GARANZIA DELL’APPALTATORE PER GLI IMMOBILI DI LUNGA DURATA

AI SENSI DELL’ART. 1669 C.C.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile 03/02/2012 nr 1674

Claudia Zangheri Neviani

 

La massima

“In materia di appalto, ove il committente agisca nei confronti dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 1669 c.c., per il risarcimento dei danni conseguenti a gravi difetti di costruzione di un immobile, non può operare tra le parti la clausola di esonero di responsabilità eventualmente pattuita, trattandosi di responsabilità extracontrattuale.”

 

Il caso

Una coppia di coniugi ha acquistato dalla società costruttrice un appartamento. Successivamente alla vendita riscontrano notevoli difetti di costruzione in genere e in particolar modo alla rete fognaria condominiale. A seguito di riparazioni non sufficienti effettuate dal venditore-costruttore, i compratori ricorrono in giudizio sostenendo che le riparazioni non sono state risolutive, chiedendo il risarcimento dei danni.

La società costruttrice, nonché venditrice sostiene, al contrario l’inopponibilità della domanda in ragione della clausola compromissoria contenuta nell’atto di compravendita.

Il tribunale di Napoli, a seguito di un controllo tecnico di ufficio ha condannato la società a risarcire i coniugi.

In appello la società ha continuato ad opporre la presenza della clausola compromissoria nel contratto di compravendita nonché la decadenza per prescrizione dell’azione instaurata dai coniugi ex art. 1495.

La corte di appello di Napoli ha dato ragione alla società sostenendo che “qualunque controversia, derivante dal contratto medesimo, avrebbe dovuto essere devoluta ad un collegio arbitrale” poiché la controversia in questione ha origine dal contratto di compravendita, per cui “ la responsabilità del venditore per difetti della cosa venduta, deve ritenersi di natura contrattuale anche con riguardo al risarcimento dei danni prodotti dai vizi denunciati.”

Quesito da risolvere

La responsabilità ex art. 1669 c.c. è da intendersi: responsabilità contrattuale o extracontrattuale?

Normativa e norma applicabile

Art. 1669 c.c.

 

Nota esplicativa

L’appalto è definito dall’art. 1665 come il contratto con cui una parte assume l’obbligazione di compiere per l’altra un’opera o un servizio. Si tratta dunque di una prestazione di lavoro diretta ad uno specifico scopo. Nello specifico è un contratto obbligatorio, tipicamente oneroso e commutativo, da cui deriva una responsabilità dell’appaltatore che deve essere presa in considerazione sotto diversi aspetti.

 

Natura giuridica della responsabilità

Prima di verificare di che tipo di responsabilità si tratti occorre fare un piccolo excursus sulla responsabilità in generale. La prima distinzione da fare è tra responsabilità contrattuale, ed extracontrattuale. Esse hanno in comune la stessa nozione di responsabilità, intesa come sanzione alla violazione di un dovere giuridico, ma si differenziano sul contenuto. La prima si basa sul comportamento disciplinato dal contratto, tutelando così l’adempimento; la seconda, detta anche responsabilità aquiliana, è diretta al risarcimento ed all’eliminazione dei danni provocati da un comportamento illecito. Ne consegue che la responsabilità extracontrattuale è una situazione giuridica soggettiva, diversamente si rientrerebbe nell’ambito della responsabilità contrattuale. Grande dibattito teorico si è avuto in merito al fondamento della responsabilità aquiliana. Le correnti dottrinali si sono suddivise tra la posizione tradizionale della concezione etica: che inquadra la responsabilità in termini di sanzione ad un comportamento volontariamente contrario al dettato di una norma giuridica. Si presuppone, perciò, che vi sia quanto meno la colpa, come elemento soggettivo. La critica maggiore a tale pensiero è stata fatta a seguito dell’aumentare dei danni c.d. di massa, dove l’illiceità per colpa risulta inadeguata a tutelare le persone offese.

Da questa considerazione prende piede la concezione tecnicistica della responsabilità: essa non è un metodo di repressione per colpire gli atti vietati e punire i colpevoli, ma un sistema di tutela del danneggiato che ottiene così il risarcimento del danno subito. In questo modo viene negata rilevanza alla colpa, poiché la responsabilità in oggetto altro non è che una reazione all’ingiustizia del danno, per cui, quest’ultimo, si deve imputare solo in base a criteri economici.

Tra le ultime due concezioni ve n’è una intermedia sostenuta da Trimarchi c.d. eccletica. Essa pone a base della responsabilità i due principi generali della responsabilità civile: la colpa e il rischio; si tratta di due principi tra loro diversi ed autonomi. Ne consegue, allora, che si può avere contemporaneamente una responsabilità per i rischi, oggettiva, connessa al comportamento materialmente posto in essere dal soggetto, che prescinde dalla colpa; e una responsabilità basata, invece, sulla colpa, che viene utilizzata al fine di punire il soggetto responsabile.

Bianca, dal canto suo, sostiene che la responsabilità extracontrattuale non rientra in nessuna delle sopra menzionate concezioni, in quanto non si raffigura né come strumento di punizione, né come strumento di risarcimento dei danni, né tantomeno come tutela verso un illecito civile. Per Bianca “unico generale suo fondamento è la violazione del precetto di rispetto altrui (alterum non laedere) [1]

 

Garanzia contro i vizi ai sensi degli articoli 1667 e 1668.

Passando alla trattazione del caso concreto si osserva in primo luogo che il codice civile disciplina all’art. 1667 la garanzia che l’appaltatore ha verso il committente nei cui confronti è tenuto per la difformità e i vizi dell’opera, cioè all’esatto adempimento del contratto. La dottrina maggioritaria[2] e la giurisprudenza[3], qualificano detta responsabilità in termini di responsabilità contrattuale per inadempimento. Le parti possono, quindi modificarne la disciplina prevista ex lege, cambiando i presupposti, gli effetti o la durata, ma in nessun caso possono escludere o limitare la responsabilità per dolo o colpa grave ex 1229 c.c. Sul piano probatorio è il committente a dover provare il vizio o la difformità dell’opera, mentre, invece, la colpa dell’appaltatore si presume fino a prova contraria. Per il risarcimento del danno, al contrario, l’onere probatorio è a carico del committente. In tal senso si è espressa da subito la giurisprudenza e la dottrina, le quali ritenevano la garanzia in questione in senso tecnico, fondano tale assunto sull’irrilevanza della colpa dell’appaltatore.

La principale critica sostiene che non possa trattarsi di garanzia in senso tecnico, in quanto si tratterebbe di una promessa di indennità per un evento dannoso, eventuale, che prescinde da ogni colpa. La garanzia dell’appaltatore è al contrario l’applicazione della comune responsabilità contrattuale per inadempimento o non esatto adempimento. La cassazione ha, infatti, sempre sostenuto che “le disposizioni speciali che regolano l’adempimento che non contengano espressa deroga alle disposizioni generali sui contratti, costituiscono sostanzialmente estrinsecazione e integrazione di tali principi. Ne consegue che il disposto dell’art. 1668 va coordinato con quello dell’art. 1445 dello stesso codice.”[4] Tale ultimo orientamento è da ritenersi ad oggi consolidato ed uniforme.

 

Garanzia per gli immobili di lunga durata ex dell’art. 1669 c.c.

Una responsabilità più grave di quella disciplinata dal 1667 è prevista dal legislatore all’art. 1669, con cui disciplina una responsabilità speciale per gli immobili di lunga durata. Questa ha come fine una maggiore tutela del committente. È, però, questione dibattuta se si tratti di responsabilità contrattuale, essendo la norma situata all’interno della disciplina dell’appalto; o di responsabilità extracontrattuale: in quanto la norma persegue un interesse pubblico e generale, che trascende i rapporti contrattuali

Sulla sua natura giuridica dottrina e giurisprudenza sono divise. Da un lato vi è la dottrina, che al suo interno è scissa in diverse correnti. Alcuni autori[5] ritengono che si tratti di una responsabilità contrattuale, per svariate ragioni. In primo luogo si sostiene che si l’obbligazione è primaria in quanto nasce dal contratto, nello specifico, sorge l’obbligo di eseguire l’opera e di garantire che essa sia priva di vizi e difformità. Vi è, poi, l’interpretazione letterale della norma, la quale disciplina solo la responsabilità nei confronti del committente, mentre per estenderla anche nei confronti degli aventi causa di quest’ultimo il codice lo ha previsto espressamente. Infine ci sono ragioni di ordine sistematico: la norma è infatti collocata all’interno della disciplina dell’appalto, a cui si aggiunge il carattere privato dell’interesse del proprietario alla conservazione dell’immobile. Anche se configurata nell’ambito della responsabilità contrattuale, i sostenitori di questa teoria, comunque, ammettono che si tratta di una responsabilità contrattuale particolare, sia per quanto riguarda i presupposti, l’applicazione, il contenuto e le modalità di esercizio dell’azione stessa. Ha aderito a questa corrente dottrinale anche la corte di appello di appello di Napoli, cassata dalla Cassazione in commento.

Vi è una tesi intermedia, peculiare, che configura la responsabilità ex 1669 c.c. come mista: in parte contrattuale nei confronti delle parti del contratto, ed in parte extracontrattuale verso i terzi.

La terza corrente dottrinale qualifica la responsabilità in oggetto in termini di responsabilità extracontrattuale. I sostenitori di questa teoria affermano che la responsabilità sorge per il semplice fatto che l’immobile è stato costruito, si tratterebbe così di una responsabilità ex lege. Questa corrente dottrinale sostiene che da un lato vi sia una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 applicabile al costruttore tutte le volte in cui non costruisca a regola d’arte; e dall’altro, una responsabilità oggettiva ex 1669 per il decennio decorrente dall’ultimazione dell’edificio.

Anche la giurisprudenza della suprema corte è consolidata nel ritenere che si tratti di una responsabilità extracontrattuale. Essa è infatti posta a tutela di un interesse generale della collettività: quello della stabilità e solidità degli immobili, nonché quello della incolumità delle persone. Si tratta, quindi, di una norma di ordine pubblico che tutela un interesse generale inderogabile, quale quello della incolumità personale e della sicurezza dei cittadini, che va oltre i limiti imposti dai regolamenti negoziali. La cassazione la ha più volte precisato, in tal senso ad esempio: Cass. 14.12.1993 nr 12304 “l’art. 1669 c.c., benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata.

 

Rapporto tra le norme.

Il rapporto che sussiste tra le varie norme in materia cambia a seconda della teoria che uno segue. Se si aderisce alla teoria della responsabilità contrattuale si osserva come l’art. 1669 c.c. si pone come norma eccezionale rispetto agli articoli 1667-1668 c.c. La garanzia per i vizi è la garanzia generale che l’appaltatore deve prestare, quella per la rovina è invece eccezionale, e di conseguenza non può essere oggetto di interpretazione analogica.

Al contrario aderendo alla dottrina maggioritaria che configura la responsabilità ex 1669 c.c. come extracontrattuale, essa si configura come autonoma e distinta dalla garanzia per i vizi e le difformità disciplinata dagli articoli 1667 e 1668 c.c. Queste norme, disciplinando fattispecie del tutto diverse tra loro, in quanto differenziate dalla loro natura, possono solo essere concorrenti, nel caso in cui ricorrano i presupposti per entrambe le fattispecie di responsabilità.

L’art. 1669 c.c. è norma speciale con riferimento all’art. 2043 c.c. che, in quanto norma generale, si applica tutte le volte in cui la responsabilità deriva da fatto illecito in base al principio del neminem laedere, l’art. 2043 c.c. si applica, quindi, tutte le volte in cui non è possibile applicare l’art. 1669 c.c.[6]. Ne deriva che quest’ultimo. opererà per tutto il decennio dalla costruzione dell’immobile. Tempo in cui, invece, l’art. 2043 c.c. non avrà utilità alcuna; quest’ultimo, infatti, tornerà applicabile decorsi i dieci anni, tutelando così per il tempo successivo i danni derivanti da fatti illeciti. Esemplificativa in merito è la Cass. 12 aprile 2006 nr. 8520 “L’azione ex art. 2043 c.c. è, dunque, proponibile quando in concreto non sia esperibile quella dell’art. 1669 c.c., perciò anche nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera. Nell’ipotesi di esperimento dell’azione disciplinata dall’art. 2043 c.c. non opera, ovviamente, il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore, che lo onera di una non agevole prova liberatoria. Pertanto, in tal caso spetta a colui il quale agisce provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c. e, in particolare, anche la colpa del costruttore”.

 

Legittimazione ad agire.

Anche nel’ambito della legittimazione ad agire cambiano i soggetti a seconda che si segua la teoria contrattuale o quella extracontrattuale della responsabilità in oggetto.

Seguendo al teoria contrattuale la legittimazione spetta solo al committente ed ai suoi aventi causa, essendo questi gli unici che sono da considerarsi come parte del contratto.

Aderendo alla teoria maggioritaria che vede nell’art. 1669 c.c. una responsabilità di natura extracontrattuale, sancita per ragioni e finalità di interesse generale, l’azione può essere esercitata non solo dal committente o dai suoi aventi causa, verso l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, senza che abbia rilievo il sottostante rapporto giuridico in relazione al quale la costruzione è stata effettuata[7] (Cass. 14.12.1993 nr 12304 “Conseguentemente l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita )in base al quale l’immobile è pervenuta nella sfera di soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti, i quali possono fruire del termine annuale di decadenza.”). Ne consegue che l’applicazione dell’art. 1669 c.c. nei confronti del venditore è giustificata tutte le volte in cui il venditore abbia fatto rilevare la sua diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, assumendosela sia nei confronti dei terzi che degli acquirenti. L’azione può, inoltre, essere proposta anche da qualunque terzo che abbia subito danni.

Da ultimo la cassazione[8] ha ammesso che l’azione di responsabilità può essere promossa anche da ciascun condomino o dall’amministratore, sia nel caso in cui i danni concernino la proprietà esclusiva, sia nel caso in cui riguardino le parti comuni dell’edificio Cass. 30.01.1995 nr 1081 “All’azione di responsabilità per gravi difetti della costruzione, di cui all’art. 1669 c.c., relativa a parti comuni di un edificio condominiale è abilitato, oltre ai condomini anche l’amministratore del condominio …”.

 

Giurisprudenza conforme

Cassazione 16 febbraio 2012 nr 2238

Cassazione 20 novembre 2007 nr 24143

Cassazione 31 marzo 2006 nr. 7634

Cassazione 12 aprile 2006 nr 8520

Cassazione 28 gennaio 2005 nr. 1748

Cassazione 7 gennaio 2000, nr. 81

Cassazione 7 aprile 1999 nr 3338

 

Bibliografia

Maria Cristina Cervale “La responsabilità dell’appaltatore” il diritto privato oggi serie a cura Paolo Cendon, Giuffrè editore.1999

Tommaso De Luca “ Dei singoli contratti” volume secondo, manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi. Giuffrè editore, 2002

Pietro Rescigno “Appalto” Enc. Giur. Treccani

Gerardo Villanacci “Appalto” Digesto pag 43 e seg.

Francesco Caringella Lezioni e sentenze di diritto civile 200 ” Dike Giuridiche Editrice.

Codice civile annotato con la giurisprudenza, a cura di Paolo Cendon Utet, 1996

Nuova rassegna di giurisprudenza sul codice civile, tomo IV, collana Ruperto-Sgroi, 1998-2000

 

Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-02-2012, n. 1674

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C. e F.G., rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. OLIVIERI Giuseppe, elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Carola Cicconetti in Roma, via Cola di Rienzo, n. 149;

– ricorrente –

contro

HOLDINVEST s.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. RUSCIANO Rosario, elettivamente domiciliata presso lo studio legale Di Napoli in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore; G.M. e D.L.V.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 707 del 24 febbraio 2010.

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2012 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Giuseppe Olivieri;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

Svolgimento del processo

Ritenuto in fatto

1. – Con citazione del 17 gennaio 1998, i coniugi P.C. e F.G. – acquirenti dalla s.r.l. Finvena di un appartamento su tre livelli (il n. (OMISSIS) di un complesso abitativo sito in (OMISSIS)) – dichiararono che esso presentava notevoli difetti costruttivi in genere e significativamente alla rete fognaria condominiale e che le riparazioni effettuate dal venditore – costruttore nell’ottobre 1995 non erano state risolutive. Ricordato che l’accertamento tecnico preventivo chiesto dal condominio aveva rilevato numerose anomalie e difetti, convennero in giudizio la Finvena s.r.l. per sentirla condannare al risarcimento dei danni.

Si costituì in giudizio la Holdinvest s.p.a., società incorporante la Finvena s.r.l., eccependo l’improponibilità della domanda, in ragione della clausola compromissoria contenuta nel contratto di vendita, e chiedendo di essere autorizzata a chiamare in causa il Condominio del (OMISSIS) e il proprietario della villetta n. (OMISSIS); spiegò pure domanda riconvenzionale nei confronti degli attori per il risarcimento dei danni dovuti a interventi di manomissione dello stato dei luoghi da loro effettuati.

Con successivo atto dell’8 marzo 2000, la Holdinvest s.p.a. convenne in giudizio il Condominio del
(OMISSIS) nonchè G. M. e D.L.N., chiedendo la condanna solidale (o di chi fosse stato ritenuto esclusivo responsabile) al ripristino dello stato dei luoghi e a manlevarla da ogni responsabilità o esborso posto a suo carico, sia nei confronti dei coniugi P. – F., sia nei confronti di altri condomini.

I coniugi G. – D.L. eccepirono a loro volta il difetto di legittimazione passiva, chiedendo il rigetto della domanda per l’esclusiva responsabilità della Holdinvest in ordine a tutte le deficienze tecniche e costruttive dell’impianto fognario.

Si costituì anche il Condominio del (OMISSIS), eccependo la carenza d’interesse ad agire dell’attrice per la domanda di accertamento (per difetto di obiettiva incertezza) e per quella di rivalsa; propose poi domanda riconvenzionale nei confronti del costruttore per ottenerne la condanna alla ricostruzione dell’impianto fognario e al risarcimento dei danni.

Riuniti i giudizi ed espletata c.t.u., il Tribunale di Napoli, con sentenza del 29 giugno 2004, condannò la società Holdinvest a pagare ai coniugi P. – F. la somma di Euro 67.450,21, oltre interessi legali, rigettando o dichiarando inammissibili le altre domande.

2. – La sentenza è stata appellata dalla società Holdinvest, che ha sostenuto l’improponibilità della domanda in conseguenza della clausola compromissoria contenuta nel contratto di compravendita, nonchè la decadenza e/o la prescrizione dell’azione instaurata dal P. e dalla F. a norma dell’art. 1495 cod. civ., ed ha contestato gli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 24 febbraio 2010, ha dichiarato improponibile la domanda principale proposta dai coniugi P. – F. nei confronti della società Holdinvest e la domanda riconvenzionale da questa formulata a loro carico; ha dichiarato poi inammissibili le domande proposte dalla società Holdinvest nei confronti del Condominio e dei coniugi G. – D.L..

A tale conclusione la Corte del merito è giunta dopo avere rilevato:

–      che “le parti del contratto di compravendita, all’art. 9, avevano convenuto che qualunque controversia, derivante dal contratto medesimo, avrebbe dovuto essere devoluta ad un collegio arbitrale”;

–      che “la controversia insorta tra i contraenti trova la sua genesi nel contratto di compravendita con cui gli attori hanno acquistato l’unita abitativa de quo dalla … Finvena, invocando essi la responsabilità del venditore per difetti della cosa venduta, che deve ritenersi di natura contrattuale anche con riguardo al risarcimento dei danni prodotti dai denunciati vizi”;

–      che “non ha rilievo la circostanza che la società venditrice fosse anche costruttrice dell’appartamento, atteso che l’azione trova la sua causa petendi nel contratto di compravendita, in mancanza del quale non avrebbe avuto ragione di essere”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il P. e la F. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 30 giugno ed il 1 luglio 2010.

La società Holdinvest ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo (nullità della sentenza per violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 101 cod. proc. civ.) i ricorrenti si dolgono del fatto che la sentenza impugnata, tanto nell’indicazione del nome delle parti quanto nello svolgimento del processo, abbia dichiarato la contumacia degli appellati P. e F., laddove essi – rappresentati e difesi dall’Avv. Andrea Palumbo – avevano non solo svolto deduzioni in udienza, ma anche depositato il loro fascicolo con tempestiva comparsa di costituzione, comparsa conclusionale e memoria di replica. Ad avviso dei ricorrenti, la dichiarazione di contumacia contiene l’esplicita ammissione della Corte di merito di non avere considerato tutte le dichiarazioni operate e le difese illustrate (oltre che i documenti prodotti) dal procuratore del P. e della F., tanto più che nessuna parola della motivazione della sentenza è dedicata agli argomenti defensionali di costoro.

1.1. – Il motivo è infondato.

In applicazione del più generale principio secondo cui l’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo (Cass., Sez. 1, 22 luglio 2004, n. 13662; Cass., Sez. 3^, 12 settembre 2011, n. 18635), va affermato che l’erronea dichiarazione della contumacia di una parte non determina un vizio della sentenza deducibile in cassazione se non abbia provocato in concreto alcun pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva, nè abbia inciso sulla decisione (Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2002, n. 2881; Cass., Sez. 1^, 7 febbraio 2006, n. 2593).

Nella specie, è esatto che nel procedimento dinanzi alla Corte territoriale gli appellati P. e F. si sono regolarmente costituiti, mentre nell’epigrafe della sentenza essi sono indicati come contumaci, e così pure nella parte relativa allo svolgimento del processo della medesima sentenza si rileva che l’uno e l’altra “sono rimasti contumaci …, nonostante la ritualità della notifica dell’atto di appello”.

E tuttavia, tale erronea dichiarazione non ha comportato alcuna illegittima limitazione dell’attività difensiva della parte, come si ricava agevolmente dal fatto che la sentenza impugnata ha preso in considerazione, sia pure per disattenderlo, il rilievo, svolto dalla difesa degli appellati P. e F., che la società venditrice fosse anche costruttrice dell’appartamento.

L’esame della sentenza della Corte di Napoli smentisce così la doglianza relativa al mancato esame, da parte di quel giudice, delle difese degli appellati P. e F..

2. – Il secondo mezzo (omessa e comunque insufficiente motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio) censura l’apparenza e l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, esauritasi nell’affermazione secondo cui i compratori avrebbero invocato la responsabilità del venditore per difetti della cosa venduta. Una motivazione adeguata – sostengono i ricorrenti – avrebbe dovuto esaminare la domanda e spiegare – sulla base degli elementi in essa contenuti e in particolare in ordine alla dedotta dipendenza dei danni lamentati “dai difetti costruttivi … alla rete fognaria condominiale” – se e in che modo i coniugi P. – F. avessero inteso far valere la generale responsabilità extracontrattuale della Holdinvest s.p.a. ovvero quella nascente dal contratto e, specificamente, se (dedotto il contratto quale fatto storico e titolo di legittimazione) fossero stati denunciati dei gravi difetti di costruzione e la correlata responsabilità del costruttore – venditore a norma dell’art. 1669 cod. civ., o più semplicemente i vizi della cosa venduta.

Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 e 1490 cod. civ., in riferimento all’art. 1490 cod. civ.) si denuncia la sentenza impugnata nella parte in cui ha sancito l’inammissibilità della domanda sul rilievo che la (affermata) natura contrattuale della controversia imponeva l’applicazione della clausola compromissoria contenuta nel contratto di compravendita dell’immobile di proprietà dei coniugi P. – F.. A fondamento della decisione della Corte napoletana vi sarebbe anche l’erronea ricognizione delle fattispecie previste dagli artt. 1469 e 1490 cod. civ., avendo essa ritenuto che la denuncia dei difetti della cosa venduta comportasse necessariamente l’esercizio di un’azione fondata sul contratto di compravendita. Ad avviso dei ricorrenti, la denuncia dei gravi difetti costruttivi e la richiesta risarcitoria esigevano l’applicazione alla fattispecie dell’art. 1669 cod. civ.. La sentenza impugnata avrebbe ingiustamente negato la tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24 Cost., comma 1, e art. 102 Cost., comma 1.

2.1. – Il secondo ed il terzo motivo – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.

Occorre premettere che l’art. 1669 cod. civ., benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto a garantire la conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, attesa l’attitudine della norma a presidiare, piuttosto che particolari interessi sottostanti al rapporto contrattuale di appalto, l’imprescindibile esigenza di tutela della pubblica incolumità, messa a repentaglio dal contegno dell’imprenditore che ometta di adottare le cautele atte ad assicurare la stabilità e solidità dell’edificio. Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale (Cass., Sez. 2^, 15 febbraio 2011, n. 3702; Cass., Sez. 2^ 4 ottobre 2011, n. 20307) e, sorgendo non dal contratto di appalto, ma dal puro e semplice fatto di avere costruito l’immobile, può essere esercitata non solo dal committente nei confronti dell’appaltatore, ma anche da parte dell’acquirente, attuale proprietario dell’immobile, nei confronti del costruttore – venditore (Cass., Sez. 2^, 14 dicembre 1993, n. 12304; Cass., Sez. 2^, 31 marzo 2006, n. 7634; Cass., Sez. 2^, 31 marzo 2011, n. 7470).

Ora, nella specie, dall’atto di citazione è agevole desumere che gli acquirenti, nell’evocare in giudizio la società venditrice e costruttrice dell’immobile della quale domandarono la condanna al risarcimento del danno, lamentarono la presenza di “notevoli difetti costruttivi … significativamente alla rete fognaria condominiale ed in particolare alla unità abitativa degli istanti posta al centro dell’intero complesso ove esiste una maggiore pendenza della fogna”, ed il fatto di essersi ritrovati “allagati nelle parti basse dell’immobile e cosa gravissima con fuoriuscita di acque scure e maleodoranti provenienti dalla rete fognaria condominiale, con grave pregiudizio e danni sia all’immobile e sia alla salute degli occupanti”.

In tal modo gli attori, denunciando la presenza di gravi difetti costruttivi relativi alla rete fognaria e domandando la condanna al risarcimento del danno della società costruttrice e venditrice dell’immobile, hanno dedotto un titolo di responsabilità astrattamente inquadrabile nell’art. 1669 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 2^, 21 aprile 1990, n. 3339; Cass., Sez. 2^, 28 marzo 1997, n. 2775).

E’ pacifico che la clausola n. 9 del contratto di compravendita inter partes prevede la devoluzione ad un collegio arbitrale di tre membri di “qualunque controversia nascente dal presente contratto”.

La clausola compromissoria riferentesi genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui inerisce, deve essere interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale (tutte) le controversie relative a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo (Cass., Sez. 2^, 20 febbraio 1997, n. 1559; Cass., Sez. 1^, 2 febbraio 2001, n. 1496; Cass., Sez. 1^, 22 dicembre 2005, n. 28485; Cass., Sez. 2^, 20 giugno 2011, n. 13531).

Nella specie invece il contratto di compravendita costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l’azione proposta, ma non la causa pretendi della stessa, perchè il grave difetto costruttivo denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo di un’eventuale responsabilità aquiliana, è un fatto che non sostanzia una domanda di fonte contrattuale, alla quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti.

Ha pertanto errato la Corte territoriale a dichiarare improponibile, perchè rientrante nel raggio di operatività della clausola compromissoria, la domanda proposta dal P. e dalla F. nei confronti della società Holdinvest.

3. – La sentenza impugnata è cassata.

La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

 



[1] Bianca La responsabilità Giuffrè Editore Milano, 1994 pag. 544

[2] Rubino L’Appalto in commentario Scialoja Branca, Bologna – Roma 1973

[3] Cass. 15 marzo 1956 n. 768; Cass. 18 gennaio 1980 nr. 1980

[4] Cassazione 09.03.1968 nr 791

[5] Rubino L’Appalto in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli, Utet

Stolfi “Appalto” Enc. Dir. Pag. 659

[6] Si veda in tal senso Cass. 3338/1999 e cass. 1748/2005

[7] tra le atre,  Cass. 28 aprile 2004 n. 8140; Cass. 25 marzo 1998 n. 3146, Cass. 2^ – 29.3.02 n. 4622, 10.1.01 n. 12406, 2.10.00 n. 13033, conformi n. 9853/98, n. 3146/98, n. 9313/97, n. 8108/97

[8] Cass. 10 aprile 2000 nr 4485

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