L’operatività del vincolo di giustizia nel reato di doping

di Roberto Carmina

Il reato di doping di cui all’art. 9, comma 1° e 2°, della legge n. 376 del 2000 è una fattispecie incriminatrice plurioffensiva in quanto i beni giuridici colpiti dalle condotte da essa incriminate sono la salute e la lealtà sportiva. Conseguentemente, a nostro modo di vedere, la persona offesa dal reato di doping è: lo Stato mediante il Ministero della Salute in relazione alla lesione della salute individuale e collettiva e il CONI, le Federazioni internazionali e nazionali rappresentative della disciplina sportiva, nonché gli sportivi che siano stati sottoposti inconsapevolmente a sostanze o pratiche dopanti.

Infatti, nei soggetti sovraindicati è identificabile una situazione di interesse personale, differenziata e distinta dall’interesse diffuso alla salute e alla lealtà sportiva comune alla generalità degli sportivi. Ne consegue che l’associazione sportiva o la società sportiva che assume di aver subito un pregiudizio da un suo tesserato che ha posto in essere una condotta integrante il reato di doping, non è persona offesa dal reato, ma solo danneggiato, in quanto parte offesa è esclusivamente l’ente titolare degli interessi attinenti alla tutela della regolarità delle competizioni sportive o della salute o l’atleta la cui salute è stata direttamente compromessa dalla condotta illecita.

In particolare è opportuno chiarire che la legittimazione del CONI e delle Federazioni sportive nazionali e internazionali a richiedere il risarcimento del danno nei procedimenti per i reati che risultano della legge n. 376 del 2000 discende dalla lesione che tali fattispecie incriminatrici realizzano nei confronti dell’assetto naturale dello sport, ossia di un elemento costitutivo degli enti stessi, oggetto di un loro essenziale diritto di personalità. Inoltre, lo sport è anche un “bene economico”, in quanto suscettibile di valutazione economica, come tale senz’altro meritevole di tutela patrimoniale sia sotto il profilo penale, sia sotto il profilo civile, ricollegabile alla lesione del rapporto indissolubile che lega lo sport alla lealtà sportiva e alla salute. Infatti, il doping realizza nei confronti degli enti sportivi un danno passivo sia in via diretta, e cioè quando la competizione sportiva viene falsata, sia in via indiretta, quando si dovrà ripristinare la fiducia degli sportivi e degli spettatori nella correttezza delle competizioni. Il danno da doping quindi può essere individuato anche sotto il suo profilo più materiale relativo agli esborsi resi necessari per individuare le scorrettezze e per ripristinare la correttezza in un sistema falsato.

A tali considerazioni si deve aggiungere che in relazione a reati diversi da quelli di doping, seppur il bene tutelato non sia la lealtà sportiva e la salute e conseguentemente il CONI non possa considerarsi persona offesa, potrà comunque costituirsi parte civile, in quanto danneggiato dalla perpetrazione del crimine, anche solo moralmente, nel caso in cui il reato contestato produca conseguenze negative sul principio di lealtà sportiva. Inoltre, per la giurisprudenza della Cassazione è irrilevante che il fatto contestato sia antecedente all’entrata in vigore della legge n. 376 del 2000 in quanto ciò che rileva è che anche dal reato possono derivare conseguenze sul leale svolgimento delle gare sportive sotto il profilo della frode in competizioni sportive di cui alla legge n. 401 del 1989, art. 1, alla cui tutela è deputato il CONI, quale portatore di tale pubblico interesse[1].

Relativamente all’ipotesi in cui l’atleta sia persona offesa del reato di doping in quanto vittima inconsapevole di tale condotta illecita, occorre tenere a mente che la giurisprudenza della F.I.G.C. più recente gli attribuisce la possibilità di costituirsi parte civile in un procedimento penale e di esercitare ogni altra azione penale, senza richiedere alla Federazione la prevista preventiva autorizzazione ex art. 30, comma 4°, dello Statuto della F.I.G.C.[2], la quale può essere concessa solo per gravi ragioni di opportunità[3]

Va osservato che, contrariamente a quanto affermato precedentemente, una parte della dottrina[4] giustifica la massima estensione del vincolo di giustizia previsto dall’articolo 30, commi 2° e 4°, dello Statuto della F.I.G.C.[5] in quanto diretto a dare esplicazione alla supremazia degli organi di giustizia sportiva, garantendo l’indipendenza e la specificità dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale.

Tuttavia, l’esclusione dell’applicazione dell’articolo 30, comma 4°, dello Statuto Federale per tutte le azioni penali si basa sulla considerazione che il vincolo di giustizia per poter applicarsi deve presupporre la predisposizione, da parte dell’ordinamento sportivo, di strumenti alternativi e a livello funzionale omogenei rispetto a quelli previsti dalla giurisdizione statale. Dunque, non potendosi in astratto configurare pronunce degli organi di giustizia sportiva in materia di responsabilità penale e di risarcimento dei danni, conseguentemente si deve escludere l’operatività del vincolo di giustizia sportiva in quelle fattispecie che prevedono il monopolio della giurisdizione statale[6].

Autorevole dottrina sul punto chiarisce che “l’estensione delle aree di competenza della giustizia dello Stato (…) si può giustificare soltanto come extrema ratio se, e nella misura in cui, le istituzioni dello sport non risultino in grado di predisporre adeguate forme di tutela”[7].

Conformemente la Corte di Giustizia afferma che “ogni qualvolta, nei casi di vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico comunque riconducibili a rapporti interni all’attività federale, l’apparato giudiziario della F.I.G.C. non sia in grado, per carenza di adeguate normative o per mancanza di organi competenti, di spiegare un intervento diretto, nessun contrasto è configurabile fra ordinamento federale ed ordinamento statale che, nelle ipotesi suindicate, svolge unicamente una funzione non concorrente, ma complementare e suppletiva”[8].

Pertanto il contrasto tra la giurisdizione sportiva e quella statuale non sussiste in quanto, per ottenere la tutela risarcitoria, l’atleta può solo adire la giustizia ordinaria. Conseguentemente, bisogna accogliere un’interpretazione restrittiva dell’articolo 30, comma 4°, dello Statuto Federale, volta ad escludere le ipotesi non caratterizzate dalla fungibilità degli strumenti di tutela[9].

Incidentalmente va ulteriormente osservato, che la giurisprudenza federale afferma che “dalla lettura orientata costituzionalmente delle norme statutarie discende quindi che il vincolo di giustizia non opera né per l’instaurazione del processo penale, in quanto a ciò osta la lettera e lo spirito degli articoli 24 e 25 della Costituzione[10], naturalmente non derogabili da alcun ordinamento infrastatuale, né per l’esercizio delle azioni all’interno del processo penale, e quindi per la costituzione di parte civile e la citazione del responsabile civile”[11]. Pertanto, la previsione di un’autorizzazione da parte degli organi federali per agire in giudizio non può valere per le materie che possono essere oggetto di impugnazione solo davanti al giudice ordinario ai sensi della legge n. 280 del 2003[12], in quanto configurerebbe non una specificazione di un diritto garantito costituzionalmente ma un vero e proprio limite ad esso, contrastando così con il principio di gerarchia delle fonti. Infatti, è evidente che nessun regolamento associativo (lo Statuto Federale) può privare una persona dei diritti che una fonte sovraordinata (art. 24 e art. 25 Cost.) gli riconosce.

Inoltre anche se si dovesse ritenere applicabile la norma di cui all’articolo 30, comma 4°, dello Statuto della F.I.G.C., alle azioni penali, si dovrebbe ritenere ciò non sia comunque possibile per la costituzione di parte civile, poiché la detta norma contempla l’atto di autorizzazione per dare impulso a un processo innanzi alla giurisdizione statale, mentre con la costituzione di parte civile non si dà inizio all’azione penale che è caratterizzata dall’autonomia rispetto all’iniziativa del soggetto privato. E’ superfluo rammentare che l’art. 112 della Costituzione stabilisce che il p.m. ha l’obbligo di esercitare l’azione penale in quanto la giustizia penale non può essere considerata potestativa.

Va infine rilevato che la ratio del vincolo di giustizia, come sopra accennato, è da rintracciare nell’autonomia e nella specificità dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento statale. Tuttavia, là dove il sistema sportivo non preveda strumenti di tutela, la mancata autorizzazione lungi dal tutelare l’indipendenza di tale ordinamento andrebbe solo a realizzare un vuoto di garanzie giurisdizionali in contrasto con i principi fondanti del nostro ordinamento giuridico.

Per quanto concerne il reato di commercio illecito di sostanze dopanti al di fuori dei circuiti autorizzati, la dottrina ritiene che “la qualità di persona offesa dal reato sembra (…) doversi riconoscere esclusivamente al Ministero della Salute, tutelandosi in via anticipata il bene collettivo della salute pubblica”[13].

Più estesa è la platea dei soggetti che si possono costituire parte civile quali danneggiati. Tra di essi ricordiamo l’emittente televisiva che ha acquistato i diritti alla trasmissione della competizione sportiva, la società e l’associazione sportiva (come già anticipato), lo Stato per il tramite del Ministero dell’Economia e delle Finanze e la società di scommesse se la competizione sportiva è oggetto di legittimi concorsi pronostici e scommesse e lo sponsor.



[1] Corte di Cassazione, Sezione II penale, 8 Marzo 2011, n. 12750, in Guida al diritto, 2011, p. 76, nella quale si ammette la costituzione di parte civile del CONI, riconoscendo, pertanto, in suo favore il risarcimento del danno, nel caso di un soggetto condannato per il reato di ricettazione di farmaci dopanti per un fatto commesso precedentemente all’entrata in vigore della legge n. 376 del 2000.

[2] L’art. 30, al comma 4° dello Statuto della F.I.G.C, stabilisce che “fatto salvo il diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello Stato per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente, il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in deroga al vincolo di giustizia. Ogni comportamento contrastante con gli obblighi di cui al presente articolo, ovvero comunque volto a eludere il vincolo di giustizia, comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali”, consultabile on line in www.figc.it.

[3] Commissione disciplinare territoriale per il Lazio, 21 Giugno 2012, consultabile on line sul sito www.personaedanno.it. La decisione citata tratta il caso di un calciatore che, a seguito di un’aggressione subita nel corso di una partita di calcio dilettantistico, si costituiva parte civile in un procedimento penale, senza aver richiesto alla F.I.G.C. la preventiva autorizzazione ex art. 30, comma 4°, dello Statuto della F.I.G.C. e pertanto veniva deferito dalla Procura Federale per l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 15 C.G.S. Peraltro, la stessa Procura Federale contestava alla società di appartenenza del calciatore la violazione dell’articolo 4, comma 2°, del C.G.S. per responsabilità oggettiva in relazione al comportamento antiregolamentare ascritto al proprio tesserato. Tale decisione desta interesse in quanto la Commissione Disciplinare Territoriale per il Lazio nega la colpevolezza del deferito rispetto alle violazioni ascritte, in quanto esclude che l’articolo 30, comma 4°, dello Statuto della F.I.G.C. contempli la fattispecie della costituzione di parte civile in un procedimento penale nonché l’esercizio delle altre azioni penali.

[4] R. STINCARDINI – M. ROCCHI, La responsabilità degli arbitri componenti dei collegi previsti negli accordi collettivi: riferibilità del vincolo di giustizia?, in Rivista di diritto ed economia dello sport, 2008, p. 34.

[5] L’art. 30, al comma 2° dello Statuto della F.I.G.C, sancisce che “i soggetti di cui al comma precedente, in ragione della loro appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo o dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo, accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dalla F.I.F.A., dalla U.E.F.A., dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico”, visionabile on line in www.figc.it.

[6] In senso solo parzialmente difforme P. SANDULLI, I limiti della «giurisdizione sportiva» (nota a TAR Lazio, Sez. III-ter, 19 marzo 2008 n. 2472), in Foro amministrativo-TAR, 2008, p. 2088 e s.s, il quale afferma che sia necessario, per evitare una sanzione disciplinare, informare la FIGC dell’intenzione di agire davanti al giudice statale senza dover però attendere, per ragioni di celerità, l’autorizzazione della Federazione, di cui al comma 4°, dell’art. 30 dello Statuto della F.I.G.C.

[7] G. NAPOLITANO, Caratteri e prospettive dell’arbitrato sportivo, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, p. 1162.

[8] Corte di Giustizia Federale, II Sezione, Comunicato Ufficiale n. 118/CGF (2011/2012), consultabile on line sul sito www.figc.it.

[9] In senso difforme M. MAIONE, In presenza di un reato commesso nell’ambito di attività sportive opera il “vincolo di giustizia”?, in Rivista dell’Arbitrato, 2009, p. 523, secondo la quale “il vincolo di giustizia sportiva potrebbe operare in presenza di reati e delitti solo ove l’interessato eserciti nel processo penale, alle dovute condizioni, un’azione risarcitoria, essendo per natura eventuale e disponibile (…). Solo in situazioni di questo tipo il vincolo di giustizia potrebbe impedire la costituzione di parte civile del soggetto interno all’ordinamento sportivo o comunque subordinarla alla preventiva autorizzazione del Consiglio Federale ai sensi dell’art. 30, comma IV, dello Statuto F.I.G.C”.

[10] L’art. 24 della Costituzione statuisce, per quanto a noi interessa, che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. L’art 25 della Costituzione prescrive, tra l’altro, che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

[11]Commissione disciplinare territoriale per il Lazio, 21 Giugno 2012, consultabile on line sul sito www.personaedanno.it.

[12] La legge n. 280/2003 stabilisce all’art. 1 che “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportive”, all’art. 2 che “in applicazione dei principi di cui all’articolo 1, e’ riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui agli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”, visionabile on line in www.camera.it.

[13] G. ARIOLLI – V. BELLINI, Disposizioni penali in materia di doping, Milano, Giuffrè, 2005, p. 160.

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