Corte Costituzionale sentenza 06 giugno 2012 n 142
Entrate erariali, tassa automobilistica, province autonome, riparto, gettito

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Alfonso QUARANTA Presidente
– Franco GALLO Giudice
– Luigi MAZZELLA “
– Gaetano SILVESTRI “
– Giuseppe TESAURO “
– Paolo Maria NAPOLITANO “
– Giuseppe FRIGO “
– Alessandro CRISCUOLO “
– Paolo GROSSI “
– Giorgio LATTANZI “
– Aldo CAROSI “
– Marta CARTABIA “
– Sergio MATTARELLA “
– Mario Rosario MORELLI “

ha pronunciato la seguente sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso
notificato il 14 settembre 2011, depositato il successivo 21 settembre, iscritto al n. 97 del
registro ricorsi 2011 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie
speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello
Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– La Giunta provinciale di Trento (previa deliberazione n. 1931 dell’8 settembre 2011,
adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7, dello statuto speciale della Regione
Trentino-Alto Adige/Sudtirol e ratificata dal Consiglio provinciale di Trento con delibera n. 11
dell’8 novembre 2011) ha proposto in via principale, con ricorso notificato il 14 settembre 2011
e depositato il successivo 21 settembre – in riferimento agli art. 73, 75 e 79 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige) ed agli artt. 3, 9, 10 e 10-bis del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in
materia di finanza regionale e provinciale), nonché al principio di leale collaborazione -,

questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64, serie
generale, del 16 luglio 2011, nella parte in cui prevede che, «A partire dall’anno 2011, per le
autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una
addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro dieci per ogni chilowatt di
potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt, da versare alle entrate del
bilancio dello Stato».
1.1. – La Provincia ricorrente premette che: a) il secondo periodo del comma 1 dell’art. 73 dello
statuto del Trentino-Alto Adige (periodo introdotto, con effetto dal 1° gennaio 2010, dal
numero 1 della lettera c del comma 107 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010”) qualifica le tasse automobilistiche istituite con legge provinciale come
tributi propri della Provincia autonoma; b) in precedenza aveva istituito, a decorrere dal 1°
gennaio 1999, mediante l’art. 4 della legge della Provincia autonoma di Trento 11 settembre
1998, n. 10 (Misure collegate con l’assestamento del bilancio per l’anno 1998), una propria
tassa automobilistica provinciale, la cui disciplina (ai sensi del comma 2 del medesimo articolo
4), «in attesa di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale», è assoggettata
– per ciò che concerne «il presupposto d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi, le
modalità di applicazione del tributo» – alle «disposizioni previste per la tassa automobilistica
erariale e regionale vigenti nel restante territorio nazionale». Secondo la ricorrente, «per
effetto del rinvio operato dall’art. 4» della suddetta legge provinciale alla normativa statale,
l’addizionale erariale introdotta con la disposizione impugnata «è destinata a trovare
applicazione anche nella provincia di Trento». Da questo quadro normativo, sempre secondo la
ricorrente, risulterebbe evidente l’illegittimità costituzionale dell’impugnato comma 21, perché
tale comma, nel prevedere che l’addizionale erariale «è da versare alle entrate del bilancio dello Stato», attribuisce allo Stato «il gettito di un tributo provinciale» e, pertanto, si pone in
contrasto con gli evocati parametri statutari. In particolare, difetterebbero, nella specie, le
condizioni poste dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 per la riserva all’erario del gettito
derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi, e cioè: a) la
destinazione per legge alla copertura «di nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province»; b) la
delimitazione temporale e la distinta contabilizzazione del gettito nel bilancio statale e,
quindi, la sua precisa quantificazione.
In via subordinata – nell’ipotesi che la disposizione oggetto di censura si interpreti nel senso
che lo Stato ha con essa istituito «una imposta nuova e propria» -, la Provincia di Trento
lamenta la violazione dell’art. 75, lettera g) [rectius: art. 75, comma 1, alinea e lettera g)], dello
statuto, che riserva alla Provincia medesima «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie
erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l’imposta locale sui redditi, ad
eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici». Anche in tal caso, infatti,
l’addizionale non potrebbe essere di spettanza statale, perché la disposizione denunciata non
rispetta le sopra indicate condizioni poste dal menzionato art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 per
la riserva allo Stato del gettito. In particolare, osserva la ricorrente: a) l’addizionale e la
corrispondente riserva del gettito non sono limitati nel tempo, ma si applicano «a partire
dall’anno 2011»; b) il relativo gettito non è quantificato né distintamente contabilizzato e,
quanto alla destinazione, l’art. 40, comma 2, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 prevede
l’utilizzazione solo di una «quota parte» delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 23, che
concerne, oltre all’addizionale sulla tassa automobilistica di cui è questione, altre eterogenee
misure fiscali.
La difesa della ricorrente, infine, ricorda «solo per scrupolo di completezza» che il proprio
concorso – quale Provincia autonoma – al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della
finanza pubblica è specificamente disciplinato, a decorrere dal 2010, dall’art. 79 dello statuto
d’autonomia, il quale prevede al riguardo (in applicazione del principio di leale collaborazione),
il ricorso a un procedimento concordato fra Provincia e Ministro dell’economia e delle finanze.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza del ricorso.
Il resistente premette, in via generale, che le disposizioni impugnate costituiscono «forme
finanziarie “eccezionali”, finalizzate a fronteggiare una situazione economica “emergenziale”»
ed alle quali sono chiamati a concorrere tutti i livelli di governo e, quindi, anche le Regioni a
statuto speciale e le Province autonome, «non potendo la garanzia costituzionale
dell’autonomia finanziaria alle stesse riconosciuta fungere da giustificazione per esentarle da
tale partecipazione». In questo quadro di straordinaria emergenza finanziaria, prosegue il resistente, lo Stato, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di sistema
tributario (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) «ben può disporre in merito alla
disciplina di tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale, a
condizione che non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari
per farvi fronte»; circostanza, questa, che non ricorrerebbe nella specie.
Posta tale premessa, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che sussistono tutti i
presupposti richiesti dallo statuto per la riserva allo Stato dell’intero gettito relativo
all’addizionale in contestazione. In primo luogo, l’addizionale – espressamente definita
“erariale” – «possiede il carattere della novità, in quanto derivante da un atto impositivo nuovo
in mancanza del quale l’entrata non si sarebbe verificata». In secondo luogo il tributo in
questione è stato introdotto per la copertura di oneri che sono precisamente indicati nell’art.
40, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 98 del 2011 e che sono destinati a coprire «specifici
importi di spesa ivi quantificati». Inoltre, le spese al cui finanziamento è destinata
l’addizionale presentano il carattere di «nuove specifiche spese di carattere non continuativo»,
in quanto «dirette a sostenere […] settori sociali fondamentali per l’intera collettività (quali la
sanità o la giustizia)». Quanto alla specificità della destinazione del gettito e alla sua
delimitazione temporale, la difesa dello Stato rileva che «tutte le entrate derivanti dalla
manovra di finanza pubblica hanno come specifico e prioritario obiettivo quello di garantire il
risanamento della finanza pubblica mediante il conseguimento del pareggio di bilancio» e che,
proprio in ragione di questa finalità, la destinazione allo Stato del gettito deve considerarsi
delimitata al «periodo necessario per il conseguimento degli imprescindibili obiettivi
concordati in sede europea che, in linea di principio, consistono nell’impegno a raggiungere il
predetto pareggio di bilancio entro il 2013». La medesima difesa sostiene, infine, che la tassa
automobilistica provinciale, pur dopo la modifica dell’art. 73 dello statuto speciale del
Trentino-Alto Adige, «conserva i connotati di un tributo di derivazione statale», perché è stata
introdotta, nel territorio della Provincia ricorrente, in sostituzione della tassa automobilistica
erariale, e quindi «non è stata istituita ex novo con legge provinciale, ma è derivata dalla
corrispondente tassa erariale che nei territori provinciali ha cessato di esistere». Anche l’art. 8
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata
delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei
fabbisogni standard nel settore sanitario) conferma, ad avviso del resistente, che la tassa
automobilistica provinciale, al pari di quella regionale, presenta i caratteri di un tributo
proprio derivato «che, per quanto attribuito alle regioni, è pur sempre istituito e regolato nei
suoi aspetti sostanziali dalla legge dello Stato».
Con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 79 dello statuto e del principio di leale
collaborazione, l’Avvocatura generale dello Stato ne afferma l’infondatezza, osservando che, in base alla citata disposizione statutaria, «l’accordo fra la Regione, le Province e il Ministro
dell’Economia e delle Finanze ha ad oggetto specificamente (ed esclusivamente) gli obblighi
relativi al patto di stabilità» e, pertanto, non è applicabile alla fattispecie.
3.– In prossimità dell’udienza pubblica, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una
memoria, insistendo per l’accoglimento della questione ed osservando che: a) l’eccezionalità
della «situazione economica “emergenziale”» non autorizza a violare le norme statutarie
sull’autonomia finanziaria della Provincia; b) il modo in cui la Provincia concorre al
raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica è tassativamente definito nell’art. 79
dello statuto, «per cui risulta del tutto illegittima l’introduzione con legge ordinaria dello Stato
di ulteriori oneri e ulteriori modalità», estranei a quelli specificamente concordati in
attuazione della predetta norma statutaria; c) la tassa automobilistica provinciale costituisce,
ai sensi dell’art. 73 dello statuto, un «tributo proprio» della Provincia e non (come invece
sostiene il resistente) un tributo “derivato” sul quale lo Stato ha potestà di disciplina; d) l’art. 8
del d.lgs. n. 68 del 2011 ha trasformato la tassa automobilistica regionale in tributo proprio
anche per le regioni a statuto ordinario; e) il riferimento agli obiettivi di riequilibrio della
finanza pubblica «esclude di per sé che sia applicabile l’art. 9 d.lgs. 268/1992, che consente la
riserva all’erario per “finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’articolo 10”, le quali
consistono proprio nel “raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica”»;
f) mancano gli altri requisiti richiesti dallo stesso articolo 9 per la riserva del gettito allo Stato
e, in particolare, la delimitazione temporale dell’addizionale e del relativo gettito, in quanto è
«artificioso» fissarla – come fa la difesa statale – nella data del 2013, cioè nel termine entro il
quale lo Stato italiano si è impegnato in sede europea a conseguire il pareggio di bilancio.
4.– Nel corso della discussione in pubblica udienza, la difesa dello Stato – traendo spunto da
quanto riferito dal giudice relatore e, in particolare, dalla questione di ammissibilità da esso
indicata – ha chiesto che il ricorso venisse dichiarato inammissibile, perché la ratifica
consiliare della delibera della Giunta provinciale di proporre ricorso (delibera adottata in via
d’urgenza e soggetta a ratifica consiliare, ai sensi dell’art. 54, numero 7, dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige) non è stata depositata in giudizio entro il termine previsto per la
costituzione della parte ricorrente.
La difesa della ricorrente ha osservato al riguardo che la Corte ha spesso deciso nel merito
ricorsi proposti dalle Province autonome di Trento e di Bolzano senza rilevare la tardività del
deposito della ratifica consiliare. La medesima difesa ha comunque chiesto un rinvio
dell’udienza, per poter piú diffusamente argomentare sul punto.

Considerato in diritto 1.– La Giunta della Provincia autonoma di Trento – con deliberazione dell’8 settembre 2011, n.
1931, adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige) e ratificata dal Consiglio della medesima Provincia con deliberazione n.
11 dell’8 novembre 2011 – ha proposto in via principale, con ricorso notificato il 14 settembre
2011 e depositato il successivo 21 settembre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23,
comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15
luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), nella parte in cui
prevede che, «A partire dall’anno 2011, per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto
promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari
ad euro dieci per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque
chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato». La disposizione è impugnata per
violazione degli artt. 73, 75 e 79 del citato d.P.R. n. 670 del 1972 e degli artt. 3, 9, 10 e 10-bis
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché del principio di
leale collaborazione.
La ricorrente premette che la tassa automobilistica provinciale è stata istituita con l’art. 4
della legge della Provincia autonoma di Trento 11 settembre 1998, n. 10 (Misure collegate con
l’assestamento del bilancio per l’anno 1998), e che «Le tasse automobilistiche istituite con
legge provinciale costituiscono tributi propri», in base al secondo periodo del comma 1 dell’art.
73 dello statuto del Trentino-Alto Adige (periodo introdotto, con effetto dal 1° gennaio 2010,
dal numero 1 della lettera c del comma 107 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010”). Su tale premessa, la Provincia autonoma deduce che lo Stato, con la
disposizione impugnata, nel prevedere che l’addizionale erariale «è da versare alle entrate del
bilancio dello Stato», si appropria illegittimamente del gettito di un tributo proprio
provinciale. In via subordinata – per l’ipotesi in cui la disposizione oggetto di censura si
interpreti nel senso che lo Stato ha con essa istituito «una imposta nuova e propria» – la
Provincia autonoma di Trento deduce la violazione dell’art. 75, lettera g), dello statuto, che
riserva alla Provincia medesima «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali,
dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l’imposta locale sui redditi, ad eccezione di
quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici».
Ad avviso della ricorrente, in entrambi i casi considerati – si tratti, cioè, della maggiorazione
di una tassa provinciale ovvero di una nuova imposta statale – difetterebbero le condizioni
poste dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 per la riserva del gettito all’erario e, pertanto,
sarebbero violati gli articoli 73 e 75, lettera g) [rectius: art. 75, comma 1, alinea e lettera g)], dello statuto speciale di autonomia. Inoltre la norma impugnata, imponendo alla Provincia
autonoma una forma di concorso al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica senza osservare lo specifico procedimento concordato previsto dall’art. 79 dello
statuto, violerebbe tale disposizione statutaria ed il principio di leale collaborazione.
2.– Nel corso della discussione in pubblica udienza, la difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto il profilo della tardività del deposito in
giudizio della ratifica, da parte del Consiglio provinciale, della deliberazione della Giunta
provinciale di proporre il ricorso stesso. L’atto di ratifica, infatti, non è stato depositato in
giudizio entro il termine previsto per la costituzione della parte ricorrente.
L’eccezione è fondata per le ragioni esposte nel punto 2.1., ma, nel caso di specie, non può
essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in considerazione dell’affidamento ingenerato
dalla prassi di questa Corte circa la non perentorietà del termine di deposito della ratifica
consiliare, come si dirà nel punto 2.2.
2.1.– In punto di fatto va rilevato che la Giunta provinciale ha deliberato in data 8 settembre
2011 la proposizione del ricorso avverso la sopra indicata normativa. Il ricorso è stato
notificato il successivo 14 settembre, giorno in cui scadeva il termine di sessanta giorni dalla
pubblicazione della legge statale nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 16 luglio
2011; termine previsto dall’art. 127 Cost. per promuovere questione di legittimità
costituzionale in via principale ed applicabile anche per l’impugnazione delle leggi statali o
regionali da parte delle Province autonome, a norma del secondo comma dell’art. 32 della legge
11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
richiamato dall’art. 36 della medesima legge, in riferimento agli artt. 97 e 98 dello statuto
d’autonomia. Dalla data del 14 settembre, in cui era stata effettuata la notificazione al
Presidente del Consiglio dei ministri, cominciava a decorrere, ai sensi dell’art. 31, comma 4,
richiamato dall’art. 32, terzo comma, della citata legge n. 87 del 1953, il termine di dieci giorni
per il deposito del ricorso (termine avente scadenza, perciò, il 24 settembre). Il ricorso è stato
depositato, senza che ad esso fosse allegato l’atto di ratifica, il 21 settembre 2011. La ratifica
dell’impugnazione è stata successivamente deliberata dal Consiglio provinciale l’8 novembre
ed è pervenuta nella cancelleria di questa Corte solo il 19 dicembre 2011 e, quindi, ben oltre il
già menzionato termine del 24 settembre fissato per il deposito del ricorso.
2.1.1.– Ciò premesso, si deve rilevare che questa Corte – in tema di giudizi di legittimità
costituzionale in via principale e per conflitto di attribuzione tra enti, promossi dal Presidente
del Consiglio dei ministri o dal Presidente della Giunta regionale – ha costantemente
affermato che la «previa deliberazione» della proposizione del ricorso introduttivo da parte
dell’organo collegiale competente è «esigenza non soltanto formale, ma sostanziale […] per
l’importanza dell’atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l’atto stesso può produrre» (sentenza n. 33 del 1962; analogamente le sentenze n. 8 del 1967; n. 119 del 1966; n.
36 del 1962). Essa ha piú volte precisato, altresí, che non sussiste un principio generale
«secondo il quale ogni organo di presidenza potrebbe, in caso di urgenza e salvo ratifica,
adottare i provvedimenti spettanti al collegio» (sentenza n. 119 del 1966), non valendo a
sanare l’originario difetto di potere dell’organo ricorrente una delibera di ratifica del
competente organo collegiale adottata dopo la scadenza del termine per l’impugnazione
(sentenze n. 54 del 1990, n. 147 del 1972, n. 8 del 1967, n. 76 del 1963).
Tale tassativa esigenza di una preventiva deliberazione autorizzatoria da parte dell’organo
collegiale competente a proporre il ricorso non ha tuttavia impedito a questa Corte, con
riferimento all’ipotesi di impugnazioni di leggi regionali o provinciali da parte dello Stato, di
riconoscere in via di principio che, in «circostanze straordinarie (da valutare caso per caso), il
Presidente del Consiglio dei ministri – accertata l’oggettiva impossibilità di procedere alla
convocazione del Consiglio dei ministri e l’esigenza di garantire la continuità e l’indefettibilità
della funzione di governo – possa provvedere, sotto la propria responsabilità, alla proposizione
dell’impugnativa avverso la legge regionale, salva, in ogni caso, la successiva ratifica
consiliare» (sentenza n. 54 del 1990). Allorché ha accertato la sussistenza di una di tali
«circostanze straordinarie», questa Corte ha ritenuto sufficiente, per la proposizione del ricorso
da parte dello Stato, la volontà espressa in via d’urgenza dall’organo presidenziale privo della
legittimazione processuale attiva (il Presidente del Consiglio dei ministri), con ciò derogando
all’art. 31 della legge n. 87 del 1953. In quell’occasione ha tuttavia precisato che l’organo
consiliare competente (il Consiglio dei ministri) deve esprimere «con una formale deliberazione
la detta volontà, in modo diretto o in modo indiretto […] almeno prima del deposito del ricorso
davanti alla Corte» (sentenza n. 147 del 1972).
2.1.2.- Nel caso di specie, l’interinale legittimazione processuale straordinaria non è frutto di
una interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, ma è positivamente disciplinata, per
l’ipotesi di impugnazione di leggi statali, dal piú volte citato combinato disposto degli artt. 54,
numero 7) – già art. 48, numero 7) –, e 98, primo comma, dello statuto del Trentino-Alto Adige,
i quali espressamente subordinano l’efficacia dell’impugnazione di un atto legislativo statale,
proposta in via d’urgenza dalla Giunta, alla ratifica da parte del Consiglio nella sua prima
seduta successiva. Tale disposizione, data la sua generale formulazione, si riferisce a tutti i
provvedimenti di competenza del Consiglio provinciale e, quindi, anche alle delibere di
proposizione del ricorso avverso una legge o un atto avente valore di legge della Repubblica
(sentenza n. 57 del 1957); delibere riservate espressamente dall’indicato art. 98 dello statuto
alla competenza del Consiglio provinciale.
Il fatto, però, che in base al suddetto statuto d’autonomia sia consentito alla Giunta
provinciale di proporre ricorso salvo ratifica non significa che questa sia irrilevante ai fini del

giudizio davanti a questa Corte e neppure che possa intervenire in qualunque momento di
esso, purché entro l’udienza di discussione.
2.1.3.- Al contrario, con riferimento al caso di specie, deve ritenersi che l’eccezionale e
temporanea legittimazione processuale della Giunta (sostitutiva di quella ordinaria attribuita
al Consiglio provinciale dagli artt. 54, numero 7, e 98, primo comma, dello statuto) vada
necessariamente consolidata e resa definitiva, in quanto prevista solo a titolo provvisorio,
mediante ratifica entro un termine predeterminato. Nel processo costituzionale, in mancanza
di una normativa specifica, tale termine va individuato in base alla disciplina ed ai relativi
princípi che attualmente regolano i giudizi davanti a questa Corte. In particolare, al fine di
garantire l’economia, la celerità e la certezza del giudizio costituzionale, è necessario che la
volontà del Consiglio provinciale di promuovere ricorso avverso una legge dello Stato sia
accertata, mediante acquisizione della deliberazione agli atti del processo, al piú tardi, al
momento in cui il ricorso va depositato nella cancelleria della Corte; e cioè entro il termine
perentorio di dieci giorni dall’ultima notificazione, stabilito dal combinato disposto del terzo
comma dell’art. 32 e del comma 4 dell’art. 31 della legge n. 87 del 1953 (citate sentenze n. 54
del 1990 e n. 147 del 1972).
Il deposito del ricorso notificato, da effettuarsi entro il termine perentorio suddetto,
costituisce, infatti, un momento essenziale del processo costituzionale, perché comporta la
costituzione in giudizio della parte ricorrente, fissa definitivamente il thema decidendum
(impedendone ogni successivo ampliamento), instaura il rapporto processuale con questa Corte
e segna l’inizio del termine ordinatorio di novanta giorni per la fissazione dell’udienza di
discussione del ricorso (art. 35 della legge n. 87 del 1953). Inoltre, dalla scadenza del termine
stabilito per il deposito del ricorso decorre il termine perentorio entro il quale le altre parti
possono costituirsi in giudizio (nella specie, per la parte convenuta nei ricorsi di impugnazione
di leggi, trenta giorni, ai sensi del comma 3 dell’art. 19 delle citate norme integrative).
Questa non casuale scansione di termini processuali mostra in modo evidente che il processo
costituzionale – in coerenza con la sua essenziale funzione di assicurare un preordinato e
razionale sistema di giustizia legale, nel rispetto del principio del contraddittorio – è diretto a
garantire alla parte resistente la possibilità di manifestare la propria volontà di opporsi al
ricorso (costituendosi in giudizio) dopo che l’atto di impugnazione deliberato dall’organo solo
provvisoriamente competente si sia definitivamente consolidato con la ratifica e dopo che
questa sia stata prodotta in giudizio entro il termine perentorio fissato al ricorrente per il
deposito in cancelleria del ricorso. Diversamente, si imporrebbe irragionevolmente alla parte
resistente di costituirsi in giudizio quando ancora non è stata perfezionata e definitivamente
accertata la volontà del ricorrente di proporre il ricorso. Ne segue che l’atto di ratifica dell’impugnazione della legge statale deve essere depositato nel termine del deposito del
ricorso stesso.
2.1.4.– La legittimazione sostitutiva della Giunta provinciale al Consiglio provinciale non è né
incondizionata né a titolo definitivo, ma sorge solo in situazioni d’urgenza ed ha efficacia
interinale e provvisoria, necessitando di un consolidamento mediante ratifica da parte del
Consiglio stesso. L’instabilità e l’interinalità degli effetti di tale legittimazione sono analoghe,
sotto tale aspetto, a quelle della legittimazione sostitutiva attribuita extra ordinem dalla
giurisprudenza di questa Corte al Presidente del Consiglio dei ministri per i ricorsi proposti in
luogo del Consiglio (sentenze ricordate al punto 2.1.1.). Poiché non ha alcun rilievo la diversità
della fonte immediata delle suddette legittimazioni surrogatorie (statutaria nel caso della
Giunta provinciale; giurisprudenziale nel caso del Presidente del Consiglio dei ministri),
occorre concludere che anche l’atto di ratifica del Consiglio provinciale deve intervenire ed
essere prodotto in giudizio, al piú tardi, al momento del deposito del ricorso davanti alla Corte
o, comunque, entro il termine per la costituzione in giudizio (analogamente a quanto statuito
da questa Corte con la citata sentenza n. 147 del 1972 con riferimento alla ratifica del
Consiglio dei ministri).
La conclusione sopra raggiunta circa la perentorietà del termine entro il quale la ratifica va
depositata in giudizio non è contraddetta dalle ipotesi in cui l’organo ricorrente incompetente o
con competenza meramente provvisoria ha rinunciato al ricorso prima dell’intervento della
ratifica e la Corte abbia dichiarato estinto il giudizio senza rilevare il difetto di capacità
processuale del rinunciante (come avvenuto, ad esempio, con la sentenza n. 461 del 1992).
Infatti, la rinuncia del ricorrente (sia esso dotato o no di una definitiva capacità processuale),
nel caso di accettazione del resistente costituito o nel caso in cui il resistente non sia costituito,
comporta di per sé l’estinzione del giudizio ed impedisce, al pari delle ipotesi di cessazione
della materia del contendere, la valutazione da parte della Corte della sussistenza del
presupposto della legitimatio ad processum.
2.2.– Come si è anticipato, l’inammissibilità del ricorso per tardività del deposito della ratifica
consiliare rispetto al termine per la costituzione in giudizio non può, tuttavia, essere
dichiarata. Si deve, infatti, tener conto nel caso di specie della lunga prassi di questa Corte, la
quale in numerose pronunce (ex multis, sentenze n. 57 del 1957; n. 56 del 1964; n. 768 del
1988; n. 104 del 2008) non ha rilevato l’inammissibilità del ricorso sotto questo profilo. Siffatta
prassi ha determinato, anche per l’obiettiva incertezza interpretativa delle norme processali in
materia, un errore scusabile tale da ingenerare nelle Province autonome l’affidamento circa la
non perentorietà del suddetto termine di deposito.
Questa Corte ritiene, pertanto, di dover procedere all’esame nel merito della questione e di
non accogliere la richiesta dalla parte ricorrente di fissare un’ulteriore udienza di discussione. 3.– Prima di esaminare nel merito la sollevata questione di legittimità costituzionale, occorre
prendere atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 16, comma 1, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,
n. 214, ha modificato il secondo periodo dell’impugnato comma 21 dell’art. 23 del decreto-legge
n. 98 del 2011, variando, a partire dal 2012, l’importo dell’addizionale da 10 euro per ogni
chilowatt superiore ai 225 a 20 euro per ogni chilowatt eccedente i 185 («A partire dall’anno
2012 l’addizionale erariale della tassa automobilistica di cui al primo periodo è fissata in euro
20 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a centottantacinque chilowatt.»).
Detto ius superveniens, tuttavia, non ha comportato la cessazione della materia del
contendere sia perché la disciplina relativa all’anno 2011 (primo periodo del comma 21) è
rimasta immutata sia perché la censura della Provincia autonoma è rivolta alla prevista
riserva allo Stato del gettito dell’addizionale, indipendentemente dall’entità dell’addizionale
stessa e dall’importo del suo gettito. Ne segue che la questione deve essere estesa alla nuova
formulazione dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011.
4.– Nel merito, la ricorrente prospetta, in via gradata, tre diverse questioni di legittimità
costituzionale. In via principale, deduce che la normativa impugnata, nel disporre
l’acquisizione all’erario del gettito dell’addizionale sulla tassa automobilistica,
illegittimamente stabilisce l’appropriazione da parte dello Stato del gettito di un tributo
proprio della Provincia autonoma in violazione dell’art. 73 dello statuto. In via subordinata,
afferma che la medesima normativa, nel prevedere l’attribuzione allo Stato dell’intero gettito
di detta addizionale, víola l’art. 75, lettera g) [rectius: art. 75, comma 1, alinea e lettera g)],
dello statuto, che riserva alla Provincia medesima «i nove decimi di tutte le altre entrate
tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l’imposta locale sui
redditi, ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici». Infine, lamenta,
in via ulteriormente gradata («solo per scrupolo di completezza», come si esprime nel ricorso),
che, mediante la disposizione censurata, lo Stato persegue obiettivi di riequilibrio della
finanza pubblica senza la previa adozione delle specifiche modalità previste – in applicazione
del principio di leale collaborazione – dall’art. 79 dello statuto, secondo cui, «Al fine di
assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con
il Ministro dell’economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilità interno con
riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo».
4.1.– La prima di tali questioni, proposta in via principale, non è fondata. La ricorrente
afferma che l’addizionale erariale, in quanto si innesta in un tributo proprio della Provincia –

cioè nella tassa automobilistica provinciale istituita dall’art. 4 della legge prov. n. 10 del 1998,
da qualificarsi «tributo proprio» in senso stretto a decorrere dal 1° gennaio 2010, ai sensi del secondo periodo del comma 1 dell’art. 73 dello statuto d’autonomia –, costituisce
maggiorazione di un tributo provinciale, con la conseguenza che anche il gettito di tale
addizionale andrebbe attribuito alla Provincia.
Per giungere a questa conclusione, la ricorrente presuppone che tale addizionale abbia la
stessa natura di tributo proprio provinciale della tassa cui inerisce. Tale presupposto è,
tuttavia, errato perché l’addizionale (sia essa qualificabile come una vera e propria addizionale
oppure come una sovrimposta), pur innestandosi in un tributo proprio della Provincia, resta
un prelievo erariale, stabilito dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva in
materia di «sistema tributario dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).
Pertanto, anche il gettito di tale addizionale spetta all’erario, nei limiti consentiti dalle norme
statutarie.
Né può accogliersi la tesi della ricorrente, la quale, per sostenere l’attribuzione in suo favore
dell’intero gettito dell’addizionale, invoca il transitorio rinvio alla normativa statale della
tassa automobilistica effettuato dal comma 2 del citato art. 4 della legge prov. n. 10 del 1998
(«In attesa di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale il presupposto
d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi, le modalità di applicazione del tributo […]
rimangono assoggettati alla disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n.
39 del 1953 [recante: «Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche»], nonché alle altre
disposizioni previste per la tassa automobilistica erariale e regionale vigenti nel restante
territorio nazionale»). Infatti, mediante tale comma 2, il legislatore provinciale ha solo inteso
mutuare dalla normativa statale la disciplina della propria tassa automobilistica, attraverso
un rinvio avente ad oggetto esclusivamente le norme statali «vigenti» relative alla «tassa
automobilistica» e non anche all’«addizionale erariale» in esame, che è stata introdotta dalla
normativa censurata solo successivamente alla citata legge provinciale e che, comunque, non
può costituire un «tributo proprio della Provincia», in quanto non “istituita con legge
provinciale”, ai sensi del comma 1 dell’art. 73 dello statuto.
Occorre, dunque, ritenere che la normativa impugnata è stata legittimamente introdotta dallo
Stato nell’esercizio della propria potestà legislativa esclusiva nella materia «sistema tributario
dello Stato» e che il fatto che l’addizionale erariale si innesti su un tributo proprio provinciale
non implica che il relativo gettito costituisca anch’esso gettito di un tributo proprio
provinciale.
4.2.– Con la seconda questione, proposta in via subordinata, la ricorrente afferma che
l’attribuzione allo Stato dell’intero gettito dell’addizionale erariale e non soltanto di un decimo
di esso víola gli articoli 73 e 75, comma 1, alinea e lettera g), dello statuto speciale di
autonomia, difettando le condizioni poste dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, per la riserva del
gettito all’erario. La ricorrente lamenta, in particolare, che il gettito non può attribuirsi allo Stato, ai sensi del citato art. 9, perché: 1) l’addizionale è stata introdotta senza limitazioni
temporali, ma a regime; 2) il gettito non è quantificato, né distintamente contabilizzato, in
quanto alla copertura delle spese indicate nell’art. 40, comma 2, del decreto-legge n. 98 del
2011 è destinata solo una «quota parte» dell’addizionale stessa, oltre che una vasta congerie di
nuove entrate; 3) l’addizionale è destinata alla copertura non di «nuove specifiche spese», ma
dell’insieme indistinto di spese indicato dal citato art. 40, comma 2.
La questione è fondata.
4.2.1.– L’evocato art. 75, comma 1, alinea e lettera g), dello statuto riserva alle Province
autonome «i nove decimi» delle «entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque
denominate […], ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici», che
siano «percette nei rispettivi territori provinciali».
Il comma unico dell’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 (come modificato dall’art. 4 del decreto
legislativo 24 luglio 1996, n. 432, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la
regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 16 marzo
1992, n. 268, concernente la finanza regionale e provinciale»), nell’attuare lo statuto, stabilisce
che: «Il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi, se
destinato per legge, per finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’art. 10 e al comma 1,
lettera b), dell’art. 10-bis, alla copertura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, di nuove
specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza
della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamità naturali, è riservato allo
Stato, purché risulti temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel
bilancio statale e quindi quantificabile. Fuori dei casi contemplati nel presente articolo si
applica quanto disposto dagli articoli 10 e 10-bis».
Per valutare se la riserva al bilancio statale dell’addizionale erariale disposta dalla norma
censurata sia legittima occorre verificare se essa soddisfi tutte le condizioni previste
dall’evocato art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992. In particolare, questo articolo richiede a tal fine
che: 1) la suddetta riserva sia giustificata da «finalità diverse da quelle di cui al comma 6
dell’art. 10 e al comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioè da
finalità diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica»
(art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall’esercizio delle funzioni
statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); 2) il gettito derivi da
maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi; sia temporalmente delimitato; sia
contabilizzato distintamente nel bilancio dello Stato e, quindi, sia quantificabile; sia destinato
per legge alla copertura (ai sensi dell’art. 81 Cost.) di spese specifiche, nuove, di carattere non
continuativo, non riferibili a materie di competenza regionale o provinciale (ivi comprese
quelle relative a calamità naturali). Nella specie, il denunciato art. 23, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011, sia nel testo
originario che in quello modificato dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, non
soddisfa quantomeno la condizione della delimitazione temporale del gettito, perché
l’addizionale si applica senza limiti di tempo, «a partire dal 2011» e, in misura diversa, dal
2012 per effetto del citato ius superveniens. Né per delimitare gli effetti della normativa
impugnata può invocarsi – come fa la difesa della resistente – il termine del 2013, entro il
quale lo Stato italiano si è impegnato in sede europea a conseguire il pareggio di bilancio. Tale
impegno, infatti, ha natura meramente politica e non si è tradotto in norme giuridiche
vincolanti. Tanto è sufficiente per escludere la riserva allo Stato del gettito dell’addizionale.
E ciò, senza tener conto che anche la condizione del carattere non continuativo delle spese alla
cui copertura il gettito stesso deve essere destinato non è soddisfatta per molte delle spese che
l’addizionale è diretta a finanziare in base all’alinea del comma 2 dell’art. 40 del decreto-legge
n. 98 del 2011. Tra tali spese (o minori entrate), infatti, hanno carattere continuativo quelle
previste dai seguenti articoli del medesimo decreto-legge: a) 23, comma 8 (riduzione dal 10 al 4
per cento della ritenuta di acconto dell’imposta sul reddito); b) 23, comma 45 (istituzione della
zona franca di Lampedusa, a condizione della previa autorizzazione comunitaria); c) 31
(esclusione da imposizione di alcuni proventi derivanti dalla partecipazione ai «Fondi per il
Venture Capital»); d) 23, commi da 12 a 15 (riallineamento di valori fiscali e civilistici relativi
all’avviamento ed alle altre attività immateriali); e) art. 27 (agevolazioni di imposta per
l’imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità); f) art. 37, comma 20 (spese di
funzionamento, a decorrere dall’anno 2011, del Collegio dei revisori dei conti, chiamato ad
esercitare il controllo sulla regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale del Consiglio di
presidenza della giustizia amministrativa, del Consiglio di presidenza della giustizia
tributaria e del Consiglio della magistratura militare).
4.3.– Da quanto precede risulta che il gettito dell’addizionale erariale in esame, percetto nel
territorio della Provincia autonoma, non può essere attribuito integralmente allo Stato, perché
non è delimitato temporalmente. Tale gettito, pertanto, spetta alla Provincia ricorrente nella
misura dei nove decimi, ai sensi dell’art. 75, comma 1, alinea e lettera g), dello statuto. In tali
limiti va accolta la promossa questione di legittimità costituzionale. Restano assorbiti gli altri
profili di censura prospettati dalla ricorrente.
5.– Anche la terza questione – in quanto proposta dalla ricorrente in via ulteriormente
subordinata – resta assorbita dall’accoglimento della seconda questione.
6.– Data l’identità della normativa statutaria e di attuazione dello statuto riguardante la
Provincia autonoma ricorrente e la Provincia autonoma di Bolzano, la presente pronuncia –

con riferimento all’attribuzione del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica
provinciale – deve essere estesa a quest’ultima Provincia.
per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), sia nel testo originario sia in quello modificato dall’art. 16, comma
1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,
n. 214, nella parte in cui dispone che sia integralmente versato al bilancio dello Stato il gettito
dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica provinciale percetto nei rispettivi territori
delle Province autonome di Trento e di Bolzano e non attribuisce a ciascuna di tali Province
autonome i nove decimi di detto gettito.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2012.

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