Dolosa mancata esecuzione di un provvedimento del giudice in materia familiare

Cassazione Penale, 3^ sezione, 8 marzo 2012 n.9190

di Barbara Carrara

 

Sussiste l’elemento materiale del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice nella condotta del genitore affidatario che ne eluda la statuizione,  non consentendo al genitore non affidatario il diritto di visita nei giorni previsti dal provvedimento stesso.

Il superiore interesse del minore, quale soggetto di diritti e non di pretese dei genitori, impone tuttavia una completa valutazione della condotta del genitore affidatario che abbia disatteso il provvedimento giudiziario, ai fini della valutazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Nel caso quindi in cui il comportamento del genitore non affidatario non sia abitualmente rispettoso degli orari e delle modalità di visita già stabilite, non si ritiene sia integrato il dolo consistente nella consapevole volontà di eludere il provvedimento, poiché in tal caso il genitore affidatario può essere mosso dalla necessità di tutelare l’interesse morale e materiale del minore medesimo.

 

Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (Art. 388 2^ comma c.p.) – violazione del diritto di visita  da parte del genitore affidatario che non rimette il minore al genitore non affidatario  – condotta elusiva – elemento materiale del reato – sussiste.

 

Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (Art. 388 2 comma c.p.) – violazione del diritto di visita da parte del genitore affidatario che non rimette il minore al genitore non affidatario – interesse del minore – dolo generico –   non sussiste.

 

 

Nel pronunciamento in esame, i giudici di piazza Cavour tornano su un tema estremamente spinoso: la valutazione della condotta del genitore affidatario che non rimetta il minore presso l’altro genitore in violazione di quanto disposto dal provvedimento giudiziale in tema di modalità di frequentazione.

Si tratta di un argomento che merita senz’altro alcune riflessioni, poiché è un fatto oramai acclarato che il figlio minore si trovi sovente nell’indesiderato ruolo di mero strumento di ritorsioni  nel rapporto fra i genitori: sono quindi frequenti i casi in cui il genitore affidatario, che desideri interrompere ogni rapporto tra il coniuge  ed il figlio,  si rifiuti di ottemperare a quanto statuito dal giudice per le modalità di visita; come può anche invece accadere che il genitore che non possa, per cause contingenti, eseguire alla lettera le statuizioni contenute nel provvedimento  debba subire una denuncia strumentale da parte dell’altro genitore.

Nel caso preso in esame dalla Corte di legittimità,  un padre distratto e poco rispettoso delle esigenze della madre e del minore interpreta sistematicamente con eccessiva liberalità le prescrizioni del Tribunale, presentandosi agli appuntamenti concordati senza rispetto alcuno degli orari concordati  e senza che venga mai dato preavviso del suo effettivo orario di arrivo.

La madre, non preavvertita dell’ennesimo ritardo da parte del padre all’appuntamento concordato, decide di non far attendere ulteriormente il figlio e lo porta via con sé; viene pertanto sottoposta a procedimento penale per  l’ipotesi di reato di cui all’art. 388 2^ comma c.p. che  prevede effettivamente la condotta di “Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l’accertamento presso l’autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo atti simulati o fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione sino a tre anni o con la multa da euro 103 ad euro 1.032.

            La stessa pena si applica a chi elude un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento dei minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del  credito”.

 

Dopo la condanna in prime cure a due mesi di reclusione con pena condizionalmente sospesa, nonché la parziale assoluzione in appello, la signora è stata poi assolta in sede di legittimità perché il fatto non costituisce reato.

La Suprema Corte ha infatti annullato senza rinvio il provvedimento di secondo grado, ritenendo che – se pur risulta integrata la condotta materiale di elusione del provvedimento – il fatto non costituisca reato per mancanza del dolo, sia pure generico, richiesto dalla fattispecie normativa.

 

Nel provvedimento dei giudici di piazza Cavour vengono ripresi due questioni di rilievo in tema di mancata ottemperanza dolosa del provvedimento del giudice: la definizione di condotta elusiva e l’indicazione dell’interesse del minore quale primario criterio di valutazione circa l’esclusione della colpevolezza.

 

Per quando riguarda la determinazione della condotta elusiva, occorre rammentare che  lo scopo della norma, nei casi previsti dai primi due commi dell’art. 388 c.p., è l’esigenza costituzionale della effettività della giurisdizione (Cass. Pen. SU 27.09.07 n. 36692): si tratta di un reato istantaneo che si consuma nel momento stesso in cui il soggetto agente dolosamente non ottemperi ad un provvedimento del giudice emesso la per finalità in esso indicata (mentre può assumere il carattere di reato permanente quando si sia creato uno stato continuativo ininterrotto): pertanto, è opinione della Suprema Corte che il comportamento della madre risponda  nel caso in esame effettivamente alla condotta di “elusione“ normativamente prevista.

I giudici di legittimità si  sono sempre espressi in modo assolutamente costante  sul senso e sulla portata da attribuire alla tipologia di condotta elusiva, ove questa venga riferita ad un provvedimento del giudice concernente l’affidamento dei minori; si è sempre infatti preferito adottare una interpretazione ampia del termine, ritenendo che l’elusione debba necessariamente ricomprendere ogni comportamento, positivo o negativo, che non richieda tuttavia alcuna scaltrezza od astuzia particolare finalizzata ad aggirare il decisum del giudice; così come, per integrare la condotta materiale, altro non occorre che il rifiuto diretto da parte del soggetto tenuto all’adempimento, non necessitando neppure che il provvedimento sia posto in esecuzione con i sistemi processualmente predisposti. (cfr. Cass. Pen. sez.1 n.9052 del 07.07.78, rv.139625, ma anche Cass. Pen. sez. 6 n.15337 del 21.11.1990, rv.18510, nonché sez. 6 del 13.06.1996 n.6042, rv. 205078).

In particolare,  proprio la sesta sezione penale con la sentenza n. 2925 del 9.03.2000 precisò a suo tempo che anche la semplice inazione dell’obbligato può assumere rilievo,  in caso di affidamento di minori, ogni volta che il provvedimento non si possa realizzare senza la necessaria cooperazione dell’obbligato; nel caso, ad esempio, in cui il minore presenti delle resistenze nei confronti del genitore non affidatario e manifesti quindi egli stesso la volontà di non frequntare lo stesso, è onere del  coniuge cui il minore è affidato di attivarsi positivamente affinché il figlio possa maturare un rapporto equilibrato con l’altro genitore: in tale caso, la condotta omissiva del genitore affidatario  integra senz’altro il reato di cui all’art 388 2^ comma c.p. (si veda in tal senso Cass. Pen. 6 sezione  n. 37118 del 22.09.2004. rv. 230211: Cass.Pen 6^ 10.06.2004 n. 37118 in Riv. Pen.2005, 1254; cass. Pen. Sez. fer. 12.09.2003; Cass. Pen. 6^ 04.04.2003 n. 25899).

 

Il secondo punto preso in esame dal provvedimento è invece la sussistenza del volontà dolosa da parte del genitore inadempiente: il filtro adottato dal giudice di legittimità ai fini dell’esclusione della colpevolezza, in questo caso, è dato dalla presenza o meno del fine di perseguire  l’interesse supremo del minore.

Il comportamento del genitore affidatario che non ottemperi all’obbligo di consegnare il minore al coniuge, deve essere quindi valutato alla luce delle circostanze complessive, così da accertare se  il  soggetto agente sia mosso o meno dalla volontà di esercitare il diritto – dovere di tutela dell’interesse del minore, inteso  così quale valida causa di esclusione della colpevolezza.

Le prime pronunce in questa direzione avevano prudentemente precisato che il diritto – dovere in esame trovava applicazione solo ove si fosse verificata una nuova situazione sopravvenuta o transitoria che, pertanto, non aveva potuto essere oggetto di compiuta valutazione da parte del giudice del provvedimento disatteso (Cass. Pen. n.9052 del 07.07.1978, rv.139626; Cass. Pen. sez. 6 n.2904 del 12.04.86, rv.172440: Cass. Pen. sez. 6 n.2720 del 21.03.1997, rv. 207529; Cass.pen. 6^ 19.11.2004 n. 4439 in Riv. Pen. 2005 n. 839; Cass. Pen. 6^ 09.01.2004 n. 17691 in Riv. Pen. 2005, 500).

Più recentemente, si è delineato quell’orientamento più deciso per cui la valutazione del contenuto del provvedimento – e quindi degli obblighi che vengono imposti ai genitori  – deve essere filtrata comunque alla luce del superiore interesse del minore e non, quindi, esclusivamente  sulla base di una rigida interpretazione letterale: in questa prospettiva, si è così ribadito che – pur ritenendo doverosa l’osservanza concreta degli orari prefissati dal giudicante per la consegna del minore – non possono trovare alcuna giustificazione ne’ il rifiuto del genitore affidatario che non voglia dare il minore se non agli orari rigidamente prefissati, come pure il “sistematico immediato allontanamento del medesimo dal luogo fissato al momento della scadenza, equivalendo tale comportamento alla sostanziale lesione dell’interesse del figlio a conservare validi rapporti affettivi con entrambi i genitori” (Cass. Pen. Sez. 6, n. 1139 del 30.01.1991, rv. 186412).

E’ quindi sulla base di un attento vaglio complessivo di ogni circostanza rilevante che deve essere valutata la condotta del genitore che rifiuti di dare esecuzione al provvedimento del giudice: poiché se l’obiettivo è la tutela dell’effettivo interesse del minore, la valutazione della sussistenza o meno del dolo da parte del genitore inadempiente dovrà essere cercato mediante l’individuazione del fine che questi voglia perseguire: ovvero la reale difesa  degli interessi del minore oppure una mera azione di disturbo nei confronti dell’altro genitore (in tal senso, Cass.Pen 6^ 6.03.1999, n. 7077)

Nel caso affrontato dalla Corte nel provvedimento in esame la condotta della signora che non ha ritenuto di attendere ulteriormente il genitore ritardario è stato ritenuta legittima proprio in base alla considerazione che l’azione dell’imputata potrebbe essere stata dettata dalla necessità di tutelare il figlio minore; in tal senso, si veda anche Cass. Pen. 6^ n.6399 del 5.01.1999, ove la Suprema Corte aveva già conformemente ritenuto che non incorresse nel reato il coniuge affidatario il quale, non presentandosi l’altro genitore all’orario prefissato aveva provveduto in altro modo circa le ocupazioni dei figli in quel giorno e sino alla scadenza del determinato periodo temporale cui si riferiva il provvedimento civile; nella pronuncia del 1991, invece, non venne invece giustificato il sistematico immediato allontanamento del genitore affidatario dal luogo fissato al momento della scadenza dell’orario, proprio perché questo atteggiamento negativo del coniuge affidatario è stato identificato come un  irrigidimento solo contrario alla corretta evoluzione dei rapporti fra il minore e l’altro coniuge.

Il contrasto, quindi, è solo apparente: in ogni caso è infatti nel giudizio di merito che la vicenda deve essere ricostruita per quanto riguarda l’indagine sull’elemento psicologico, ove l’azione deve presentare caratteristiche che inequivocabilmente segnalino la volontà di elusione.

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