Cass. Pen. Sez. III, 7 giugno 2019, n. 38751/19: il delitto di corruzione di minorenni, di cui all’art. 609 quinquies, comma 2, c.p., è configurabile anche mediante l’invio di immagini, ritraenti atti sessuali, attraverso l’uso della rete internet (nel caso di specie, messaggistica whatsapp)

Avv. Rosaria Multari

La sentenza in commento si pronuncia sul reato di corruzione di minorenni, di cui all’art. 609 quinquies c.p., con affermazioni innovative in ordine alla sua possibile integrazione tramite il ricorso a strumenti web (in particolare social networks).

I giudici di legittimità, infatti, dopo aver esaminato le differenze strutturali tra le due fattispecie di reato contemplate nella disposizione richiamata – la prima fattispecie di cui al comma 1 e la seconda fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 609 quinquies c.p. (differenze da rintracciare, anzitutto, nel tipo di condotta incriminata, rispettivamente data dal compiere atti sessuali, in presenza di un minore di anni 14, al fine di farlo assistere agli stessi, comma 1, e dal far assistere un minore di anni 14 al compimento di atti sessuali o, in alternativa, mostrargli materiale pornografico al fine di indurlo a compiere o subire atti sessuali, comma 2) – si soffermano sui mezzi tramite cui può avvenire la diffusione di materiale contenente atti sessuali (tra cui rientra anche un atto di masturbazione), necessaria per l’integrazione della fattispecie di cui al comma 2 art. 609 quinquies cp. Tra questi mezzi, in particolare, la Suprema Corte osserva che non vi sono ragioni per escludere l’inclusione dei nuovi canali web di diffusione di informazioni tra soggetti non presenti, come può essere il sistema di messaggistica whatsapp. Secondo la sentenza in commento, più nel dettaglio, sussisterebbero due ordini di ragioni per le quali deve ritenersi che la condotta di corruzione del minore finalizzata a far compiere o subire atti sessuali, di cui al comma 2 art. 609 quinquies cp, possa essere integrata tramite la rete internet: una ragione di ordine letterale e una ragione di ordine sistematico.

Quanto al piano letterale, si evidenzia come, diversamente dal comma 1 – in cui la condotta di corruzione consiste nel compiere atti sessuali “in presenza del minore”, dunque, una condotta che, letteralmente, per essere integrata, esige una contiguità spazio temporale tra autore e vittima del reato – nel caso di corruzione di cui al comma 2, art. 609 quinquies c.p., consistendo la condotta incriminata nel “far assistere il minore” o, alternativamente, nel “mostrargli materiale pornografico”, non si richiede, come elemento necessario di tale fattispecie di reato, l’unicità del contesto di tempo e di luogo tra agente e vittima. In altri termini, per i giudici di legittimità, se, ai fini dell’integrazione del delitto di cui al comma 1, è ontologico che il compimento di un atto sessuale avvenga nel medesimo contesto spazio- temporale, con la conseguenza che è da escludere che l’atto sessuale ivi rilevante possa essere compiuto tramite contatti virtuali-internet (per esempio, videochiamate o simili), nel caso, invece, di “mostrare materiale pornografico” o far “assistere” il minore al compimento di un atto sessuale, di cui al comma 2, art. 609 quinquies c.p., non risulterebbe imprescindibile per l’integrazione di simili condotte la presenza fisica del minore. Pertanto, per la sussistenza del reato è possibile il ricorso a strumenti telematici, forniti dalle nuove tecnologie e dalla diffusa rete internet, strumenti che consentono di mostrare materiale pornografico e far assistere il minore alla sua produzione.

Il secondo dato, di ordine sistematico, invece, viene rinvenuto, in prima battuta, sotto un profilo dell’elemento soggettivo del reato, dal raffronto tra la diversa finalità in cui si sostanzia il dolo specifico di cui al comma 2 art. 609 quinquies, cp, rispetto alla finalità di cui al comma 1 della stessa norma. Per la fattispecie di corruzione del minore del comma 2, infatti, è richiesta una finalità più aggressiva per l’integrazione del dolo specifico: indurre il minore di anni 14 a compiere o subire atti sessuali, piuttosto che farlo assistere al compimento dell’atto sessuale dell’agente. Un diverso contenuto del dolo che, secondo i giudici di legittimità, è ragionevole ritenere sia strettamente correlato alla “diversità fisica” della condotta. In seconda battuta, altro elemento di ordine sistematico – che testimonierebbe la possibilità di integrare il fatto di corruzione di minore di cui al comma 2 art. 609 quinquies c.p. anche tramite l’invio di materiale con strumenti telematici – risiede nel raffronto con la previsione del reato più grave di cui all’art. 609 quater cp (atti sessuali con minorenne). Secondo la recente giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. Pen. Sez III, n. 17509 del 30.10.2018), infatti, tale ultimo reato può essere integrato anche mediante comunicazione telematica (per esempio, collegamento via webcam). Ciò – osserva correttamente la pronuncia in esame – dimostrerebbe come, prima ancora dell’atto sessuale, la stessa induzione a compiere un atto sessuale possa essere realizzabile tramite strumenti telematici, dunque, come il reato dell’art. 609 quinquies comma 2 cp possa essere integrato tramite simili tecniche di diffusione: se è possibile che l’atto sessuale indotto sia consumato tramite strumenti web, a rigor di logica deve ritenersi prima ancora possibile che l’induzione, di cui quell’atto sessuale è la realizzazione, avvenga tramite gli stessi strumenti.

Alla luce delle indicate ragioni, il collegio conclude che – precisato che il reato di cui all’art. 609 quinquies, comma 2 c.p. non richiede la contiguità spazio-temporale tra l’agente e la vittima e che, prima ancora della fattispecie di induzione al compimento di un atto sessuale da parte del minore, la fattispecie criminosa del compimento di atti sessuali con minorenni di cui all’art. 609 quater cp è pacificamente ammessa anche nel caso in cui l’atto sessuale avvenga tramite rete internet – è sicuramente configurabile il fine di indurre la persona offesa a compiere o subire atti sessuali quando il contatto avviene per via telematica.

La sentenza in commento assume un particolare rilievo innovativo per due ordini di ragioni.

Anzitutto, è da sottolineare come essa porti ad ulteriore compimento il percorso di interpretazione evolutiva, ormai in fase di consolidamento, per cui, in materia di reati sessuali a danno di minorenni, è pacificamente ammessa la possibilità di ricorrere a strumenti informatici per realizzare le condotte incriminatrici previste dalla varie norme di parte speciale, soprattutto strumenti telematici di nuova generazione (social networks). In particolare, la sentenza esaminata si pone sul solco tanto dell’orientamento consolidato con riguardo al reato di cui all’art. 609 quater cp, poc’anzi richiamato, quanto della recente sentenza delle Sezioni Unite n. 51815 del 31.05.2018 (citata nello stesso iter motivazionale della pronuncia commentata), la quale, come noto, ha affermato il non necessario accertamento concreto del pericolo di diffusione al fine dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 ter, comma 1, cp. Ciò proprio in ragione del fatto che i nuovi mezzi tecnologici, normalmente impiegati per la produzione di tale materiale, rispetto agli strumenti del passato, si caratterizzano per un intrinseco pericolo di diffusione, dunque, un’intrinseca carica lesiva per la sfera sessuale del minore.

Inoltre, occorre osservare che la sentenza in commento si pone in perfetta linea anche con le innovazioni legislative introdotte dalla legge n. 69 del 19 luglio 2019 (codice rosso). In particolare, deve essere evidenziata la continuità sistematica che l’interpretazione della pronuncia in commento sembra avere con il nuovo reato di revenge porn (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, art. 612 ter cp). La continuità risiede nel fatto che la citata nuova fattispecie di reato si sostanzia proprio nella diffusione di materiale a sfondo sessuale tramite rete internet e web. Dunque, si aggiunge un ulteriore dato sistematico a conferma della correttezza dell’affermazione dei giudici di legittimità, per cui la configurabilità della corruzione di minorenni di cui all’art. 609 quinquies, comma 2 c.p. può avvenire tramite un contatto virtuale, attraverso il ricorso alla rete internet.

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