La comunicazione: un bisogno umano irrinunciabile

Dott. Marino D’Amore

Università di Lugano L.U.de.S

La vita dell’uomo, sin dai tempi più antichi, è sempre stata accompagnata da forme e modalità d’intrattenimento caratterizzate dalle manifestazioni più disparate e talvolta difficilmente riconducibili, se non grazie ad un attenta analisi a posteriori, a tale ambito. Modalità riconducibili secoli e secoli dopo a quella cultura di massa veicolata dai media, caratterizzata da dinamiche industriali e teorizzata  da Theodor W. Adorno e  Max Horkheimer  della Scuola di Francoforte, che vedevano in essa lo strumento principale della perpetuazione dell’egemonia culturale delle classi superiori (T.W. Adorno, M. Horkheimer, 1966). Forme le cui finalità assumevano connotati didascalici, religiosi o semplicemente ludici; ma tutte destinate ad arricchire quell’immaginario collettivo, humus fondamentale del background culturale dell’uomo moderno. Dai riti iniziatici di culti ormai scomparsi, da quelli delle tribù africane, passando per i miti classici, il teatro greco-romano e la tradizione secolare a cui ha dato vita, sino alle innumerevoli manifestazioni dell’industria culturale, ormai presenza costante, quasi immanente nelle nostre vite (M.Sorice 2002).

Sembra quasi che nessuna collettività nella storia abbia potuto prescindere da tali forme di espressione, come se il mondo abbia convissuto con la rappresentazione di se stesso, con la sua spettacolarizzazione, fino a riflettersi in essa, influenzandola e rimanendone a sua volta influenzato. La comunicazione, nata con l’uomo, si è ulteriormente evoluta attraverso il suo simulacro, la sua metafora, le sue allegorie formative, attraverso la sua rappresentazione appunto, icastica, immaginifica, necessaria a raggiungere il maggior numero possibile di destinatari, mitigando confini socio-culturali altrimenti invalicabili (M. Mc Luhan, 1967).

I racconti dei riti di passaggio dall’età infantile a quella adulta di alcune civiltà del passato, quelli sulla scomparsa dell’isola di Atlantide, sulla vita e le gesta di Alessandro Magno che affondano le loro radici nella leggenda, le peripezie di Ulisse e l’ira funesta del pelide Achille cantate da Omero, i sacrifici umani dei Maya e degli Aztechi ritualizzati secondo sceneggiature ben precise e dettagliate, integrano un elenco interminabile che ci rende consapevoli di aver assistito ad un fantastico spettacolo comodamente seduti, parafrasando il re di Itaca, sulle “spalle dei giganti” . Dinamiche comunicative linguistiche e visuali, fatte di gestualità ed esteriorità esplicate secoli dopo dalle teorie comunicative di Roman Jakobson. Egli assegna a ciascun elemento del processo comunicativo una particolare funzione comunicativa, che si manifesta nelle forme e nei contenuti del messaggio. Più precisamente, il rapporto tra elementi comunicativi e funzioni si articola secondo questo schema:

Mittente Funzione Emotiva
Contesto Funzione Referenziale
Messaggio Funzione Poetica
Contatto Funzione Fàtica
Codice Funzione Metalinguistica
Destinatario Funzione Conativa

La funzione emotiva (o espressiva) esprime l’atteggiamento dell’emittente riguardo l’argomento di cui sta parlando. La funzione referenziale è relativa al rapporto tra il messaggio e il contesto, ed evidenzia il fatto che un messaggio parla di una determinata tematica. La funzione poetica è relativa alla strutturazione interna del messaggio e riguarda il modo in cui esso è realizzato. Questa funzione è prevalente nei messaggi poetici, appunto, in cui viene dedicata la massima attenzione alla struttura formale ed all’organizzazione interna. La funzione fàtica esprime in un messaggio l’impegno a garantire il contatto dialogico tra l’emittente e il ricevente. La funzione metalinguistica riguarda la presenza all’interno del messaggio di elementi orientati a definire il codice stesso ed è prevalente in tutti quei casi in cui si richiedono e si forniscono chiarimenti sui termini, sulle parole e sulla grammatica di una lingua. La funzione conativa, infine, esprime nel messaggio la tendenza ad avere degli effetti extralinguistici sull’emittente, effetti cioè che non si limitano alla pura comprensione linguistica; sono ad esempio messaggi conativi gli ordini, i consigli, le preghiere e le suppliche, sottesi quindi a dinamiche connotative (R. Jakobson, 1966).

Occorre tenere presente che queste funzioni non sono mai presenti allo stato singolarmente in un messaggio. Ovvero, non esiste un messaggio che sia esclusivamente poetico, o esclusivamente referenziale. Anzi, in generale ogni messaggio svolge tutte le funzioni enunciate. Tuttavia in ciascun messaggio esiste sempre una funzione prevalente rispetto alle altre ed essa caratterizza in modo funzionale e complessivo il messaggio stesso. In un componimento poetico è caratterizzato da una prevalente cura formale e linguistica, ma non è mai privo di contenuto in assoluto. Ad esempio nella lingua quotidiana prevale la funzione referenziale, quella in cui si esprime la dia logicità di un corpus comunitario, ma allo stesso tempo si cerca sempre di comunicare i contenuti in modo formalmente curato e spesso si esprime anche la propria posizione riguardo quegli stessi contenuti. Affine a quella che Popper ha aggiunto alle teorie bhuleriane sul linguaggio (espressiva o sintomatica, per cui noi manifestiamo i nostri stati interiori, 2) quella segnaletica o stimolativa, per cui noi liberiamo certe reazioni verbali o comportamentali nel destinatario e 3) quella descrittiva, per cui noi trasmettiamo informazioni intorno a qualcosa) quella argomentativa o esplicativa, grazie a cui noi discutiamo pro o contro una qualche proposizione (che spesso è di tipo descrittivo) (K.R. Popper, 1994).

Insomma ogni atto, ogni evento, ogni guerra di cui l’uomo si sia reso protagonista sembra sia stato accompagnato da un resoconto, da un racconto, da una storia finalizzati, oltre che a informare, ad intrattenere la vasta platea dell’umanità convergendo nel bagaglio di un’industria culturale ante-litteram. Ne emerge una pantagruelica opera omnia di comunicazione veicolata dai mezzi espressivi del tempo: i bassorilievi, le pitture, i papiri, gli annales romani, i libri o la voce dei cantastorie, “entertainer” antesignani. Un elenco interminabile che ha come corollario impresso nel suo DNA la spettacolarizzazione della storia e degli eventi che la costituiscono.

Tra gli altri, altissimi, esempi di questo fenomeno si possono citare il “De bello gallico” di Cesare, la colonna traiana che raffigura le imprese dell’omonimo imperatore contro i daci, l’“Eneide” di Virgilio, la saga medievale de “El Cid”, l’”Orlando furioso” e l’“Orlando innamorato”, quasi una fiction sulle crociate, senza omettere di citare la “Divina Commedia” di Dante, il più importante esempio di tale corrente in cui si fondono misticismo religioso, cronaca storica e mondana. Nelle arti figurative possiamo annoverare gli affreschi con le storie di santi di Giotto e Masaccio, le porte bronzee di Luca della Robbia a S. Maria del Fiore a Firenze, la cappella Sistina di Michelangelo, le stanze vaticane di Raffaello, le opere di Leonardo e più tardi di Caravaggio, Bernini, Tiepolo e Canova. Comunicazione vera e propria che nutre l’immaginario collettivo e sfocia nel teatro goldoniano, nelle grandi esposizioni universali dell’800, nei feuilettons; romanzi a puntate pubblicati sui quotidiani agli inizi de secolo scorso, sino ai grandissimi impianti scenici messi in piedi dalla macchina propagandistica dei totalitarismi europei, i cui leader associavano ad una fanatica e malata demagogia, la gestualità e la mimica di consumati attori, dando vita ai primi esempi di “infotainment”. Tutte manifestazioni, queste, che sembrano essere state concepite un’esigenza diventata imprescindibile per l’umanità: quella di diventare pubblico, di diventare audience, esigenza che la caratterizza nei secoli e la ingloba come “l’uomo vitruviano” in una sorta di cerchio. (P.Breton 1995).

Si pensi a cosa sarebbe successo se tutti questi eventi avessero potuto disporre dei più moderni mezzi di comunicazione, da quale e quanta mole d’informazione, film, serie tv, fiction saremmo stati sommersi. Occorre, tuttavia, fare un distinguo. La suddetta, insopprimibile, esigenza dell’umanità, sopratutto per quanto riguarda gli ultimi esempi, iniziava ad essere soddisfatta grazie alla nascita e alla non poco faticosa diffusione dei più importanti mezzi di comunicazione rivelatisi poi veri e propri apripista di quell’impetuosa e inarrestabile evoluzione tecnologica che pervade e connota fortemente l’esistenza dell’ ”homo comunicans”: il cinema, la radio e più tardi la televisione.

Il cinema vede la luce nel 1895, anno in cui i fratelli Louis e August Lumiére costruirono la prima sala cinematografica al Gran Cafè de boulevard des capucines, dove mostrarono, previo pagamento, l’apparecchio che avevano inventato e brevettato: il “cinematographe”. Il cinema, prima, vera trasposizione icastica della realtà, inizialmente ebbe una funzione documentaristica e didascalica, occupandosi di fatti di cronaca, cerimonie, guerre, competizioni sportive: una sorta di “proto-tg”. Successivamente ha sviluppato tutte le sue potenzialità finzionali e iconiche dando vita a quel caleidoscopio immaginifico che ancora lo caratterizza: amori contrastati, gelosie, gesta eroiche e disperate saranno i suoi topics principali arricchiti dai primi effetti speciali.

Il cinema si diffuse in America e in Europa dando vita ad una vera e propria industria. Prima muto e poi sonoro esso è diventato un punto di riferimento mediatico per un’utenza sempre più vasta. In Italia si affermarono, il melodramma sentimentale e il film storico con i cosiddetti colossal, generi protagonisti delle pellicole nostrane fino all’avvento del fascismo, momento in cui il cinema subirà una sorta di involuzione tematica diventando un mero e ulteriore strumento di propaganda, di apologia dei simboli e dei valori di questa nuova realtà politica nonché di diffusione di consenso e documentazione di imprese militari e avvenimenti di carattere nazionale assolutamente coadiuvato in questa funzione dall’altro media già citato: la radio. Le funzioni informative e d’intrattenimento di quest’ultima saranno arricchite da una fondamentale componente icastico-immaginifica con la televisione che diventerà il medium sovrano della dieta mediatica di ogni fruitore (A. Grasso e M. Scaglioni, 2003). I primi esperimenti che porteranno alla nascita di questo medium vengono realizzati, tra gli altri, da James Maxwell, Alexander Popov, Rudolf Hertz, Lee De Forest (inventore del triodo), fino a Guglielmo Marconi: il primo a stabilire un collegamento radiotelegrafico tra la nave Elettra e la terraferma.

Il 2 novembre 1920 inizia le trasmissioni la prima stazione radio, si chiama KDKA e il primo programma è il resoconto delle elezioni presidenziali americane. L’anno seguente è la volta della BBC. Nel 1924, in Italia, vede la luce l’Unione Radiofonica Italiana (U.R.I.) diventata E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) tre anni più tardi. E’ il 6 ottobre quando Maria Luisa Boncompagni presenta il primo programma irradiato in Italia.

La radio nasce nel bel paese parallelamente all’affermazione del fascismo, ponendosi di diritto come mezzo di celebrazione di quest’ultimo e cassa di risonanza dell’ideologia totalitaria presso un’utenza inizialmente esigua ma in continua e inarrestabile espansione. Infatti la crescente accessibilità economica del mezzo aumenta progressivamente il numero di coloro che ascoltano con trepidazione le descrizioni gonfie di retorica e demagogia delle gesta militari italiane e si emoziona con le cronache sportive del leggendario Niccolò Carosio il quale, da quella “scatola”, racconta con l’enfasi che lo caratterizzava le vittorie mondiali del ’34 e del ’38.

Dopo la guerra l’E.I.A.R. Scompare e dalle sue ceneri nasce la R.A.I. (Radio Audizioni Italiane), il servizio pubblico che accompagnerà la storia italiana degli ultimi cinquant’anni diventandone parte integrante attraverso un processo d’influenza reciproca.

La radio del dopoguerra subisce una grande trasformazione all’insegna della modernizzazione e del rinnovamento: potenziamento del giornalismo radiofonico (Radiosera), nascita della programmazione nazionale e varo della rete culturale. Lello Bersani, Mario Riva, Enzo Tortora, Corrado, Mike Buongiorno diventano gli alfieri di tale trasformazione che subisce ulteriori mutamenti dopo una nuove rivoluzione mediatica: quella che vede l’avvento della televisione nel 1954. E’ la consacrazione, sebbene non definitiva, del broadcasting, ossia di quel sistema di trasmissione d’ informazioni che da un soggetto trasmittente raggiunge più soggetti dotati di un supporto ricevente, non definiti a priori e presenti nell’aria di copertura del primo. Un sistema, quello del broadcasting, il quale dopo il boom della radio, che lasciava al singolo ascoltatore la facoltà di associare alle parole le atmosfere, la morfologia dei personaggi, gli ambienti in una sorta di alleanza sinergica tra mente e mezzo comunicativo si avvarrà, grazie alla TV, dell’uso delle immagini che unendosi alla voce dei protagonisti raggiungerà un audience notevolmente più vasta. Tale medium, rispetto al cinema, si arricchisce di una  maggiore credibilità icastica, di un’efficacia espressiva perfettamente aderente al reale grazie al tempo reale della diretta.

La data di nascita della televisione viene fatta risalire al 25 marzo 1925 quando l’ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges a Londra mostrando delle silhouette in movimento. La trasmissione a distanza di immagini, anch’esse in movimento, con una vasta gamma di grigi, quelle che comunemente vengono denominate in “bianco e nero”, riuscì a realizzarla il 2 ottobre dello stesso anno. La trasmissione avvenne dal suo laboratorio alla stanza affianco. La risoluzione verticale era di 30 linee e la frequenza delle immagini era di 5 al secondo. L’anno seguente Baird diede una nuova dimostrazione delle funzionalità e delle potenzialità del nuovo mezzo ai membri della Royal Institution davanti ad un folto gruppo di giornalisti e cronisti dell’epoca. Nel 1927 riuscì ad effettuare una trasmissione da Londra a Glasgow (700 Km) avvalendosi della rete telefonica in cavo, nel 1928 ci fu la prima trasmissione transoceanica da Londra a New York nonché la trasmissione delle prime immagini a colori. La televisione di Baird fu in seguito definita “elettromeccanica” perchè l’apparecchio di ripresa delle immagini e quello di visione si basavano, appunto, su un dispositivo elettromeccanico inventato il 24 dicembre 1883 da Paul Gottlieb Nipkow, il cosidetto disco di Nipkow.

Ma la parente più prossima, sia in ordine cronologico sia per qualità di ordine tecnologico, del medium che occupa i nostri salotti e non solo è sicuramente la televisione elettronica realizzata per la prima volta il 7 settembre del 1927 dall’inventore americano Phil Farnswarth nel suo laboratorio di San Francisco. Ciò che la differenzia in maniera sostanziale da quella precedente era il fatto che sia l’apparecchio di visione che quello di ripresa erano realizzati con un dispositivo elettronico: il tubo a raggi catodici inventato dal fisico tedesco Ferdinand Braun nel 1897. Tale strumento sostituisce la tecnologia basata sul disco di Nipkow e getta le basi per la realizzazione dell’odierna TV (A. Grasso e M. Scaglioni, 2003).

In Italia le prime sperimentazioni a riguardo hanno luogo nel 1939 sotto l’egida del Regime, ma vengono bruscamente interrotte dal conflitto mondiale. Nel 1949 ci fu la trasmissione dalla Triennale di Milano presentata da Corrado, ma il servizio regolare cominciò solo nel 1954, vera e propria data di nascita unanimemente riconosciuta della fortunata stagione televisiva italiana. Tuttavia la copertura del segnale raggiungerà l’intera nazione solo tre anni più tardi: il 31 dicembre 1956. Il numero degli abbonati è all’epoca decisamente esiguo, circa 360.000 unità, a causa del costo elevato degli apparecchi ricevitori. La televisione si guarda nelle case dei vicini più abbienti, nelle piazze di paese, nei bar, fungendo quasi da livellatore sociale e stimolando una socializzazione trasversale. E’ lì che giovedì sera si guarda Lascia o Raddoppia, programma condotto da Mike Buongiorno, già conduttore di Arrivi e Partenze basato sulle interviste rivolte alla gente comune che appunto partiva o arrivava in stazione. L’ italo-americano diventerà un’icona del nuovo panorama mediatico scrivendo tante pagine della sua storia fino ai giorni nostri.

Da quel momento il mezzo televisivo conoscerà una diffusione inarrestabile e decisamente congruente con quella che aveva avuto luogo qualche anno prima negli Stati Uniti (G.Gilder, 1995).

La sue più importanti e recente innovazioni sono: la cosiddetta personalizzazione dei contenuti, la soggettiva costruzione palinsestuale dei propri consumi ma soprattutto la scelta temporale e spaziale del consumo grazie ad altri supporti tecnologici come il cellulare o il tablet. Tutto questo aumenta esponenzialmente l’elemento interattivo della fruizione, prima inesistente, processo che culmina nella produzione di contenuti propri da parte dei fruitori stessi e nell’uso massiccio dei social Media come Facebook e Twitter, piattaforme che modificano irreversibilmente anche le dinamiche socio-relazionali ( S.Palmer, 2006.).

Bibliografia

1)       T.W. Adorno, M. Horkheimer,. Dialettica dell’Illuminismo. Einaudi, Torino, 1966.

2)       J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Understanding new media, MIT Press, Cambridge, 1999.

3)   P. Breton, L’utopia della comunicazione, il mito del “villaggio planetario”, UTET, Torino 1995.

4)       J.T. Caldwell, Is television a Distinct Medium? TV and Convergence, Contemporary World Television eds (J. Sinclair, G. Turner), Londra 2004.

5)       F. Colombo, La digitalizzazione dei media, ed. Carocci, Roma 2007.

6)       G. Gilder, La vita della televisione. Il grande fratello farà la fine dei dinosauri, Castelvecchi editore. Roma 1995.

7)    L. Gitelman, Always Already New: Media, History, and the Data of Culture, ed. MIT Press, Boston 2006.

8)       A. Grasso e M. Scaglioni, Che cos’è la televisione. Il piccolo schermo fra cultura e società: i generi, l’industria,il pubblico, ed. Garzanti, Milano 2003.

9)       R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1966.

10)    H. Jenkins, Convergence Culture. Where Old and New Media Collide, New York University Press, New York e Londra 2006.

11)M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967.

12)     N. Negroponte, Essere digitali, Sperling&Kupfer, Milano 1995 (ed. or. Being digital, Knopf, New York 1995).

13)     S. Palmer, Television Disrupted, The Transition  from Network to Networked tv, Elsevier, Oxford 2006.

14)     K.R. Popper, Cattiva maestra televisione, Reset, Milano 1994.

15)     K.R. Popper Tre saggi sulla mente umana , Armando, Roma, 1994.

16)     M. Sorice, Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana, Editori Riuniti, Milano 2002.

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