SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 16 aprile 2014, n. 8897

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17914/2012 proposto da:

SOCIETA’ INDUSTRIALE MERIDIONALE S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI, 22, presso lo studio dell’avvocato VENETO GAETANO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato INTINO CIRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PINTO RAFFAELE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 742/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/04/2012 R.G.N. 1707/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza qui impugnata, in riforma della pronuncia di rigetto di primo grado, ha condannato la Società Industriale Meridionale s.r.l. al pagamento, a favore di P. F., della somma di Euro 97.266, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a titolo di compenso per le funzioni di componente del consiglio di amministrazione della società svolte dall’ottobre 1986 sino alla data delle sue dimissioni (aprile 1997).

Tale somma la Corte di merito ha determinato in via equitativa, liquidando al P. la somma di lire venti milioni annui, sul rilievo che al presidente della società era stata corrisposta annualmente la somma di lire trenta milioni, e detraendo dall’importo così determinato quello di lire venti milioni corrispostogli nel 1995, che la società aveva provato di avergli corrisposto a seguito di delibera del consiglio di amministrazione.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sulla base di quattro motivi. Il P. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso, la società denunzia violazione dell’art. 2389 c.c., e dell’art. 21 dello statuto della società nonchè contraddittoria motivazione.

Deduce che, giusta il disposto del predetto art. 2389, in relazione all’art. 2487 c.c., il compenso è stato determinato, con delibera del 6 giugno 1995, dal consiglio di amministrazione ed è stato accettato senza riserve dall’interessato. Ciò esclude che il medesimo potesse richiederne la determinazione, costituendo tale accettazione acquiescenza al compenso stabilito dalla società.

Aggiunge che la Corte di merito, nel richiamare correttamente le disposizioni sopra indicate, ha poi contraddittoriamente liquidato in via equitativa il compenso.

2. Con il secondo motivo, denunziando violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la società deduce che il compenso per l’attività prestata quale amministratore di società può essere chiesto al giudice in via equitativa nell’ipotesi in cui questo non venga stabilito dall’atto costitutivo, dal consiglio di amministrazione o dall’assemblea. Nella specie, il P., pur avendo ricevuto il compenso, ne ha chiesto in via giudiziale la determinazione e la Corte di merito, violando il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ha proceduto al suo adeguamento riconoscendogli un diritto non richiesto.

3. Con il terzo motivo la società denunzia violazione degli artt. 115, 421 e 437 c.p.c., art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Deduce che la Corte di merito, pur avendo dato per scontato che la somma di lire venti milioni è stata corrisposta al P. dalla società a titolo di compenso per l’attività di amministratore svolta, ha poi contraddittoriamente integrato tale compenso liquidandogli ulteriori somme a tale titolo.

4. Con il quarto motivo, denunziando vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la società lamenta che, pur essendo emerso nel corso del giudizio che il P. svolgeva nello stesso periodo l’attività di amministratore delegato di altra società percependo rilevanti importi, ha proceduto alla integrazione del compenso, liquidandogli in via equitativa una somma non giustificata dalla natura e dalla quantità delle prestazioni.

5. Il primo motivo è fondato.

La Corte di merito, premesso che il diritto del P. a percepire il compenso per la carica ricoperta discende dal disposto dell’art. 2389 c.c., e dall’art. 21 dello statuto della società e che tale diritto poteva essere vanificato solo da una grave inadempienza degli obblighi del mandato ad amministrare, ipotesi questa non ricorrente nella specie, ha definitivamente accertato che, “a prescindere dalla sua esaustività”, la somma di lire venti milioni è stata corrisposta al P. a titolo di compenso per l’attività di amministratore svolta.

Ha aggiunto che la società ha prodotto, al riguardo, la ricevuta rilasciata dal P. per la ricezione di “un compenso una tantum come da delibera del consiglio di amministrazione numero 13 del 6/6/1995”, per l’importo di lire venti milioni, compenso che non poteva non essere riferito all’attività di amministratore.

Tanto accertato, la Corte di merito ha ritenuto che tale compenso non fosse congruo e integralmente satisfattivo delle pretese avanzate dal P., tenuto conto della qualità e quantità delle funzioni svolte dal medesimo.

Ha quindi integrato, in via equitativa, il suddetto importo, assumendo quale parametro la somma stabilita dall’assemblea a favore del presidente della società (trenta milioni annui), ritenendo congruo riconoscere al P. un compenso pari a due terzi di quello riconosciuto al presidente, e cioè un importo pari a venti milioni annui, da cui detrarre quello corrispostogli a seguito della delibera, sopra citata, del 6 giugno 1995.

Senonchè, deve al riguardo rilevarsi che, come affermato in più occasioni da questa Corte, in tema di compenso in favore dell’amministratore di una società di capitali, che abbia agito come organo, legato da un rapporto interno alla società, e non nella veste di mandatario libero professionista, la facoltà dell’amministratore di insorgere avverso una liquidazione effettuata dall’assemblea della società in misura inadeguata, per chiedere al giudice la quantificazione delle proprie spettanze, viene meno, vertendosi in materia di diritti disponibili, qualora detta delibera assembleare sia stata accettata e posta in esecuzione senza riserve (Cass. 24 maggio 2010 n. 12592; Cass. 1981 n. 1554; Cass. 27 novembre 1979 n. 6209).

E’ stato altresì osservato che la pretesa di un amministratore di società per azioni al compenso per l’opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto, sicchè ove la misura di tale compenso non sia stata stabilita nell’atto costitutivo o dall’assemblea a norma degli artt. 2363 e 2389 c.c., può esserne chiesta al giudice la determinazione (Cass. 24 febbraio 1997 n. 1647; Cass. 9 agosto 2005 n. 16764).

Alla stregua di tali principi, i presupposti per la domanda giudiziale di determinazione del compenso sono costituiti dalla mancata previsione di un compenso all’atto della costituzione della società o dall’assemblea e, ove il compenso venga previsto o deliberato, dalla sua mancata accettazione.

Nella specie è pacifico che alcun compenso venne stabilito per il P. Questi dall’ottobre 1986 svolse le funzioni di amministratore senza percepire emolumenti, sino a quando il Consiglio di amministrazione, con delibera del 6 giugno 1995, secondo la previsione di cui all’art. 2389, comma 3, in relazione all’art. 2487 c.c., gli attribuì un “compenso una tantum” per lo svolgimento di detta attività.

Tale compenso venne dal P. accettato senza riserve, ancorchè poi, come risulta dalla sentenza impugnata, il medesimo ebbe a sostenere che esso “sarebbe stato versato a titolo di gratifica in occasione del 26 anniversario della costituzione della capogruppo Avir S.p.A.”, circostanza questa che non trova alcun riscontro nelle risultanze processuali e che, in ogni caso, è superata dall’accertamento eseguito al riguardo dalla sentenza impugnata, secondo cui detto importo gli venne corrisposto a titolo di compenso per la carica di amministratore.

Questi essendo i fatti accettati dal giudice di merito, non poteva l’odierno resistente – così come ha fatto – chiedere la “determinazione” del compenso “secondo equità”, potendo una siffatta richiesta trovare giustificazione solo nel caso in cui il compenso non fosse stato stabilito nell’atto costitutivo o dall’assemblea ovvero in caso di mancata accettazione dello stesso da parte del P.

Il motivo in esame, assorbiti tutti gli altri, deve pertanto essere accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda proposta dal P.

Il diverso esito dei giudizi di merito giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2014

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