Disagio, devianza e delinquenza.

I crimini giovanili dalle origini.

a cura di Rosalia Manuela Longobardi

 

Brusciano di Napoli: Il 16 novembre u.s.,un gruppo di giovanissimi, guidati dal suo “pseudo fidanzatino violentano brutalmente una ragazzina senza pietà, senza scrupolo e senza rispetto.

E’questa la scena di un “nuovo” fatto di cronaca che vede come protagonisti di una squallida vicenda di delinquenza ancora dei ragazzi.

Al di là del fatto sconcertante di cronaca, è sicuramente un ulteriore manifestazione di una realtà che non è più possibile soffocare. Alla base dei comportamenti dei giovani e giovanissimi ci sono molteplici fattori.

È però opportuno precisare che spesso fenomeni di diverso contenuto sono nella visione generalizzata assai confusa, infatti, dobbiamo evidenziare per chiarezza cosa si intenda per disaggio, devianza e delinquenza.

La prima spesso è una situazione legata a cause momentanee di origine diversa dove i fattori legati al naturale percorso di crescita psicofisica adolescenziale. La devianza, invece, indica un di scostamento dalle regole sociali comunemente accettate dalla società.

La delinquenza infine è il contravvenire a regole giuridiche che comunemente possono coincidere con i valori sociali di una comunità.

La precisazione e la linea di confine tra devianza e delinquenza è spesso sottile, attraverso infatti la rottura con le regole sociali, si è poi indotti in un lento ma graduale percorso che conduce il giovane a trasgredire in un escalation di comportamenti spesso violenti alle regole giuridiche (dove viene in un certo senso dimostrata il valore dell’individuo e poco importa invece la modalità in cui questa si esteorizza).

I comportamenti deviati che poi possono divenire deliquenziali sono svariarti dalla malattia mentale alla disfunzioni familiare (rilevante è il modello Olson del 1983 che fonda il comportamento delinquenze del minore), dal microcosmo di riferimento “gruppo dei pari ai modelli delle criminalità organizzata e al potere di questa che attraverso il soldo facile riesce ad attrare i comportamenti.

La condotta delinquenziale non è la  manifestazione di questo momento neanche di malessere psichico ma matura giorno dopo giorno. molte sono state le teorie elaborate dagli studiosi criminologi che si basano dagli storici studi sul delinquente tipo fine alle più recenti elaborazioni della metà del XX secolo.

Il concetto di devianza si sviluppa in USA ad opera della corrente che va sotto il nome di struttural funzionalismo (devianza : difformità dai costumi socialmente accettati).Essa si sovrappone con il concetto di delinquenza (Durkheim).

Tra le varie analisi criminologhe intorno al fenomeno della delinquenza giovanile la teoria elaborata da Durkheim e dal suo allievo Merton (quest’ultimo provvederà a  delinearla in maniera più precisa) rappresenta una delle teorie ancora in auge e che si presta bene come “chiave interpretativa” della devianza -delinquenza giovanile; il fenomeno della delinquenza giovanile è determinata dalla anomia, tale termine viene elaborato proprio da Durkheim, indica la contrarietà ai valori culturali socialmente dominanti e i mezzi per istituzionalizzati e quindi leciti per conseguirli. Durkheim ipotizza nell’anomia le ragioni che spingono i giovani, in particolare statunitensi, a delinquere: l’insoddisfazione e la frustrazione in un ambiente, dove il raggiungimento del potere inteso come realizzazione dell’io, che nell’adolescente è in fase costrittiva, nel gruppo dei suoi simili.

Merton, allievo di Durkheim, perfezionò tale teoria dell’anomia, egli, infatti, precisa che la responsabilità dei comportamenti devianti nei giovani è da attribuire esclusivamente alla corrotta macchina politica (è importante che la macchina politica sia intesa nel senso più ampio del termine).MERTON sostiene che a causa della macchina politica si verifica il trionfo dell’intelligenza amorale e conseguentemente il fallimento morale prescritto.

Un altro importante contributo alla definizione dei comportamenti deviati dei giovani e che si pone in maniera assai critica alla visione Durkheim-Merton è quella elaborata da Cohen criticò la teoria di Merton sul rilievo che essa non riusciva a spiegare, soprattutto come riferimento al fenomeno delle bande giovanili, in modo esaustivo le varie cause.

Cohen arricchisce la teoria di Durkheim e Merton introducendo la divisione della società e le differenze tra le classi, infatti, il è un punto debole della teoria, Durkheim-Merton, era quella di non riuscire a spiegare le ragioni della devianza e poi delinquenza di ragazzi che non si trovavano in situazioni di disagio familiare o che non rientravano in quei soggetti che al fine di elevarsi e non tenendo i mezzi per realizzare i propri fini delinque. Cohen non collega la devianza e conseguentemente la delinquenza a fine utilitaristico.

La rappresentazione di Cohen è molto più semplice: egli ritenne che la sottocultura delinquente delle bande giovanili è in primo luogo tipicamente gratuita, malvagia e distruttiva.

Un importante contributo alla teoria dell’anomia (assenza di norma, incapacità della norma a dare certezza e affidabilità) delle bande delinquenti è legata a Cloward e Ohlin.

I due criminologi vollero dare un contributo fondamentale alla teoria elaborata da Durkheim, seppure ne cambiassero radicalmente l’elaborazione anzi, essi cercarono di darle una nuova forma, essi elaborano la teoria delle diseguaglianze delle possibilità: l’ambiente nel quale gli attori operano soffre d’influenza decisiva sui tipi d adattamento che si svilupparono come risposta alle pressioni verso la devianza.

Tali pressioni per i due criminologi dipendono dalla prevalenza delle associazioni (vedasi gli studi di Sutherland dalla quale essi trovarono spunto)come modelli culturali delinquenziali rispetto quelli legali.

Essi elaborano una sorta di teoria mista tra la teoria dell’anomia (Durkheim-Merton) e quella di teorie delle associazioni criminali di SUTHRLAND.

Le elaborazioni esaminate costituiscono certamente un panorama ridotto rispetto alle molteplici analisi che si sono svolte dalla metà dell’ottocento sulla delinquenza giovanile.   La cosa certa è che i giovani non decidono di delinquere in un momentaneo raptus o eccesso o ancora di rottura della monotonia; il percorso che conduce il giovane a scegliere la di delinquere passa necessariamente i tre stadi disagio, devianza e delinquenza.

L’elencazione che si può fare (senza pretesa di completezza)dei delitti giovanili(escludiamo le manifestazioni di fenomeni di malattia mentale e parafilie) viene ricondotte alle seguenti fattispecie: delitti elettrizzanti (vengono commessi per vincere la noia),delitti dell’odio (commessi spesso in escalation di violenza o altresì maturati a causa di inutili litigi ), delitti per vendetta.

Tutte le fattispecie di delinquenza elencate hanno come denominatore comune della violenza la manifestazione esterna del disagio, quel senso d’incompletezza che le personalità non sviluppate sono indotte alla fine a manifestare attraverso vari modi che in un modo o in un altro sono manifestazioni di violenza anche in forme di autolesionismo(il minore è vittima e carnefice allo stesso tempo).

La ricetta non esiste, bisogna però che la società tutta riconosca innanzitutto il desiderio oltre che la necessità di costruire modelli positivi da dare ai giovani e che vi sia un’educazione ai sentimenti; come ricorda attraverso una famosa citazione di Plutarco, che spesso mi ripete la mia docente in criminologia: “i giovani non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere”

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