La legge sulla responsabilità civile dei magistrati è contraria al diritto dell’UE
Non si può limitare la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o colpa grave

di Federica Federici

Massima

È contraria al diritto dell’Unione la legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati per i danni arrecati ai singoli a seguito di violazione del diritto medesimo. L’esclusione ovvero la limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o di colpa grave è contraria al principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

La responsabilità civile del magistrato da sempre è questione che affanna gli operatori del diritto, riacquistando visibilità soprattutto nei momenti di tensione nei rapporti tra magistratura e politica, o in corrispondenza di casi giudiziari eclatanti. Invero, il sistema della responsabilità civile del magistrato ha dimostrato nel tempo una notevole resistenza, riassorbendo di volta in volta gli effetti di referendum, riforme, dibattiti dottrinali.

Con decisione della Corte di Giustizia UE, C. 379-10, del 24 Novembre 2011, la normativa italiana sulla responsabilità civile dei magistrati non è stata ritenuta conforme al diritto dell’Unione.

La Corte di Giustizia, infatti, su un ricorso introdotto dalla Commissione, ha sostenuto che la legge italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati (Legge 13 aprile 1988, n. 117) è incompatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

E’ evidente come il testo di legge del 1988 rappresenti l’affermazione della responsabilità dello Stato giudice, collocata in posizione prevalente rispetto a quella personale del magistrato (prevista solo in seconda battuta e entro limiti predefiniti). Tale legge costituisce soprattutto il risultato di un compromesso: essa sovrappone senza coordinarli i diversi sistemi di responsabilità ipotizzati nell’iter di approvazione parlamentare, controbilanciando la apertura – sebbene parziale – alla responsabilità per colpa con diverse cautele, disomogenee tra loro e penalizzanti per il danneggiato. L’area della responsabilità risulta ulteriormente circoscritta dalla c.d. “clausola di salvaguardia”, che esclude la responsabilità in ogni caso in cui il giudice compia un’attività di interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove.

Riproponendo lo strumento di valutazione preventiva di ammissibilità, seppure in forma giurisdizionale e non più amministrativa: salvo il danno derivante da reato (che si dice regolato dalle “norme ordinarie”) l’azione di risarcimento è sottoposta ad un vaglio preventivo da parte del Tribunale in forma collegiale, la legge ha provocato il risultato che la responsabilità dello Stato è stata riconosciuta solo in ipotesi assolutamente marginali, vedendo arenarsi la maggior parte delle iniziative giudiziali sullo scoglio della valutazione di ammissibilità preliminare della domanda, rivelatasi perciò uno sbarramento eccessivamente selettivo.

Non sorprende quindi che la legge 117/88 abbia attirato dure e numerose critiche, profili di dubbia costituzionalità e iniziative referendarie, fino a coinvolgere i giudici comunitari in virtù dell’asserito contrasto con il principio di effettività, per il suo rendere eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto al risarcimento del danno da violazione del diritto comunitario.

All’Italia viene contestato da un lato, di avere escluso qualsiasi responsabilità dello Stato per i danni causati a singoli qualora la violazione del diritto dell’Unione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuata da un siffatto organo e, dall’altro, di aver limitato, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave. Tale esclusione e limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o di colpa grave è, per l’appunto, contraria al principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. I giudici europei rilevano come la condizione della «colpa grave», prevista dalla legge italiana, così come interpretata dalla Corte di Cassazione italiana, si risolva nell’imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di “violazione manifesta del diritto vigente”. Per contro, l’Italia non è stata in grado di provare che l’interpretazione di tale legge ad opera dei giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Come è noto, il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di risarcire i danni arrecati ai singoli a seguito di violazioni del diritto dell’Unione ad essi imputabili, a prescindere dall’organo da cui tale danno sia scaturito; principio che trova medesima applicazione nel caso in cui la violazione sia commessa dal potere giudiziario: la necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto dell’Unione conferisce loro, implica che la responsabilità dello Stato possa sorgere per violazione del diritto dell’Unione risultante dall’interpretazione di norme di diritto da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una “violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto” si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi.

In particolare, la Corte ha rilevato che l’Italia non ha dimostrato che la normativa italiana venga interpretata dai giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla. La Corte ha precisato che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni:

a)    la norma giuridica violata dev’essere preordinata a conferire diritti ai singoli;

b)    la violazione dev’essere sufficientemente caratterizzata;

c)    tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto.

I segnali della Corte di Strasburgo, confermano, quindi la necessità impellente di una riforma che possa conferire dignità ad una disciplina sostanzialmente sprovvista di effettività.

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