La famiglia “omosex”: le prime volte dell’Italia

Dott.ssa Martina Tosetti

Sommario

I. La famiglia e la codificazione di un catalogo autonomi di diritti in ambito europeo; II. La famiglia nel diritto italiano: nesso inscindibile con l’istituto del matrimonio e tutela dell’art. 29 Cost.; III. I passi in avanti compiuti sul fronte giurisprudenziale.

 I. La famiglia e la codificazione di un catalogo autonomo di diritti in ambito europeo

Con la sentenza del 9 febbraio 2015 n. 2400[1] la Suprema Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sul tema dello statuto giuridico delle unioni omoaffettive nell’ordinamento italiano, in particolare del diritto di contrarre matrimonio, affermando – ancora una volta – la piena discrezionalità del Parlamento in merito e ribadendo, tuttavia, che il rapporto tra persone dello stesso sesso “riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2 Cost. e può acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione dei diritti fondamentali scaturenti dalla relazione[2].

Si è detto che con la predetta sentenza la Corte è tornata a pronunciarsi  nuovamente sulla questione, giacché la pronuncia in esame si pone come un ulteriore tassello interpretativo del percorso di affermazione delle unioni omosex all’interno del nostro ordinamento; percorso che necessariamente scorre in parallelo con la tutela accordata dall’ordinamento europeo alla famiglia omosex.

In materia di diritti fondamentali e della loro rilevanza giuridica non si trova traccia nella versione originaria del Trattato CE [3], ma la moderna politica dell’Unione oggi sembra decisamente orientata in tal senso [4] [5].

A tal proposito, occorre soffermarsi sulla fonte in cui maggiormente si concretizza il processo europeo [6] di codificazione di un catalogo autonomo di diritti : la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata a Nizza nel 2000 e divenuta vincolante con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre del 2009 [7].

In proposito il capo II della Carta è dedicato ai diritti di libertà e sicurezza, rispetto della vita privata e familiare, diritto di sposarsi e costruire una famiglia: protezione del nucleo familiare (art. 33) e diritto di fondare la propria famiglia sono i cardini di questa disciplina [8].  La finalità dichiarata nel preambolo della Carta e poi all’art. 52 delle stessa [9], infatti, consiste nella la volontà di riaffermare i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni e in modo particolare dalla CEDU, delle quali si rende necessario un esame congiunto, per poter cogliere a pieno i limiti normativi entro cui condurre la ricerca [10].

Già dalla lettura comparata degli artt. 12 CEDU  e 9 Carta [11] emerge chiara la differenza tra le due norme: la previsione della CEDU, infatti, presuppone che il riconoscimento del diritto al matrimonio possa aversi solo con riguardo a coppie eterosessuali, solo a “uomini e donne” in età adatta e secondo quanto previsto dalle normative nazionali di riferimento, fornendo a livello applicativo un implicito richiamo al modello tradizionale di famiglia basata sul matrimonio che, seppur non le impedisca, non costituisce base di tutela per le unioni di coppie omosessuali. In questo senso si orienta la stessa Corte di Giustizia, ad esempio, nel caso Rees (C. Giust. CE  Rees v. The United Kingdom, 17/10/1986) e nel caso Goodwin (C. Giust. CE Goodwin v. c. Regno Unito n. 28957/95, 11/07/2002) con riferimento ai mutamenti di identità sessuale, confermando in entrambe le sentenze che l’art. 12 CEDU conferisce il diritto al matrimonio a persone di sesso diverso, a prescindere dal fatto che siffatta differenza sussista sin dal momento della nascita. E ancora, nella celeberrima sentenza del 2010 Schalk e Kopf v. Austria ( C. Giust. CE n.  30141/04, 24/06/2010) la Corte afferma che “non costituisce violazione dell’articolo 12 da parte di uno Stato membro la mancata estensione dell’accesso al matrimonio alle coppie costituite da individui dello stesso sesso. Ciò perché si tratta di un istituto giuridico profondamente connesso alle radici storiche e culturali di una determinata società e rispetto al quale non è ravvisabile un’univoca tendenza negli ordinamenti interni degli Stati membri. Pertanto, rientra nell’ambito della discrezionalità propria di uno Stato la scelta in merito all’introduzione di una normativa in tal senso, secondo le ragioni di opportunità politica e sociale che ritenga preponderanti” [12].

In Schalk la I Sessione ha, quindi, unanimemente, ritenuto non violato l’art. 12 con riferimento al diritto di sposarsi ma, contestualmente, ha esteso la nozione di vita familiare, alla luce degli orientamenti prevalenti nella società europea, a ricomprendervi le coppie dello stesso sesso che si trovano in una situazione simile a quelle eterosessuali rispetto al bisogno di riconoscimento e protezione legale[13]. Inoltre le conclusioni del Giudice sono ancorate a una valutazione generale della situazione di evoluzione sociale e culturale dell’Europa e ciò, pertanto, non esclude una pronuncia di segno opposto laddove venissero registrati dei cambiamenti significativa di questa realtà.

Con riferimento, invece, all’art. 9 della Carta di Nizza è necessario evidenziare il carattere indifferenziato di suddetta previsione normativa che non contiene alcuna precisazione con riguardo alla diversità di sesso come presupposto per invocare la tutela relativa, prevedendo un generico richiamo al diritto di sposarsi e costruire una famiglia secondo quanto previsto dalle leggi nazionali. Secondo la dottrina maggioritaria, allora, siffatta differente formulazione rispetto al testo dell’art. 12 CEDU deve essere letta come un’apertura innovatrice con riguardo alle coppie omosessuali [14].  L’art. 9 della Carta, allora, viene letto come espresso riconoscimento del diritto di matrimonio e di formare una famiglia con funzione di “favorire il riconoscimento delle pluralità delle forme di convivenza, anche quelle fondate su unioni omosessuali, (che) emerge (…) alla luce di un(a sua) interpretazione sistematica (…), in combinato disposto con il divieto assoluto di discriminazioni, fondate inter alia sull’orientamento sessuale ex art. 13 TCE [15]”.

Il secondo punto di contatto tra Carta e CEDU riguarda il concetto di vita familiare: se l’articolo 8 CEDU afferma che “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza e non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui” la Carta, in piena coerenza, all’articolo 7, sancisce il rispetto della vita privata e della vita familiare per cui “ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”, senza prevedere alcuna ulteriore precisazione in ordine ai limiti posti all’agire della pubblica autorità, limiti comunque desumibili dal testo delle Convenzione.

Nella prospettiva degli articoli appena riportati, allora, appare opportuno evidenziare come la famiglia di riferimento sia quella che va oltre il modello tradizionale di matrimonio legale e non fittizio o risultante da altri tipi di legami naturali  o di carattere giuridico – come nel caso dei rapporti derivanti dall’adozione –, ossia quella che si configura in presenza di forme di convivenza stabile, seria e duratura, a prescindere da eventuali forme di formalizzazione o registrazione.

La Carta, in definitiva, non si limiterebbe a riconoscere il diritto di sposarsi nella sua tradizionale impostazione, ma riconoscerebbe in modo disgiunto dal vincolo matrimoniale il diritto a fondare una famiglia, attuando di fatto una significativa apertura nei confronti delle famiglie di fatto e delle coppie omosessuali, in virtù del mancato riferimento alla diversità di sesso[16].  La protezione alla famiglia così invocata dalla Carta all’art. 33 si riferisce, dunque, a un modello pluralista capace di ricomprendere unioni diverse da quella tradizionale, ancora riflessa nell’art. 29 della Costituzione Italiana.

 

II.  La famiglia nel diritto italiano: nesso inscindibile con l’istituto del matrimonio e tutela dell’art. 29 Cost.

Il sistema del diritto di famiglia del codice civile italiano del 1942, rimasto poi in vigore fino al 1975, era indubbiamente caratterizzato da una concezione autoritaria e gerarchica dei rapporti tra coniugi, le cui posizioni soggettive trovavano tutele diseguali imputabili a regole giuridiche molto lontane dai principi di eguaglianza giuridica e morale dei coniugi, enunciati, invece, nella Costituzione [17] [18] [19].

La lettura contestuale degli artt. 29, 30 e 31, degli artt. 2 e 3 e degli altri imperativi che delineano il quadro dei riferimenti normativi, impone di intendere la società naturale come una garanzia costituzionale di rispetto dell’autonomia familiare, nel concreto interesse dei singoli ad ordinare in modo originale e libero i loro rapporti di famiglia.

Quanto al contenuto del riferimento normativo principale, l’art.29, occorre evidenziare come questo sia il principio da cui deriva l’intera normativa in materia: a detta di molti autori e della stessa Corte il c.1 di tale articolo fonda in modo vincolante ed esclusivo la famiglia sul matrimonio, sia quello religioso trascritto, sia quello civile [20]; si tratta di una norma vincolante nel senso che senza il matrimonio non esistono famiglia, diritti e doveri, prerogative o poteri, una società, dunque, non sarebbe solo naturale ma anche formale e sacrale, sanzionata da un ordinamento normativo al quale lo Stato, sia indirettamente sia direttamente, ha attribuito forme istitutive e fondanti.

Una siffatta lettura dell’art. 29 c.1 sembra allora escludere ogni altra configurazione sociale, anche basata su rapporti di convivenza e legami affettivi e duraturi tra uomo e donna e sembra escludere qualsivoglia forma di regolamentazione e riconoscimento di parità giuridica alle forme di convivenza more uxorio.

Secondo un orientamento costante del Giudice costituzionale, la famiglia di fatto non avrebbe la stessa rilevanza costituzionale della famiglia fondata sul matrimonio, trattandosi di una realtà molto diversa e solo in parte assimilabile allo schema delineato dall’art. 29 [21] [22].

Puntando, invece, sulla portata del significato di formazione sociale di cui all’art. 2 si è formato, nel tempo, un indirizzo di pensiero volto ad attenuare le differenze giuridico-normative esistenti tra i modelli di famiglia tradizionale e famiglia di fatto: a partire dal convegno di Pontremoli nel 1975 inizia a diffondersi il parere per cui tutela costituzionale dovesse riconoscersi anche con riguardo alle convivenze more uxorio, poiché in tal senso non erano riscontrabili nel testo della Costituzione norme a sfavore o di condanna nei confronti dei conviventi né si poteva escludere che all’interno dello stesso, invece, si potessero trovare i motivi per legittimare la famiglia di fatto, seppur in modo differenziato.

Tale legittimazione indiretta avviene per il tramite di una corretta esegesi dell’art.2 con riferimento alle formazioni sociali a cui ricondurre il pluralismo delle strutture di tipo familiare, anche se prescindenti da atti formali di coniugio: “se poi si dà credito all’elaborazione di parte della dottrina che interpreta il concetto di società naturale come organizzazione sociale, anche la famiglia-società naturale prevista dall’art. 29 entrerebbe a pieno titolo in quella formazione a cui fa riferimento l’art.2”; ne consegue che lo stesso art. 29 costituirebbe una specificazione del concetto principale contenuto, invece, nell’art.2 poiché l’elemento che accomuna e avvicina la famiglia e le formazioni sociali è quello della solidarietà.

Ad oggi la materia si trova all’interno di un movimento rivoluzionario che, a seguito della citata riforma del’75 e passando per le riforme in tema di parità dei sessi, equiparazione di figli legittimi e naturali [23], pari distribuzione della potestà tra i coniugi, divorzio e separazione, aborto e fecondazione eterologa [24] – con esaltazione della libertà di scelta della donna –, vede un progressivo allontanamento da antiche costrizioni e dipendenze, delineando un modello di famiglia molto più vicina e sensibile a quella non matrimoniale; questa rivoluzione deve oggi continuare con riferimento alla famiglia di fatto, quale formazione basata sulla solidarietà, continuità dei legami affettivi e rapporti di filiazione, quale proiezione di un fenomeno sociale diffuso, sorto in relazione alla libera manifestazione del consenso e perciò fondato su un patto di convivenza che deve essere riconosciuto e regolamentato.

In tale ambito, del resto, il principio di non discriminazione [25] dovrebbe tradursi nel prevedere pari opportunità di accesso alla formalizzazione del rapporto di coppia, a prescindere dall’orientamento sessuale dei conviventi, con il matrimonio o altra forma a questo assimilabile, così come già richiesto sempre dal Parlamento Europeo che, nel febbraio del 1994, con la risoluzione sulla parità dei diritti degli omosessuali [26], nelle considerazioni generali “ribadisce la convinzione che tutti i cittadini debbano ricevere lo stesso trattamento, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali [27]e si rivolge agli Stati chiedendo interventi diretti a eliminare tutte le disposizioni di legge che criminalizzano e discriminano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso e  di adottare azioni positive orientate al raggiungimento di un siffatto risultato.

Il presupposto per la tutela delle coppie omosessuali, allora, è duplice: da un lato il concetto di comunione e identità di vita tra persone, basata sull’esistenza di un rapporto affettivo, di assistenza e di solidarietà comporta che tali unioni debbano essere ricomprese, ai sensi dell’art. 2 Cost. it. tra le formazioni sociali garantite dal nostro ordinamento; dall’altro, conseguentemente, la mancata tutela di tali relazioni si traduce in un’illegittima forma di discriminazione che viola la previsione di cui all’art. 21 Carta e all’art. 13 TCE.

III. I  passi in avanti compiuti sul fronte giurisprudenziale

Incostituzionale lo scioglimento automatico del vincolo del matrimonio a seguito della rettificazione del sesso di uno dei coniugi: lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza del 11 giugno 2014 n. 170, pronunciata a seguito del rinvio operato dalla Corte di Cassazione nel corso di un giudizio promosso da una coppia sposata, per ottenere la cancellazione della annotazione di cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio, che l’ufficiale di stato aveva apposta in calce all’atto di matrimonio, contestualmente all’annotazione, su ordine del Tribunale, della rettifica (da “maschile” a “femminile”) del sesso del marito, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 164 del 1982 [28].

La Corte di Cassazione rimettente, infatti, dubitava che la soluzione di ricollegare alla sentenza di rettificazione di sesso del coniuge l’effetto automatico di scioglimento del matrimonio possa realizzare un bilanciamento adeguato tra l’interesse dello Stato a mantenere il modello eterosessuale del matrimonio ed i contrapposti diritti maturati dai due coniugi nel contesto della precedente vita di coppia, consistenti nel diritto di autodeterminarsi nelle scelte relative all’identità personale, di cui la sfera sessuale esprime un carattere costitutivo; nel diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazionale, quando essa assuma i caratteri della stabilità e continuità propri del vincolo coniugale; nel diritto a non essere ingiustificatamente discriminati rispetto a tutte le altre coppie coniugate, alle quali è riconosciuta la possibilità di scelta in ordine al divorzio; del diritto dell’altro coniuge di scegliere se continuare la relazione coniugale.

Ebbene, la Corte costituzionale ha ritenuto che una siffatta situazione “si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio  che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale, ma non è neppure semplicisticamente equiparabile ad una unione di soggetti dello stesso sesso, poiché ciò equivarrebbe a cancellare, sul piano giuridico, un pregresso vissuto, nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale, che, seppur non più declinabili all’interno del modello matrimoniale, non sono, per ciò solo, tutti necessariamente sacrificabili[29].

Nel richiamare il precedente di cui alla sentenza n. 138 del 2010, inoltre, la Corte Costituzionale  rileva come non sia pertinente neppure il riferimento agli artt. 8 e 12 della CEDU, così come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e invocati quali norme interposte, ai sensi della denunciata violazione degli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost.: “ciò perché, in assenza di un consenso tra i vari Stati nazionali sul tema delle unioni omosessuali, la Corte EDU, sul presupposto del margine di apprezzamento conseguentemente loro riconosciuto, afferma essere riservate alla discrezionalità del legislatore nazionale le eventuali forme di tutela per le coppie di soggetti appartenenti al medesimo sesso“.

Risolve, quindi, la Corte la questione sottopostale attraverso il richiamo alla nozione di “formazione sociale” di cui all’art. 2 Cost., all’interno della quale “è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”, con ciò dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982 n. 164 nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi consenta loro di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata [30].

Sul diverso piano del diritto a costituire una propria famiglia e, di conseguenza, di adottare figli minori, giova ricordare la sentenza della Corte di Cassazione civile, sez. I, sentenza 11.01.2013 n° 601, Pres. Luccioli, Rel. De Chiara [31], con la quale si è affermato il principio per cui l’affidamento del minore ad una coppia omosessuale non è ex se dannoso per l’equilibrato sviluppo dello stesso, dovendo essere provato il danno sulla base di certezze cliniche o massime di esperienza [32].

La Corte di Cassazione, facendo seguito all’affermazione contenuta nella sentenza n. 4184 del 2012 [33] – in cui aveva osservato che la vita di relazione tra due persone dello stesso sesso rientra oggi nella nozione convenzionale di “vita familiare” –, chiama adesso coerentemente “famiglia” il nucleo costituito dal minore e la coppia omosessuale.

Del resto, le coppie omosessuali hanno diritto di adottare i figli dei compagni, al pari delle coppie eterosessuali non sposate: questo è quanto ha stabilito la Corte Europea dei diritti umani nella sentenza del 19 febbraio 2013, sul ricorso presentato da una coppia di donne austriache e dal figlio di una di loro, le due donne che avevano una relazione stabile da anni si erano viste rifiutare l’ adozione dal tribunale locale che pretendeva che i partner fossero di sesso diverso.

La Corte EDU ha ritenuto ingiustificato il rifiuto all’adozione co-parentale per una coppia omosessuale: la differenza di trattamento in questione, ovvero il non permettere alle coppie omosessuali di adottare il figlio del compagno, è discriminatoria e costituisce una violazione dell’art. 14 (principio di non discriminazione) e dell’art. 8 (rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Su tale scia si inserisce, da ultimissimo, la sentenza del Tribunale dei Minorenni di Roma del 30 luglio 2014, con la quale si è riconosciuto il diritto ad una coppia di donne – unite dal vincolo del matrimonio contratto in Spagna – di adottare la figlia concepita a mezzo di fecondazione eterologa. In particolare, tale diritto è stato riconosciuto a favore della partner della madre biologica, cd. mamma sociale,  dopo aver dimostrato al Tribunale e ai servizi sociali di essere un bravo genitore e di essere parte di una coppia stabile e duratura [34].

Apripista è stata (forse) la decisione del Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna, che, con il decreto del 31 ottobre 2013, ha rigettato la domanda di riforma del provvedimento con cui il Giudice Tutelare aveva dichiarato esecutivo il provvedimento di affido consensuale di una minore alla coppia di fatto composta due uomini. In particolare, si legge che “circa l’opzione di affidare [omissis] ad una coppia di fatto anziché ad una famiglia con figli minori, si rileva che, effettivamente, il provvedimento di affido nulla riferisce circa l’irreperibilità di quest’ultima soluzione. Peraltro alla luce dei principi(generali) […], si rileva come né il dettato normativo né l’interpretazione giurisprudenziale pongono il rispetto dell’ordine di preferenza delle soluzioni di affidamento indicate nell’art. 2 della legge n. 84 del 1983 a pena di nullità od inefficacia del provvedimento dispositivo dell’Istituto; ciò è comprensibile in considerazione della ratio perseguita dal Legislatore, costituita dall’assicurare al minore un “ambiente familiare idoneo” di cui è temporaneamente privo ove possa adeguatamente svilupparsi la sua personalità; se questo è lo scopo dell’affidamento, non può escludersi che in casi particolari, a seconda delle circostanze e delle peculiarità denotate dal minore, l’ambito più idoneo possa non essere costituito da un modello di comunità familiare completa – nella quale cioè coesistono sia la figura paterna sia quella materna sia quella dei fratelli -; nel caso concreto, il Servizio Sociale ha motivato la scelta di una coppia senza figli ritenendola funzionale ad un progetto volto ad evitare l’insorgere nella minore di una confusione di ruoli (paventata anche tra i motivi del reclamo), evidenziando che la bambina proviene da un nucleo mono-genitoriale ove già esiste una sorella, ed ha chiari i suoi riferimenti parentali, i quali, stanti i lunghi periodi di assenza della figura paterna, avrebbero potuto essere compromessi con il suo inserimento in una famiglia di tipo tradizionale formata da una nuova coppia di genitori e da altri bambini loro figli; inoltre, in base alle osservazioni compiute, gli Operatori hanno rilevato che [omissis] si è sempre relazionata a figure familiari femminili sia in comunità sia nel nucleo originario, così da apparire opportuno un suo inserimento in un contesto esclusivamente maschile del tutto dedicato a lei seppur a tempo determinato; ora, la bontà di tale scelta risulta comprovata dagli ottimi risultati già palesati dall’affidamento (ricavabili dalle audizioni della madre nonché degli operatori del Servizio Sociale) nel pur breve tempo dalla sua attivazione; in tal modo, nella fattispecie, la congruità dell’affidamento risulta comprovata dai fatti così come la sua funzionalità al miglior interesse della minore, obbiettivo primario dell’Istituto nonché oggetto peculiare della competenza del Tribunale per i minorenni”.

Ciò che si ritiene auspicabile, allora, anche sulla base delle pronunce dei giudici europeo e di Cassazione qui citate, è che il sentire sociale in continua evoluzione e volto ad una sempre maggiore apertura rispetto alla necessità di tutela giuridica da riconoscersi alla vita familiare fuori dal matrimonio, anche omosessuale, raggiunga la forza necessaria per spingere il legislatore italiano a provvedere per colmare la lacuna esistente nel sistema del diritto nazionale.

Il raggiungimento di questo obiettivo si rende necessario perché, in futuro, si possa aprire la strada anche al riconoscimento per via legislativa del diritto all’adozione per le coppie di fatto e le coppie omosessuali.



[1]  In http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/prima_sezione.page

[2] In particolare, la Corte ha ritenuto necessario pronunciarsi nuovamente in materia atteso che i ricorrenti hanno sottoposto al suo esame una questione diversa, avente ad oggetto il rifiuto di procedere alle pubblicazioni matrimoniali e non alla trascrizione di un titolo estero (salvo poi allinearsi in punto di motivazione alle precedenti pronunce). Si vedano, in tal senso, i motivi della decisione.

[3] I. Queirolo, Diritti fondamentali (Unione europea) estratto da Digesto delle discipline pubblicistiche – aggiornamento, pp.79 e ss. UTET GIURIDICA. La Comunità nasce quale realtà composta da Stati indipendenti, con reciproca indipendenza giurisdizionale, ed è questa la ragione principale per cui, inizialmente, non viene percepita la possibilità di un controllo accentrato in materia di diritti fondamentali comuni, tutelati a livello di Corti dei singoli Paesi membri. Il processo di integrazione europeo, nato con gli anni ’50, con una finalità essenzialmente economica di tutela delle libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, muta nel tempo con riferimento ai diritti fondamentali spettanti ai cittadini dei Paesi firmatari.

[4] M. Maresca, La tutela dei diritti fondamentali in Europa di W. Brauneder in Valori e principi nella Costituzione Europea (il diritto alla mobilità), pp. 15 e ss. IL MULINO 2004

[5]L’influenza della Carta di Nizza nelle sentenze della Corte di giustizia in materia di eguaglianza e dignità della persona su www.europeanrights.eu/public/commenti/commento_Pistorio.doc

[6]I. Queirolo e L. Schiano di Pepe,  Lezioni di diritto dell’Unione Europea e relazioni familiari,  pp. 258 e ss., seconda edizione, TORINO Giappichelli Editore

[7] In particolare l’attenzione va posta sulla previsione di cui all’art. 6 par. 1 nella parte in cui precisa che “ l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.

I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.”

[8] La Carta rappresenta e codifica soluzioni ormai generalmente condivise: infatti, nonostante sia stata proclamata quale atto meramente declaratorio e simbolico, essa ha prodotto nel tempo effetti molto significativi ed è diventata importante contributo al processo di valorizzazione dei diritti fondamentali sia sul piano della dottrina, che ne ha immediatamente rilevato il «plusvalore», in quanto testo scritto, solenne ed ufficiale, un vero e proprio Bill of rights dell’Unione europea, che soddisfa quel bisogno di certezza del diritto e dei diritti, concorrendo a creare nei cittadini dell’Unione la consapevolezza della loro comune identità, al fine di renderli i veri protagonisti della costruzione europea, sia a livello giurisprudenziale, dapprima quando il Tribunale costituzionale spagnolo, con la sentenza 30 novembre 2000, n. 292, richiamava l’art. 8, al fine di rafforzare la dichiarazione di illegittimità di alcune disposizioni di una legge nazionale e poi successivamente quando è stata richiamata e utilizzata quale strumento immediato e privilegiato di aiuto interpretativo e di identificazione dei diritti e dei principi generali del diritto comunitario, per il suo carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei, da Corti costituzionali , da giudici ordinari , dalla Corte europea dei diritti dell’uomo  e più volte dal Tribunale di I istanza .

[9] 52.2 “I diritti riconosciuti dalla presente Carta per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti dagli stessi definiti. 3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda protezione più estesa. 4. Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni”

[10] La Convenzione Europea per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel ’50, elaborata dal Consiglio d’Europa e recante un catalogo di diritti fondamentali ai quali deve conformarsi l’operato dei Paesi contraenti, ai sensi dell’art. 6 paragrafi 2 e 3 TUE – 2. “L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati;  3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.” – , ha forza giuridica vincolante e  costituisce una clausola di tutela “minima”, ovvero indice del livello di protezione minimo, garantendo un grado di giustiziabilità dei diritti umani senza precedenti, che deve ora essere equivalente a quello dei diritti sanciti nella Carta, inteso in senso non più restrittivo rispetto alla prassi interpretativa ed applicativa sviluppatasi nel corso del tempo.

[11] Articolo 9 Carta: “Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”; Articolo 12 CEDU: “ Diritto al matrimonio. A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.

[12] Ancora, “a parere della Corte, ad oggi, all’interno del concetto di “vita familiare”, il cui rispetto è garantito dall’articolo 8, devono potersi ricondurre anche le relazioni sentimentali e sessuali tra persone dello stesso sesso. Pertanto, costituirebbe una violazione dell’articolo 8 in combinato disposto con l’articolo 14 la mancanza di tutela e riconoscimento adeguato, all’interno di uno Stato membro, delle coppie omosessuali. Nel caso in cui, dunque, uno Stato si dotasse di uno strumento giuridico che permettesse la tutela dell’unione familiare tra soggetti dello stesso sesso, anche se ciò avvenisse in ritardo rispetto ad altri Stati membri, non incorrerebbe nella suddetta violazione. Tale conclusione è, anche in questo caso, giustificata dall’assenza di un comune orientamento condiviso dai legislatori nazionali”.

[13]C. Danisi La Corte di Strasburgo e i matrimoni omosessuali: vita familiare e difesa dell’unione tradizionale,  in Quaderni Costituzionali 2010, fasc. 4, pp. 870- 873

[14] Si è quindi resa necessaria la pronuncia in merito della Corte e tre casi giudicati recentemente segnano il notevole mutamento che si è avuto rispetto all’applicazione dei diritti sanciti nella CEDU  alle coppie di sesso uguale: queste sentenze, (P.B e J.S. ric. 18984/02 del 22/07/2010, c. Karner ric. 40016/98 del 24/07/2003 e c. Kozak c. Polonia ric. 13102/02 del 02/03/2010) lette congiuntamente, segnano il continuum di un processo che termina con il riconoscere alla vita di coppia omosessuale lo status familiare, con costante richiamo dell’art. 8 CEDU come interferenza nell’aspetto più intimo di una persona, limitando la rilevanza circa l’orientamento sessuale a una mera questione di privacy, orientamento poi confermato, appunto, nella pronuncia del giungo 2010.

[15] S.M Carbone e I. Queirolo, Diritto di famiglia e Unione Europea, pp. 58-65, Giappichelli Editore 2008

[16]G. Ferrando La famiglia e il diritto. Linee di tendenza, problemi, prospettive in Manuale di diritto di famiglia, Manuali Laterza pp. 3 e s., GLF Editori Laterza, 2005

[17] Bessone, Alpa, D’Angelo, Ferrando e Spallarossa, La famiglia nella Costituzione in La famiglia nel nuovo diritto. Principi costituzionali, riforme legislative, orientamenti della giurisprudenza, IV ed., pp. 15 e ss., Zanichelli, Bologna 199

[18] M. Sesta Il diritto di famiglia nella Costituzione in Manuale di famiglia, III ed., pp.7 e ss., Padova – CEDAM, 2009

[19] Nella tradizione dei codici dell’Ottocento, al cui modello si ispira il codice civile del’42, il modello di famiglia che ne risulta è chiuso e centrato sulla figura autoritaria del capofamiglia, cui spettano poteri nei confronti di moglie e figli, sottoposti alla sua potestà. Viceversa la portata innovatrice rispetto a siffatto modello dei principi accolti dal nostro testo costituzionale è evidente già dal dato letterale delle norme di cui agli artt. 29, 30 e 31, ove si attribuisce alla famiglia un ruolo di notevole importanza e una posizione di autonomia rispetto allo Stato, introducendo principi di parità morale e giuridica dei coniugi e diritti per i figli. “Articolo 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.” “Articolo 30. E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.” “Articolo 31. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.”

Il modello di famiglia così delineato e integrato dalle norme ordinate in altri articoli o titoli coincide con un concetto di famiglia che si contrappone e contrasta con il modello autoritario del codice civile, privilegiando un’impostazione ispirata ai principi di libertà e consenso quali forme di “governo” dei rapporti familiari e di rispetto della personalità dei singoli componenti, considerati nel loro ruolo di coniugi o di figli ( senza discriminazioni legate ai diversi status di figli legittimi o naturali).  In particolare, poi, i principi accolti nei suddetti articoli altro non sono che una specificazione all’interno del gruppo familiare delle direttive di cui agli artt. 2 e 3 Cost.[19], là dove la famiglia appare la prima formazione sociale ove si svolge e si sviluppa la personalità dei singoli e all’interno della quale devono annullarsi le profonde contraddizioni della società italiana, ineguale e discriminatoria.

[20] S. Asprea , La famiglia di fatto in Italia e in Europa , pp. 7 e ss, Giuffrè Editore, 2003

[21] In tal senso v. C. Cost. It. n.45 del 14.04.1980, FI, 1980, I 1565: C. Cost. It. n. 559 del 20.12.1898, RDC, 1991, 88 ss.; C. Cost. It. n. 310 del 26.05.1989, GFI, 1991, I, 446

[22] Si veda, C. Cost. n. 8 del 18.01.1996, FD 1996, 107, 13

[23] Dopo l’entrata in vigore della legge delega n. 219 del 2012, volta a superare ogni residua distinzione tra figli legittimi e naturali, è stato emanato il decreto legislativo n. 154 del 2013 che, intervenendo tanto sul codice civile quanto sulle leggi speciali, attua nell’ordinamento il principio di unicità dello status di figlio. Il principio ispiratore che caratterizza tutta la nuova legge n. 219/2012 sulla filiazione è quello della prevalenza dell’interesse del figlio, specie se minore, su ogni altro interesse giuridicamente rilevante che vi si ponga in contrasto”.

Già ad una prima lettura del testo e delle relative modifiche apportate al codice civile, alle disposizioni di attuazione e a quelle transitorie, emerge chiara la volontà del legislatore di rendere (finalmente) effettiva l’eguaglianza giuridica tra figli, siano essi legittimi, naturali o adottivi: recita – a tal proposito – il nuovo art. 315 c.c. che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, a prescindere dalla situazione giuridica dalla quale siano nati

[24] La Corte Costituzionale, con sentenza 10.06.2014 n° 162 ha stabilito che “la determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali” e ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa disposto dalla Legge 19 febbraio 2004, 40.

[25] Il principio di non discriminazione è diffusamente riconosciuto come manifestazione del più generale principio di eguaglianza: ne consegue che, in senso sostanziale, situazioni simili devono essere trattate in modo uguale mentre situazioni diverse giustificano trattamenti giuridici differenziati; in caso contrario e in assenza di ragionevoli giustificazioni in merito, lo stesso trattamento deve considerarsi discriminatorio.

Tali principi rappresentano elementi fondamentali della normativa internazionale relativa ai diritti umani: in particolare, il principio di non discriminazione si rinviene nell’art. 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e nell’art. 26 del Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici e viene puntualmente riaffermato e rielaborato in tutti gli strumenti universali e regionali di tutela. In ambito europeo, esso è consacrato nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il cui art. 14 afferma che “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

[26] Risoluzione sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità – ( A3-0028/94)

[27] In particolare “ritiene che la Comunità europea abbia il dovere, in tutte le norme giuridiche già adottate e che verranno adottate in futuro, di dare realizzazione al principio della parità di trattamento delle persone indipendentemente dalle loro tendenze sessuali; è convinto altresì che la tutela dei diritti dell’uomo debba trovare più efficace espressione nei trattati comunitari e invita pertanto le istituzioni della Comunità a predisporre, nel quadro della riforma istituzionale prevista per il 1996, la creazione di un organismo europeo che possa garantire l’attuazione della parità di trattamento senza distinzione di nazionalità, convinzioni religiose, colore della pelle, sesso, tendenza sessuale o altre caratteristiche”

[28]In particolare, la Consulta si è confrontata con la presunta illegittimità “dell’art. 4 della l. n. 164 del 1982, con riferimento al parametro costituzionale dell’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di regime giuridico tra l’ipotesi di scioglimento automatico, operante ex lege, del vincolo coniugale previsto da tale norma in relazione all’art. 3, quarto comma, lettera g) della l. n. 898 del 1970 e successive modificazioni e le altre ipotesi indicate in detto art. 3, sub. 1, lettera a, b, c) e sub 2”, di M. TOSETTI, in  http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15959.asp

[29] Il parametro costituzionale di riferimento individuato dalla Corte per una corretta valutazione della peculiare fattispecie in esame, quindi, non è quello di cui all’art. 29 Cost. – invocato in via principale dal collegio rimettente -, poiché la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente è quella stessa richiamata dal codice civile e che fa espresso riferimento alla diversità di sesso dei nubendi.

[30] In conclusione, quindi, secondo la Corte, spetta al legislatore intervenire  “con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell’attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti“.

[31] In http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2013/01/cassazione-adozione-gay.pdf

[32] La vicenda attiene all’affidamento di un bambino figlio di un padre di religione musulmana e di una madre ex tossicodipendente che ha intrapreso una relazione sentimentale ed una convivenza con un’operatrice della propria comunità di recupero; il tribunale per i minorenni aveva stabilito, con decisione confermata in appello, l’affidamento in via esclusiva alla madre, tenendo conto del comportamento violento del padre che aveva aggredito la convivente della madre e dell’interruzione dei rapporti con il figlio, nonostante fosse stato delegato ai servizi sociali di regolamentare gli incontri del minore con il padre, da tenersi con cadenza almeno quindicinale in un ambiente neutro ed inizialmente protetto. La decisione conferma l’ormai consolidato orientamento della S.C., dei giudici di merito e di Strasburgo  per cui ai fini dell’affidamento dei/lle figli/e non assume rilevanza l’orientamento sessuale dei genitori. La Corte, tuttavia, trova  l’occasione per alcune affermazioni importanti, poiché i giudici di legittimità sottolineano che ritenere che possa avere ripercussioni negative l’inserimento di un minore in una «famiglia» «composta da due donne legate da una relazione omosessuale» appare frutto di un «mero pregiudizio». In ciò sta il tratto più rilevante della decisione.

[33] In http://www.articolo29.it/decisioni/corte-di-cassazione-sentenza-del-15-marzo-2012-n-4184/, sentenza nella quale si era affermato il principio per cui “quanto alla “tutela costituzionale invocata dai reclamanti”, il riferimento dell’art. 29 Cost., alla famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” consente di affermare che “Il criterio di rapporto tra il legislatore e la realtà sociale indicato dalla Costituzione, … mentre non costituisce di per sè ostacolo alla ricezione in ambito giuridico di nuove figure alle quali sia la società ad attribuire il senso ed il valore della esperienza famiglia, induce invece a ritenere illegittimo perseguire detto fine attraverso una forzatura in via interpretativa dell’istituto matrimoniale, essendo le connotazioni essenziali di questo saldamente ancorate al diritto positivo e alla concezione sociale di cui questo costituisce tuttora univoca espressione

[34] Il particolare, il Tribunale ha accolto il ricorso presentato per ottenere l’adozione della figlia da parte della mamma non biologica. Le due donne, sposate all’estero, si erano rivolte all’Associazione italiana avvocati famiglia e minori, per procedere con il ricorso per l’adozione. Il ricorso è stato accolto sulla base dell’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 149 del 2001, il quale contempla l’adozione in casi particolari. Fonte: http://www.ami-avvocati.it/adozioni-gay-storico-ok-dal-tribunale-di-roma-e-il-primo-caso-in-italia/#sthash.lbcHV6Ar.dpuf

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