DANNI DA PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO ILLEGITTIMO

Danno non patrimoniale causato da provvedimento amministrativo illegittimo: il Consiglio di Stato conferma l’orientamento restrittivo delle Sezioni Unite della Cassazione.

Nota a sentenza Consiglio di Stato sez. IV, 5/9/13 n.4464.

a cura dell’avv. Federica Guglielmi

Massima

In adesione al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e a quello delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n.26972/08), che hanno interpretato in senso costituzionalmente orientato l’art.2059 c.c., la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona garantiti dalla Costituzione, anche nel caso in cui sia derivato dall’emissione di un provvedimento amministrativo illegittimo, è accoglibile pure quando non sussiste un fatto-reato e non ricorra alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, purchè sussistano tre condizioni: a) l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale; b) la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (nel rispetto del dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.; c) il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

 

Il caso

Il giudizio ha avuto ad oggetto l’accertamento della responsabilità del Ministero della Giustizia relativamente al risarcimento del danno subito dalla ricorrente a causa del suo illegittimo collocamento a riposo per inidoneità al servizio, cui erano seguite – dopo una precedente pronuncia del Consiglio di Stato – la reintegrazione in servizio e la corresponsione delle competenze spettanti per il periodo intercorso tra il collocamento a riposo e la reintegrazione.                                  La domanda giudiziale, pertanto, risultava limitata ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, nelle due voci del c.d. danno esistenziale (da intendersi “come pregiudizio reddituale, non patrimoniale, conseguente alla lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento giuridico”) e del danno morale (da intendersi come “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima”), causato dalla condotta illecita dell’Amministrazione. Il giudice di primo grado aveva già rigettato la domanda, ritenendola sfornita di elementi di prova da cui poter desumere l’effettiva sussistenza dei lamentati danni non patrimoniali.

L’appello proposto dalla dipendente è stato rigettato dal Consiglio di Stato che, confermando la pronuncia di prime cure, ha ribadito il consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza civile (Cass. civ., sez. un. n.26972/08) e  amministrativa in materia di limiti alla configurabilità del danno non patrimoniale causato da provvedimento amministrativo illegittimo (Cons. Stato, 2 aprile 2012 nn.1957 e 1958).

 

Brevi note di commento

Il Consiglio di Stato ha richiamato e fatto propria la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n.26972/08), restrittiva del precedente orientamento interpretativo delineatosi con le sentenze n.8827 e 8828/03 e con la sentenza n.233/03 della Corte Costituzionale, secondo la quale in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c. il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè: a) quando il fatto illecito é astrattamente configurabile come reato. In tale caso la vittima ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale causato dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; b) quando ricorre una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad esempio per l’illecito trattamento dei dati personali o   per la violazione del divieto di discriminazione razziale). In tale caso la vittima ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale causato dalla lesione dei soli interessi della persona specificatamente tutelati dalla legge con una norma attributiva del diritto al risarcimento (quali ad esempio quello alla riservatezza o a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito ha violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. In tal caso la vittima ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale causato dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma devono essere selezionati caso per caso dal giudice.

Il Consiglio di Stato, inoltre, ha condiviso anche l’ulteriore principio interpretativo enunciato dalle Sezioni unite della Cassazione nel 2008, in merito all’inammissibilità nel nostro ordinamento di un’autonoma categoria di “danno c.d. esistenziale”, da intendersi quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona.

La liquidazione di un’ ulteriore voce di danno, infatti, secondo la giurisprudenza citata, comporterebbe una duplicazione risarcitoria, ove nel “danno esistenziale” si includessero pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona. Tale categoria di danni sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all’art. 2059 c.c.

In definitiva, come nella pronuncia delle Sezioni Unite civili, anche nella sentenza in esame del supremo consesso della giustizia amministrativa, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, in quanto garantiti dalla Costituzione, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. – anche quando non sussista un fatto-reato, né ricorra alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, purché sussistano tre condizioni: a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

 

Il testo integrale della sentenza

 

                                    C.d.S. sez. IV, sentenza 5/9/13 n.4464.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1444 del 2010, proposto da:
Mariantonia Massa, rappresentato e difeso dagli avv. Arcangelo D’Avino, Paolo D’Avino, con domicilio eletto presso Alberto D’Auria in Roma, via Calcutta, 45;

contro

Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE VII n. 04970/2009, resa tra le parti, concernente COLLOCAMENTO A RIPOSO PER INIDONEITA’ AL SERVIZIO – RIS. DANNI

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 maggio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Sono presenti gli avvocati Francesco Paoletti in sostituzione di Arcangelo D’Avino e Federica Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con l’appello in esame, la sig.ra Mariantonia Massa impugna la sentenza 16 settembre 2009 n. 4970, con la quale il TAR per la Campania, sez. VII, ha respinto il suo ricorso proposto per l’accertamento della responsabilità del Ministero della Giustizia, ai fini del risarcimento del danno subito per illegittimo collocamento a riposo per inidoneità al servizio.

La sentenza appellata – affermata la giurisdizione del giudice amministrativo – precisa che l’amministrazione penitenziaria., nel disporre la reintegrazione in servizio della sig.ra Massa (a seguito di sentenza di questo Consiglio di Stato), “ha correttamente provveduto a corrisponderle le competenze dovute per il periodo intercorrente tra il suo collocamento a riposo e la reintegrazione in servizio”, di modo che oggetto della domanda di risarcimento è il danno non patrimoniale, distinto nelle due voci del cd. danno esistenziale (da intendersi “come pregiudizio reddituale, non patrimoniale, direttamente conseguente alla lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento giuridico”) e del danno morale (da intendersi come “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima”).

Tanto precisato, la sentenza impugnata afferma:

– la responsabilità aquiliana connessa ad un provvedimento illegittimo adottato nell’ambito del rapporto di pubblico impiego non privatizzato comporta l’obbligo di risarcire, oltre ai danni patrimoniali, anche gli eventuali danni non patrimoniali “ogni qualvolta il provvedimento illegittimo incida su diritti della persona del lavoratore aventi rilevanza costituzionale”;

– in ogni caso, la ricorrente non ha fornito alcun elemento di prova da cui si possa desumere l’effettiva sussistenza dei danni non patrimoniali che afferma di avere subito”.

Avverso tale decisione l’appellante – precisata la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito (pagg. 8 – 10 app.) e i criteri di quantificazione dal danno asseritamente subito (pagg. 11 – 13 app.), propone i seguenti motivi di appello:

error in iudicando; violazione artt. 2, 3, 4, 32, 36 e 97 Cost.; artt. 1223, 2043, 2056, 2059, 2087, 2727 e 2697 c.c.; erronea e contraddittoria motivazione; eccesso di potere; travisamento dei presupposti di diritto; poiché “alla luce dei principi espressi dalla Corte di Cassazione, consegue che il danneggiato, ai fini del risarcimento del danno, deve allegare tutti gli elementi di fatto dai quali desumere, secondo regole d’esperienza, l’esistenza e l’entità del pregiudizio”. Ciò ha fatto la ricorrente (v. pagg. 6 – 7 app.).

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, che ha concluso per il rigetto dell’appello, attesa la sua infondatezza, stante il mancato assolvimento degli oneri probatori in relazione all’asserita responsabilità extracontrattuale della P.A. e, comunque, l’insussistenza di questa..

All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Questo Collegio ha già avuto modo di pronunciarsi in materia di limiti alla configurabilità del danno non patrimoniale causato dalla Pubblica Amministrazione, ed in particolare da provvedimento illegittimo (Cons. Stato, 2 aprile 2012 nn. 1957 e 1958), con considerazioni dalle quali non vi è ragione di discostarsi nella presente sede.

Il Collegio ha avuto modo di richiamare e fare propria la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 11 novembre 2008 n. 26972, considerata anche dal primo giudice) in base alla quale , nel nostro ordinamento, il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.

Inoltre, la Suprema Corte, ha anche affermato che, nel nostro ordinamento, non è ammissibile l’autonoma categoria di “danno esistenziale”, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione. Pertanto, la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel “danno esistenziale” si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all’art. 2059 c.c.

In definitiva, secondo la giurisprudenza citata, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. – anche quando, come si è detto, non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

Alla luce dei criteri elaborati dalla Corte di Cassazione, e già fatti propri anche dalla giurisprudenza di questa Sezione, occorre ritenere che, nel casao di specie non ricorrano ipotesi di danno risarcibile; e ciò in quanto:

– per un verso, il danno esistenziale, inteso – nella prospettazione della ricorrente – come pregiudizio reddituale, non patrimoniale, direttamente conseguente alla lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento giuridico”, non appare sussistente nel caso di specie, non potendosi risarcire il mero disagio o una inferiore qualità della vita;

– il danno morale, inteso come “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima” non rientra, nel caso di specie e per le ragioni sopra evidenziate, tra le ipotesi di danno risarcibile.

Con particolare riferimento al “danno esistenziale”, occorre aggiungere che, in relazione a quanto esposto in appello (“grave pregiudizio economico”, derivante dal collocamento a riposo, perché sarebbe stato in tal modo precluso “di provvedere ai contingenti bisogni personali e di quelli del proprio nucleo familiari”), osserva il Collegio che:

– o tali pregiudizi economici, laddove dimostrati, fondano una categoria di danno diversa da quello esistenziale;

– ovvero tali pregiudizi restano una pura, apodittica affermazione sprovvista di fondamento probatorio, che non puyò costituire ex se nemmeno mera indicazione di un “fatto” tale da suscitare la considerazione del giudice e la sua valutazione equitativa.

A quanto sin qui esposto, occorre aggiungere, in ciò concordando con il giudice di I grado, che le voci di danno indicate dall’appellante non sono supportate da alcun elemento probatorio.

Né è possibile ritenere che la mera evocazione di “pregiudizi economici” o di “gravi turbamenti dello stato d’animo” senza alcuna ulteriore e specifica allegazione concreta possa integrare quelle minime circostanze di fatto che consentono e sollecitano un giudizio probabilistico del giudice e, dunque, una considerazione in via equitativa non solo della entità del danno, ma anche della prova della sua esistenza

Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere rigettato.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Massa Mariantonia (n. 1444/2010 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Guido Romano, Consigliere                                                                                                        Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

 

 

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