Cassazione penale sezione VI sentenza 16 marzo 2012 n 10425
Arresti domiciliari, evasione, dolo generico, motivazioni, irrilevanza

La sesta sezione penale
(Presidente Di Virginio – Relatore Fazio)

Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Ancona ha confermato la
sentenza di quel Tribunale, con cui K.G. è stato ritenuto responsabile del delitto di evasione,
per essersi allontanato dalla sua abitazione, ove si trovava ristretto in regime di arresti
domiciliari.
2. Ricorre il condannato e denuncia la insussistenza dell’elemento soggettivo del reato,
erroneamente non riconosciuta dai giudici di merito; egli si era allontanato da casa, il cui
clima era divenuto intollerabile per dissapori con un familiare convivente, avvertendo
contemporaneamente le forze dell’ordine del suo gesto. E’ evidente che non è violata la ratio
della norma, che punisce l’allontanamento finalizzato alla fuga o alla commissione di altri
reati.

Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato.
2. Va subito premesso che il reato di evasione dagli arresti domiciliari risulta assistito da un
mero dolo generico (che consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di
esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione), e quindi non possono usualmente
svolgere rilievo esimente i motivi e le cause psicologiche che hanno orientato e determinato la
condotta “contra legem” dell’agente (Cass. Pen. Sez. 6, 44969 del 06/11/2008 Rv. 241658 lussi).
3. E’ ancora da smentire, in relazione a quanto sopra messo in evidenza, che il delitto in tanto
sia sussistente, in quanto qualificato dalla volontà specifica di darsi alla macchia e/o di
approfittare dello status di libero per delinquere, ossia da un atteggiamento psicologico che
non solo non è previsto dalla norma, ma al più può rappresentare un movente, come tale non
rilevante per la configurabilità del delitto.
4. Né l’esigenza di sottrarsi al clima conflittuale creatosi con il nonno che lo ospitava, nel corso
della restrizione domiciliare, peraltro asserita dall’imputato, ne escludeva il dolo di evasione.
5. Il ricorrente sopravvaluta la comunicazione che egli stesso ha fatto alla Polizia giudiziaria,
attinente alla fase iniziale della sua determinazione, e non tiene in alcun conto il successivo
sviluppo della sua condotta, posto che dopo il doveroso controllo compiuto dai CC, non ha
aderito all’invito a rientrare nella abitazione, ma anzi si è allontanato, dichiarando esplicitamente di non voler tornare indietro e sostanzialmente ponendo in essere una sua
volontaria “sottrazione” al regime restrittivo.
6. La peculiarità della vicenda non sta invero nella singolare denuncia dell’impossibilità del
permanere della convivenza con il familiare, ma nel susseguente volontario abbandono della
abitazione, esprimendo con toni accesi la sua precisa volontà di non voler rientrare; lo stato
psicologico di tensione non caratterizza come irrilevante dal profilo penale la condotta
dell’imputato.
7. Il ricorso è da rigettare; consegue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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