Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile
Sentenza 30 Agosto 2012, n. 14714
a cura dell’Avv. Giuseppe Benfatto
Massima
La facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali è un potere discrezionale del giudice che non è tenuto a motivare il mancato uso di questa facoltà. Inoltre l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice e non è sindacabile dalla Suprema Corte, con l’unico limite della violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Il caso
La recente decisione della Suprema Corte rigetta il ricorso di una parte, che risultando soccombente in appello veniva condannata al pagamento delle spese processuali, ma lamentava il fatto che fosse stato rigettato anche l’appello incidentale della controparte e dunque censurava la mancata compensazione delle spese processuali.
Secondo gli Ermellini il giudice di appello ha implicitamente valutato come prevalente la soccombenza dell’appellante principale, ecco perché ha fatto ricadere su di questo il peso delle spese processuali, scartando l’ipotesi della compensazione. Viene ribadito che la facoltà di compensare le spese rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare spiegazioni, con una espressa motivazione, del mancato uso di tale facoltà.
L’individuazione della parte soccombente è rimessa la potere decisionale del giudice di merito, insidacabile in sede di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Nota esplicativa
La parte soccombente ha l’obbligo di rimborsare alla controparte tutte le spese sostenute da questa per agire o resistere in giudizio, tra cui l’onorario del difensore e il compenso di eventuali consulenti tecnici d’ufficio.
Il principio della soccombenza viene affermato dall’art. 91 cpc, che impone al giudice di addebitare le spese alla parte soccombente, questa coincide con la parte processuale le cui domande non sono state accolte, sia pure per motivi diversi dal merito, o quella parte che non propone domande ma vede accolte le domande della controparte.
La legge n. 69 del 2009 ha aggiunto un ulteriore periodo all’art. 91, co. 1 cpc, prevedendo che se il
giudice accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato la proposta senza giustificato motivo al pagamento delle spese processuali maturate dopo la proposta. La finalità di detta previsione è quella di favorire la conciliazione, mediante la minaccia per la parte vittoriosa di dover comunque pagare le spese processuali se rifiuta senza giustificato motivo una proposta giusta.
Se vi è soccombenza reciproca il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti, nel senso di lasciarle a carico di chi le ha anticipate. Si può parlare di soccombenza reciproca quando viene accolta una domanda di una parte ed un’altra della controparte ovvero quando vengono proposte più domande da una sola parte e solo alcune vengono accolte mentre altre vengono rigettate per via delle eccezioni della controparte. In seguito alla riforma del 2005 il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente nella motivazione i giusti motivi che rendono opportuna la compensazione, parzialmente o per intero, delle spese tra le parti. E per la giurisprudenza l’obbligo di motivare la compensazione non si può ritenere assolto con l’utilizzo da parte del giudice di formule di stile. Sul punto è intervenuta anche la legge n. 69 del 2009 che ha modificato nuovamente l’art. 92, co. 2, cpc ammettendo la compensazione delle spese oltre che nei casi di soccombenza reciproca, anche qualora ricorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione della decisione. Tuttavia, nel caso in cui il giudice non intenda procedere a compensazione, vale ancora l’insegnamento delle Sezioni Unite (n. 14989 del 2005) per cui la condanna alle spese adottata senza prendere in esame l’eventualità della compensazione non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione, che, peraltro, nel caso concreto è presente. Infatti la sentenza in commento afferma che la facoltà di compensare le spese processuali è un potere discrezionale del giudice che è tenuto a motivare la compensazione ma non il suo mancato uso. Inoltre l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice e non è sindacabile, con il limite fondamentale che si può ricavare a contrario dall’art. 91 cpc; il quale impedisce, nell’affermare il principio della soccombenza, che le spese siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Normativa di riferimento
Art. 91.
(Condanna alle spese)
Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92. (1)
Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall’ufficiale giudiziario con nota in margine all’originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli articoli 287 e 288 dal capo dell’ufficio a cui appartiene il cancelliere o l’ufficiale giudiziario.
Nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda. (2)
(1) Questo periodo è stato così sostituito dall’ art. 45, comma 10, della Legge 18 giugno 2009, n. 69.
(2) Comma aggiunto dal D.L. 22 dicembre 2011, n. 212, convertito con L. 17 febbraio 2012, n. 10.
Art. 92
(Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese)
Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’articolo 88, essa ha causato all’altra parte.
Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione (1), il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. (2)
Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.
(1) Le parole: “o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione” sono state così sostituite dall’art. 45, comma 11, della Legge 18 giugno 2009, n. 69.
(2) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. a) della L. 28 dicembre 2005, n. 26
Precedenti conformi
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile
Sentenza 2 luglio 2008, n. 18173
Il rigetto tanto dell’appello principale quanto di quello incidentale non obbliga il giudice a disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, fuori della ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, è rimesso, anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merito.
Corte di Cassazione, Sezione Unite civile
Sentenza 15 luglio 2005, n. 14989
In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione.