Trattamento dei dati personali da parte dei datori di lavoro
Avv. Sara Cadelano
La tematica del diritto alla riservatezza dei prestatori di lavoro nei confronti dei datori di lavoro in ordine a dati personali concernenti la propria salute e, più in generale, la sfera privata e familiare si rivela particolarmente attuale nel presente periodo storico, a causa del diffondersi dell’emergenza sanitaria provocata dal “nuovo Coronavirus”.
Con il presente scritto, si intende proporre, dopo aver esaminato la normativa rilevante in materia, una possibile soluzione al delicato problema del bilanciamento dei diversi interessi in gioco e dimostrare la necessità di un provvedimento di carattere sovranazionale da parte del Comitato europeo per la protezione dei dati, al fine di armonizzare la relativa disciplina nei vari Paesi dell’Unione Europea.
Sommario: 1. Le dichiarazioni ufficiali dell’O.M.S. sul “Covid-19”: da “emergenza internazionale” a “pandemia”. – 2. Privacy, salute e sicurezza sul lavoro. Il quadro normativo vigente in Italia. – 3. Il parere del Garante per la privacy (02/02/2020) e l’ordinanza della Protezione civile (n. 630/2020). – 4. Il decreto legge n. 6 del 23/02/2020. – 5. Il D.P.C.M. del 01/03/2020. – 6. Raccolte dati “fai da te”: il parere del Garante per la privacy italiano (02/03/2020). – 7. Il parere del Garante per la privacy della Danimarca (05/03/2020). – 8. Conclusioni.
- Le dichiarazioni ufficiali dell’O.M.S. sul “Covid-19”: da “emergenza internazionale” a “pandemia”.
Il 31/12/2019, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) ha segnalato all’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) un cluster di casi di polmonite ad eziologia ignota nella città di Wuhan, nella Provincia cinese di Hubei. Il 09/01/2020, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie in Cina (“China C.D.C.”) ha rivelato che è stato identificato un nuovo “Coronavirus”, provvisoriamente denominato dalle autorità sanitarie internazionali “Virus 2019-nCoV”, come causa eziologica della malattia respiratoria denominata[2] “Covid-19” (“Corona Virus Disease 2019”). Il Gruppo di Studio sul Coronavirus (C.S.G.) del Comitato internazionale per la tassonomia dei virus (International Committee on Taxonomy of Viruses) ha classificato ufficialmente con il nome di “SARS-CoV-2” il virus che provvisoriamente era stato chiamato “2019-nCoV”.
L’emergenza globale da “Coronavirus” è stata dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il 30/01/2020, ai sensi dell’art. 12 del Regolamento sanitario internazionale (R.S.I.; International Health Regulations, I.H.R.)[3]. L’O.M.S., infatti, ha dichiarato ufficialmente l’epidemia di Coronavirus in Cina “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale” (P.H.E.I.C., Public Health Emergency of International Concern), per poi elevare la minaccia per l’epidemia di tale virus su scala mondiale a livello “molto alto” il 28/02/2020[4].
Nelle successive due settimane, il numero di casi di “Covid-19” al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte ed il numero di Paesi colpiti è triplicato: vi sono stati, complessivamente, oltre 118.000 casi in 114 Paesi e 4.291 persone hanno perso la vita; altre migliaia stanno lottando per la propria sopravvivenza negli ospedali.[5] Per queste ragioni, l’11/03/2020, l’O.M.S. ha dichiarato il “nuovo Coronavirus” una “pandemia”, invitando tutti i Paesi ad adottare misure stringenti al fine di impedire ulteriori casi di infezioni.[6]
Una situazione di gravissima emergenza sanitaria, dunque. Da essa, come anticipato sopra, scaturiscono difficoltà di bilanciamento di diversi interessi giuridici in gioco, alla luce della normativa attualmente vigente.
- Privacy, salute e sicurezza sul lavoro. Il quadro normativo vigente in Italia.
In Italia, il 31/01/2020, il Consiglio dei Ministri ha ufficializzato, anche nel nostro Paese, lo “stato di emergenza”, per sei mesi dalla data del provvedimento, al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione civile, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico; ha deliberato, inoltre, lo stanziamento dei fondi necessari per dare attuazione alle misure precauzionali derivanti dalla dichiarazione di “emergenza internazionale” effettuata dall’O.M.S.[7]
Nei giorni successivi, nel nostro Paese, sono stati assunti numerosi provvedimenti, sempre più rigorosi, al fine di contenere il dilagare del virus e della relativa malattia.[8]
Tali circostanze eccezionali e contingenti hanno, appunto, fatto emergere la necessità di un bilanciamento tra interessi privatistici e pubblicistici; in particolare, tra l’interesse alla riservatezza dei dati personali dei lavoratori e l’interesse alla salute e sicurezza sul lavoro.
A tal proposito, appare utile, innanzitutto, richiamare brevemente la normativa in materia.
In particolare, per quanto riguarda la normativa in materia di privacy, appare opportuno ricordare che, con l’art. 23, paragrafo 1, e con il considerando n. 4 del Regolamento U.E. 2016/679 (“G.D.P.R.”),[9] sono state introdotte delle possibili limitazioni all’applicazione dei principi in materia di protezione dei dati personali, qualora necessarie per tutelare interessi generali valutati come prevalenti, nel rispetto dei principi di proporzionalità, necessità, sicurezza e qualora rivolte al perseguimento di scopi di interesse generale riconosciuti dall’U.E. o legate alla necessità di proteggere diritti e libertà altrui (conformemente a quanto previsto dall’art. 8 C.E.D.U. e dall’art. 52 Carta U.E.).
In aggiunta, si precisa che, in virtù dell’art 6.1 lett. e) del “G.D.P.R.”, i trattamenti risultano leciti qualora “necessari per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento”.
In ipotesi di trattamento di categorie particolari di dati personali, trova, altresì, applicazione quanto disposto dall’art 9, comma 1, del “G.D.P.R.”, in virtù del quale, tra l’altro, “È vietato trattare […] dati relativi alla salute”.
Il successivo comma del medesimo articolo, tuttavia, fornisce un lungo elenco di casi di inapplicabilità della norma di cui al primo comma. In proposito, si ritiene utile rammentare, in particolare, quelle relative ai casi in cui: “a) l’interessato ha prestato il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati personali per una o più finalità specifiche, salvo nei casi in cui il diritto dell’Unione o degli Stati membri dispone che l’interessato non possa revocare il divieto di cui al paragrafo 1; b) il trattamento è necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato; […] g) il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato; h) il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale […]”.
Per quanto concerne, invece, la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, risulta utile richiamare il disposto dell’art. 2087 c.c., l’art. 5 Legge 300/’70 e l’art. 41 del d.lgs. n. 81/2008.
Specificamente, l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
In virtù di quanto disposto dall’art. 5 “Statuto dei lavoratori”, in materia di “Accertamenti sanitari”, inoltre: “(comma 1:) Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. (Comma 2:) Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. (Comma 3:) Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”.
Infine, si ricorda che, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 81/2008, la sorveglianza sanitaria sui dipendenti è demandata al medico competente.
- Il parere del Garante per la privacy (02/02/2020) e l’ordinanza della Protezione civile (n. 630/2020).
Risulta, in proposito, particolarmente interessante anche il contenuto del parere[10] emesso il 02/02/2020 dal Presidente del Collegio Garante per la protezione dei dati personali in Italia, avente ad oggetto la bozza di ordinanza del Dipartimento di Protezione civile, conseguente alla delibera del Consiglio dei Ministri del 31/01/2020 (recante “Disposizioni urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”).
Con tale parere, infatti, il Presidente Antonello Soro ha considerato le disposizioni contenute nella suddetta ordinanza idonee a rispettare le garanzie previste dalla normativa in materia di protezione dei dati personali nel contesto di una situazione di emergenza; in tal modo, ha implicitamente affermato che il diritto alla privacy non costituisce un diritto assoluto ma possa essere limitato, ai fini del perseguimento di un obiettivo di interesse pubblico generale preminente o per proteggere diritti e libertà altrui.
La circostanza derivante dal diffondersi del nuovo Coronavirus, pertanto, può giustificare una compressione del diritto alla riservatezza.
Ricevuto tale parere e preso atto del suo contenuto, il Capo del Dipartimento della Protezione civile, con ordinanza n. 630 del 03/02/2020[11], ha, di fatto, previsto che l’esercizio di alcuni diritti civili fondamentali dei soggetti coinvolti nell’emergenza Coronavirus, tra i quali il diritto alla protezione dei dati personali, possa subire delle compressioni in ragione dell’interesse pubblico generale alla tutela della salute pubblica.
Specificamente, con l’art. 5 della suddetta ordinanza, è stato stabilito che, nell’attuazione delle attività di protezione civile oggetto dell’ordinanza medesima, per assicurare la più efficace gestione dei flussi e dell’interscambio di dati personali, i soggetti che operano nel Servizio nazionale di protezione civile e quelli individuati dall’ordinanza stessa, possano realizzare trattamenti (compresa la comunicazione tra loro) dei dati personali, anche relativi agli artt. 9 e 10 del Regolamento del Parlamento europeo 2016/679/UE (“G.D.P.R.”), necessari per l’espletamento della funzione di protezione civile, al ricorrere dei casi di cui agli artt. 23, co. 1 e 24, co. 1, del d. lgs. 02/01/2018, n. 1, fino al 30/07/2020. La comunicazione dei dati personali a soggetti pubblici e privati, diversi da quelli testé indicati, nonché la diffusione dei dati personali diversi da quelli di cui agli articoli 9 e 10 del suddetto Regolamento U.E. è effettuata, nei casi in cui risulti indispensabile, ai fini dello svolgimento delle attività di cui all’ordinanza medesima. Il trattamento dei dati deve, comunque, essere effettuato nel rispetto dei principi di cui all’art. 5 del citato “G.D.P.R.”, adottando misure appropriate a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.
- Il decreto legge n. 6 del 23/02/2020.
Con il d.l. n. 6 del 23/02/2020,[12] al fine di evitare il diffondersi del “COVID-19” nei comuni o nelle aree nei quali risultasse positiva almeno una persona per la quale non si conoscesse la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi fosse un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio di tale virus, è stato previsto che “le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.
Tra le misure di cui al comma 1 sono previste anche sospensioni o limitazioni delle attività lavorative per le imprese. [13]
Il legislatore, pertanto, ha ritenuto di non dover introdurre deroghe ai principi generali sopra esposti, non avendo conferito al datore di lavoro alcun potere autonomo di introdurre provvedimenti attuativi delle misure di contenimento del virus.
- Il D.P.C.M. del 01/03/2020.
Il 01/03/2020, con D.P.C.M., sono state introdotte ulteriori disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da “Covid-19”. In particolare, con l’art. 3 del D.P.C.M. in parola, sono stati introdotti determinati obblighi, operanti sull’intero territorio nazionale, in capo al lavoratore che sia transitato in una zona a rischio.
Nello specifico, è stato stabilito che chiunque sia rientrato in Italia nei 14 giorni precedenti il 01/03/2020 dopo aver soggiornato in una zona a rischio epidemiologico, come identificate dall’O.M.S., o sia transitato o abbia sostato nel territorio dei Comuni delle “zone rosse”[14] deve informare dell’eventualità di contagio il Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio ed il proprio medico di base (ovvero il pediatra di libera scelta), attraverso i canali designati dalle Regioni.
La previsione di tale obbligo, invero, ha generato, nella pratica, una certa confusione, specialmente in ambito lavorativo.
In diversi casi, infatti, i datori di lavoro, sia pubblici che privati, hanno effettuato delle raccolte dati “fai da te”, raccogliendo (ad esempio, tramite termoscanner per la misurazione della temperatura corporea e mediante appositi questionari) i dati dei prestatori di lavoro e di chi acceda nei locali dell’azienda, in ordine all’assenza di sintomi influenzali e vicende relative alla sfera privata (ovvero se siano stati recentemente nelle zone colpite dal virus o se siano entrati in contatto con persone legate a tali aree).
L’obiettivo dei datori di lavoro è chiaro: garantire la salute e sicurezza di tutti i lavoratori sul lavoro, evitare un’eventuale chiusura dell’azienda da parte delle autorità preposte ed evitare, altresì, la quarantena di tutti i colleghi, qualora un lavoratore risultasse positivo al test per “Covid-19”.
Per non violare la normativa sulla riservatezza, tuttavia, numerosi datori di lavoro si sono rivolti direttamente al Garante per la privacy, domandando se sia possibile, da parte loro, porre in essere tali pratiche.
- Raccolte dati “fai da te”: il parere del Garante per la privacy italiano (02/03/2020).
La questione ha riguardato, in particolare, la richiesta ai lavoratori di compilare questionari autocertificando i propri dati personali (relativi alla salute e alla sfera personale e familiare) e la misurazione coatta della temperatura corporea dei lavoratori stessi, all’ingresso di alcune aziende del Nord Italia[15], tramite termoscanner, come avviene negli aeroporti, rifiutando l’accesso qualora risultasse una temperatura superiore a 37 gradi.
Ciò ha scatenato le proteste dei sindacati, che hanno considerato tali pratiche lesive della privacy ed illegali, in quanto le stesse violerebbero l’art. 5 dello “Statuto dei lavoratori” ed il D.P.C.M. in materia di “Coronavirus” che attribuisce tale competenza al solo personale di sanità pubblica.
La problematica, tuttavia, riguarda l’intero territorio italiano, dal momento che, con il D.P.C.M. del 09/03/2020, sono state abolite le “zone rosse” e l’intero territorio italiano è stato dichiarato “zona protetta”.
Invero, potrebbe, al riguardo, osservarsi che, teoricamente, il prestatore di lavoro potrebbe spontaneamente prestare il proprio consenso esplicito a tali misure, sulla base del sopra menzionato art. 9, comma 2, lett. a), del “G.D.P.R.”.
Tuttavia, tale soluzione non appare concretamente applicabile.
A differenza di quanto accade ai passeggeri negli aeroporti, infatti, il nominativo del dipendente, essendo conosciuto dal datore di lavoro e dai propri colleghi, non costituisce un dato anonimo e minimizzato.
Inoltre, occorre considerare lo stato di soggezione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, che gli impedirebbe di decidere in piena serenità se prestare o meno il proprio consenso.
Infine, occorre rimarcare che la sorveglianza sanitaria non è di competenza del datore di lavoro, bensì del medico competente.
Interrogato in proposito, in data 02/03/2020, il Garante ha precisato che “I datori di lavoro devono […] astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa”. Infatti, l’accertamento e la raccolta di informazioni concernenti i sintomi tipici del suddetto virus e le informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo sono di competenza degli operatori sanitari e della protezione civile.
Tuttavia, come specificato dal Garante, “resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro”.
A tal fine, il Ministro per la pubblica amministrazione ha provveduto a fornire istruzioni circa l’obbligo per il dipendente pubblico (e per chiunque operi, a vario titolo, presso la P.A.) di segnalare all’amministrazione (ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. 09/04/2008, n. 81[16]) la propria provenienza da un’area a rischio o di aver avuto contatto con persone provenienti dalle medesime aree, anche per la conseguente informativa all’Autorità sanitaria competente ai fini della salvaguardia della salute del luogo di lavoro[17].
Come precisato nel parere del Garante, inoltre, laddove si riveli necessario, il datore di lavoro può invitare i propri dipendenti ad effettuare le su citate comunicazioni, anche fornendo canali dedicati, al fine di agevolare le modalità di inoltro delle stesse.
Resta fermo, in ogni caso, l’obbligo, posto in capo al datore di lavoro, di comunicare agli organi preposti l’eventuale variazione del rischio “biologico” derivante dal “Covid-19” per la salute e sicurezza sul lavoro, nonché gli altri adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori per il tramite del medico competente (ad esempio, la possibilità di sottoporre ad una visita straordinaria i lavoratori più esposti).
In particolare, nell’ipotesi di dipendente che svolga mansioni a contatto con il pubblico, il quale, nel corso dell’attività lavorativa, venga a contatto con un caso sospetto di Coronavirus, il prestatore di lavoro stesso, anche tramite il proprio datore di lavoro, è tenuto a comunicare tale circostanza ai servizi sanitari competenti, nonché a rispettare le indicazioni di prevenzione fornite dagli operatori sanitari interpellati.
Pertanto, il Garante per la privacy “invita tutti i titolari del trattamento ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Coronavirus, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti”.
Si precisa che, in seguito al parere del Garante per la privacy ed alle proteste dei sindacati, le aziende di cui sopra hanno stabilito di limitarsi ad effettuare una mera informativa in ordine ai comportamenti da tenere, rendendo volontaria (e non più coatta) la misurazione della temperatura.[18]
Peraltro, la medesima problematica affrontata dal Garante per la privacy italiano si è già presentata anche in un altro Paese membro dell’Unione Europea (ovvero, la Danimarca) ed è facile prevedere che si presenterà presto anche negli altri Paesi dell’U.E., dato il rapido diffondersi del “Covid-19”.
- Il parere del Garante per la privacy della Danimarca (05/03/2020).
Pochi giorni dopo il rilascio del parere del Garante per la privacy italiano, e precisamente il 05/03/2020, il “Datatilsynet” (Garante per la privacy della Danimarca) ha avuto occasione di esprimersi in ordine al medesimo argomento, manifestando, tuttavia, un approccio maggiormente flessibile[19].
Secondo la citata autorità danese, infatti, i datori di lavoro possono raccogliere e comunicare dati personali dei propri dipendenti, qualora ciò si renda necessario, a condizione che tale trattamento non sia normativamente vietato e che le informazioni raccolte non siano eccessivamente dettagliate e specifiche.
Ad esempio, secondo il Datatilsynet, nel contesto della crisi legata al “Covid-19”, i datori di lavoro possono legittimamente registrare e comunicare la circostanza che un dipendente abbia visitato una zona a rischio epidemiologico, se un dipendente sia a casa in quarantena (senza indicarne il motivo) e se un dipendente sia malato (senza indicarne il motivo).
Tuttavia, prosegue l’Authority danese, la raccolta e la comunicazione dei dati deve essere limitata a quanto strettamente necessario. Pertanto, è necessario che il datore di lavoro, prima di procedere al trattamento, si interroghi sull’effettiva necessità della raccolta e comunicazione, se gli scopi della comunicazione possano essere ugualmente raggiunti limitando la quantità di dati personali da trattare, nonché sulla reale necessità di indicare i nominativi dei lavoratori coinvolti.
- Conclusioni.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, non si può non rimarcare la delicatezza dell’argomento e la necessità di operare un più equilibrato bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Una soluzione potrebbe essere quella di consentire al datore di lavoro, in questi casi, di avvalersi del medico competente per l’effettuazione dei suddetti controlli, in maniera tale da minimizzare i dati (conformemente a quanto previsto con il “G.D.P.R.”) e, contestualmente, tutelare la sicurezza del lavoro e dei lavoratori (come previsto dal d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii., “T.U. sulla salute e sicurezza sul lavoro”).
Infatti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., la misurazione della temperatura corporea ed il rilascio di dichiarazioni aventi i contenuti sopra indicati possono essere considerati come misura di gestione preventiva dell’emergenza, a condizione che la sorveglianza sanitaria sui dipendenti sia demandata al medico competente e nel rispetto di quanto disposto dall’art. 5 dello “Statuto dei lavoratori”.
A tal fine, il datore di lavoro dovrà procedere ad aggiornare il documento di valutazione del rischio (D.V.R.), indicando il medico competente che stabilisca tali pratiche come adatte a prevenire il rischio di diffusione del “Coronavirus”, con criteri di diligenza e prudenza.
Occorre considerare, tuttavia, la necessità, in materia, di una linea d’azione comune tra i diversi Paesi dell’Unione Europea, tanto più in ragione dell’esistenza di numerose aziende che hanno sedi e stabilimenti sparsi in diversi Paesi membri.
Si è già visto, infatti, che il Datatilsynet ha avuto occasione di esprimersi sull’argomento in maniera non del tutto conforme rispetto al Garante per la privacy italiano e la medesima situazione potrà ripetersi con riferimento agli altri Paesi europei, recentemente coinvolti anch’essi dalla diffusione del virus.
Sarebbe, pertanto, auspicabile, sul punto, una pronuncia dell’E.D.P.B. (Comitato europeo per la protezione dei dati, European Data Protection Board), così da armonizzare maggiormente la disciplina a livello sovranazionale ed evitare pericolose incertezze interpretative.
[2] Tale denominazione le è stata attribuita l’11/02/2020.
[3]Entrato in vigore il 15/06/2007.
Versione in italiano:
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_3066_listaFile_itemName_2_file.pdf
Versione in inglese:
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_3066_listaFile_itemName_9_file.pdf
[4]Attualmente, oltre 20 vaccini sono in via di sviluppo.
Fonti dei dati sopra riportati: sito web ufficiale del Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5338&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto
e sito web ufficiale dell’I.S.S. (Istituto Superiore di Sanità):
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2
[5]Dati forniti dal Direttore Generale dell’O.M.S. ,Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante la conferenza stampa dell’11/02/2020:
Testo integrale in inglese della conferenza stampa:
[6]http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/03/11/coronavirus-loms-dichiara-la-pandemia_99013beb-56e4-40b2-98b6-81ac4d611e72.html
Attualmente, non esiste una definizione scientifica definitiva di “pandemia”.
Si veda, in proposito, quanto dichiarato dal Dott. Anthony Fauci, Direttore del National Institute of Allergy and Infetcious Diseases degli Stati Uniti il 26/02/2020:
https://edition.cnn.com/2020/02/25/health/what-is-a-pandemic-explainer/index.html
[7]Fonte: Gazzetta Ufficiale: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/02/01/20A00737/sg
[8]In particolare, per quanto concerne le misure adottate a livello nazionale, si vedano: Decreto legge 23/02/2020 n. 6 (https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2020-02-23;6!vig=), D.P.C.M. 01/03/2020 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/01/20A01381/sg , successivamente abrogato dal D.P.C.M. 08/03/2020), Decreto legge 02/03/2020 n. 9 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/02/20G00026/sg), D.P.C.M. 04/03/2020 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/04/20A01475/sg , successivamente abrogato dal D.P.C.M. 08/03/2020), D.P.C.M. 08/03/2020 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/08/20A01522/sg), Direttiva del Ministro dell’Interno dell’08/03/2020 n. 14606 (https://www.interno.gov.it/sites/default/files/direttiva_ministro_interno_08032020.pdf), D.P.C.M. 09/03/2020 (https://www.gazzettaufficiale.it/gazzetta/serie_generale/caricaDettaglio;jsessionid=Ve-jzReKQ38nt76J34GX0Q__.ntc-as2-guri2a?dataPubblicazioneGazzetta=2020-03-09&numeroGazzetta=62&elenco30giorni=true) e D.P.C.M. 11/03/2020 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/11/20A01605/sg).
[9]https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32016R0679
[10]https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9265883
[11]http://www.protezionecivile.gov.it/amministrazione-trasparente/provvedimenti/dettaglio/-/asset_publisher/default/content/ocdpc-n-630-del-3-febbraio-2020-primi-interventi-urgenti-di-protezione-civile-in-relazione-all-emergenza-relativa-al-rischio-sanitario-connesso-all-in
[12]https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/02/23/20G00020/sg
[13] Si precisa che l’art. 3 demanda, per la definizione delle misure specifiche di attuazione dei principi del d.l., ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[14]Successivamente abolite con D.P.C.M. del 09/03/2020, mediante il quale l’intero territorio italiano è stato dichiarato “zona protetta”.
[15]La notizia è stata riportata da diversi quotidiani, tra cui il “Corriere della Sera:” https://www.corriere.it/economia/lavoro/20_marzo_10/coronavirus-misurare-febbre-dipendenti-scoppia-caso-privacy-b5537ea6-62ba-11ea-a693-c7191bf8b498.shtml
nonché “Federprivacy”:
e “Ravenna Notizie”:
[16]https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2008/04/30/008G0104/sg
[17]Direttiva n. 1/2020:
http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/26-02-2020/direttiva-n1-del-2020
[18]https://www.ravennanotizie.it/economia/2020/03/09/no-a-misurazione-obbligatoria-febbre-in-azienda-fiom-blocca-marcegaglia-illegale-e-lede-privacy-lavoratori/
[19]Documento in lingua originale (danese):
Per un commento in lingua inglese:
https://www.insideprivacy.com/covid-19/danish-supervisory-authority-issues-covid-19-guidance/
Copyright 2020© Associazione culturale non riconosciuta Nuove Frontiere del Diritto Via Guglielmo Petroni, n. 44 00139 Roma, Rappresentante Legale avv. Federica Federici P.I. 12495861002. Nuove frontiere del diritto è rivista registrata con decreto n. 228 del 9/10/2013, presso il Tribunale di Roma, Direttore responsabile avv. Angela Allegria, Proprietà: Nuove Frontiere Diritto. ISSN 2240-726X