I LIMITI DI ESECUTIVITÀ DELLA DELIBAZIONE ROTALE DI NULLITÀ DEL MATRIMONIO

di Maria Luisa Pignatelli

Massima

La sentenza rotale dichiarativa della nullità del matrimonio è inefficace nell’ordinamento civile se si accerta che tra i coniugi si è instaurata una convivenza non concretatasi in mera coabitazione, ma in un consorzio materiale e spirituale, dimostrativa di una volontà di accettazione del rapporto di coniugio nonostante il vizio genetico. In tal caso, la nullità del vincolo matrimoniale viene sanata dalle parti, che pur consapevoli della sussistenza di una situazione invalidante il matrimonio atto, dimostrino di aver instaurato un rapporto affettivo e familiare, regolato dal rispetto dei doveri e dall’esercizio dei diritti che il legislatore riserva ai coniugi.

Diversamente la mera coabitazione, pur duratura e prolungata dopo la sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio, non essendo espressiva di un affectio spirituale tra i coniugi, non osta al riconoscimento della validità della pronuncia rotale.

 

Norme di riferimento

Codice civile, artt. 143 ss.

Legge 25 marzo 1985 n. 121, art. 8.

Legge 31 maggio 1995 n. 218, art. 65.

 

Il fatto

Il signor D.B. ricorre alla Corte di Appello di Genova per sentir dichiarare l’esecutività nel territorio della Repubblica italiana della delibazione di nullità del matrimonio concordatario contratto con la signora M.C. nel 1986 e sciolto per esclusione del carattere dell’indissolubilità. La Corte di Appello, vagliata la sussistenza dei requisiti di legge per la dichiarazione di esecutività della sentenza del Tribunale ecclesiastico regionale Etrusco, confermata con decreto  dal Tribunale ecclesiastico Flaminio e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, accoglieva la richiesta del ricorrente. La ex coniuge M.C. proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a due motivi: il difetto del requisito di compatibilità della sentenza rotale con il limite dell’ordine pubblico, in ragione della protratta convivenza con l’ex coniuge anche dopo la nullità del matrimonio, e la carenza di motivazione in ordine alla conoscenza della riserva mentale del marito, causa di scioglimento del vincolo per la giurisdizione ecclesiastica.

Il quesito giuridico

La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte investe la portata del limite dell’ordine pubblico, al cui rispetto devono informarsi le sentenze canoniche di nullità del vincolo matrimoniale affinchè sia possibile riconoscerne l’efficacia nell’ordinamento civile. L’art. 65 della legge n. 218/1995 prescrive il requisito del rispetto dell’ordine pubblico interno per il riconosimento dei provvedimenti stranieri; limite che deve ritenersi valevole anche per il riconoscimento dell’efficacia delle pronunce dei tribunali ecclesiastici, sia in virtù della considerazione della separazione e reciproca estraneità degli ordinamenti giuridici, sia in forza del dato normativo (cfr. art. 8 comma 2 della legge n. 121/1985, nella parte in cui prescrive la sussistenza ai fini del riconoscimento delle sentenze del giudice ecclesiastico nell’ordinamento civile di tutte “le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”).

La questione su cui la Corte di Cassazione è chiamata a decidersi si può quindi riassumere nel seguente quesito:  posto che il riconoscimento delle delibazioni ecclesiastice di nullità del matrimonio non possono prescindere dal requisito dell’osservanza dell’ordine pubblico, la Corte di Appello può rigettare la richiesta di un coniuge quando accerti che i coniugi abbiano realizzato un matrimonio- rapporto, caratterizzato dalla coabitazione e dell’affectio spiritualis?

 

Nota esplicativa

La disciplina canonica del matrimonio presenta aspetti peculiari e in parte inconciliabili con il corrispondente negozio giuridico previsto dall’ordinamento civile della nostra Repubblica. Nella diversità dei presupposti per la formazione o lo scioglimento del vincolo si infilitrano le problematiche più dibattute sulla diversità degli effetti di una medesima situazione di fatto incidente sul rapporto matrimoniale, con evoluzioni differenti per l’ordinamento canonico e l’ordinamento civile. L’art. 8 della legge di ratifica dell’Accordo di modifica del concordato del 1984 risolve la problematica del raccordo della disciplina del matrimonio ecclesiastico nell’ordinamento interno, fornendo una serie di parametri e condizioni, al concorrere delle quali, il sacramento del matrimonio amministrato dal sacerdote della Chiesa cattolica assume la medesima validità del vincolo contratto dai nubendi dinanzi l’ufficiale di stato civile ai sensi dell’art. 107 cc.

Nella seconda parte del medesimo articolo, si affronta la situazione patologica del rapporto matrimoniale, con l’individuazione dei requisiti che consentono di riconoscere l’efficacia delle sentenze di nullità del tribunale canonico nell’ordinamento civile. Il dato normativo tuttavia non garantisce quel grado di certezza del diritto che vorrebbe assicurare. Ciò è dovuto alla diversità dei presupposti di annullamento del vincolo matrimoniale, non coincidenti per il legislatore canonico e il legislatore civile. Per far sì che la disicplina della nullità del vincolo matrimoniale prescritta nel codice civile (artt. 117 e ss. cc.) non venga snaturata dalle infiltrazioni di delibazioni promanate dall’autorità ecclesiastica, così ammettendo indirettamente ulteriori cause di nullità o annullamento dell’atto di matrimonio agli effetti civili, il legislatore ha introdotto un filtro di ammissibilità delle delibazioni di altre autorità giudiziarie: l’ordine pubblico interno. Quid iuris?

Non è possibie rispondere citando un articolo di legge. L’ordine pubblico si colloca al di sopra delle norme scritte, rappresentando un principio immanente dell’ordinamento giuridico, espressivo delle regole fondamentali dettate dalla Costituzione e dalle altre fonti del diritto che strutturano gli istituti giuridici di cui la società si serve in un determinato momento storico per far fronte alle necessità di una convivenza civile.

In ragione di quanto affermato si può ritenere che l’ordine pubblico osti al riconoscimento della invalidità del matrimonio dichiarato dal tribunale ecclesiastico per riserva mentale di un coniuge, come nel caso esaminato nella sentenza che si annota, quando l’altro coniuge abbia fatto ragionevole affidamento sulla validità del vincolo. È da ricordare che mentre nell’ordinamento canonico, ai sensi del canone 1099, l’esclusione della indissolubilità del matrimonio, che sia risultata determinante per la pronuncia del “sì”, determina la nullità del vincolo, nell’ordinamento civile non si riscontra analaoga previsione normativa. Il limite del rispetto dell’ordine pubblico nel giudizio di esecutività delle sentenze canoncihe di nullità, impedisce che una causa di nullità del matrimonio non tipizzata dal legislatore civile, possa operare nel nostro ordinamento per effetto dell’esecutività di una decisione del tribunale ecclesiastico.

Nel caso che ci occupa, in verità, quanto precisato costituisce un presupposto implicito della decisione che più particolareggiatamente si attaglia sulle problematiche relative alla sanabilità del matrimonio atto per effetto dell’instaurazione di un matrimonio rapporto. La censura mossa dalla ricorrente è infatti finalizzata a paralizzare l’esecuzione della delibazione rotale di nullità del matrimonio per esclusione dell’indissolubità del vincolo da parte dello sposo (ossia riserva mentale) per contrasto con l’ordine pubblico interno alla luce della lunga e duratura convivenza instauratasi tra i “coniugi” dopo la celebrazione delle nozze. Premesso che la questione del contrasto della sentenza rotale con l’ordine pubblico non rappresenta la causa petendi di una domanda, bensì un “impedimento assoluto alla riconoscibilità della decisione ecclesiastica”, rilevabile anche d’ufficio, e pertanto non soggetto al limite della inammissibilità di questioni nuove in  sede di legittimità, gli Ermellini precisano che il limite del rispetto dell’ordine pubblico fa salvo il vincolo matrimoniale agli effetti civili, nonostante la decisione di invalidità del tribunale ecclesiastico emanata sulla base di motivi noln meritevoli di rilievo nell’ordinamento civile, se tra i coniugi si è instaurata una “successiva  convivenza prolungata… espressiva della volontà di accettazione del matrimonio rapporto”. La decisione si pone in linea con i precedenti arresti giurisprudenziali di questa Corte (cfr. Cass., sez. 1, 20 gennaio 2011 n.1343; Cass., sez. U. 18 luglio 2008 n.19809), raggiungendo però un maggior approfondimento della questione. Difatti i Giudici di Piazza Cavour specificano che la convivenza post nuptias è in grado di sanare la nullità del matrimonio- atto soltanto se  tra i coniugi si sia instaurato un vero e proprio consorzio familiare e affettivo. Diversamente le situazioni di mera convivenza, anche se durature, non fanno salvi gli effetti del matrimonio nullo, in quanto inespressive di una volontà dei coniugi di assumere i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio in un sodalizio familiare.

Questa seconda alternativa ricorre nel caso di specie; pertanto il ricorso della signora, consapevole ab initio della causa di invalidità del vincolo, non può trovare accoglimento.

 

Pronunce conformi e/o difformi

Sulla questione della coabitazione post nuptias sanante, vedi anche Cass., sez. 1, 20 gennaio 2011 n.1343; Cass., sez. U. 18 luglio 2008 n.19809.

 

Sentenza

Cassazione, sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1780

(Pres. Luccioli – Rel. Bernabai)

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 31 ottobre 2007 il sig. D.B. conveniva dinanzi la Corte d’appello di Genova il proprio coniuge, signora M..C., per sentir dichiarare l’efficacia nello Stato italiano della sentenza rotale dichiarativa della nullità del loro matrimonio, contratto con rito concordatario il 12 aprile 1986.

Costituitasi ritualmente, la convenuta eccepiva l’assenza dei presupposti previsti dall’art.8, secondo comma, della legge 25 marzo 1985 n.121 e dall’art.64 della legge 218/1995 e chiedeva, in subordine, l’assegnazione di una congrua indennità, ai sensi dell’art.129 bis cod. civile.

Con sentenza 17 marzo 2010 la Corte d’appello di Genova, ritenuto che la convenuta era stata a conoscenza, ab initio, della causa di nullità del matrimonio concordatario consistente nell’esclusione dell’indissolubilità del vincolo, da parte del marito, e che quest’ultima non contrastava con l’ordine pubblico interno, accoglieva la domanda e dichiarava l’efficacia nella Repubblica italiana della sentenza 9 novembre 2005 del Tribunale ecclesiastico regionale Etrusco, confermata con decreto 18 maggio 2006 dal Tribunale ecclesiastico Flaminio e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il 3 gennaio 2007; con compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

Avverso la sentenza, notificata il 23 giugno 2010, la signora C. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 7 ottobre 2010.

Deduceva:

1) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel ritenere la compatibilità della decisione ecclesiastica con l’ordine pubblico italiano alla luce della convivenza protrattasi per molti anni dopo la celebrazione del matrimonio;

2) la violazione di legge e la carenza di motivazione nell’affermata conoscibilità della riserva mentale del D. in ordine all’esclusione del bonum sacramenti.

Resisteva il signor D. con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile.

All’udienza del 9 dicembre 2011 il Procuratore generale ed il difensore della ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

 

Motivi della decisione

Il primo motivo attiene alla questione dell’incompatibilità della decisione ecclesiastica con l’ordine pubblico italiano, per effetto della lunga convivenza protrattasi tra i coniugi dopo la celebrazione del matrimonio dichiarato nullo dal tribunale ecclesiastico.

Giova premettere, in via pregiudiziale di rito, che è infondata l’eccezione di inammissibilità per novità, sollevata ex adverso: la prospettazione del contrasto con l’ordine pubblico non si configura, nella specie, come causa petendi di una domanda, bensì come impedimento assoluto alla riconoscibilità della decisione ecclesiastica, rilevabile d’ufficio anche nella contumacia della convenuta. Al giudice compete, infatti, di verificare sempre la sussistenza degli antecedenti, in fatto ed in diritto, che giustifichino l’emissione del provvedimento richiesto; e non v’è dubbio che tra questi, prima di ogni altro, rientri la conformità a diritto del petitum. Tanto più, ove sia in discussione financo l’eventuale lesione di principi fondativi riassunti nella formula dell’ordine pubblico: sintagma che, seppur non presente nella carta costituzionale, dev’essere identificato con i principi costituzionali su temi basilari che sono la traduzione, in termini di diritto, dei principi etico-politici su cui sorge e si fonda l’ordinamento. Nonostante la relatività storica di contenuto, connaturale a qualsiasi concetto giuridico, l’ordine pubblico esprime valori non negoziabili, a pena di rottura dell’armonia del sistema costituzionale; e la sua lesione rientra dunque nel thema decidendum del giudice chiamato a dichiarare l’efficacia nello Stato italiano di una sentenza ecclesiastica, senza preclusioni ed indipendentemente da eccezione di parte.

Ciò premesso, si osserva come la ricorrente invochi recenti arresti di questa Corte che hanno rivisto, in chiave critica, il precedente orientamento in materia, ponendo in risalto l’evidente favor che l’ordine pubblico interno palesa per la validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare, incidente sulla persona e oggetto di tutela costituzionale: con il corollario che i motivi per i quali esso si contrae – rilevanti, in quanto attinenti alla coscienza, per l’ordinamento canonico – non hanno, di regola, valore ai fini dell’annullamento in sede civile.

In particolare, si è statuito, con riferimento a situazioni invalidanti l’atto-matrimonio, che la successiva convivenza prolungata è da considerare espressiva della volontà di accettazione del matrimonio-rapporto che ne è seguito: con la conseguente incompatibilità dell’esercizio postumo dell’azione di nullità, altrimenti riconosciuta dalla legge (Cass., sez. 1, 20 gennaio 2011 n.1343; Cass., sez. U. 18 luglio 2008 n.19809).

Pur meritando adesione l’indirizzo giurisprudenziale sopra citato, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra matrimonio – atto e matrimonio-rapporto, si deve ritenere che esso trovi applicazione nei casi in cui, dopo il matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio familiare e affettivo, con superamento implicito della causa originaria di invalidità.

In tale ricostruzione interpretativa, il limite di ordine pubblico postula, pertanto, che non di mera coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato, – che nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo – bensì di vera e propria convivenza significativa di un’instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci – per l’appunto, come tra (veri) coniugi (art.143 cod. civ.) – tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto.

Nella specie, nulla del genere è stato neppure allegato dalla ricorrente: che si è limitata a valorizzare il dato temporale della durata del vincolo, insufficiente, come detto, ad integrare la causa ostativa di ordine pubblico al recepimento della sentenza ecclesiastica.

Il secondo motivo di ricorso risulta parzialmente assorbito, nella parte in cui ripropone la questione dell’omessa valutazione della convivenza, protrattasi per molti anni dopo la celebrazione del matrimonio; mentre, per il resto, è volto ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie – vagliate con ampia motivazione dalla Corte d’appello di Genova – introduttivo di un riesame, nel merito, della riconoscibilità della riserva mentale che non può trovare ingresso in questa sede.

Il ricorso dev’essere dunque rigettato; con compensazione delle spese di giudizio in considerazione della natura della causa ed altresì dei suoi obbiettivi profili di incertezza.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio;

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art.52 d.lgs. 30 Giugno 2003, n.196 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

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