cassazionistaA cura del dott. Michele Maselli

In questo articolo cercheremo di capire, attraverso un’analisi ex ante ed ex post, le implicazioni, sul diritto vivente, derivanti dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite di Cassazione dell’11 Novembre 2008.

Come noto, l’art. 2059 del Codice Civile sancisce la risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge, da qui una sostanziale differenza rispetto alla atipicità dell’illecito civile ex art. 2043 c.c., ove ogni fatto doloso o colposo produttivo di danno obbliga al risarcimento.

Nel 1930, anno di emanazione del Codice Civile, l’unica norma positiva che esplicitamente prevedeva il risarcimento del danno non patrimoniale era l’art. 185[1] del Codice Penale; da qui l’idea che il danno non patrimoniale fosse risarcibile solo in presenza di un reato. Il contenuto del danno non patrimoniale in questione era individuato nella sofferenza contingente, nel turbamento del’animo transeunte ( c.d. danno morale soggettivo). Evidentemente un siffatto sistema, sostanzialmente chiuso, non era idoneo a tutelare tutte  quelle posizioni soggettive non suscettibili di una valutazione strettamente economica, prima fra tutte la salute.[2]

Tali inaccettabili conclusioni indussero ad un profondo ripensamento del sistema, concretizzatosi con l’affermata risarcibilità del c.d. danno biologico, inteso come lesione psico-fisica medicalmente accertabile. Fondamentale in tal senso la sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986 ( c.d. sentenza Dell’Andro); nella stessa la Consulta ampliò il concetto di patrimonio, fino a ricomprendervi la salute, ritenuta “ un diritto primario ed assoluto pienamente operante nei rapporti fra i privati”. Qualificata come danno evento non bisognoso di prova, la lesione all’integrità psico-fisico integrò il sistema risarcitorio, ora composto essenzialmente da tre elementi: danno patrimoniale ( 2043 c.c.), danno evento non patrimoniale ( 2043 c.c. + art 32 Cost.) e danno morale c.d. puro ( art. 2059 c.c. + art. 185 c.p.).

I successivi sviluppi giurisprudenziali sono datati 2003. Infatti, con cinque sentenze del Maggio del 2003[3] gli ermellini compiono un deciso revirement verso il sistema bipolare; nel ragionamento della S.C. il rinvio ai casi espressamente previsti dalla legge, secondo quando disposto dall’art. 2059 c.c., viene superato dalla imperatività e dalla cogenza delle norme costituzionali, cosicché, qualunque lesione di un diritto costituzionalmente tutelato e sancito,  incidente su posizioni aredittuali, è risarcibile ex art. 2059 c.c. Dunque, schematizzando, il modello risarcitorio è ora duplicato: da un lato vi è la risarcibilità del danno patrimoniale (strictu sensu economico) ex art. 2043 c.c., dall’altro il danno morale, gonfiato e suscettibile di ricomprendere qualsiasi lesione ai diritti costituzionali ( art. 2059 c.c.+norma costituzionale).

Va chiarito che già prima del revirement del 2003 il sistema tripolare delineato dalla sentenza Dell’Andro entrò in crisi; le pretese risarcitorie, basate su sempre nuove voci di danno, si moltiplicarono. E’ in un tal contesto che si sviluppò il concetto, ontologicamente autonomo, del danno esistenziale, cagionato dalla lesione di un bene fondamentale dell’individuo ex art. 2 Cost. e differente rispetto al danno biologico in quanto incidente sulle abitudini di vita del soggetto leso, sulla sfera del fare areddituale.

Basta analizzare l’ordinanza di remissione alle SS.UU. per capire il dibattito intercorso tra “esistenzialisti” ed “antiesistenzialisti” sulla pretesa risarcibilità del danno esistenziale.

 Il primo dei summenzionati filoni riconduce il danno esistenziale “ a tutte le compromissioni delle attività realizzatrici della persona umana” ( Cass. 9009/2001, Cass. 7713/2000); gli antiesistenzialisti, di contro, basandosi su SS.UU. 500/1999, ritengono il principio di atipicità limitato, dalla “Generalklauses” di cui all’art. 2043 c.c. , al danno patrimoniale ( Cass. 15449/2002, Cass. 15022/2005).

Dunque, prima della remissione alle Sezioni Unite i danni risarcibili erano i seguenti:

1)   Danno patrimoniale ( art. 2043 c.c.);

2)   Danno biologico ( 2059 c.c. + 32 cost.)

3)   Danno morale da reato ( art. 2059 c.c. + 185 c.p.)

4)   Danno esistenziale ( art. 2059+ art. 2 della Costituzione)[4]

Investita della questione le SS.UU. della Cassazione con quattro sentenze di identico contenuto depositate l’11.11.2008 sanciscono il principio di diritto secondo il quale “ il danno non patrimoniale è categoria unitaria non suscettibile di suddivisione in categorie variamente etichettate”. Sulla specifica questione dell’autonoma configurabilità del danno esistenziale, aderendo espressamente alla tesi antiesistenzialista, chiariscono che “non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo do danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario ne è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 cc, che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione

Tali dirimenti considerazione valgono a dare risposta negativa ai quesiti formulati nell’ordinanza di remissione, in quanto tutti postulanti l’esistenza del danno esistenziale; In soldoni, il danno non patrimoniale complessivamente inteso assorbe le sottocategorie di elaborazione giurisprudenziale, private per questa via di autonomia ontologica.

Dopo questo excursus, ci si deve chiedere se il dictum delle SS.UU. abbia determinato la scomparsa dai radar del danno esistenziale o se quest’ultimo continua ad orientare in qualche misura gli operatori del diritto.

Una prima risposta può essere data analizzando il leading case del 2008. Infatti, il riferimento ad una valenza descrittiva delle diverse voci di danno altro non fa che confermare indirettamente l’esistenza delle “sottocategorie variamente etichettate”.

Con la sentenza n. 479 del 2009 la S.C., in relazione ad un caso di incidente stradale in cui alla vittima era stato liquidato il solo danno biologico, ha affermato che “la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta dell’autore del danno”. Dunque, vi è stato un sensibile scostamento rispetto all’orientamento del 2008: se si sarebbe attenuta ai principi di diritto affermati in quella sede, avrebbe dovuto risarcire il solo biologico, seppur adeguato ai risvolti dinamici.

Lo stesso dicasi con la sent. del 16 Febbraio del 2012 n. 2228 in cui gli Ermellini riconoscono l’autonomia ontologica del danno esistenziale  chiarendo che “al genitore di persona che abbia subito la paralisi ostetrica del braccio destro all’esito di errato intervento in sede di parto spetta il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza di tale evento, dovendo ai fini della liquidazione del relativo ristoro tenersi in considerazione la sofferenza (o patema d’animo) anche sotto il profilo della sua degenerazione in obiettivi profili relazionali”.

Ancor più chiara la sentenza del 22 Agosto 2013 n. 19402 nello stabilire che “il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, in quanto un determinato evento può causare, nella persona della vittima come in quelle dei familiari, un danno alla salute medicalmente accertabile, un dolore interiore ed un’alterazione della vita quotidiana. Ciò non significa che il giudice di merito sia tenuto, in via automatica, alla liquidazione separata di tutte queste singole poste di danno, ma si traduce nell’obbligo di tenere presente i diversi aspetti della fattispecie dannosa, evitando duplicazioni ma anche “vuoti” risarcitori; quanto al danno da lesione del rapporto parentale, il giudice dovrà accertare, con onere della prova a carico dei familiari, se a seguito del fatto lesivo si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse”.

Dunque, sulla scorta della definizione di danno esistenziale fornita dalla S.C. con la sentenza del 2008 ( che ne ribadisce la natura descrittiva ma che non ha caso ne fornisce una stringente definizione),la giurisprudenza maggioritaria ne riconosce l’autonomia concettuale, circoscrivendo tale ipotesi risarcitoria alla ipotesi di lesione di interessi costituzionalmente protetti ,incidenti sulla vita relazionale del soggetto, sconvolgendola, con l’ulteriore filtro della serietà e gravità della lesione.

Recentemente e dello stesso tenore anche le sentenze n. 19611 del 2015 , n. 930 del 2015 e 12594 del 2015.

Naturalmente vi sono anche sentenze di segno opposto, ( tra le più recenti  sent. 336/ 2016) ma in via generale si può affermare che dall’analisi della giurisprudenza successiva al 2008 si riscontra la persistente diversità ontologica del danno morale e la conseguente necessità di procedere ad una separata liquidazione. Il danno morale, sistematicamente, è ora ricompreso nella più ampia categoria del danno non patrimoniale. Sia il danno biologico che quello morale, celati sotto la veste funzionale descrittiva, continuano ad essere presi in considerazione ed a orientare i giudici nella liquidazione del danno.  Non a caso le c.d. tabelle milanesi prevedono una liquidazione “congiunta” del danno biologico e del danno morale a conferma della autonomia ontologica di quest’ultimo .

L’impressione è che con le sentenze più liberali in tal senso si sia data la stura ad un nuovo dibattito che non può che sfociare in una nuova remissione alle SS.UU.

Concludendo, dall’articolate vicende giurisprudenziali si può notare come nonostante la S.C., con le pronunce di S. Martino,  abbia cercato di limitare il fenomeno della duplicazione delle poste risarcitorie, il riferimento, in quelle stesse pronunce, al carattere descrittivo delle sottocategorie del danno non patrimoniale abbia continuato a orientare i giudici di merito. Le esigenze di tutela, universalmente intese ed invocate, sin dalla storica sentenza Dell’Andro, sembrano comportare il fiorire di sempre nuove categorie di danno, categorie sovente svincolate dalla funzione riparatoria della responsabilità civile. In tale ottica si segnala la pronuncia della Cassazione a Sez. Un. del Luglio del 2015 che ha sancito l’irrisarcibilità del danno c.d. tanatologico.



[1] Vi è da sottolineare come successivamente furono inserite altre fattispecie “tipiche”. Ad esempio art. 89 c.p.c. e art. 589 c.p., responsabilità civile dei magistrati, illecito trattamento dei dati personali, legge 89/2001 sulla irragionevole durata del processo.

[2] Cfr. sent. Trib. Milano 18 Gennaio 1971 con cui si ritenne non risarcibile il danno alla salute quando da questo non derivino conseguenze pregiudizievoli sul piano patrimoniale.

[3] Si tratta delle sentenze nn. 7281,  7282, 7293 e nn. 8827 e 8828 del 21 Maggio 2003.

[4] All’elenco devono essere aggiunte tutte le fattispecie tipiche che espressamente prevedono il risarcimento del danno non patrimoniale.

Un pensiero su “Danno non patrimoniale: sviluppi giurisprudenziali prima e dopo le sentenze di San Martino”

Lascia un commento

Help-Desk