezza ed univocità circa l’indicazione degli atti attributi esclusivamente ad una determinata professione;

2)      orientamento recente: parte dal concetto di “esercizio di una professione”, inteso come il compimento di atti caratteristici della stessa. Più nello specifico la professione è “un’attività umana caratterizzata da continuità e svolta a fine lucrativo e con autonomia da un soggetto con un adeguato corredo di cognizione tecnico scientifico”. Pertanto, secondo tale orientamento, tutti gli atti caratteristici di una professione assumono rilevanza ex art. 348 c.p. Nello specifico, tale tesi effettua una distinzione tra:

  • atti attribuiti in via esclusiva ad una professione, il cui compimento determina la realizzazione del reato anche mediante la realizzazione in via occasionale e gratuita;
  • atti relativamente liberi, strumentalmente connessi all’esercizio di una professione, e che risultano protetti se svolti con continuità, organizzazione e  remunerazione.

Inoltre, tale filone giurisprudenziale ha evidenziato che l’estensione dell’incriminazione anche agli atti relativamente liberi si rende necessario per la tutela del legittimo affidamento che un cittadino ripone nella circostanza che un professionista, in quanto abbia superato un esame di abilitazione e sia soggetto a determinate regole, possa incorrere in sanzioni disciplinari in caso di violazioni delle stesse.

Come già in precedenza accennato, sulla questione sono intervenute le S.U. (Cass. Pen. Sez. Un, 23 marzo 2012, n. 11545). Con tale sentenza gli ermellini, aderendo sostanzialmente all’interpretazione estensiva, hanno ritenuto che vi sia abusivo esercizio di una professione anche nel caso in cui vengono posti in essere atti relativamente liberi. I giudici di legittimità hanno, infatti, sostenuto che gli atti caratteristici di una professione, seppur non esclusivi, servono comunque a qualificarla se svolti con un certo tipo di organizzazione, in modo continuativo e remunerativo.

Con tale sentenza, però, le S.U. hanno apportato un correttivo alla suddetta interpretazione estensiva. Nello specifico gli ermellini hanno rilevato che non rientrano tra gli atti di esercizio di una professione quelli individuati in modo generico dalla stessa normativa di settore. Più in particolare, nel rispetto del principio di tassatività, che opera, oltre che per le disposizioni penale, anche per fonti integrative del precetto, gli atti relativamente liberi debbono essere qualificati nelle varie normativa di settore, attraverso una previsione puntuale e non generica, come di specifica o particolare competenza di quella professione.  Muta, quindi, l’oggetto della tipicità, non più riferibile al singolo atto, ma alle modalità di esercizio delle attività.

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