Omicidio nella circolazione stradale: colposo o doloso?
La previsione del reato di ”omicidio stradale”
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 31.07.2013, n. 33207
a cura del dr. Alessandro Campagnuolo
Sono ormai alcuni anni che in modo acceso si discute sull’ipotesi d’introdurre nell’ordinamento penale italiano il reato di omicidio doloso (o volontario) in violazione del codice stradale.
In questo senso, si chiede se il conducente alla guida di un’auto che uccida altri utenti della strada debba essere indagato/imputato del reato di omicidio volontario a prescindere dalla sua condotta seppur in ipotesi colposa, cioè, derivante da una guida imperita o imprudente o negligente. In sostanza, si vorrebbe qualificare una condotta psicologicamente involontaria come volontaria, il che sembra in generale abnorme.
Secondo il diritto vigente, l’omicidio di altri utenti della strada derivante dalla guida di un veicolo è una fattispecie che configura l’omicidio colposo (art. 589 c. p.), anche se alcuni pubblici ministeri, all’atto dell’esercizio dell’azione penale e in alcuni recenti procedimenti penali, hanno inizialmente qualificato la condotta dell’imputato come omicidio volontario ex art. 575 c.p. per poi sovente derubricare il reato stesso in omicidio colposo (in sostanza mutando il titolo del reato).
La giurisprudenza di merito, similmente, si è ultimamente orientata in modo innovativo così qualificando la condotta con dolo cd. eventuale per gli omicidi stradali commessi sotto l’influenza di sostanze alcoliche o stupefacenti. Questo filone abbraccerebbe appunto la teoria per la quale il soggetto agente si pone al volante accettando il rischio, nella propria psiche, di provocare morte o lesione nonostante la sussistenza di uno stato psicofisico alterato. Fino a qualche anno fa, per converso, la giurisprudenza era essenzialmente finalizzata all’opposta teoria della colpa cd. cosciente (o con previsione), ovvero sia di quella per cui, il conducente, pur circolando in auto in stato d’ebbrezza, nella propria mente non accetta il rischio che la propria condotta possa causare morte o lesioni. In altre parole, il soggetto ritiene che, a dispetto delle sue diminuite capacità di guida, non è per sé stesso verosimile che possa causare incidenti, anzi ne esclude ogni probabilità. E’ evidente che l’elemento psicologico è diverso nelle suddette fattispecie e, quindi, anche la considerazione del fatto di reato e del relativo rimprovero al soggetto agente saranno diversi, seppur ne derivino comunque i disastrosi effetti che conosciamo.
Ebbene, da tempo, l’opinione pubblica spinge per il riconoscimento di una maggiore giustizia anche a causa del grave disagio che subiscono i parenti delle vittime tuttora in numero assai rilevante: nei primi 11 mesi del 2013, difatti, sono stati 105 i morti e 1.089 i feriti. Gli eredi, in effetti, devono spesso prendere atto di condanne a pochi anni di reclusione grazie anche ai cd. riti premiali (es. patteggiamento con lo sconto di pena fino a un terzo) o alternativi (es. giudizio abbreviato con sconto secco di un terzo) al processo penale che, se scelti dall’imputato, possono appunto diminuire le pene applicabili, peraltro anche in conseguenza di fattispecie plurioffensive (rectius omicidio di due o più persone). In effetti, la fattispecie di cui al 2° comma dell’art. 589 c. p. – fatto commesso con violazione del codice della strada – prevede una pena da 2 a 7 anni di reclusione, a differenza che nell’ipotesi ordinaria di omicidio colposo (da 6 mesi a cinque anni).
Orbene, in riferimento alle proposte parlamentari sul tema, a fine luglio 2013 era stata presentata una riforma di questa fattispecie ed era stata avanzata l’ipotesi di novellare il sistema penale con un reato autonomo mediante una modifica al codice penale introducendovi l’articolo 586-bis, il cd. omicidio stradale, con l’intento di punire con una pena compresa tra nove e diciotto anni di reclusione omicidi commessi da soggetti alla guida di un veicolo in stato di alterazione alcoolemica o da sostanze stupefacenti o psicotrope (ipotesi previste ex artt. 186 e 187 del codice della strada). La proposta continuava disponendo che, inoltre, si sarebbe applicata la pena stabilita per la violazione più grave ma con il limite massimo di 21 anni nel caso in cui dall’incidente fosse conseguita la morte di più persone ovvero la morte e le lesioni di una o più persone (21 anni è la pena prevista per l’omicidio volontario ex art. 575 c. p.). Nel terzo comma si sarebbe previsto che, qualora fossero derivate solo lesioni personali causate da colui che si pone alla guida di un veicolo in stato di alterazione per alcool o per sostanze stupefacenti o psicotrope, la reclusione sarebbe stata da uno a sei anni e, peraltro, si sarebbe proceduto d’ufficio. Si proponeva, infine, il cd. ergastolo della patente cioè la revoca a vita nel caso appunto si fosse integrato il predetto reato di omicidio stradale.
Al riguardo, l’attuale Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, pochi giorni fa ha dichiarato di voler accelerare l’iter parlamentare al fine d’introdurre il suespresso reato di “omicidio stradale”. A differenza che dalla proposta di legge dello scorso luglio, in concreto e più presumibilmente, l’intento del Ministro pare essere quello di modificare proprio il 2° c. del 589 c. p. con una pena aumentata fino
a 10 anni di reclusione. In questo senso il titolo del reato dovrebbe restare colposo e, in aggiunta, vi sarebbe la proposta di azionare il giudizio direttissimo nell’eventualità in cui venga accertata con precisione la dinamica dell’incidente; un risvolto procedimentale invero già previsto dal codice di procedura penale che si basa sulla cd. evidenza probatoria del fatto. A corollario di ciò, si specifica che la flagranza di reato è, invece, l’altro alternativo presupposto per azionare il giudizio direttissimo; un presupposto che va da sé che in un incidente stradale sussiste spesso ma che molte altre volte non si può configurare perché il pirata scappa dal luogo del sinistro e, quindi, la previsione della sola evidenza probatoria sembrerebbe essere diretta a scongiurare proprio quest’infausta circostanza, cioè, appunto quella di poter attivare il rito direttissimo a prescindere dalla flagranza.
Ad ogni buon conto, rispetto al semplice omicidio colposo in violazione del C.d.s., la pena edittale attualmente prevista dalle ipotesi nn. 1 e 2, per guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui al 3° comma dell’art. 589 c. p., dispone un tempo più ampio di reclusione, da 3 a 10 anni. Questa fattispecie astratta sarebbe comunque avulsa da un’eventuale approvazione di una nuova figura di reato come l’omicidio stradale che, individuando un’ipotesi “ordinaria” cioè senza un’alterazione psicofisica, andrebbe logicamente (prim’ancora che giuridicamente) ben coordinata con quella predetta; ciò al fine di evitare che la pena prevista per le due fattispecie sia poco differenziata essendo appunto l’una più grave dell’altra.
A tal proposito, la Cassazione, sezione penale, con sentenza proprio del luglio 2013 (succitata nel catenaccio), esonera addirittura da qualsiasi responsabilità il conducente investitore di un pedone perché, all’esito di un’attenta ricostruzione dei fatti, l’Ecc.ma Corte ha stabilito che la colpevolezza dell’investimento va, in questo precipuo caso, addebitata al pedone in quanto il suo comportamento imprevedibile ed inevitabile è stato la sola causa che ha prodotto l’evento. Semplificando per i non addetti ai lavori, in diritto, in specie in quello penale, se una causa sia stata la sola che ha prodotto l’evento significa che essa è in grado di escludere tutte le altre concause che avrebbero concorso a verificarlo (art. 41, comma 2°, codice penale).
Sull’elemento psicologico della condotta, la sentenza in commento dimostra che in ogni caso esso va accertato in concreto e singolarmente, non potendosi stabilire aprioristicamente se una condotta sia stata volontaria o colposa. Peraltro, nemmeno i sistemi di sicurezza contemporanei permettono di esigere dall’utente medio una condotta connotata da una perizia tale da potersi escludere l’involontarietà di tragici eventi conseguenti dalla guida stessa; sarebbe come dire che nessuno possa in alcun modo procurare danni anche se i mezzi di locomozione sono tuttora ancorati all’agire della stessa mano dell’uomo.
La proposta di legge del luglio scorso, guarda caso, era diretta a far dichiarare volontaria, anche se a titolo di dolo eventuale, la sola condotta di omicidio stradale derivante da uno stato psicofisico alterato da droghe e alcool. In assenza di tali stati coartati, infatti, non è dunque possibile valutare ex ante la guida di un conducente connotata pregiudizievolmente dal dolo ancorché di tipo eventuale, cioè da uno dei più gravi elementi psicologici dell’agire dell’uomo, e per giunta senza i dovuti riscontri probatori. Sarebbe come qualificare dolosi comportamenti per i quali, al contrario, se psicofisicamente alterati, se ne debbono ulteriormente accertare gli stati emotivi dell’accettazione del rischio o meno, e se psicofisicamente ma non ugualmente condizionati rientrerebbero (com’è) nell’ipotesi ordinaria per cui un “omicidio stradale” è colposo salvo prove contrarie e si procede come di consueto; cioè, in sostanza, il P.m. deve (o dovrebbe) desumere l’ipotesi accusatoria dagli elementi in suo possesso in maniera garantista, fatta salva appunto l’ipotesi strategica di aggravare un’imputazione per poi tatticamente derubricarla come si diceva innanzi. Un’eventualità questa che si verifica molto spesso in concreto per molti altri reati e che spesso serve al p.m. per alzare la posta in gioco e o per modificare l’imputazione al momento opportuno al fine dell’efficacia della sua azione giudiziaria. Ciò vien detto nel senso che, in definitiva, oltre all’indagine psicologica che è e resta un’analisi soggettiva, lo stato attuale della tecnologia non permette di qualificare aprioristicamente e in generale un omicidio stradale come volontario, a meno che non ne sussistano le debite prove.
Concludendo sull’intento legislativo d’inasprire la pena, attese le alternative processuali tendenti a favorire l’imputato in contrapposizione fattuale ad una richiesta di giustizia più effettiva (anche se l’innalzamento della pena edittale individua pur sempre un’extrema ratio), un aumento della stessa sanzione potrebbe sortire l’effetto sperato di dare una sentenza definitiva in grado di conferire più ristoro e giustizia ai familiari delle vittime di reati brutali come questi, che connotano l’agire dell’uomo di un particolare e deplorevole disvalore sociale. Il tutto a patto che la pena sia ben prevista e integrata nell’assetto normativo penale.