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Il presidente degli organi collegiali di autogoverno delle magistrature: ruolo e funzioni

A cura dell’avv. Gabriele Pepe

 

1.Introduzione

2. La posizione di primazia o di primus inter pares del presidente e la reciproca equiordinazione di tutti i componenti

3. Funzioni distintive ed elementi caratterizzanti della primazia

  3.1. Convocazione delle riunioni

    3.1.1. Omessa convocazione dell’adunanza a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti

  3.2. Formulazione dell’ordine del giorno

  3.3. Direzione dei lavori

  3.4. Polizia delle sedute

4. Gli organi collegiali di autogoverno delle magistrature. Cenni introduttivi

  4.1. Il Consiglio superiore della magistratura. Le posizioni del Presidente della Repubblica e del vicepresidente del C.S.M..

    4.1.1. La delega di funzioni al vicepresidente con particolare riguardo all’atto di convocazione

    4.1.2. La formulazione dell’ordine del giorno delle riunioni del C.S.M.: Profili teorici e risvolti applicativi

  4.2. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Eterogeneità delle posizioni del presidente e relative funzioni

    4.2.1. La prevalenza del voto del presidente a parità di suffragi nelle deliberazioni del plenum

  4.3. Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti. I caratteri della posizione di primazia del presidente

    4.3.1. Omessa convocazione ed inserzione di argomenti all’ordine del giorno a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti: rimedi esperibili

5. Conclusioni

1.Introduzione

Il presente articolo intende analizzare in una prospettiva non già politologica ma rigorosamente giuridica il ruolo, la posizione ed poteri del presidente[1] nell’ambito degli organi collegiali di autogoverno delle magistrature. L’indagine, muove dalla teorizzazione gianniniana della primazia quale figura organizzatoria applicabile alle relazioni tra presidente e componenti nell’ambito della collegialità amministrativa; una iuris figura, tuttavia, estensibile in un’ottica generale generale a qualsivoglia famiglia di organi collegiali, ivi inclusi gli organi di autogoverno[2].

Il fil rouge della ricerca va rintracciato nell’idea che il presidente, quale figura necessaria per il corretto andamento dei lavori, rivesta una posizione di primazia formale o di primus inter pares[3] con compiti di impulso e coordinamento delle adunanze; una posizione giuridica che inquadra il presidente in una relazione di equiordinazione, sia pure originale con gli altri componenti dell’organo.

Il presente articolo è idealmente suddivisibile in due parti: una prima nella quale sono descritte le caratteristiche generali della primazia quale figura organizzatoria dai caratteri generali; una seconda nella quale è vagliata la tenuta applicativa del modello delineato alla luce di alcuni peculiari tratti distintivi che emergono dall’esame degli organi collegiali di autogoverno. In particolare la presente indagine, in una prospettiva teorico-pratica, intende restringere il campo di indagine della figura presidenziale al Consiglio superiore della magistratura, al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ed al Consiglio di presidenza della Corte dei conti.

L’analisi persegue, inoltre, l’obiettivo di evidenziare in termini problematici come taluni elementi o vicende afferenti l’ufficio di presidente ed il rispettivo titolare (contestuale posizione di organo monocratico, esercizio di poteri di sovraordinazione, patologico esercizio delle funzioni presidenziali ecc..) risultino potenzialmente in grado di alterare la posizione di primazia formale o di primus inter pares del presidente attraverso un’accentuazione in senso sostanziale delle funzioni da costui esercitate nei confronti degli altri componenti. Ciononostante, attraverso una pluralità di argomentazioni, si confuteranno tali obiezioni riaffermando la validità dei caratteri tipici della primazia quale figura trasversalmente applicabile ad ogni organo collegiale.

2. La posizione di primazia o di primus inter pares del presidente e la reciproca equiordinazione di tutti i componenti

In ambito pubblicistico va tributato a Massimo Severo Giannini il merito di avere rigorosamente delineato la nozione di primazia nel panorama della collegialità amministrativa[4], assimilando le nozioni, un tempo distinte di primazia e di primus inter pares.

Nelle Lezioni di diritto amministrativo del 1950 Giannini inquadra, in primo luogo, la primazia nell’alveo delle figure giuridiche di equiordinazione[5]. Secondo l’Autore “delle figure di equiordinazione le uniche che abbiano una propria denominazione sono la primazia e il concerto. Tutte le altre sono atipiche e nemmeno individuate[6]. Con precipuo riferimento alle relazioni tra presidente e componenti, Giannini afferma come la primazia, costituendo la più antica tra le figure di equiordinazione trovi applicazione “in tutti i rapporti tra capi di enti e giunte, comitati esecutivi, consigli di amministrazione, ecc.[7]. In questi acuti spunti di riflessione si individuano le basi dogmatiche per una ricostruzione della primazia in termini di figura organizzatoria potenzialmente applicabile ad ogni organo collegiale; una iuris figura che attribuisce al presidente un ruolo di impulso e coordinamento dei lavori del consesso in una posizione di equiordinazione, sia pure peculiare, rispetto agli altri componenti. In presenza di più figure equiordinate sembra, infatti, indispensabile individuarne una con poteri idonei ad assicurare il corretto svolgimento dell’iter collegiale, anche attraverso la risoluzione di momenti di impasse o di conflitto[8].

Le intuizioni di Massimo Severo Giannini in ordine alla posizione di primazia del presidente in seno agli organi collegiali vengono in parte sviluppate dalla dottrina successiva (L. Galateria, U. Gargiulo, S. Valentini) che dedica i propri studi al fenomeno collegiale e, segnatamente, alla collegialità amministrativa. Tali autori analizzano, in special modo, i poteri tipici della posizione di primazia che il presidente svolge nell’ambito di una relazione di originale equiordinazione con gli altri componenti.

Luigi Galateria muove dall’assunto che ogni organo collegiale debba avere un coordinatore dei lavori che sia, altresì, dotato della potestà di risolvere situazioni di impasse o di conflitto. A tal fine, è buona regola che siano previste norme che disciplinino modalità di scelta e di sostituzione del presidente in caso di sua assenza o impedimento. L’Autore aderisce, inoltre, alla tesi circa la pariordinazione di tutti i componenti affermando di conseguenza: “Tra i membri del collegio in quanto tali e il Presidente non corre alcun rapporto di gerarchia. Egli, come è noto, è un primus inter pares, si trova cioè in una posizione di primazia[9]. Da tale posizione giuridica discende il riconoscimento di una pluralità di poteri teleologicamente orientati al corretto svolgimento delle adunanze[10]; fra questi particolarmente significativo è il potere di direzione delle sedute che consente al presidente di dare e togliere la parola, moderare la discussione, porre le questioni, stabilire l’ordine delle votazioni e così via; ad esso vanno, poi, ad aggiungersi i poteri disciplinare e di polizia delle adunanze. Più in generale, l’attribuzione ed i limiti dei poteri presidenziali rappresentano “un problema particolarmente delicato perché ove essi risultassero troppo lati si finirebbe col menomare la volontà dei componenti e ove fossero troppo ristretti potrebbero pregiudicare il regolare funzionamento del collegio”[11]. Altro Autore, Ugo Gargiulo, ribadisce come il presidente costituisca una figura essenziale e necessaria per il celere e proficuo svolgimento delle adunanze[12]. In questa prospettiva, dunque, il presidente ricopre una distinta posizione di primazia o di primus inter pares rispetto agli altri componenti. Tale posizione giuridica si manifesta attraverso l’esercizio di poteri di impulso e coordinamento dei lavori[13] che, per la loro natura formale-strumentale, sono inidonei ad alterare il principio di equiordinazione che ispira le relazioni infra-collegiali.

Di particolare rilievo è, poi, lo studio di Stelio Valentini che descrive in modo dogmatico i poteri del presidente nonché la sua posizione di primazia nell’ambito del consesso presieduto[14]. L’Autore muove preliminarmente dall’assunto che membro di un organo collegiale sia, solitamente, una persona fisica preposta all’ufficio di componente in virtù di un atto di investitura. Inoltre “affermazione spesso ripetuta è quella della posizione paritaria dei componenti del collegio e della irrilevanza in esso di vincoli gerarchici[15]. Valentini è il primo studioso ad offrire un’analisi giuridica delle relazioni di equiordinazione che vengono ad instaurarsi tra i membri di un consesso pubblico. In primo luogo egli precisa che la relazione di organizzazione “non corre tra individui, (…) ma tra uffici di cui gli individui sono titolari[16]. Inoltre “la qualità di membro dell’istituzione collegiale è (…) astrattamente determinata nell’atto istitutivo, concepita quindi con caratteristiche uniformi, ed è concretamente attribuita dall’atto di investitura”; ne discende, coerentemente, come la posizione giuridica dei componenti sia normalmente paritaria perché uguale è il titolo di investitura. Valentini fa notare, poi, come con la “pretesa posizione paritaria dei membri (…) sembra contrastare la figura del presidente. La dottrina, conscia della difficoltà, ha sempre obiettato che il presidente è solo un primus inter pares e pertanto non è affatto sovraordinato rispetto ai membri del collegio, ma si trova tutt’al più in una posizione di primazia[17]. Tale posizione giuridica sarebbe, comunque, accessoria alla posizione base di componente che il presidente ricopre cumulando la titolarità dei due uffici[18].

L’Autore si domanda, in particolare, se l’esercizio di alcuni incisivi poteri sia in grado di collocare il presidente in una posizione non già di mera preminenza formale, ma di vera e propria sovraordinazione rispetto agli altri componenti. Del resto, “se si riflette su quanto accade all’interno dell’organizzazione collegiale, ci si accorge che in essa certamente sono concepibili rapporti di sovraordinazione; anzi forse la primazia non è altro che sovraordinazione in un apparato organizzativo particolare[19]. Dal pensiero di Valentini è possibile evincere come l’esercizio di alcuni poteri del presidente possa esprimere forme più o meno accentuate di sovraordinazione, idonee a tradursi in episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. Ciò potrebbe far dubitare della posizione paritaria di tutti i membri, “trattandosi di poteri che finiscono per riguardare non solo l’organizzazione strutturale del collegio e gli aspetti strumentali della sua attività, ma lo stesso contenuto delle deliberazioni adottabili”[20].

3. Funzioni distintive ed elementi caratterizzanti della primazia

Il contenuto della posizione di primazia si caratterizza per l’attribuzione al presidente di alcune funzioni amministrative discrezionali generalmente rintracciabili nella convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute; funzioni esercitate talora in modo esclusivo talaltra in modo concorrente con il collegio ed i suoi componenti[21] al fine di assicurare il corretto andamento dei lavori.

Le funzioni esercitate dal presidente quale primus inter pares sono contrassegnate dalla strumentalità rispetto al corretto andamento dei lavori e dalla natura formale-procedurale che le rende, normalmente, inidonee ad incidere sull’autonomia decisionale degli altri componenti. Del resto, anche ove lo svolgimento dei compiti di primus inter pares sfoci in provvedimenti a contenuto decisorio, ciò accadrà con il solo obiettivo di risolvere situazioni di impasse o di conflitto pregiudizievoli per il soddisfacimento della finalità deliberativa. La natura formale-procedurale e strumentale dunque, orienta e al contempo limita l’esercizio delle funzioni del presidente quale primus inter pares.

La primazia si concilia, così, perfettamente con il principio della pariordinazione di tutti i componenti; una pariordinazione che, non traducendosi in una perfetta uguaglianza di poteri, consente una differenziazione delle funzioni presidenziali per assicurare il corretto svolgimento dei lavori. Da tali considerazioni emerge chiaramente come la figura organizzatoria della primazia rappresenti un congegno giuridico idoneo ad assicurare impulso, regolarità ed efficacia al procedimento collegiale, permettendo altresì di superare momenti di paralisi o di conflitto pregiudizievoli per l’attività deliberativa del consesso.

Occorre a questo punto interrogarsi sulla natura, discrezionale o vincolata, delle funzioni presidenziali, poiché dalla risposta fornita al quesito discende l’individuazione di differenti rimedi in caso di patologia. Preme innanzitutto evidenziare come nell’ambito di tutti gli organi collegiali le funzioni che connotano in senso tipico il contenuto della primazia abbiano normalmente carattere discrezionale; e ciò a prescindere dalla natura giuridica dell’organo in rilievo. L’esercizio di tali funzioni è, conseguentemente, caratterizzato da margini più o meno ampi di scelta, necessari per assicurare il buon andamento delle adunanze. Poiché una perfetta e simmetrica pariordinazione tra tutti i componenti rischierebbe di pregiudicare la piena funzionalità del consesso, è necessario riconoscere al presidente particolari poteri di valutazione e decisione in vista del perseguimento della finalità deliberativa. La discrezionalità presidenziale si configura, pertanto, quale ordinario ed indispensabile modo d’essere delle funzioni tipiche della primazia; una discrezionalità che risulta, comunque, presidiata da vincoli e cautele, diversi di collegio in collegio, che ne circoscrivono ambito ed intensità applicativa, per scongiurare forme di incondizionata libertà ed assoluto arbitrio da parte del presidente[22]. Ad ogni modo l’ubi consistam della discrezionalità si identifica, pur sempre, in un ambito di scelta e di ponderazione[23], generalmente non sindacabile dal collegio, dai suoi componenti né da altri organi, in assenza di espresse disposizioni di diritto positivo[24].

Non è escluso, tuttavia, che i vari ordinamenti collegiali introducano prescrizioni così stringenti da vincolare l’esercizio di talune funzioni presidenziali, azzerando conseguentemente qualsivoglia margine di discrezionalità. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi di autoconvocazione in cui dalla richiesta vincolante di un tot numero di componenti[25] discenda in capo al presidente l’obbligo di convocazione dell’adunanza. In tali fattispecie, dunque, il presidente, non esercitando alcun potere discrezionale, sarà tenuto conseguentemente a convocare il consesso, in ragione della natura vincolata del relativo atto amministrativo[26].

Con particolare riferimento alle attività amministrative vincolate si pone la vexata quaestio dei rimedi esperibili a fronte dell’illegittima inerzia del presidente. La tematica risulta di palpitante attualità sia in ambito teorico sia in sede applicativa, data la frequente assenza di espliciti rimedi in diritto positivo. Infatti molti ordinamenti collegiali, pur prevedendo atti vincolati, non prescrivono, contestualmente, alcuno strumento idoneo a contrastare il silenzio presidenziale. È evidente, tuttavia, come in omaggio ai principi di par condicio e di preminenza solo formale del presidente, un rimedio debba pur desumersi dal sistema della collegialità attraverso un’esegesi logico-sistematica dalle norme, scritte e non, che ne governano il funzionamento. Qualora, viceversa, non si ritenesse necessario individuare alcun rimedio in ipotesi di omissione, si dovrebbe coerentemente sostenere la sovraordinazione dell’ufficio presidenziale rispetto all’ufficio di membro semplice del collegio; una soluzione profondamente in contrasto con i principi che disciplinano il fenomeno collegiale.

3.1. Convocazione delle riunioni

È convincimento diffuso che la convocazione, quale atto idoneo ad attivare l’iter collegiale, debba contenere l’invito a partecipare alle sedute per la discussione e votazione degli argomenti all’ordine del giorno[27]. Del resto, tale atto di impulso consente l’introduzione degli interessi da ponderare e graduare ai fini della scelta deliberativa.

In ciascun organo collegiale la convocazione delle adunanze rappresenta una delle funzioni[28], a contenuto discrezionale, attraverso cui si manifesta la posizione di primazia o di primus inter pares del presidente. Tale funzione, per la sua natura formale e per la strumentalità rispetto al buon andamento dei lavori, non è idonea ad incidere in modo sostanziale sulla formazione della volontà collegiale né sull’autonomia decisionale degli altri componenti[29].

Normalmente la convocazione è atto del presidente anche se “talora essa è operata dalla legge” mentre altre volte “spetta a terzi, o iure proprio o per surrogazione”; sono, d’altronde, queste ultime “le possibili varietà della c.d. eteroconvocazione[30]. La funzione di convocazione può, dunque, essere riconosciuta al presidente ora in modo esclusivo ora in concorso con altre figure soggettive[31]. Mentre le forme di eteroconvocazione sono oggetto di previsione tassativa[32] in base al principio di autonomia degli organi collegiali, assumono viceversa carattere generale “le forme di intraconvocazione, nelle quali il potere di convocazione compete a membri facenti parte dell’organo”[33] e, segnatamente, al presidente che viene a trovarsi in una posizione di primazia formale rispetto agli altri componenti. Una speciale tipologia di intraconvocazione è, poi, la c.d. autoconvocazione[34] che si verifica nell’ipotesi in cui la seduta debba convocarsi su richiesta di un prescritto numero di componenti. In caso, poi, di omissione del presidente, nel silenzio del diritto positivo, occorrerà individuare nel sistema uno o più rimedi surrogatori, attivabili su istanza degli interessati. Infatti, anche se in questa fattispecie l’atto di convocazione ha caratteri vincolati, l’intermediazione del presidente appare comunque necessaria, non potendo i componenti sostituirsi a lui direttamente, salvo espresse disposizioni di segno contrario.

L’atto di convocazione deve contenere l’indicazione di luogo e argomenti della riunione[35] al fine di consentire un’informata partecipazione a tutti i componenti del consesso. Salvi i casi di convocazione ex lege[36] o di richiesta vincolante di quota parte del collegio, la determinazione di ciascuno di tali elementi è rimessa necessariamente alla valutazione discrezionale, ancorché congrua e ragionevole, del presidente. L’atto di convocazione va, infine, tenuto concettualmente distinto dall’avviso di convocazione.

3.1.1. Omessa convocazione dell’adunanza a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti

Come visto, le funzioni tipiche della primazia presidenziale hanno natura amministrativa e carattere discrezionale. Tuttavia ciascun ordinamento collegiale può, con disposizione espressa ed al ricorrere di prescritte condizioni, renderne vincolato l’esercizio. Si pensi all’ipotesi in cui il presidente, a fronte della richiesta di convocazione avanzata da un determinato numero di componenti, sia obbligato dalla normativa vigente a convocare il consesso[37], previo controllo formale di legittimità della richiesta[38]. Può accadere in concreto che il presidente, pur essendovi giuridicamente tenuto, ometta il compimento dell’atto (vincolato) di convocazione[39], dando vita ad una disfunzione amministrativa[40], idonea a paralizzare l’attività del collegio.

Tale fattispecie si inquadra, a pieno titolo, nel più ampio fenomeno della c.d. autoconvocazione dell’organo collegiale. Una dottrina (minoritaria) opina nel senso che tale locuzione ricomprenderebbe non solo ipotesi di convocazione ad opera del presidente ma anche casi di convocazione diretta da parte di una frazione di componenti[41]. Una soluzione che, ad un attento esame, si palesa in contrasto con i principi generali in tema di organi collegiali. Infatti, in assenza di espresse disposizioni abilitanti, un intervento surrogatorio dei componenti, finalizzato alla convocazione dell’adunanza in luogo del presidente, colliderebbe con il principio di necessaria istituzione dell’ufficio presidenziale.

Dall’obbligatorietà della figura presidenziale per esigenze di funzionalità del consesso discende il divieto di riconoscere, in via generale, ad altri membri un potere di convocazione diretta delle riunioni. Una simile ipotesi potrebbe, semmai, configurarsi eccezionalmente, ove una norma di diritto positivo la prevedesse expressis verbis configurando una fattispecie di convocazione ex lege[42].

La ricorrenza negli ordinamenti collegiali delle locuzioni “su richiesta“, “richiede” dimostra, viceversa, la necessità di un atto di intermediazione del presidente, che pertanto sarà obbligato a provvedere alla convocazione in senso conforme alla richiesta[43].

La stessa giurisprudenza, nelle rare ipotesi in cui si è occupata della vicenda, ha confermato tale soluzione[44]; di conseguenza non è attualmente ammissibile, in via generale, una convocazione diretta dei componenti, in assenza di una disposizione ad hoc che la contempli espressamente.

Inoltre, le normative vigenti, nei casi di richiesta di convocazione da parte del prescritto numero di componenti, non prevedono, di regola, rimedi dinanzi all’inerzia del presidente; infatti nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo di provvedere, vi è incertezza sullo strumento azionabile per ripristinare il regolare funzionamento del collegio. Del resto, anche se l’omissione risulta penalmente sanzionata dall’art. 328 co. II c.p.[45], è evidente come tale misura non consenta di superare l’impasse provocato dal negligente od ostruzionistico comportamento del presidente. Le medesime esigenze che presiedono all’istituzione dell’ufficio presidenziale impongono di ricavare dal sistema della collegialità un efficace rimedio; ciò sia per assicurare il costante funzionamento dell’organo sia per tutelare la situazione giuridica di interesse legittimo dei richiedenti.

Una volta riconosciuta la necessità di uno o più rimedi, occorre individuarne tipologia e caratteri, chiarendo successivamente presso quale organo siano esperibili, di volta in volta, anche in considerazione delle differenti caratteristiche degli organi collegiali[46].

Un idoneo rimedio, di natura giurisdizionale potrebbe individuarsi nell’azione avverso il silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a.[47]. L’ammissibilità di tale azione, proponibile dinanzi al TAR contro l’omissione presidenziale, sarebbe suffragata dall’esistenza delle prescritte condizioni di legge per la formazione del silenzio inadempimento, segnatamente, rinvenibili nell’esercizio di una funzione amministrativa, nell’inadempimento di un obbligo di provvedere e, da ultimo, nella presenza di un’attività vincolata.

Dall’applicazione delle disposizioni del c.p.a. discende il riconoscimento di una potestà sostitutiva del giudice amministrativo che si esplica nell’adozione, diretta o tramite commissario ad acta, dell’atto di convocazione omesso.

In altri termini su istanza degli interessati, il TAR potrebbe convocare, in luogo del presidente, la riunione collegiale, formulandone il relativo ordine del giorno. Si fa notare come il rimedio dinanzi al giudice amministrativo ben si adegui meglio alla natura ontologicamente amministrativa delle funzioni presidenziali. Dalla sua applicazione discende, coerentemente, la possibilità di ripristinare il corretto funzionamento del procedimento collegiale, pur nel silenzio del diritto positivo, attraverso un rimedio a carattere generale, trasversalmente applicabile a qualsivoglia organo collegiale.

Potrebbe, tuttavia, obiettarsi come l’intervento esterno di un organo giurisdizionale sia idoneo a pregiudicare l’autonomia del collegio e dei suoi componenti; a questa obiezione è possibile rispondere, sottolineando come le inadempienze del presidente integrino un fenomeno patologico non tollerabile dall’ordinamento, in quanto lesivo sia della par condicio fra componenti sia della configurazione in senso vincolato della funzione amministrativa. Inoltre l’ammissibilità di un rimedio sostitutivo sarebbe giustificata dalla primaria esigenza di ripristino della funzionalità dell’organo, compromessa dalla negligente ed ostruzionistica inerzia del presidente[48].

3.2. Formulazione dell’ordine del giorno

All’atto di convocazione si ricollega direttamente la formulazione dell’ordine del giorno[49]. In vista del corretto e spedito svolgimento dell’adunanza, nell’atto di convocazione devono essere indicate le materie oggetto di discussione e la loro sequenza di esame, in modo da consentire a tutti i membri una consapevole partecipazione ai lavori del consesso[50].

Quanto a legittimazione, la potestà di redazione dell’ordine del giorno “spetta o alla legge -come quando essa convoca con oggetto prefissato gli organi collegiali di un ente -oppure spetta al soggetto che opera la convocazione, normalmente il presidente[51]. Nella maggior parte dei casi, dunque, l’ordine del giorno viene predisposto dal presidente ed inserito nell’atto di convocazione[52].

La funzione presidenziale di formulazione dell’ordine del giorno, in alcuni casi espressamente previsti, risulta poi condivisa con il collegio[53] ed i suoi componenti[54], cui può essere assegnato il potere di richiedere con efficacia vincolante[55] l’inserimento di taluni argomenti; conseguentemente il presidente vi sarà tenuto, previo vaglio formale di ammissibilità della richiesta[56]; ove non vi provvedesse potranno essere azionati rimedi surrogatori ricavabili, nel silenzio del diritto positivo, dal sistema della collegialità.

Dalle considerazioni espresse emerge come la predeterminazione dell’ordine del giorno sia, funzione (esclusiva o concorrente) del presidente, ascrivibile alla di lui posizione di primazia o di primus inter pares. Tale funzione assume, certamente, una maggiore incisività rispetto alla mera convocazione delle sedute per l’ampia discrezionalità che, di regola, ne connota la formulazione. Del resto, l’individuazione degli argomenti dell’adunanza tende a delimitare l’oggetto della discussione, orientando l’attività collegiale su talune questioni e non su altre. La discrezionalità di tale funzione si manifesta, poi, nell’accoglimento delle istanze di inserimento di argomenti provenienti da altri componenti[57], salvo i casi in cui il presidente vi sia obbligato dalla richiesta vincolante di un prescritto numero di membri.

Nonostante ciò, l’esercizio della funzione di predisposizione dell’ordine del giorno si inquadra perfettamente nella iuris figura della primazia e, segnatamente, nella posizione di preminenza formale del presidente sugli altri componenti. Tale considerazione riceve conferma, in primo luogo, dalla natura formale, procedurale e strumentale della funzione rispetto al corretto svolgimento dell’iter collegiale; in secondo luogo dalla possibilità, frequentemente, riconosciuta, di un intervento a maggioranza del collegio in caso di dissenso del presidente alla inserzione di argomenti da parte di alcuni componenti. Pertanto nell’attività di coordinamento dei lavori il presidente, lungi dal comprimere l’autonomia decisionale dei singoli, tende, viceversa, a favorirla attraverso l’esercizio di poteri che sollecitano la partecipazione e la discussione. D’altronde, qualsivoglia scelta arbitraria del presidente verrebbe disinnescata dal potere, sovente attribuito al collegio e ai suoi membri, di inserire nel corso della seduta, con l’assenso unanime di tutti i componenti in carica, nuovi argomenti[58] o di mutarne l’ordine di trattazione con l’approvazione della maggioranza dei presenti.

3.3. Direzione dei lavori

Lo svolgimento delle adunanze degli organi collegiali viene normalmente diretto dal presidente, quale coordinatore degli atti del procedimento[59]. Anche nel silenzio del diritto positivo sono attribuiti a tale figura poteri di impulso, direzione e vigilanza dei lavori, trattandosi di poteri consustanziali all’ufficio di presidente ed alla relativa posizione di primus inter pares[60]. La figura organizzatoria della primazia colloca, del resto, il presidente in una posizione di preminenza formale nell’ambito di una relazione di pariordinazione con gli altri componenti del consesso[61].

Come è noto, l’iter collegiale si articola in una serie di fasi ed attività (costituzione dell’adunanza, discussione, deliberazione etc..) che postulano imprescindibilmente la presenza di un coordinatore -di qui l’obbligatorietà di un ufficio presidenziale- che, attraverso l’esercizio di determinati poteri sappia far progredire i lavori sino all’esito deliberativo. Inoltre “l’ampiezza dei poteri di direzione e coordinamento (…) varia, naturalmente, col variare della natura dell’organo[62], pur mantenendo nei vari ordinamenti tratti comuni.

L’attività direttiva del presidente inizia, normalmente, con la verifica della regolare costituzione dell’adunanza. In proposito “occorre la presenza di un determinato numero di membri. Questo può essere o un numero minimo perché il collegio possa ritenersi costituito, oppure un numero fisso, come avviene nei collegi giudicanti[63]; ciò dipende dalla natura virtuale o reale dell’organo. Il presidente risulta, inoltre, investito della potestà di “dare o togliere la parola, dirigere e moderare la discussione, porre le questioni, stabilire l’ordine delle votazioni,[64], verificare e proclamare i risultati, chiudere ed aggiornare le sedute.

Con riferimento al potere di dare e togliere la parola[65], è d’obbligo puntualizzare come esso si ricolleghi ai compiti presidenziali di verifica circa il rispetto dei tempi, l’attinenza all’argomento e l’appropriatezza del linguaggio di ciascun oratore. In special modo l’esercizio di un potere di interdizione è, di regola, preceduto da richiami e avvertimenti[66]; cautele procedurali volte a scongiurare il pericolo che un suo disinvolto utilizzo possa incidere sulle prerogative degli altri componenti. Del resto, come sostenuto da autorevole dottrina, “il presidente non può ordinare di tenere la discussione in un certo modo o di manifestare il voto in un certo senso[67].

Particolarmente significativi sono, in special modo, taluni incisivi poteri assegnati al presidente nella fase della discussione[68], al precipuo fine di assicurare il funzionamento del consesso. Si pensi ai dirimenti poteri di interpretazione della normativa vigente[69] e di risoluzione di conflitti riconosciuti ai Presidenti delle Assemblee legislative dai rispettivi Regolamenti. È evidente in questi casi come la primazia possa eccezionalmente assumere i tratti di una preminenza anche sostanziale, idonea ad incidere sulla formazione della volontà collegiale; tuttavia tali occasionali episodi di preminenza sostanziale non risultano in grado di compromettere le caratteristiche generali della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

3.4. Polizia delle sedute

La funzione di polizia delle sedute è riconosciuta a ciascun presidente di organo collegiale in vista dell’ordinato e regolare svolgimento delle adunanze[70]. Questa funzione rientra, coerentemente, nel contenuto tipico della iuris figura della primazia, quale elemento indefettibile dell’ufficio presidenziale e, più in generale, della collegialità.

Con tale locuzione si suole indicare una particolare funzione amministrativa, a carattere discrezionale, esplicantesi nell’adozione di atti idonei ad assicurare il corretto andamento dei lavori; di tali atti non esiste, comunque, un catalogo tassativo; tra i più ricorrenti si richiamano l’espulsione dei facinorosi, la sospensione e lo scioglimento dell’adunanza, che possono essere disposti dal presidente anche con l’ausilio della forza pubblica.

La funzione di polizia delle sedute ha come destinatari sia i terzi che assistono alle riunioni sia i componenti del consesso[71]. In proposito il Regolamento della Camera dei Deputati (Parte Prima, Capi XI e XII, artt. 59, 60, 61, 62 e 64)[72] offre una dettagliata disciplina che rappresenta un modello generale applicabile, in via analogica, anche agli organi collegiali che nulla statuiscano in proposito.

Con riferimento ai terzi, occorre rilevare come tale Regolamento prescriva per il pubblico che partecipa alle adunanze dalle tribune l’obbligo di rimanere in silenzio, a capo scoperto e di astenersi da qualsivoglia segno di approvazione o disapprovazione[73], a pena di espulsione.

In relazione ai componenti, la funzione di polizia viene esercitata dal presidente con l’allontanamento dei facinorosi per il resto della sedutae, ove con atti individuali risulti impossibile ristabilire l’ordine e la sicurezza nel consesso, con la sospensione o lo scioglimento dell’adunanza[74].

Da quanto detto emerge l’indefettibilità di tale funzione presidenziale ai fini della conservazione o del ripristino dell’ordine delle adunanze; d’altronde “nel tumulto è materialmente impossibile deliberare[75].

L’ambito di esercizio di tale funzione è comunque circoscritto per evitare che essa si tramuti in una potestà arbitraria, ultronea rispetto alla posizione di mera preminenza formale del presidente. In tale prospettiva si giustificano la natura formale, procedurale e strumentale della funzione rispetto alle esigenze di funzionamento del consesso; ciò al fine di ridurre il più possibile abusi o patologie nello svolgimento di una funzione dagli effetti potenzialmente repressivi. Il presidente “non potrebbe ad esempio, usare dei suoi poteri di polizia delle adunanze fino ad alterare (…) la fattispecie soggettiva del collegio[76].

Da ultimo, si è deciso di non analizzare la funzione disciplinare[77], poiché essa non rientra nel contenuto tipico della iuris figura della primazia. In primo luogo perché non riveste carattere generale, essendo contemplata nei collegi politico-assembleari, ma non viceversa nei collegi amministrativi o giurisdizionali per la tendenziale carenza di conflittualità tra interessi eterogenei[78]. In secondo luogo perché, anche ove prevista, essa postula una partecipazione meramente incidentale del presidente al suo esercizio; del resto, i provvedimenti disciplinari sono adottati direttamente dal plenum del consesso o da un organo minore (ufficio di presidenza) su proposta del presidente.

4. Gli organi collegiali di autogoverno delle magistrature. Cenni introduttivi

Con l’espressione organo collegiale di autogoverno si suole indicare l’organo di garanzia che persegue istituzionalmente la finalità di assicurare l’autonomia di un ordine giudiziario e l’indipendenza dei magistrati ad esso appartenenti.

L’ordinamento italiano contempla una pluralità di organi di autogoverno in ragione della pluralità delle magistrature esistenti (ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria, militare)[79]; tali organi si identificano, rispettivamente, nel Consiglio superiore della magistratura, nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nel Consiglio di presidenza della Corte dei conti, nel Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e, da ultimo, nel Consiglio della magistratura militare. Si è ritenuto opportuno circoscrivere l’analisi ai primi tre organi collegiali, soffermandosi su alcuni elementi e vicende afferenti l’ufficio presidenziale che possono incidere sulla iuris figura della primazia.

Come sostenuto da autorevole dottrina, “il principio dell’autogoverno giudiziario rappresenta un connotato esistenziale ed un meccanismo pressoché insostituibile per la tutela dell’indipendenza dei giudici, per una precisa scelta dei costituenti[80]; un principio generale, dunque, che si è tradotto nel corso dei decenni nella predisposizione di un complesso ed articolato sistema di garanzie, funzionalmente simile ma strutturalmente eterogeneo per ciascun plesso giurisdizionale.

Oltre alle peculiarità che caratterizzano i diversi organi di garanzia[81], occorre esaminarne i principali elementi comuni. Innanzitutto è d’obbligo evidenziare il ruolo irrinunciabile del presidente che ricopre una posizione di primazia formale per ragioni di funzionalità del procedimento. In special modo si evince da un’analisi empirica come anche negli organi collegiali di autogoverno la figura della primazia si articoli nelle tipiche funzioni amministrative di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute; funzioni, a carattere discrezionale, che riflettono, da un lato, la posizione di mera preminenza formale del presidente e, dall’altro, la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

La discrezionalità di tali funzioni conferisce al presidente margini di apprezzamento e valutazione nello svolgimento dei propri compiti nei limiti tracciati dalla normativa vigente; del resto, sono frequentemente previsti vincoli o controlli allo svolgimento della discrezionalità; si pensi alla facoltà, spesso riconosciuta ad uno o più componenti, di proporre reclamo avverso gli atti presidenziali, investendo della decisione l’intero collegio[82].

In particolare, gli ordinamenti degli organi di autogoverno della magistratura convergono sulla comune finalità di ridurre, e alle volte azzerare, la discrezionalità del presidente nell’esercizio delle funzioni di primus inter pares. In special modo, nei casi di omesso o cattivo esercizio, sono rinvenibili rimedi, anche diversi, per superare situazioni di impasse o conflitto potenzialmente pregiudizievoli per l’iter collegiale. Per il C.S.M., ad esempio, nell’ipotesi di omissione di atti presidenziali vincolati, si prevede la facoltà di ricorso al plenum del collegio per provocarne un intervento sostitutivo; in questo modo si tutela, da una parte, la funzionalità del consesso e, dall’altra, l’autonomia della più complessa istituzione da ingerenze di altri poteri. Viceversa, con riferimento ai Consigli di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti, il silenzio delle rispettive normative impone di individuare nel sistema della collegialità uno o più rimedi giuridici, anche presso organi giurisdizionali esterni, in grado di sterilizzare abusi od ostruzionismi del presidente.

Proseguendo nella ricerca dei tratti comuni agli organi di autogoverno, è importante sottolineare il rilievo assunto dalla contestuale posizione di organo monocratico del presidente che va ad aggiungersi alla posizione di primazia in seno al plenum[83]. Tale fenomeno interessa, in primo luogo, i presidenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti, i quali ricoprono contemporaneamente, la posizione, rispettivamente, di Presidente del Consiglio di Stato e di Presidente della Corte dei conti. La diversa ed esterna posizione di organo monocratico è idonea ad accentuare l’intensità di esercizio delle funzioni di primus inter pares, determinando episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti, ben oltre i confini di preminenza formale tipici della primazia.

Ciononostante, gli eccezionali episodi di preminenza sostanziale non sono in grado di alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. Le considerazioni svolte sono, altresì, applicabili, al Consiglio superiore della magistratura, con alcune puntualizzazioni determinate dalla delega di funzioni al vicepresidente e dalla “doppia presidenza” che ne consegue.

4.1. Il Consiglio superiore della magistratura. Le posizioni del Presidente della Repubblica e del vicepresidente del C.S.M..

Il Consiglio superiore della magistratura (C.S.M.)[84] è l’organo di autogoverno della magistratura ordinaria, civile e penale[85], previsto e regolato nei suoi aspetti fondamentali dall’art. 104 della Costituzione. Tale collegio si inquadra nel più ampio genus dei collegi imperfetti o virtuali. Controversa è, inoltre, la sua natura giuridica per alcuni amministrativa per altri giurisdizionale[86].

In seno al Consiglio superiore della magistratura una posizione di rilievo è esercitata dal Capo dello Stato cui è affidata ratione officii la presidenza dell’istituzione (artt. 87 penul. co. e 104 co. II Cost.)[87]. Le attribuzioni presidenziali sono, poi, disciplinate dalla l. 24 marzo 1958, n. 195 e dal d.p.r. 16 settembre 1958, n. 916 e s.m.i..

All’interno del plenum del C.S.M. è previsto l’ufficio di presidente con compiti di direzione formale delle attività del consesso. A tale ufficio è preposta la persona del Presidente della Repubblica o del vicepresidente eletto in seno al collegio, che riveste una posizione di primazia formale rispetto agli altri componenti.

Nelle attività di promozione e coordinamento dei lavori, il preposto all’ufficio presidenziale svolge un ruolo di primus inter pares[88] che si esplica nell’esercizio delle funzioni amministrative di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute; funzioni, di natura discrezionale, che riflettono molti dei caratteri delle presidenze degli organi collegiali[89]. In particolare, occorre segnalare come la discrezionalità, che normalmente le connota, possa essere azzerata da una loro configurazione in senso vincolato. Significativa a riguardo è l’ipotesi di inottemperanza del vicepresidente alla richiesta di inserzione di argomenti all’ordine del giorno da parte dei consiglieri; in questa fattispecie l’art. 46 del regolamento consente di investire della questione l’intero collegio.

Inoltre, il preposto all’ufficio presidenziale, oltre a ricoprire il ruolo di coordinatore dei lavori del plenum, riveste, contestualmente, la posizione di organo monocratico dell’intera istituzione C.S.M., esercitandone le relative funzioni (di rappresentanza esterna, di direzione degli uffici, di organizzazione amministrativa ecc..)[90].

La posizione di organo monocratico risulta, poi, particolarmente rafforzata ove sia ricoperta, non già dal vicepresidente ma direttamente dal Presidente della Repubblica. Ne discende, in ragione della peculiare collocazione del Capo dello Stato nel sistema costituzionale nonché dei compiti ad esso assegnati, un’ulteriore accentuazione in senso sostanziale della posizione di primazia presidenziale nell’ambito del plenum del C.S.M.. In altri termini risulterà potenziata, ben oltre l’id quod plerumque accidit, l’intensità di esercizio delle funzioni di primus inter pares e, conseguentemente, l’influenza sul procedimento collegiale e sulla attività degli altri componenti. Diversamente nei casi di delega delle funzioni in favore del vicepresidente, sarà costui a svolgere i compiti riconducibili alla posizione di organo monocratico (limitatamente all’istituzione C.S.M.), sicché l’influenza sulla posizione di primazia sarà certamente di intensità più moderata, alla stregua di quanto accade negli altri organi collegiali di autogoverno.

In ogni caso i minoritari episodi di preminenza sostanziale, riconducibili alla contestuale posizione di organo monocratico, sono assorbiti nei maggioritari episodi di preminenza formale, scaturenti dall’esercizio delle funzioni di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori e polizia delle sedute, che connotano in senso dominante il nucleo della primazia.

4.1.1. La delega di funzioni al vicepresidente con particolare riguardo all’atto di convocazione

In virtù delle plurime attribuzioni costituzionalmente assegnategli, il Capo dello Stato è sovente impossibilitato a svolgere i compiti di Presidente del C.S.M.; pertanto, a tutela della piena funzionalità dell’istituzione, ed in special modo del plenum, sia la Carta costituzionale[91] sia fonti primarie e secondarie attribuiscono al vicepresidente un rilievo maggiore rispetto a quanto normalmente previsto negli organi collegiali pubblici[92]. Infatti, ai sensi dell’ultima parte della disposizione di cui all’art. 19 l. 195/1958, il vicepresidente, oltre a sostituire il presidente in caso di assenza o impedimento (c.d. ruolo vicario), esercita le attribuzioni indicate dalla legge e svolge le funzioni che gli vengono espressamente delegate[93].

Un riconoscimento che trova conferma nell’art. 4 del regolamento da cui si evince come ogni funzione sia delegabile al vicepresidente[94], salvo talune eccezioni[95]. Dall’esame del dato normativo si evince, dunque, l’ammissibilità di una delega generale delle attribuzioni presidenziali (sia di primus inter pares sia di organo monocratico) in favore del vicepresidente; molte di queste connotano in senso tipico la posizione di primazia, identificandosi nelle funzioni di convocazione delle adunanze, direzione dei lavori, polizia delle sedute; diversamente la formulazione dell’ordine del giorno non può essere oggetto di delega in quanto direttamente assegnata dall’ordinamento al vicepresidente.

Nel corso degli anni si è assistito ad una “doppia presidenza” del C.S.M. articolata in una etero-presidenza del Capo dello Stato e in una presidenza effettiva del vicepresidente[96]; quest’ultimo ha rappresentato, e rappresenta tuttora, stabile figura di impulso e coordinamento dei lavori del plenum.

Con riferimento alla funzione di convocazione delle adunanze va detto come la prima convocazione, quale atto teleologicamente orientato all’insediamento del collegio, sia prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica, costituendo uno dei pochi atti non delegabili[97]. Le successive convocazioni possono, viceversa, essere delegate al vicepresidente, previa costituzione dell’ufficio di presidenza. È, infine, riconosciuto ad un prescritto numero di componenti il potere straordinario di richiedere, con efficacia vincolante, al vicepresidente la convocazione dell’adunanza nonché l’inserzione di determinati argomenti all’ordine del giorno. In proposito, si evidenziano i significativi poteri assegnati al collegio dall’art. 50 del regolamento: “Al termine di ogni seduta, indipendentemente dal procedimento normale di convocazione da parte del Presidente del Consiglio, o, in sua vece, dal Vicepresidente, il Consiglio può deliberare, a maggioranza, la data della sua successiva convocazione e l’ordine del giorno di tale seduta”. Dal quadro descritto emerge, pertanto, come al concreto esercizio della funzione di convocazione del plenum partecipino, a vario titolo, più figure soggettive in posizioni differenti.

Con riferimento, poi, alla funzione direttiva delle adunanze, si fa notare come essa risulti ampiamente delegabile dal Capo dello Stato in favore del vicepresidente[98]; per ulteriori aspetti trovano applicazione le considerazioni di ordine generale sulle presidenze degli organi collegiali pubblici; il vicepresidente è, conseguentemente, investito di poteri di coordinamento dei lavori, esercitando una posizione di primazia formale sugli altri componenti.

Di particolare interesse è, inoltre, la disposizione di cui all’art. 44 co. I che in sede di votazione attribuisce, a parità di suffragi, prevalenza al voto di chi assuma la presidenza; voto che, conseguentemente, risulterà determinante ai fini della approvazione della delibera (c.d. votum decisivum). Trattasi di un potere che, pur esprimendo un quid di sovraordinazione sugli altri componenti, è riconducibile al modello ed alla disciplina della primazia attraverso la teoria generale dell’assorbimento o della prevalenza.

In relazione, da ultimo, al potere di polizia delle sedute, si ritiene che siffatta funzione non debba essere puntualmente individuata nell’atto di delega, risultando, da un lato, implicita nel conferimento della potestà di direzione delle adunanze, dall’altro, immanente al fenomeno stesso della collegialità[99]; ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di una sua espressa menzione.

È d’obbligo, a questo punto, domandarsi se l’esercizio o il mancato esercizio della potestà di delega abbia delle ricadute sulla figura organizzatoria della primazia. La delega di funzioni, prima facie, non sembra incidere né sulla struttura né sui contenuti della primazia, poiché le relative attribuzioni, in quanto inerenti l’ufficio presidenziale, sono insensibili ad avvicendamenti personali quanto a titolarità od esercizio.

Ciononostante, da un più attento esame, emerge come la posizione di primazia assuma una differente intensità di svolgimento, idonea a generare episodi di preminenza solo formale o anche sostanziale, a seconda che le relative funzioni siano esercitate direttamente dal Capo dello Stato oppure delegate al vicepresidente; ciò in ragione tanto della diversa autorevolezza delle due figure quanto della eterogenea influenza esercitabile dal Presidente delle Repubblica e dal vicepresidente in qualità di organi monocratici: Maggiore nel primo caso[100], minore nel secondo.

In entrambe le fattispecie tendono, quindi, ad aversi ricadute sul ruolo di primus inter pares in seno al collegio, attraverso il verificarsi di episodi, più o meno intensi, di preminenza sostanziale del Capo dello Stato o del vicepresidente sugli altri componenti del plenum; una preminenza sostanziale che, sia pur idonea ad incidere sul procedimento di formazione della volontà collegiale, non è in grado di alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale di chi assuma la presidenza e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

4.1.2.. La formulazione dell’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio: Profili teorici e risvolti applicativi

La funzione di redazione dell’ordine del giorno ha suscitato accese dispute con riferimento alla delimitazione delle sfere di competenze tra le diverse figure soggettive che concorrono al suo esercizio[101].

In proposito l’art. 45 del regolamento prescrive che “l’ordine del giorno di ciascuna seduta è predisposto dal Vicepresidente, e, previo assenso del Presidente, è comunicato a tutti componenti e al Ministro almeno cinque giorni prima, assieme alla convocazione del Consiglio”.

Tale disposizione ha un ambito applicativo generale, ad eccezione del primo ordine del giorno che viene formulato ed inserito nell’atto di prima convocazione dal solo Presidente della Repubblica. Trattasi, peraltro, di un ordine del giorno dai contenuti per lo più determinati ex lege, in cui sia la titolarità sia l’esercizio del potere sono appannaggio esclusivo del Capo dello Stato[102].

Più in generale, alla predisposizione dell’ordine del giorno, quale funzione condivisa, sono chiamati a partecipare, con poteri differenti, Presidente della Repubblica, vicepresidente e Consiglio.

Un prima peculiarità concerne il riconoscimento in favore del vicepresidente del potere di individuazione degli argomenti da porre all’ordine del giorno[103]. In questo modo l’ordinamento del C.S.M. intende rafforzarne il ruolo di stabile ed effettivo coordinatore dell’iter collegiale; ne consegue l’inammissibilità di qualsivoglia atto di delega da parte del Capo dello Stato per carenza di titolarità del potere. All’esercizio di tale funzione partecipa, come detto, a vario titolo anche la maggioranza del collegio.

È necessario, a questo punto, domandarsi se la condivisione di questa funzione tra diverse figure soggettive ed, in particolare, il previo assenso presidenziale[104] abbiano ricadute sulla iuris figura della primazia.

Al quesito va fornita risposta negativa. In primo luogo occorre evidenziare come la posizione di preminenza formale del vicepresidente, preposto alla direzione delle attività dell’organo, e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti, non risultino compromessi da un esercizio condiviso della funzione e, segnatamente, dal previo assenso presidenziale oppure dalla facoltà di inserzione e/o inversione di argomenti da parte del collegio[105]. Inoltre, la potestà di intervento, riconosciuta dall’art. 46 alla maggioranza nei casi di rifiuto del vicepresidente[106], conferma i tratti fondamentali della primazia, attraverso la previsione per talune fattispecie di un rimedio surrogatorio interno[107].

4.2. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Eterogeneità delle posizioni del presidente e relative funzioni

Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa è l’organo di garanzia e di autogoverno dell’intero corpo dei magistrati amministrativi[108]; tale organo collegiale, diversamente dal Consiglio superiore della magistratura, è istituito non già dalla Costituzione, pur trovando in essa il proprio fondamento, ma da una legge degli anni ’80 del XX sec.[109]. L’organo di autogoverno della magistratura amministrativa presenta una composizione eterogenea, ad esso partecipando magistrati dei TAR, del Consiglio di Stato e, da ultimo, membri laici eletti dal Parlamento in seduta comune.

Il Consiglio di presidenza appartiene alla famiglia dei collegi imperfetti o virtuali[110], da cui si differenzia, tuttavia, per la eccezionale previsione di componenti supplenti a tutela della rappresentanza delle sue diverse anime[111].

Alla stregua di ogni organo collegiale, il Consiglio di presidenza è retto da un presidente preposto alla direzione delle plurime attività del consesso; tale figura si identifica, ratione officii, nel presidente del Consiglio di Stato che, oltre a ricoprire il ruolo di organo monocratico, riveste, altresì, una posizione (interna) di primazia formale quale coordinatore dei lavori[112]. Con funzioni vicarie è, poi, istituita la figura del vicepresidente, chiamato a svolgere le funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento[113].

Nell’alveo dell’istituzione (complessa) del Consiglio di Stato presso cui è incardinato il Consiglio di presidenza, il Presidente svolge una pluralità di funzioni, interne ed esterne, al plenum dell’organo di autogoverno.

Per quanto concerne le funzioni esterne, il presidente agisce in qualità di organo monocratico, collocandosi in una posizione di sovraordinazione da cui discendono relazioni di direzione e coordinamento verticale con il collegio ed i suoi componenti. La diversa ed esterna posizione di organo monocratico può avere, tuttavia, ripercussioni sulla posizione di primus inter pares in seno all’organo di autogoverno, in termini di accentuazione dei profili di preminenza sostanziale, peraltro insiti in modo minoritario nel contenuto della primazia. Si pensi ai penetranti poteri organizzatori esercitati dal Presidente del Consiglio di Stato e direttamente incidenti sui carichi di lavoro dei componenti, magistrati e non, del Consiglio di presidenza; gli episodi di preminenza sostanziale, che ne possono eventualmente derivare, non sono, tuttavia, in grado di alterare i caratteri generali della iuris figura della primazia ed in particolare la posizione di preminenza formale del presidente nonché la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

Venendo all’esame delle funzioni assolte dal presidente, quale primus inter pares dei lavori del Consiglio[114], va precisato come la posizione di primazia da lui ricoperta si disveli nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute.

Con precipuo riferimento al potere di convocazione, l’art. 5 co. I del regolamento assegna, in via ordinaria, al Presidente del Consiglio di Stato la funzione di convocare e presiedere le adunanze nonché di esercitare ogni altra funzione connessa a tali attribuzioni. Tuttavia, l’art. 10 co. V, attribuisce ad almeno quattro componenti il potere di richiedere, con efficacia vincolante, la convocazione della seduta, da cui discende l’obbligo del presidente di provvedere in senso conforme entro venti giorni.

Premessa la natura vincolata dell’atto presidenziale di convocazione, quid iuris in caso di sua omissione? Applicando una soluzione teoricamente ammissibile anche in altri organi collegiali, potrebbe individuarsi un rimedio nell’azione avverso il silenzio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. dinanzi al TAR del Lazio.

In relazione, poi, alla formulazione dell’ordine del giorno, l’art. 12 conferisce al presidente il potere di indicare gli argomenti di ciascuna seduta e di modificarne la sequenza di trattazione, fatti salvi i poteri del collegio[115]. Del resto, “all’inizio di ogni seduta, in caso di particolare urgenza, su proposta del Presidente o di ciascuno dei componenti, il Consiglio, ove siano presenti tutti i suoi componenti aventi diritto al voto, può deliberare di aggiungere all’ordine del giorno altri argomenti. Tuttavia, se un componente ne fa richiesta, l’argomento è rinviato ad altra seduta“. Il regolamento prevede, altresì, che l’ordine del giorno debba essere comunicato almeno sette giorni prima della riunione a tutti i componenti.

Per quanto concerne il potere di direzione dei lavori, le principali disposizioni a riguardo sono contenute negli artt. 15[116] e 16[117] del regolamento; per quanto non espressamente previsto trova applicazione, in via analogica, la disciplina all’uopo dettata per il C.S.M..

Infine, con riferimento al potere presidenziale di polizia delle sedute, la normativa sul Consiglio di presidenza tace al riguardo. Nonostante il silenzio del diritto positivo, un fondamento giuridico alla potestà di polizia delle riunioni può rinvenirsi in un principio inespresso, ricavabile da una interpretazione sistematico-deduttiva delle vigenti norme in tema collegialità; il principio secondo cui, stante l’obbligatorietà dell’ufficio presidenziale, la posizione di primazia, ad esso riconducibile, si manifesterebbe in ciascun collegio in una pluralità di funzioni astrattamente predeterminate; e tra esse rientra, a pieno titolo, la potestà di polizia delle sedute che si manifesta nell’esercizio di poteri di mantenimento e ripristino del regolare svolgimento dei lavori. Con riferimento ai contenuti che siffatta prerogativa può concretamente assumere, si applicherà analogicamente la disciplina all’uopo prevista in altri organi collegiali pubblici; puntuali ed esaustive disposizioni sui poteri presidenziali di polizia delle sedute si rintracciano nel Regolamento della Camera dei Deputati (Parte Prima, Capo XI e Capo XII, artt. 59, 60, 61, 62 e 64).

4.2.1. La prevalenza del voto del presidente a parità di suffragi nelle deliberazioni del plenum

Ai sensi dell’art. 12 l. 27 aprile 1982, n. 186 e s.m.i., le deliberazioni del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa “sono prese a maggioranza e a voto palese”; inoltre “in caso di parità, prevale il voto del presidente“.

L’ultima parte della disposizione, che attribuisce un ruolo dirimente al voto presidenziale in caso di parità dei suffragi[118], assume particolare interesse, in quanto consente di verificare la compatibilità di un tale potere di sovraordinazione con i caratteri generali della primazia e, segnatamente, con la posizione di preminenza formale del presidente e con la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

Del resto, tale eccezionale prerogativa, potrebbe astrattamente incrinare il modello equiordinato delle relazioni infra-collegiali[119], con il riconoscimento in capo al presidente di una posizione giuridica di sovraordinazione sugli altri membri del consesso[120].

Questa tesi è superabile attraverso alcune argomentazioni di ordine generale. Innanzitutto, la prevalenza del voto presidenziale, riallacciandosi alla finalità di assicurare il proficuo svolgimento delle adunanze, intende scongiurare ritardi o paralisi procedimentali, ostativi al soddisfacimento della finalità deliberativa. D’altronde, ove non fosse previsto un congegno giuridico di prevalenza, la parità dei suffragi renderebbe necessaria una nuova votazione, non considerandosi la proposta né approvata né respinta; la parità dei voti ha di per sé valore neutro[121]. Inoltre, il maggior valore attribuito al suffragio del presidente, lungi dal costituire prerogativa costante di ogni presidenza, rappresenta una prerogativa eccezionale, contemplata solo in alcuni organi collegiali, in presenza di un’espressa disposizione abilitante[122].

Ad ogni modo l’argomentazione più convincente per ricondurre la prevalenza del voto del presidente del Consiglio di presidenza al contenuto ed ai caratteri tipici della primazia può rinvenirsi nella teoria generale dell’assorbimento o della prevalenza[123]. Sulla scorta di tale teoria, la figura organizzatoria della primazia ricomprende nel proprio nucleo interno occasionali poteri di sovraordinazione, con relativi episodi di preminenza sostanziale, i quali, per la loro marginalità, appaiono recessivi, risultando assorbiti da (e nei) prevalenti poteri di equiordinazione del presidente.

Da ciò si evince come il fenomeno dell’assorbimento o della prevalenza sia idoneo a sterilizzare ed annullare i marginali poteri di sovraordinazione, tra cui la prevalenza del voto a parità di suffragi, occasionalmente esercitati dal presidente in veste di primus inter pares. In definitiva la prevalenza del voto, pur potendo esprimere episodi di preminenza sostanziale, non è in grado di alterare i caratteri generali della primazia tra cui la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

4.3. Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti. I caratteri della posizione di primazia del presidente

Il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti[124] è l’organo di autogoverno della magistratura contabile, istituito e disciplinato dall’art. 10 l. 13 aprile 1988, n. 117 e s.m.i.[125] e dal regolamento interno del 24-25 gennaio 2012; appartiene alla famiglia dei collegi imperfetti o virtuali[126].

Alla stregua di qualsivoglia organo collegiale, anche il Consiglio di Presidenza individua al proprio interno un ufficio deputato al coordinamento orizzontale delle plurime attività del consesso; preposto a tale ufficio è il presidente, figura obbligatoria e non rinunciabile, in quanto istituita per assicurare in ogni momento la piena funzionalità dei lavori[127].

Il Consiglio di presidenza è diretto ratione officii dal presidente della Corte dei conti; in questo ruolo di primus inter pares, egli riveste una posizione di primazia formale nell’ambito di una relazione di pariordinazione con tutti i componenti del collegio[128]. Tale posizione di preminenza meramente formale si manifesta, generalmente, nelle funzioni di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. Si tratta di funzioni amministrative dalla natura ampiamente discrezionale, salvo diversa previsione del diritto positivo.

Con precipuo riferimento al potere di convocazione, ai sensi dell’art. 2 co. I del regolamento “la prima riunione del Consiglio è convocata dal Presidente della Corte entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto del Presidente della Repubblica che lo ha costituito”; inoltre in base all’art. 13 co. I “il Presidente predispone il programma semestrale delle adunanze consiliari e ne dà comunicazione al Consiglio[129].

La disposizione ribadisce, così, il principio che individua nel presidente la figura investita, in via ordinaria, della funzione di convocazione delle riunioni; nell’ambito del Consiglio di presidenza tale funzione sembra, altresì, rafforzata dal riconoscimento di un potere di programmazione semestrale delle sedute.

Nonostante la centralità del ruolo presidenziale, l’art. 13 co. III assegna ad una Commissione o ad almeno tre componenti del plenum il potere di richiedere, in via straordinaria, la convocazione della adunanza, con indicazione degli argomenti da porre all’ordine del giorno. Si è al cospetto di un’ipotesi di autoconvocazione che, per principio generale, necessita pur sempre di un formale atto del presidente, a cui l’ordinamento conferisce un margine di apprezzamento sulla richiesta; infatti ove reputi di accoglierla, ne darà al Consiglio motivata comunicazione, che sarà iscritta al primo punto dell’ordine del giorno della successiva seduta ordinaria.

Per quanto concerne, poi, la predisposizione dell’ordine del giorno, in base all’art. 15 co. I, esso viene definito analiticamente dal Presidente anche su segnalazione di argomenti da parte dei Presidenti delle Commissioni. Inoltre, secondo l’art. 13 co. IV, il presidente (o chi ne fa le veci) “convoca il Consiglio, inviando l’ordine del giorno a tutti i componenti almeno quattro giorni prima della seduta“. La disposizione rimarca il generale collegamento tra l’atto di convocazione e gli argomenti oggetto di trattazione nel primo indicati.

Le funzioni presidenziali di convocazione delle adunanze e di formulazione dell’ordine del giorno, sia pur discrezionali, incontrano taluni limiti; può accadere, del resto, che in casi eccezionali venga conferito ad un prescritto numero di componenti il potere di richiedere la convocazione straordinaria dell’adunanza con l’indicazione dei relativi argomenti.

Inoltre, l’ordinamento della Corte dei conti riconosce al Consiglio e ad i suoi membri significativi poteri in proposito quali la facoltà di inserzione di ulteriori argomenti e di rinvio della discussione ad altra seduta[130]. Si veda in tal senso l’art. 15 co. III: “All’inizio di ciascuna seduta, in caso di particolare urgenza, anche su proposta di uno dei componenti, il Presidente può aggiungere all’ordine del giorno altri argomenti. Tuttavia, se tre componenti ne fanno richiesta, l’argomento è rinviato alla successiva seduta“; inoltre sulla base del co. IV “una Commissione ovvero tre membri del Consiglio di presidenza hanno la facoltà di chiedere che un determinato argomento sia posto all’ordine del giorno della successiva adunanza, indicando uno o più relatori. Se il Presidente non ritiene di accogliere la richiesta, ne dà comunicazione, motivandola, al Consiglio di presidenza nella stessa adunanza“. Quest’ultima parte della disposizione assume particolare rilievo in quanto assegna al presidente la facoltà di paralizzare la discussione su un dato argomento, impedendone l’inserimento all’ordine del giorno.

La formulazione dell’ordine del giorno presenta, dunque, i tratti di una funzione concorrente, ripartita tra presidente, collegio e componenti; ciò avvalora la tesi circa la natura formale della posizione di primazia del presidente; una posizione giuridica che si estrinseca nell’esercizio di poteri strumentali al corretto funzionamento del collegio.

Quanto alla potestà direttiva dei lavori, l’art. 16 del regolamento dispone al co. I che “nel corso della seduta ogni argomento all’ordine del giorno è distintamente esaminato secondo l’ordine d’iscrizione”; inoltre ai sensi del comma successivo “il Presidente può, anche su proposta di uno o più componenti, modificare la successione degli argomenti da esaminare e riunire la discussione di punti connessi. Se vi è opposizione, il Consiglio delibera sull’ordine dei lavori“. Tale inciso evidenzia il ruolo di mero primus inter pares del presidente, affidando ad una deliberazione del collegio la risoluzione di particolari conflitti che possano insorgere tra presidente e componenti. Il co. III dell’art. 16 stabilisce, inoltre, che “il Presidente dirige la discussione, curando che gli interventi siano svolti in modo sintetico, eventualmente limitando il tempo consentito per l’esposizione e il numero degli interventi di ciascun componente, salvo quelli dei relatori per le Commissioni“. Si tratta dei generali poteri direttivi assegnati a ciascun presidente di organo collegiale, in vista del regolare ed ordinato svolgimento delle adunanze.

Per quanto concerne, in special modo, la fase delle votazioni[131], prescrive in tal senso l’art. 17 co. II: “Le deliberazioni del Consiglio sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo i casi nei quali la legge o il presente Regolamento stabiliscano una maggioranza speciale”; di particolare importanza il co. III, il quale prevede che “salvi i casi in cui è stabilita una maggioranza speciale, nell’ipotesi di parità, prevale il voto del Presidente“. Questa disposizione, che attribuisce prevalenza al voto del presidente a parità di suffragi, tende ad essere ricorrente, come visto, negli organi collegiali di autogoverno delle magistrature; si rinvia alle considerazioni precedentemente espresse in relazione al C.S.M. ed al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.

La peculiarità del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, in proposito, si rinviene nella voluntas legis di circoscrivere ulteriormente questo eccezionale potere presidenziale alle ipotesi di votazione a maggioranza dei presenti, con esclusione quindi delle votazioni che richiedano maggioranze speciali o qualificate.

Quanto al potere di polizia delle sedute, tale potere va riconosciuto al presidente sia sulla base dell’art. 19 del regolamento[132], sia alla luce di un principio inespresso, ricavabile da un’interpretazione sistematico-deduttiva delle vigenti norme sulla collegialità; il principio secondo cui, stante l’obbligatorietà dell’ufficio presidenziale, la posizione di primazia, di esso espressiva, si rivelerebbe in ciascun collegio in alcune funzioni tipicamente predeterminate; tra queste rientra, a pieno titolo, la potestà di mantenimento e ripristino dell’ordinato svolgimento dei lavori, quale potestà strumentale al corretto funzionamento del consesso[133].

Descritte le funzioni tipiche della iuris figura della primazia occorre, ora, domandarsi se in casi eccezionali la posizione di primazia del presidente possa assumere i caratteri di una preminenza sostanziale sugli altri componenti, idonea ad incidere sulla formazione della volontà collegiale.

Con riferimento al Consiglio di presidenza della Corte dei conti vi sono elementi che fanno propendere per una soluzione affermativa. In primo luogo va osservato come il ruolo di primus inter pares in seno al plenum risulti rafforzato dalla contemporanea posizione di organo monocratico assunta dal presidente quale vertice organizzativo della Corte dei conti, istituzione più ampia presso cui è incardinato l’organo di autogoverno. Il rafforzamento della posizione di primazia in seno al Consiglio si esplica in un potenziamento delle funzioni presidenziali di primus inter pares, con possibili ricadute sul procedimento collegiale.

In secondo luogo è d’obbligo rilevare l’idoneità di taluni poteri di sovraordinazione ad arricchire con elementi di preminenza sostanziale la posizione di primazia formale del presidente. Si pensi ai poteri di urgenza contemplati dall’art. 14 del regolamento in base ai quali “il presidente può adottare le deliberazioni di competenza del consiglio in caso di obiettiva urgenza e nell’impossibilità di una immediata convocazione del consiglio stesso. Tali deliberazioni sono trasmesse al consiglio nella sua prima adunanza, con motivata relazione, al fine della loro ratifica”[134].

Inoltre, episodi di preminenza sostanziale del presidente nel corso dei lavori collegiali sono determinati da peculiari elementi o vicende afferenti l’ufficio di presidente e il rispettivo titolare, tra cui l’assenza di un meccanismo di revoca da parte dei componenti nonché il patologico esercizio delle funzioni presidenziali.

In definitiva, va sottolineato come eventuali ed occasionali episodi di preminenza sostanziale non risultino in grado di alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, l’ordinaria posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. Del resto la figura organizzatoria della primazia ammette nel proprio nucleo interno poteri di sovraordinazione ed episodi di preminenza sostanziale, che vengono assorbiti nelle dominanti funzioni di equiordinazione e nei relativi episodi di preminenza formale, in base alla teoria della prevalenza o dell’assorbimento[135].

4.3.1. Omessa convocazione ed inserzione di argomenti all’ordine del giorno a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti: rimedi esperibili

Di particolare interesse risulta essere la fattispecie, espressamente prevista dagli artt. 13 e 15 del regolamento, in cui il presidente del Consiglio di presidenza, nonostante la richiesta vincolante di quota parte del collegio[136], ometta di convocare l’adunanza e/o di inserire determinati argomenti all’ordine del giorno[137]. In questo caso l’esercizio delle funzioni amministrative di convocazione e formulazione dell’ordine del giorno assume caratteri vincolati, in tutto o in parte, a seconda che l’istanza riguardi, rispettivamente, la convocazione oppure la semplice inserzione di nuovi argomenti. In questa seconda fattispecie, a differenza della prima, il presidente godrebbe, infatti, di un certo margine di apprezzamento, potendo rigettare espressamente la richiesta con indicazione delle ragioni del dissenso.

A fronte del silenzio presidenziale sull’istanza dei richiedenti si configura un’omissione giuridicamente rilevante, quale effetto della violazione di un obbligo di provvedere. In ordine alla mancata inserzione di argomenti all’ordine del giorno è generalmente ammissibile un intervento del collegio in sostituzione del presidente, ove la seduta risulti regolarmente convocata. Diversamente nelle ipotesi di omessa convocazione dell’adunanza, i componenti del Consiglio hanno la sola facoltà di richiedere, con efficacia vincolante, la convocazione della seduta al presidente che sarà obbligato a provvedervi. In caso di sua omissione, nel silenzio del diritto positivo, occorre individuare un rimedio in grado sia di ripristinare la corretta funzionalità dell’organo sia di tutelare le legittime pretese dei richiedenti.

In ragione della natura amministrativa della funzione di convocazione omessa, idoneo rimedio potrebbe ravvisarsi nell’azione avverso il silenzio inadempimento ex artt. 31 e 117 c.p.a. dinanzi al TAR del Lazio. In questo modo, dunque, il giudice amministrativo, su ricorso di almeno tre interessati, convoca, direttamente o tramite commissario ad acta, l’adunanza fissandone il relativo ordine del giorno, come da richiesta del prescritto quorum di componenti. Si assisterebbe, così, all’intervento di un organo giurisdizionale esterno con poteri surrogatori.

L’ammissibilità di un siffatto rimedio nel caso di specie trova giustificazione nel principio di ordine generale che prevede l’obbligatorietà dell’ufficio presidenziale e della posizione di primazia ad esso correlata. Se necessariamente occorre la presenza di un coordinatore che assicuri il corretto funzionamento del collegio è, a fortiori, indispensabile identificare un adeguato rimedio in caso di inadempimento da parte del presidente ai propri compiti istituzionali; ciò a riprova della posizione di preminenza formale del presidente nonché della reciproca pariordinazione di tutti i componenti. Ad ogni modo la tutela della sfera di autonomia del Consiglio di presidenza della Corte dei conti da ingerenze esterne pare recessiva dinanzi al prioritario interesse alla funzionalità del plenum, considerando altresì la natura di organo di mera rilevanza costituzionale della Corte dei conti.

5. Conclusioni

La primazia, elaborata inizialmente con riferimento agli organi collegiali amministrativi, rappresenta una figura organizzatoria dal contenuto tipizzato nei suoi aspetti generali, potenzialmente applicabile ad ogni organo collegiale, ivi inclusi gli organi di autogoverno delle magistrature.

La primazia è una iuris figura di equiordinazione dai caratteri originali in quanto, pur a fronte della pariteticità di tutti i membri, si riconosce a chi assuma la presidenza una posizione di primus inter pares con funzioni di impulso e coordinamento dei lavori.

In ciascun ordinamento, del resto, esigenze di buon andamento del procedimento collegiale postulano l’attribuzione al presidente di una pluralità di funzioni amministrative (discrezionali) che si identificano, generalmente, nella convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute; funzioni, caratterizzate dalla natura meramente formale-procedurale nonché dalla strumentalità rispetto al regolare svolgimento delle attività dell’organo.

Nell’esercizio di tali funzioni, il presidente viene, così, a ricoprire una posizione di primazia o di primus inter pares che gli riconosce una preminenza meramente formale nell’alveo di una reciproca pariordinazione con gli altri componenti[138]. Collegialità, ufficio presidenziale e primazia sono elementi inscindibilmente connessi, immanenti gli uni agli altri ed irrinunciabili nell’ottica del soddisfacimento della finalità deliberativa.

Ciononostante, come è emerso dall’analisi degli organi di autogoverno, la posizione di primazia, nel concreto svolgimento delle funzioni presidenziali, può occasionalmente tradursi in episodi di preminenza sostanziale del presidente, idonei a condizionare la formazione della volontà collegiale. Tali episodi si riallacciano a particolari elementi e vicende afferenti l’ufficio di presidente ed il rispettivo titolare; si pensi, ad esempio, alla contestuale posizione di organo monocratico, all’esercizio di taluni poteri di sovraordinazione, al patologico esercizio delle funzioni di primus inter pares. Siffatti elementi e vicende sono in grado, individualmente o congiuntamente, di accentuare l’intensità di esercizio di una o più funzioni presidenziali, ben oltre i confini di una preminenza strettamente formale, con possibili e variabili ricadute sul procedimento deliberativo di ciascun collegio.

Ciononostante, il modello generale della primazia non risulta compromesso, prevalentemente, in ragione dell’applicazione della teoria dell’assorbimento o della prevalenza[139]; secondo questa teoria la primazia ricomprende nel proprio nucleo interno occasionali episodi di preminenza sostanziale i quali, per la loro marginalità, appaiono recessivi, risultando assorbiti da (e nei) prevalenti episodi di preminenza formale riconducibili all’esercizio delle funzioni di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. Un fenomeno di commistione, dunque, inidoneo ad alterare i tratti fondamentali della iuris figura della primazia, segnatamente rintracciabili nella posizione di preminenza formale del presidente e nella reciproca pariordinazione di tutti i componenti.



[1] La locuzione presidente discende dal latino “praesedens”, colui che siede avanti; ad essa si ispira, altresì, l’ordinamento tedesco con l’espressione “Vorsitzender” da “vor-sitzen”, trovarsi avanti.

[2] Si rinvia in proposito allo studio di PEPE G., La primazia negli organi collegiali pubblici, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014.

[3] In passato le nozioni di primazia e di primus inter pares hanno assunto significati differenti tanto nell’ambito delle relazioni infra-collegiali quanto nei rapporti interorganici ed interindividuali. La prima come espressione di una posizione, più o meno accentuata, di sovraordinazione; la seconda, viceversa, quale formula indicativa di una posizione di priorità nella pariteticità.  Si pensi, a titolo esemplificativo, all’esperienza canonistica del Primato di Pietro, inteso quale peculiare rapporto di supremazia speciale sugli Apostoli, schema poi transitato nel rapporto tra il Papa ed il collegio dei Vescovi.

[4] GIANNINI M.S., Recensione a L. Galateria, Gli organi collegiali amministrativi, voll. I e II, Milano, 1956-59, in Riv. trim. dir. pubbl. 1961, p. 206. Inoltre GIANNINI M.S., Istituzioni di diritto amministrativo, I ed., Milano, 1981, II ed. agg. a cura di A. Mirabelli Centurione, Milano, 2000, p. 55.

[5] GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, vol. I, III ed., Giuffrè, Milano, 1993.

[6] GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1950, pp. 202-203. Id., Istituzioni di diritto amministrativo, I ed., Milano, 1981, II ed. agg. a cura di A. Mirabelli Centurione, op. cit., p. 67. La locuzione primazia è successivamente utilizzata da GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.. PREDIERI A., Il Consiglio supremo di difesa e i poteri del Presidente della Repubblica, in Studi sulla Costituzione, vol. III, Giuffrè, Milano, 1958, pp. 231-265, p. 234. BACHELET V., voce Comitati Interministeriali, in Enc. dir., vol. VII, Milano, 1960. GARGIULO U., I collegi amministrativi, Napoli, 1962. VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, Milano, 1968, ristampa, Milano, 1980. CORREALE G., Premessa allo studio della deliberazione amministrativa, Cedam, Padova, 1969, p. 49 (nota n. 25). VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981. ZUELLI F., Le collegialità amministrative, Giuffrè, Milano, 1985. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, vol. VI, Roma, 1988. CASSESE S., Le basi del diritto amministrativo, VI ed., Giuffrè, Milano, 2000. FRANCHINI C., L’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo generale, Tomo I, II ed., Giuffrè, Milano, 2003.

[7] GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, op. cit., pp. 202-203.

[8] GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, III ed., op. cit., che rinvia in tema di primazia alle incidentali considerazioni di LAVAGNA C., Contributo alla determinazione dei rapporti giuridici tra Capo del Governo e Ministri, Roma, 1942, pp. 14-15.

[9] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 179.

[10] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit.. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, Roma, 1920. ZUELLI F., Le collegialità amministrative, op. cit..

[11] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., pp. 181-184: “Le norme perciò che disciplinano tali poteri cercano di attribuirli in misura equa e razionale tale da contemperare le due opposte esigenze di rispettare al massimo da un lato la volontà dei componenti e dall’altro di attribuire quei poteri necessari per poter dirigere, moderare e guidare i lavori dell’organo collegiale“. In tema anche VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit..

[12] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 147.

[13] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 152: “Tali attribuzioni, rilevanti per definire la posizione giuridica del presidente in seno al collegio, sono distinte e diverse dalle attribuzioni che egli, come componente, è legittimato a compiere, alla pari degli altri componenti: le une sono proprie del presidente, le altre sono proprie di ciascun componente, ed entrambe, pur restando distinte, possono ben appartenere ad una stessa persona“. Pertanto “il presidente (…) svolge una attività che è diversa per contenuto, per valore, per effetti dall’attività degli altri componenti, e questa diversità pone in rilievo la sua posizione, differenziandola“. In questo modo egli “esercita delle facoltà che condizionano o limitano l’azione dei componenti o dell’assemblea, pur non incidendo sostanzialmente sull’azione stessa né modificandone il contenuto“.

[14] VALENTINI S, Figure, rapporti, modelli organizzatori. Lineamenti di teoria dell’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo, vol. IV, diretto da G. Santaniello, Cedam, Padova, 1996, p. 103: “Una particolare forma di coordinamento tra figure equiordinate deve essere ritenuta altresì la primazia, che consiste nell’attribuire ad una delle figure equiordinate delle potestà di coordinamento degli interessi o, più spesso, solo di conduzione procedimentale, ad evitare che l’equiordinazione si traduca in impossibilità di funzionamento degli uffici od in paralisi dei relativi procedimenti“. ZUELLI F., Le collegialità amministrative, op. cit..

[15] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit.. In giurisprudenza, a titolo esemplificativo, Corte Cost., 16 aprile 1973, n. 51, in www.cortecostituzionale.it.

[16] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 129. Si veda, in proposito, anche lo studio di BACHELET V., Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, Giuffrè, Milano, 1962, secondo il quale all’interno dell’ordinamento militare sarebbero ammissibili rapporti gerarchici non solo tra organi ed uffici, bensì anche tra persone fisiche.

[17] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 133 che richiama talune considerazioni già espresse da GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, op. cit..

[18] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., il quale rinvia in proposito a ROMANO S., Corso di diritto costituzionale, VIII ed., Cedam, Padova, 1943. In tema già ORLANDO V.E., L’ufficio di Presidente nei collegi amministrativi: a proposito di un recente caso di giurisprudenza parlamentare, in Arch. dir. pubbl., n. 3, 1893, pp. 202-210.

[19] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 134. Una tesi già espressa nella prima metà del XX sec. da LAVAGNA C., Contributo alla determinazione dei rapporti giuridici tra Capo del Governo e Ministri, op. cit..

[20] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit..

[21] In argomento GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 193: “Per avere una nozione precisa della posizione che il Presidente occupa nel collegio bisogna distinguere le funzioni esclusive, che egli cioè può esercitare individualmente ed autonomamente, dalle funzioni concorrenti che egli cioè può o deve esercitare con la collaborazione degli altri membri del collegio“.

[22] In proposito VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit.. Più in generale sui limiti della funzione amministrativa PIRAINO S., La funzione amministrativa fra discrezionalità e arbitrio, Giuffrè, Milano, 1990.

[23] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 156, secondo cui il legislatore “talvolta interviene disponendo che l’iniziativa debba essere presa dal solo presidente, che può valutare l’opportunità della riunione, e non dai singoli componenti che non sono ad essa legittimati (ad es. nei collegi di contitolari di competenze)“.

[24] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 184. Le norme di ciascun ordinamento collegiale possono prevedere “eventuali rimedi allo strapotere del Presidente sia attribuendo ai componenti del collegio il potere di appellarsi contro alcune sue decisioni al collegio stesso e sia dividendo l’esercizio di alcuni poteri tra questi ultimi e il Presidente“). Viceversa, a fronte del silenzio della normativa vigente, l’ampia discrezionalità delle funzioni che connotano la primazia non consente, se non in casi particolari, forme di sindacato o controllo sugli atti del presidente.

[25] ORLANDO V.E., voce Consiglio comunale, in Dig. it., Torino, 1895-1898. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit.. LA TORRE M., Il Comune in regime democratico: studi e questioni in materia d’amministrazione locale, Firenze, 1953. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 16: “Ora, se le richieste di convocazione non avessero effetto vincolante, il fine per cui sono state espressamente previste dal legislatore sarebbe pienamente frustrato in quanto l’organo cui esse sono dirette potrebbe a suo arbitrio continuare nel suo comportamento negativo diretto ad evitare o ritardare la convocazione del collegio“. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 157-158: L’efficacia vincolante della richiesta “si desume dalle disposizioni legislative che di volta in volta la prevedono. Queste infatti hanno lo scopo di porre un rimedio alla negligenza del presidente del collegio, al quale la richiesta è rivolta; e tale scopo non potrebbe essere raggiunto se non si riconoscessero gli effetti vincolanti. Perciò il presidente non è libero di accogliere o non accogliere la richiesta, ma deve provvedere in conformità, con la possibilità di impugnativa nel caso di provvedimento difforme“.

[26] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 194: “Le funzioni presidenziali si possono distinguere in vincolate o discrezionali ed in funzioni esercitabili su sua iniziativa o su richiesta“.

[27] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 1. MIELE G., voce Adunanza, in Noviss. Dig. it., vol. I, Utet, Torino, 1957. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 155 e ss.. VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 245. VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit.. ZUELLI F., Le collegialità amministrative, op. cit.. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit..

[28] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 155: Secondo l’Autore il principio della convocazione è un principio consustanziale al fenomeno stesso della collegialità; le regole particolari che disciplinano la convocazione “sono così insite e immanenti nella attività deliberante compiuta da una pluralità di persone (collegio)” e “possono definirsi regole naturali della convocazione. Esistono infatti a prescindere da qualsivoglia riconoscimento legislativo, il quale, se ricorre, è rivolto soltanto a delimitarle e a disciplinarle in relazione alle varie categorie dei collegi o in rapporto a un particolare collegio“.

[29] A ben vedere, poi, tra le varie funzioni che connotano in senso tipico la figura organizzatoria della primazia la convocazione sembra essere tra le meno incisive, sia perché antecedente alla riunione del collegio sia perché spesso riconosciuta, in via concorrente, anche a soggetti diversi dal presidente (il legislatore, altre autorità, un prescritto numero di componenti).

[30] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 245.

[31] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 156: Il legislatore “talvolta interviene disponendo che l’iniziativa vada esercitata previo accordo e non isolatamente, intendendo così limitare la valutazione dell’opportunità della riunione, nel senso di non affidarla a un solo componente ma ad un gruppo di componenti, d’accordo tra di loro (così ad es. nei Consigli comunale e provinciale, i consiglieri possono richiedere la convocazione se raggiungono il numero di un terzo); talvolta interviene disponendo che l’iniziativa debba essere presa dal solo presidente, che può valutare l’opportunità della riunione, e non dai singoli componenti che non sono ad essa legittimati“.

[32] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 156: “In determinati collegi, e per soddisfare particolari esigenze, la convocazione può essere sollecitata anche da soggetti estranei. Quando ciò ricorre, lo si desume dal diritto positivo o dai principi speciali di un determinato ordinamento: talvolta lo stesso legislatore stabilisce la data della riunione se si tratta di collegi che svolgono attività di particolare interesse per la vita, politica o amministrativa, della collettività (…); talvolta l’ente o l’organo che hanno provveduto alla costituzione del collegio, nominando i relativi membri, possono prendere l’iniziativa fino a quando il presidente viene designato (…); talvolta l’organo che esercita il controllo sul collegio si sostituisce al presidente nel convocare l’assemblea alla quale sottopone affari di particolare importanza”.

[33] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 6.

[34] A riguardo VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 246: “Meno chiara è la vicenda della autoconvocazione, che è l’unica ipotesi possibile -oltre quella normale della convocazione presidenziale- di intraconvocazione. L’autoconvocazione, si dice, avviene a richiesta di un certo numero di membri; l’atto del gruppo di componenti del collegio può però configurarsi sia come richiesta in senso proprio, seguita da un atto vincolato del presidente (nel qual caso in carenza di tale atto non dovrebbe ritenersi possibile la regolare costituzione del collegio), sia come atto di convocazione autosufficiente a tale effetto (nel qual caso esso è mal definito richiesta), eventualmente seguito da un atto di accertamento o di comunicazione del presidente“. Contra VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 117: “Taluno parla in tal caso di un’autoconvocazione del collegio, ma sembra un’espressione inesatta, perché occorre insomma sempre la convocazione formale ad opera della presidenza e soltanto questa può essere a ciò costretta dalla domanda di un certo numero di membri. Certo è che con questo sistema si dà il mezzo ai membri del collegio, quando raggiungono un certo numero, di porre in moto colla loro istanza l’attività del collegio, onde il collegio non è, per così dire, un corpo inerte che attenda ogni iniziativa dall’infuori di esso, ma ha un interno congegno che ne permette la convocazione allorché il bisogno ne sia sentito dai suoi componenti“. Del medesimo avviso MANNINO A., Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, Giuffrè, Milano, 1973, pp. 92-93. GALATERIA L.-STIPO M., Manuale di diritto amministrativo, III ed., Torino, 1998, passim. In giurisprudenza in senso conforme già Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 1955, n. 319, in Cons. Stato 1955.

[35] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 115: Secondo l’Autore “quanto al tempo di convocazione pei collegi pubblici v’è il sistema delle sessioni”.

[36] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 114: “Vi sono legislazioni le quali in taluni casi ammettono una convocazione ipso iure, cioè fissano il tempo, il luogo e l’oggetto della riunione del collegio, indipendentemente dalla necessità di un apposito atto”. In queste ipotesi un eventuale atto di convocazione del presidente avrà valore meramente ricognitivo.

[37] VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.: “Il potere di convocare il collegio spetta di regola al presidente, che è peraltro sovente tenuto ad effettuarla ove lo richieda un certo numero di membri“.

[38] Trattandosi di atto vincolato, il controllo del presidente deve circoscriversi ad una verifica di mera legittimità formale riguardante: La sussistenza del quorum prescritto per la richiesta di convocazione; la competenza del collegio a discutere degli argomenti inseriti all’ordine del giorno. Ogni altra valutazione è preclusa, sicché il presidente potrà legittimamente non convocare nelle sole ipotesi in cui la richiesta provenga da un numero di soggetti inferiore al numero minimo prescritto o vengano inseriti all’ordine del giorno argomenti ultronei rispetto alle attribuzioni del collegio.

[39] La vincolatezza dell’atto presidenziale di convocazione, a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti, trae conferma da locuzioni quali “il presidente deve“, “il presidente è tenuto“, “il presidente convoca“. Sul punto già GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 157-158 secondo cui la natura vincolata della richiesta discende dallo scopo “di porre un rimedio alla negligenza del presidente del collegio, al quale la richiesta è rivolta; e tale scopo non potrebbe essere raggiunto se non si riconoscessero gli effetti vincolanti. Perciò il presidente non è libero di accogliere o non accogliere la richiesta, ma deve provvedere in conformità, con la possibilità di impugnativa nel caso di provvedimento difforme”. Più in generale sulla richiesta con efficacia vincolante SANDULLI A.M., Il procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1940, passim.

[40] Sull’omesso o cattivo esercizio delle funzioni amministrative GASPARRI P., Corso di diritto amministrativo, vol. I, Zuffi, Bologna, 1956, passim.

[41] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 246: “Meno chiara è la vicenda della autoconvocazione, che è l’unica ipotesi possibile -oltre quella normale della convocazione presidenziale- di intraconvocazione. L’autoconvocazione, si dice, avviene a richiesta di un certo numero di membri; l’atto del gruppo di componenti del collegio può però configurarsi sia come richiesta in senso proprio, seguita da un atto vincolato del presidente (nel qual caso in carenza di tale atto non dovrebbe ritenersi possibile la regolare costituzione del collegio), sia come atto di convocazione autosufficiente a tale effetto (nel qual caso esso è mal definito richiesta), eventualmente seguito da un atto di accertamento o di comunicazione del presidente“. MAZZIOTTI DI CELSO M., voce Parlamento (principi generali e funzioni), in Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981, p. 777. Contra VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 117, il quale ritiene sempre necessaria l’intermediazione del presidente attraverso un suo formale atto di convocazione. GALATERIA L.-STIPO M., Manuale di diritto amministrativo, III ed., op. cit.. In giurisprudenza, ex plurimis, Corte Conti, 20 dicembre 1995, n. 31, in Riv. Corte Conti, fasc. 6, 1995, p. 17.

[42] Nelle ipotesi di convocazione ex lege (o di diritto) è l’ordinamento giuridico a stabilire direttamente ed in via preventiva la data di convocazione, al precipuo fine di porre un rimedio a inerzie ed omissioni del presidente, idonee a paralizzare l’attività deliberativa del consesso. Tali ipotesi sono contemplate da espresse disposizioni statutarie o regolamentari in alcuni Consigli regionali.

[43] Una convocazione autosufficiente da parte del prescritto numero di componenti sarebbe ammissibile ove il singolo ordinamento collegiale utilizzasse, per esempio, le locuzioni “convoca“, “convocano”,può convocare“, “possono convocare“, “possono provvedere direttamente alla convocazione“; noto è il brocardo latino “ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit“. Attualmente l’unico caso di autoconvocazione in senso stretto, ammissibile in quanto disposta direttamente dalla legge, si rinviene nell’art. 66 disp. attuaz. c.c.. La norma prevede che in via straordinaria l’Assemblea del condominio possa essere convocata dall’amministratore “su richiesta di almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio“. Inoltre “decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione“.

[44] Si veda, a titolo esemplificativo, Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 1955, n. 319, in Cons. Stato 1955, cit., che muovendo dall’esegesi dell’art. 235 l. 4 febbraio 1915, n. 148 in materia di enti locali ha considerato inefficace l’autoconvocazione del Consiglio provinciale non seguita da un esplicito atto del presidente.

[45] Con riferimento alla previsione di un obbligo di convocazione penalmente sanzionato, in dottrina, GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.. PRINCIVALLE S., Gli organi elettivi del Comune e della Provincia, Noccioli, Firenze, 1980. In giurisprudenza si veda, a titolo esemplificativo, Pretura di Bassano del Grappa, 27 febbraio 1981, in G. mer. 1982.

[46] Per alcuni organi collegiali pubblici e privati Un primo rimedio potrebbe rinvenirsi nell’applicazione analogica della disposizione di cui all’art. 2367 co. II c.c., in tema di S.p.a., che prevede, su ricorso degli interessati, la convocazione dell’Assemblea da parte del presidente del Tribunale civile territorialmente competente (recte Tribunale nella formulazione novellata) in caso di rifiuto (e a fortiori omissione) del presidente del collegio. L’art. 2367 co. II c.c. testualmente recita: “Se gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure in loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono, il tribunale, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell’assemblea, designando la persona che deve presiederla”. La disposizione conferisce, dunque, ai componenti che ne facciano richiesta il potere di ricorrere ad un organo giurisdizionale esterno, per ottenere ope iudicis la convocazione dell’adunanza con formulazione del relativo ordine del giorno. Un intervento, dunque, di natura sostitutiva ammesso dall’ordinamento a tutela delle legittime pretese dei richiedenti. In questo modo, a seguito della presentazione del ricorso, il Tribunale potrebbe convocare con decreto la seduta, surrogando il presidente nel compimento dell’atto vincolato; tale rimedio, espressamente previsto per i collegi privati è suscettibile di applicazione analogica in tutti i collegi pubblici che non contemplino in situazioni analoghe alcuno strumento giuridico.

[47] Ai sensi dell’art. 31 c.p.a. “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere. L’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento”. (…) Inoltre “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione“. L’art. 117 c.p.a. prescrive, poi, che il “ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all’articolo 31, comma 2. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata“.

[48] È evidente, tuttavia, come la via del ricorso al Tribunale civile o al TAR non sia percorribile con riferimento a quelle istituzioni collegiali che, per espressa previsione o copertura costituzionale, godano di speciali forme di autonomia. Si pensi alle Camere parlamentari ed alla Corte costituzionale. In tali istituzioni, ad esempio, l’omissione di un atto vincolato da parte del presidente di Assemblea, consente di esperire un rimedio sostitutivo esclusivamente presso un organo interno, nel rispetto delle guarentigie dell’autodichia e degli interna corporiscostituzionalmente tutelate.

[49] In argomento, senza pretese di esaustività, GALEOTTI U., Principii regolatori delle assemblee, op. cit.. SPOTO S., voce Ordine del giorno, in Dig. it., vol. XVII, Torino, 1907-1908, pp. 992-998. MANFREDI F., voce Ordine del giorno, in Enc. giur. it., vol. XII, parte II, Milano, 1915. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit.. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 161-162. FURLANI S., voce Ordine del giorno, in Noviss. Dig. it., vol. XII, Utet, 1965, pp. 112 e ss.. VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 250. VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit.. CIAURRO G.F., voce Ordine del giorno, in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 1980, pp. 1019 e ss.. ZUELLI F., Le collegialità amministrative, op. cit.. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.. LOLLI I., voce Ordine del giorno (Dir. pubbl.), in Enc. giur. Treccani, vol. XXI, Roma, 1990, p. 1. CAVALLO B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, Milano, 2005.

[50] In giurisprudenza, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 1979, n. 427, in Cons. Stato 1979. Adun. Plen. Cons. Stato, 28 ottobre 1980, n. 40, in Foro amm. 1980, I, p. 1636. Cons. Stato, sez. V, 30 marzo 1994, n. 194, in Giur. it. 1995, III, 1, p. 233. Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 1997, n. 1218, in Cons. Stato 1997, I, p. 1121.

[51] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 251. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit.. In giurisprudenza Cons. Stato, sez. IV, 23 ottobre 1968, n. 654, in Foro it. 1968. Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1970, n. 413, in Foro it. 1970.

[52] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 36: “L’ordine del giorno, di norma, è predisposto dal Presidente del collegio (…) per quella potestà direttiva che è connaturata alla sua posizione”. Ciò non toglie che tale potere, insieme a quello di convocazione del collegio, sia affidato dalla legge a figure diverse dal presidente.

[53] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 41. Secondo l’Autore è frequentemente assegnato al collegio il potere di “invertire l’ordine di trattazione degli argomenti iscritti, salvo alcune precedenze ex lege (…) purché ricorrano giustificati motivi e l’inversione venga deliberata dall’assemblea”.

[54] VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.: “Il potere di stabilire il contenuto dell’ordine del giorno spetta al titolare del potere di convocazione, e quindi al presidente; in certi casi la legge fissa direttamente gli oggetti dell’adunanza; a volte anche una parte dei componenti ha la potestà di ottenere l’inserzione di un dato argomento, ma si tratta (secondo Giannini M.S.) di norme speciali“.

[55] CAVALLO B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, op. cit.: “La convocazione delle sedute e la stesura dell’o.d.g. sono prerogative tipiche del presidente: ma non mancano ipotesi normative in cui si prevede che l’inserimento di taluni punti nell’ordine del giorno possa essere obbligatoriamente richiesto da un certo quorum di membri del collegio, che in tal modo potranno notevolmente limitare l’autorità monocratica del presidente“.

[56] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., pp. 37-39: “Le richieste d’inserzione nell’ordine del giorno, tranne che non si tratti di proposte provenienti, per esempio, da organi incompetenti o di materie assolutamente estranee alla competenza dell’organo collegiale (…) devono di consueto essere accolte. (…) Nel dubbio sulla legittimità o non delle proposte, il Presidente, a nostro avviso, deve sempre iscriverle salvo a sottoporre al collegio la legittimità dell’iscrizione stessa“.

[57] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 162: I componenti del collegio “possono formulare determinate proposte che il presidente può discrezionalmente valutare. All’uopo questi -a parte le ragioni di opportunità- deve tener conto se la proposta rientri o no nella sfera di attribuzione del collegio, e deve respingerla nel caso negativo, accoglierla nel caso contrario“.

[58] Ex multis Adun. Plen. Cons. Stato, 28 ottobre 1980, n. 40, cit..

[59] In tema, tra i tanti, VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit.. GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, op. cit.. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 306: “La presidenza deve essere ricoperta dalla persona di volta in volta designata. Se viene ricoperta da una persona diversa, l’atto collegiale è illegittimo. Talvolta si è sostenuto che la buona fede della persona, che erroneamente abbia assunto la presidenza, sia sufficiente a sanare l’illegittimità. La tesi non può essere condivisa: la particolare importanza che la figura del presidente assume in seno al collegio per l’affidamento in lui riposto, è tale che egli non può essere sostituito se non dal componente all’uopo designato e nei casi tassativamente previsti“. VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit.. TREVES G., L’organizzazione amministrativa, op. cit.. VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit.. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.. CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialità amministrativa, Roma, 2000. CAVALLO B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, op. cit..

[60] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 69: “La potestà del presidente di dirigere la discussione e di temperarne gli eccessi non deriva dal regolamento, ma dalla stessa necessità dell’ordinamento collegiale, dovendo l’esercizio delle facoltà di ciascuno dei membri venire necessariamente subordinato ad un potere direttivo se si vuol raggiungere lo scopo a cui esse sono dirette”. In tema anche ZUELLI F., Le collegialità amministrative, op. cit., p. 61: “Certo la titolarità della presidenza comporta il riconoscimento di un certo potere di iniziativa e di indirizzo (…): Forse mai come in questa circostanza acquista un effettivo significato la tradizionale formula del primus inter pares, consuetudinariamente usata con riferimento appunto ai presidenti degli organi collegiali. Non si può infatti trascurare il fatto che nei collegi amministrativi -in assenza di una espressa disciplina, assenza che costituisce la regola- sono pienamente affidate al presidente le prerogative connesse alla predisposizione dell’ordine del giorno, alla disciplina e regolamentazione dei lavori, alla convocazione del collegio“.

[61] Contra PRINCIVALLE S., Gli organi elettivi del Comune e della Provincia, op. cit.. Secondo l’Autore “lo slogan primus inter pares, riferito al presidente del collegio, va inteso come parità relativamente all’espressione delle proprie opinioni e del voto; ma nei riguardi dello svolgimento e dell’ordine delle adunanze non si può negare al presidente un certo potere di supremazia“.

[62] MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, in Giur. cost., n. 12, 1981, pp. 2057 e ss.. Secondo l’Autore “in linea generale può affermarsi che essa è massima negli organi collegiali amministrativi e tende a restringersi in quelli politici nei quali possono essere previste, in misura più o meno estesa, forme di partecipazione dei membri del collegio all’esercizio dei poteri di cui si discute. Si pensi, a questo riguardo, ad alcuni poteri dei Presidenti delle due Camere il cui esercizio, con qualche accentuazione normativa a favore del Presidente del Senato, può essere sollecitato o condizionato dall’assemblea o da alcune sue articolazioni interne“.

[63] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 255.

[64] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, p. 184, op. cit., il quale richiama le considerazioni di VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 188.

[65] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 208: “Chi vuole parlare deve chiederne facoltà al presidente: è questa una intuitiva necessità d’ordine; il presidente dà poi la parola secondo le precedenze della domanda”.

[66] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 210.

[67] GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 152.

[68] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 267: “La funzione della discussione in seno al procedimento collegiale è duplice: da un lato essa permette il processo di confronto delle individue opinioni, al fine di ottenere il massimo di globalità nella considerazione dei singoli problemi; dall’altro essa consente -nei collegi virtuali- l’acquisizione al procedimento amministrativo degli interessi secondari che l’ordinamento abbia ritenuto preventivamente meritevoli di tutela“.

[69] MOHRHOFF F., Politicità e discrezionalità di taluni atti dei Presidenti di Assemblee legislative, Editore Colombo, Roma, 1962, pp. 32 e ss.: “È quindi evidente che, dato il carattere generico e lacunoso delle norme della Costituzione e dei Regolamenti parlamentari occorre riconoscere all’attività interpretativa del Presidente di Assemblea una natura integrativa tendenzialmente discrezionale (interpretazione ad finem) e alle sue deliberazioni un carattere non meramente logico o dichiarativo ma spiccatamente dispositivo“. Infatti, secondo l’Autore “la interpretazione parlamentare attiene a categorie aperte e modificabili, connesse a situazioni contingenti e circostanziate” (p. 57), da cui discende il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo al Presidente di Assemblea, sul cui esercizio incidono, altresì, valutazioni di ordine politico.

[70] Significativi in proposito i contributi di RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento allo Statuto del Regno, vol. III, tomo I, Utet, Torino, 1909, pp. 240-249. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit.. VIRGA P., La potestà di polizia, Giuffrè, Milano, 1954, pp. 27-29. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.. CIAURRO G.F., voce Prerogative costituzionali, in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 1986. TANDA A.P., voce Polizia delle Camere, in Dizionario parlamentare, II ed., Editore Colombo, Roma, 1998, p. 196.

[71] Contra parte della dottrina (GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. e VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit..) che distingue, sotto il profilo dei destinatari, il potere disciplinare quale potere esperibile verso i soli componenti del collegio dal potere di polizia, viceversa, esercitabile esclusivamente nei riguardi del pubblico che assiste alle sedute.

[72] In argomento si rinvia a RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento allo Statuto del Regno, op. cit.. VIRGA P., La potestà di polizia, op. cit., p. 76: “Nell’ordinamento italiano vige, infatti, il principio della inviolabilità parlamentare, il quale, pur non essendo garantito dalla Costituzione, è consacrato da una consuetudine mai violata. In virtù di tale principio, è vietato agli ufficiali ed agli agenti della forza pubblica l’accesso nell’edificio delle Camere allo scopo di compiere atti del proprio ufficio. Il potere di polizia è esercitato nell’edificio della Camera dal rispettivo Presidente, coadiuvato dai questori, il quale ha alle sue dipendenze commessi e guardie di servizio“. CIAURRO G.F., voce Prerogative costituzionali, in Enc. dir., op. cit.. TANDA A.P., voce Polizia delle Camere, in Dizionario parlamentare, II ed., op. cit..

[73] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 195: “Il pubblico ha in sostanza il dovere di non ingerirsi né direttamente, né indirettamente, nei lavori collegiali, e di tenere un comportamento rispettoso e corretto. Vi sono all’uopo tribune o recinti dove il pubblico è racchiuso, ed è sempre vietato entrare nel luogo dove seggono i membri del collegio: inoltre il pubblico deve stare a capo scoperto, in silenzio ed astenersi da ogni segno d’approvazione o di disapprovazione. Il relativo potere di polizia spetta al presidente“.

[74] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 194: “Sciolta per qualsiasi motivo l’adunanza dal presidente, non possono i membri del collegio sotto verun pretesto continuare a funzionare, e le relative deliberazioni sono quindi, più che nulle, assolutamente inesistenti; v’è la semplice parvenza, non la sostanza dell’atto collegiale, se questo non passa nel mondo esterno attraverso l’autorità di chi è investito delle funzioni presidenziali. Né può apparire investito di queste chi, anche se è vice-presidente o sostituto del presidente, sale al seggio nel momento in cui il presidente l’ha abbandonato dichiarando la seduta sciolta“. In giurisprudenza, a titolo esemplificativo, Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 1962, n. 485, in Giur. it., 1962, secondo cui il presidente di un organo collegiale può, come extrema ratio, sciogliere l’adunanza e rinviare la seduta esclusivamente in caso di gravi impedimenti che rendano impossibile la regolare prosecuzione delle attività.

[75] VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit..

[76] VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 118.

[77] In primo luogo perché trattasi di una funzione riconosciuta al presidente solo in alcuni, e non in tutti, i collegi pubblici. (VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.). In secondo luogo poiché, anche nei casi in cui è contemplata, tale prerogativa ha un rilievo non decisivo, esplicandosi in un mero potere di proposta e non già in un potere di irrogazione diretta della sanzione, la quale, è, normalmente, comminata o dal plenum del collegio o da altro organo minore (per esempio nelle Assemblee politiche dall’ufficio di presidenza). In special modo sulle differenze che intercorrono tra la potestà di polizia delle udienze e la potestà disciplinare si rinvia a VIRGA P., La potestà di polizia, op. cit..

[78] GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 187: “Il motivo (…) è forse da ricercarsi nel fatto che il legislatore per i collegi amministrativi ha ritenuto superflua l’attribuzione di poteri disciplinari al presidente sulla considerazione che in tali collegi, per la loro stessa natura, lo svolgimento dei lavori non assume o quanto meno non dovrebbe assumere quella tensione che invece facilmente si riscontra nelle assemblee politiche“. La medesima considerazione può essere estesa ai collegi con funzioni giurisdizionali.

[79] D’ALOIA A., L’autogoverno delle magistrature non ordinarie nel sistema costituzionale della giurisdizione, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1996. CARAVITA B. (a cura di), Gli organi di garanzia delle magistrature. Profili istituzionali del governo autonomo del potere giudiziario, Jovene, Napoli, 2013. POLICE A., Le garanzie istituzionali dell’indipendenza dei giudici amministrativi in un confronto tra diversi modelli di governo, in Scritti in onore di P. Stella Richter, vol. I, Editoriale scientifica, Napoli, 2013, pp. 361 e ss..

[80] D’ALOIA A., L’autogoverno delle magistrature non ordinarie nel sistema costituzionale della giurisdizione, op. cit., pp. 163-164: “Una scelta puntualmente specificata per la magistratura tradizionalmente ordinaria (civile e penale), ma in realtà implicitamente accolta (alla luce del sistema costituzionale complessivo, e in conformità all’art. 101 co. 2) anche per i giudici di cui all’art. 103“.

[81] CARAVITA B. (a cura di), Gli organi di garanzia delle magistrature. Profili istituzionali del governo autonomo del potere giudiziario, op. cit.: “La stessa Corte costituzionale spesso ha accomunato questi diversi soggetti dell’ordinamento nella comune definizione di organi di garanzia delle magistrature, preferendo tale formula a quella di uso più corrente di organi di autogoverno; la Corte ha evidentemente voluto sottolineare l’aspetto teleologico della loro istituzione, che è appunto non già quello di ipotizzare una mera autoreferenzialità del corpo magistratuale, bensì quello di tutelare il principio costituzionale delle garanzie di autonomia ed indipendenza“.

[82] La necessità di una puntuale disposizione di diritto positivo, che eccezionalmente imponga limiti o renda vincolati gli atti presidenziali, si giustifica tenendo conto della natura generalmente discrezionale delle funzioni che connotano in senso tipico la figura organizzatoria della primazia.

[83] Per esempio, il presidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa è, altresì, presidente della più ampia istituzione Consiglio di Stato presso cui l’organo di autogoverno risulta incardinato; conseguentemente la medesima persona fisica rivestirà due differenti posizioni giuridiche, l’una di primus inter pares quale coordinatore delle sedute del collegio, l’altra, di organo monocratico con poteri direttivi ed organizzativi sulla prima incidenti.

[84] In tema, senza pretese di completezza, si rinvia ai contributi di SANTOSUOSSO F., Il Consiglio superiore della magistratura, Milano, 1957. GLINNI P., Il Consiglio superiore della magistratura: funzione e struttura, Roma, 1959. DAGA L., Il Consiglio superiore della magistratura, Jovene, Napoli, 1973. FERRARI G., voce Consiglio superiore della Magistratura, in Enc. giur. Treccani, vol. VIII, Roma, 1988. BESSONE M.-CARBONE V., voce Consiglio Superiore della Magistratura, in Dig. disc. pubbl., Utet, Torino, 1989. FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente, Cedam, Padova, 1995. MAZZAMUTO S., Il Consiglio superiore della magistratura. Aspetti costituzionali e prospettive di riforma, Giappichelli, Torino, 2001. PIANA D.-VAUCHEZ A., Il Consiglio superiore della magistratura, Il Mulino, Bologna, 2012. DI FEDERICO G. (a cura di), Ordinamento giudiziario. Uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, II ed., Cedam, Padova, 2012.

[85] Secondo BARTOLE S., Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Cedam, Padova, 1964, pp. 6-10, il Consiglio superiore della magistratura non sarebbe ascrivibile alla categoria degli organi propriamente rappresentativi.

[86] Per la natura amministrativa del Consiglio superiore della magistratura VOLPE G., voce Ordinamento giudiziario generale, in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 1980, p. 836. Contra BARILE P., Magistratura e Capo dello Stato, in Studi in Memoria di Carlo Esposito, I, Cedam, Padova, 1972, p. 558, il quale riconosce al C.S.M. natura giurisdizionale. In realtà è rintracciabile del vero in entrambe le tesi: Se da, un lato, le principali attività del Consiglio superiore rivestono carattere amministrativo (si pensi ai provvedimenti di trasferimento dei magistrati o di autorizzazione allo svolgimento di incarichi extra-giudiziari), dall’altro, l’organo di autogoverno può essere chiamato, in talune ipotesi, a svolgere funzioni propriamente giurisdizionali (si considerino le attività compiute dalla Sezione disciplinare).

[87] In dottrina, ex multis, ARCIDIACONO L., La presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, in Studi in Memoria di M. Condorelli, vol. II, Giuffrè, Milano, 1988.

[88] SILVESTRI G., Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Giappichelli, Torino, 1997, p. 191. Secondo l’Autore “dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie si deduce una figura del Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura ispirata alla logica dell’orizzontalità e della collegialità, anziché della gerarchia e della verticalità. Il Capo dello Stato, nella sua qualità di Presidente del C.s.m., è un componente del collegio, un primus inter pares. Egli assume l’ufficio di diritto“. FERRARI G., voce Consiglio superiore della Magistratura, in Enc. giur. Treccani, op. cit.. Il presidente del C.S.M. fa parte del collegio “non già quale Presidente della Repubblica, quale potere a sé, ma quale membro dell’organo collegiale, sia pure, ovviamente come primus inter pares (…). Il Presidente fa corpo col collegio, è tutt’uno in esso e con esso“. Contra BARTOLE S., Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, op. cit., pp. 71-73.

[89] FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente, op. cit., p. 281. Secondo l’Autore “rispetto ad ogni singolo componente del collegio e all’insieme di essi, il Presidente del C.S.M. ha in più solo quei poteri che norme espresse e princìpi inespressi conferiscono ai presidenti di organi collegiali“. Di avviso contrario BENVENUTI S., Il Consiglio superiore della magistratura francese: una comparazione con l’esperienza italiana, Giuffrè, Milano, 2011, p. 27, il quale ritiene, viceversa, che il Presidente della Repubblica ricopra all’interno del Consiglio superiore un ruolo che “va al di là delle attribuzioni proprie del presidente di un organo collegiale“. Le considerazioni in tema di primazia risultano, altresì, applicabili al Consiglio supremo di difesa. In argomento PREDIERI A., Il Consiglio supremo di difesa e i poteri del Presidente della Repubblica, in Studi sulla Costituzione, op. cit.:Al Presidente del Consiglio supremo di difesa compete la posizione di primazia peculiare ai presidente di organi collegiali, particolarmente notevole, sia soprattutto per la autorità e il prestigio del Capo dello Stato, sia per i poteri esplicitamente a lui conferiti. Il Presidente, oltre al potere di dirigere e moderare la discussione, ha quello di predisporre l’ordine del giorno e porre le questioni; può convocare il Consiglio supremo di difesa di propria iniziativa“.

[90] Per una rassegna delle plurime funzioni, esterne ed interne, del Capo dello Stato quale presidente del Consiglio superiore della magistratura si rinvia alla Costituzione, alla l. 24 marzo 1958, n. 195 e al regolamento di organizzazione. In dottrina recentemente MORETTI A., Il Presidente della Repubblica come Presidente del Csm, Jovene, Napoli, 2011. CARAVITA B., (a cura di), Gli organi di garanzia delle magistrature. Profili istituzionali del governo autonomo del potere giudiziario, op. cit., pp. 22-34.

[91] L’art. 104 co. V Cost. così recita: “Il Consiglio elegge un vice-presidente fra i componenti designati dal Parlamento“. La disposizione assume rilievo decisivo nella consacrazione del ruolo del vicepresidente, trattandosi dell’unica norma costituzionale che in tema di organi collegiali prevede espressamente siffatta figura.

[92] BARTOLE S., Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, op. cit..

[93] Alla delega di funzioni in favore del vicepresidente si applicano le regole generali in tema di delega amministrativa. Si rinvia in proposito ai contributi di FAZIO G., La delega amministrativa e i rapporti di delegazione, Giuffrè, Milano, 1964. FRANCHINI F., La delegazione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1950. MIELE G., voce Delega (Dir. amm.), in Enc. dir., vol. XI, Milano, 1962, pp. 905 e ss.. Secondo l’Autore la delega consisterebbe in “un’attribuzione ad altri della competenza a provvedere per singoli atti o per una materia, fatta sul fondamento della propria competenza a provvedere per i medesimi atti o per la medesima materia“. VERBARI G.B., Rilievi sulla delega amministrativa del presidente del consiglio superiore della magistratura, in L’amministrazione italiana, 1972, p. 1343. CAMMELLI M., voce Delega amministrativa, in Enc. giur. Treccani, vol. X, Roma, 1988. MARTINI C., voce Delega (Dir. amm.), in Diz. dir. pubbl., diretto da S. Cassese, vol. III, Giuffrè, Milano, 2006, p. 1755.

[94] Storicamente si segnala un episodio di delega generale durante la presidenza Cossiga, quando il Capo dello Stato conferisce al vicepresidente Galloni l’esercizio della quasi totalità delle attribuzioni presidenziali; ne segue un periodo di accesi contrasti tra presidente e vicepresidente sulla ripartizione delle rispettive sfere di competenza. In proposito FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente, op. cit..

[95] Si tratta delle ipotesi di: 1) Indizione delle elezioni dei componenti magistrati; 2) richiesta ai presidenti dei due rami del Parlamento di provvedere all’elezione dei membri laici; 3) convocazione della prima adunanza del Consiglio.

[96] D’ORAZIO G., La doppia presidenza e le sue crisi (il Capo dello Stato e il consiglio superiore della magistratura), in Quad. cost. 1992.

[97] Il fondamento della non delegabilità dell’atto di prima convocazione si rinviene nella circostanza che, non essendosi insediato l’organo collegiale, non risulta ancora individuato un vicepresidente, il quale normalmente sarà eletto nella prima adunanza tra i componenti laici. In argomento TERESI R., La riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, Edizioni scientifiche, Napoli, 1994, p. 83: “È certo innanzitutto che la prima convocazione del consiglio -avuto riguardo al momento dei singoli insediamenti- non solo spetta, ma non può avvenire se non ad opera del Presidente della Repubblica”.

[98] La ratio di una delega così ampia si rinviene nell’esigenza che gli atti più importanti dell’iter collegiale si svolgano sotto la vigilanza e la direzione della persona fisica (il vicepresidente) che concretamente eserciti i compiti dell’ufficio presidenziale.

[99] La presidenza del plenum del C.S.M., alla stregua della presidenza di qualsivoglia organo collegiale, deve essere munita di poteri idonei al mantenimento o al ripristino dell’ordine delle sedute, in ragione della imprescindibile necessità di assicurare il buon andamento dei lavori.

[100] In questo caso assume valore decisivo un’ulteriore posizione di organo monocratico del Presidente della Repubblica esterna all’intera istituzione C.S.M. Si pensi infatti alle innumerevoli funzioni che l’ordinamento assegna al Capo dello Stato, al di là della presidenza dell’organo di autogoverno della magistratura.

[101] PIZZORUSSO A., Poteri del Csm e poteri del Presidente del Csm circa la formazione e la modificazione dell’ordine del giorno delle sedute, in Questione giustizia, 1985, p. 735. PATRONO M., La formazione dell’ordine del giorno del C.S.M. e i poteri del Presidente della Repubblica, in Dir. e soc. 1991. PAGANI I., La posizione del Presidente della Repubblica nel Consiglio Superiore della Magistratura con particolare riferimento alla formazione dell’ordine del giorno dei lavori, in Dir. e soc. 1992.

[102] In questa eccezionale ipotesi l’esercizio del potere di formulazione dell’ordine del giorno non può essere delegato dal Presidente della Repubblica, a causa del mancato insediamento del Consiglio; insediamento che si compie successivamente con l’elezione dell’ufficio di presidenza. (Sul punto FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente, op. cit.).

[103] CASTORINA E., Note ricostruttive sul vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, in Dir. e soc. 1988, p. 567.

[104] La dottrina è divisa circa l’esatta natura del previo assenso presidenziale. Secondo PIZZORUSSO A., Poteri del Csm e poteri del Presidente del Csm circa la formazione e la modificazione dell’ordine del giorno delle sedute, op. cit., p. 735, il Presidente della Repubblica, nel ruolo di coordinatore orizzontale dei lavori del plenum, sarebbe titolare di un potere di veto su un ordine del giorno solo temporaneo che “si risolve in una proposta che normalmente viene tacitamente approvata dall’assemblea, ma che può essere respinta o modificata da quest’ultima“.

[105] Secondo parte della dottrina ciascun organo collegiale pubblico sarebbe padrone del proprio ordine del giorno. (SILVESTRI G., Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, op. cit., il quale richiama, a sua volta, le considerazioni di GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.). Con precipuo riferimento al plenum del C.S.M. la disposizione di cui all’art. 50 del regolamento prevede che “al termine di ogni seduta, indipendentemente dal procedimento normale di convocazione da parte del Presidente del Consiglio, o, in sua vece, dal Vicepresidente, il Consiglio può deliberare, a maggioranza, la data della sua successiva convocazione e l’ordine del giorno di tale seduta”.

[106] L’art. 46 del regolamento ai co.i I e II testualmente recita: “Ciascuno dei componenti del Consiglio può chiedere al Vicepresidente che un determinato argomento sia posto all’ordine del giorno. Se il Vicepresidente, sentito il Comitato di Presidenza, non ritenga di accogliere la richiesta, ne informa nella successiva riunione il Consiglio, che delibera in proposito e, se accolga la richiesta, fissa la data della discussione.

[107] Il potere di reclamo al collegio in caso di rifiuto del vicepresidente potrebbe applicarsi in via analogica alla ipotesi di omissione alla richiesta di inserimento di argomenti all’ordine del giorno avanzata dal prescritto numero di componenti. Si sarebbe al cospetto, pertanto, di rimedi interni al sistema, in grado di superare rifiuti e ostruzionismi del presidente; viceversa la configurazione di un rimedio sostitutivo presso un giudice esterno va ritenuta inammissibile, in quanto idonea a ledere l’autonomia del C.S.M. nel quadro dei pubblici poteri. Non sarebbe, nemmeno, esperibile un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Consulta in quanto, ai sensi della l. 11 marzo 1953, n. 87, tale rimedio è ipotizzabile ove sussista un contrasto tra organi appartenenti a poteri diversi dello Stato; organi altresì abilitati a dichiarare in via definitiva la volontà del potere di appartenenza. Nel caso di specie si avrebbe, diversamente, un conflitto infra-collegiale tra l’ufficio di presidente e gli uffici di componente in seno al plenum dell’istituzione.

[108] In tema D’ALOIA A., L’autogoverno della magistratura amministrativa di fronte alla Corte costituzionale: questioni irrisolte e ipotesi di riforma, Napoli, 1999. PINARDI R., La nuova composizione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 205 del 2000, in Dir. pubbl. 2001, fasc. 1, pp. 327 e ss.. POLICE A., Le garanzie istituzionali dell’indipendenza dei giudici amministrativi in un confronto tra diversi modelli di governo, in Scritti in onore di P. Stella Richter, vol. I, op. cit.. IARICCI G.P., Istituzioni di diritto pubblico, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2014, pp. 984-986.

[109] Trattasi della l. 27 aprile 1982, n. 186 in tema di ordinamento della giurisdizione amministrativa. Si segnalano, in quanto di particolare rilievo, le modifiche introdotte alla legge de qua dalla successiva l. 21 luglio 2000, n. 205.

[110] In forza dell’art. 16 della l. 27 aprile 1982, n. 186 e s.m.i. “per la validità delle votazioni è necessaria la presenza di almeno nove componenti“. Ciò costituisce prova evidente della natura imperfetta o virtuale del collegio.

[111] Nonostante il Consiglio di presidenza sia un collegio imperfetto o virtuale, l’art. 7 del regolamento prevede espressamente la figura dei membri supplenti. Il fondamento della disposizione si rinviene nell’idea di assicurare in ogni momento la partecipazione alle sedute di almeno un tot numero di componenti per ogni gruppo rappresentato, in quanto la diversa estrazione dei membri garantisce una più equilibrata ponderazione nelle delibere.

[112] Sul ruolo del presidente del collegio, quale primus inter pares, nell’attività di coordinamento dei lavori SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., con appendice di aggiornamento, Jovene, Napoli, 1989.

[113] Ciò risulta espressamente prescritto dall’art. 7 della l. 27 aprile 1982, n. 186 e dall’art. 6 del regolamento 6 febbraio 2004, n. 58 e s.m.i.. In dottrina PINARDI R., La nuova composizione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 205 del 2000, op. cit.. Con riferimento all’art. 7 co. VII della l. 27 aprile 1982, n. 186 e s.m.i. l’Autore ritiene che la disposizione ricalchi quanto previsto “per il Csm dall’art. 104 co. 5 Cost. anche se qui occorre rilevare come la figura del Vicepresidente risulti meno significativa ed il suo ruolo essenzialmente vicario, se è vero che lo stesso è chiamato a sostituire il presidente in caso di assenza o impedimento, ma non a presiedere normalmente l’organo o a dirigerne l’attività“. Tale disposizione trova conferma nell’art. 6 del regolamento, il quale prevede che, in caso di assenza o impedimento del presidente, sia il vicepresidente ad esercitarne tutte le funzioni, aggiungendo, altresì, che, nell’ipotesi di assenza di quest’ultimo, la presidenza spetti al componente eletto dal Parlamento più anziano di età.

[114] SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., op. cit.: “Dalle relazioni di gerarchia, di direzione e di coordinazione, va tenuta distinta la posizione di presidenza, la quale ricorre, per lo più negli organi collegiali, allorché a uno degli esponenti di un organo complesso viene attribuita in proprio una funzione di predisposizione, propulsione, coordinazione, guida e disciplina dei lavori comuni. Tale funzione viene esercitata al servizio dell’attività collegiale, ma anche con atti posti in essere prima e dopo delle riunioni del collegio (fissazione dell’ordine del giorno, convocazione, nomina del relatore, firma dei verbali ecc..)“.

[115] L’art. 13 del regolamento prescrive in tal senso che “nel corso della seduta, ogni punto all’ordine del giorno è esaminato secondo l’ordine di iscrizione, e non si passa al successivo se sul precedente non si sia deliberato. Il Presidente della seduta, di propria iniziativa o anche su richiesta di un componente può decidere di modificare l’ordine di trattazione in relazione a punti connessi. Se vi sia opposizione o se il Presidente ritenga di non accogliere la proposta il Consiglio delibera a maggioranza sull’ordine dei lavori“.

[116] In base all’art. 15 “il relatore designato dalla Commissione o dal Presidente introduce e conclude la discussione generale. Introduce, altresì, la discussione dei singoli punti del testo della proposta da votare, ove siano necessari o richiesti esame e votazione per parti separate. Il relatore che per qualsiasi motivo venga a trovarsi nella impossibilità di riferire è tempestivamente sostituito con altro relatore dal Presidente della Commissione o dal Presidente del Consiglio di Presidenza per gli affari iscritti all’ordine del giorno della stessa seduta. Ogni componente può intervenire secondo l’ordine di iscrizione una sola volta e per non più di cinque minuti. Lo stesso componente può nuovamente intervenire una sola volta per non più di cinque minuti dopo l’intervento degli altri componenti iscritti a parlare. Il Presidente può eccezionalmente derogare ai limiti di tempo degli interventi. Prima della chiusura della discussione generale ogni componente può presentare emendamenti al testo oggetto della discussione stessa chiarendone sinteticamente i motivi. Su ogni emendamento ogni componente può intervenire per non più di cinque minuti. Qualora siano stati presentati più emendamenti ad uno stesso testo, essi sono posti ai voti cominciando da quelli che più si allontanano dal testo originario: prima quelli interamente soppressivi, poi quelli parzialmente soppressivi, quindi quelli modificativi, e infine quelli aggiuntivi“.

[117] Secondo l’art. 16 “per la validità delle votazioni è necessaria la presenza di almeno nove componenti. Alle votazioni si procede di norma per alzata di mano. Se lo richiedono almeno due componenti, si procede per appello nominale. La votazione avviene per ordine alfabetico, previo sorteggio della lettera con cui iniziare. Il Consiglio delibera a scrutinio segreto sui provvedimenti riguardanti persone e lo stato giuridico dei magistrati; delibera, altresì, a scrutinio segreto su richiesta di almeno quattro membri. È approvata la proposta che abbia accolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti o le schede bianche, salve le ipotesi di maggioranza qualificata. Nel caso in cui la proposta della Commissione, come eventualmente emendata, non sia approvata dal Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, vengono poste in votazione nell’ordine, la proposta alternativa formulata in Commissione, se esistente, ovvero quella di cui all’art. 15, comma 6. In caso di mancata approvazione della proposta della Commissione o della mancata approvazione di quelle alternative, l’argomento posto all’ordine del giorno viene rinviato in Commissione“.

[118] Per un’analisi delle ipotesi di prevalenza del voto presidenziale, a parità di suffragi, VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit.. VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, op. cit., p. 296. TREVES G., L’organizzazione amministrativa, IV ed., Torino, 1975., p. 50: “Questo maggior potere non può esercitarsi se non è appositamente conferito, perché è contrario al principio di uguaglianza fra i membri di un collegio“. In generale sulle diverse soluzioni adottabili, in caso di parità di voti, si rinvia ai tradizionali contributi di CAMMEO F., La parità dei voti nelle deliberazioni comunali, Torino, 1901. BORSI U., La parità di voti nelle deliberazioni degli organi collegiali degli enti locali, in Rass. legis. comm. 1936. FORTI U., La parità di voto nelle deliberazioni amministrative, in Studi di dir. pubbl. 1937. DE GENNARO G., La parità di voti nelle deliberazioni amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl. 1951. LA TORRE M., Parità di voti e voto del presidente del collegio, in Amm. it. 1952. STRANGES A., Deliberazioni dei consigli comunali: effetti della parità di voti, ripetizione della votazione, in Il servizio ispettivo, n. 5, 1954. DAGTOGLOU P., Kollegialorgane und Kollegialakte der Verwaltung, Stuttgart, 1960. In giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 27 febbraio 1963, n. 102, in Foro amm. 1963. Cons. reg. sic., sez. VI, 18 maggio 1972, n. 344, in Cons. Stato 1974.

[119] Tutti i voti concorrono in egual misura alla formazione della volontà collegiale. Infatti il principio della parità dei voti rappresenta una regola consustanziale alle relazioni di equiordinazione che si instaurano all’interno del consesso. Un principio che discende dall’art. 48 co. II Cost. sull’eguaglianza del voto ed è, altresì, applicabile alle votazioni degli organi collegiali.

[120] D’altronde, la prevalenza del voto presidenziale derogherebbe alla regola quantitativa secondo cui ogni voto vale uno e solo la confluenza della maggioranza dei voti su una determinata proposta è in grado di consentirne l’approvazione. Noto è il principio secondo cui, normalmente, i voti si contano e non si pesano. Il sistema del voto ponderato, viceversa, assegna, valore superiore al voto del presidente rispetto ai voti degli altri componenti.

[121] È convincimento diffuso che il tempo sia una variabile fondamentale per qualsivoglia attività umana ivi compresa l’attività degli organi collegiali. (Per un penetrante studio filosofico sul tempo DORATO M., Che cos’è il tempo?, Carocci, Roma, 2013). In sede di votazione la parità dei voti, oltre a ritardare l’esercizio della funzione deliberativa, rischierebbe in molti casi di paralizzare l’azione del collegio, in quanto successive ripetizioni del voto potrebbero condurre nuovamente alla parità, con arresto dell’iter deliberativo; un’ipotesi verosimile nei collegi imperfetti o virtuali specie di piccole dimensioni. Attribuire prevalenza al voto del presidente, viceversa, consente di garantire un fruttuoso esito al procedimento collegiale.

[122] In tema si rinvia alle osservazioni di carattere generale di GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 234. Come acutamente evidenziato dall’Autore “al fine di ritenere raggiunta la maggioranza anche in caso di parità di voti non si può dare prevalenza sempre al voto del Presidente; altrimenti si altererebbe la par condicio dei componenti. Pertanto se la maggioranza non si è numericamente raggiunta, la unificazione tra i voti che dà luogo all’atto collegiale non si è formata e l’atto stesso non acquista esistenza giuridica. La proposta non può ritenersi né approvata, né respinta: essa è stata presentata, discussa, votata, ma il collegio non è riuscito a pronunziarsi. Perciò nessun ostacolo si oppone a che essa sia nelle forme dovute nuovamente presentata affinché il collegio, in successiva adunanza e diversamente costituito, possa riesaminarla, discuterla e deliberarla“.

[123] In proposito ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, Padova, 1915, ristampa, Napoli, 1984. SICCHIERO G., I contratti misti, Cedam, Padova, 1995. DIPACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Milano, 2006.

[124] Con la locuzione Consiglio di presidenza si intende far riferimento esclusivamente all’Assemblea, non già agli altri organi collegiali minori in cui l’istituzione complessivamente considerata tende a ripartirsi.

[125] Si segnalano, in special modo, le modifiche introdotte dall’art. 1, co. I, D.lgs. 7 febbraio 2006, n. 62 e, più di recente, dall’art. 11 della l. 4 marzo 2009, n. 15.

[126] Prova di ciò si rinviene nella disposizione di cui all’art 17 del regolamento della Corte dei conti, il quale in tema di quorum prescrive al co. I che “per la validità delle sedute è necessaria la presenza di almeno sette componenti, dei quali cinque magistrati e due eletti dal Parlamento”.

[127] In base all’art. 5 co. I “il Consiglio e presieduto dal Presidente della Corte dei conti”, aggiunge poi il co. II che “in caso di assenza o impedimento, il Presidente è sostituito nelle funzioni inerenti allo svolgimento delle attività del Consiglio, con compiti di Vicepresidente, dal Presidente aggiunto della Corte dei conti o, in mancanza, da un membro eletto dal Parlamento, designato secondo un criterio di rotazione annuale“. Puntualizza poi il co. III che “qualora, nel corso di una seduta del Consiglio cui non sia presente il Presidente, si verifichi anche l’assenza di entrambi i componenti di cui al comma 2, la presidenza della seduta è assunta, per la durata dell’assenza, dal componente più anziano per età. Tale componente assume la presidenza anche all’inizio della seduta in caso di comunicazione di impedimento od assenza sia del Presidente sia di entrambi i componenti di cui al comma 2“. Per una trattazione generale del tema si rinvia all’opera monografica di CIANFLONE A., La supplenza nelle funzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1955.

[128] Un principio che riceve esplicita consacrazione all’art. 6 co. I del regolamento secondo il quale “tutti i componenti partecipano ai lavori e alle deliberazioni del Consiglio in posizione di parità“.

[129] Inoltre l’art. 13 co. II prosegue stabilendo che “il Consiglio di presidenza è convocato in adunanza, eventualmente divisa in più sedute, dal Presidente o, in caso di sua assenza o impedimento, dal Presidente aggiunto”.

[130] Prescrive l’art. 13 co. V del regolamento interno che “all’ordine del giorno sono allegati i documenti necessari per la trattazione degli argomenti. In caso d’inserimento di documentazione oltre i termini di cui ai commi 4 e 6, l’esame dell’argomento può essere rinviato dal Consiglio ad una successiva adunanza, su richiesta di almeno tre componenti” Aggiunge poi il co. VI che “in caso d’urgenza, la convocazione e l’ordine del giorno e le sue eventuali integrazioni devono essere comunicati almeno tre giorni prima della seduta, con le proposte delle competenti Commissioni“.

[131] L’art. 18 del regolamento prevede che: “Relativamente ad ogni argomento posto all’ordine del giorno sono discusse e decise, nel seguente ordine e con precedenza su ogni altra, le questioni, sinteticamente motivate, relative alle richieste: a) di non deliberazione sull’argomento; b) di rinvio della discussione o della deliberazione; c) di sospensione della discussione e della deliberazione sull’argomento fino ad una data determinata o ad un momento successivo alla deliberazione su altro argomento connesso. Successivamente, per ogni argomento, vengono discusse e deliberate prima le eventuali proposte di acquisizione o integrazioni istruttorie e, poi, le questioni di definizione del merito. I richiami al Regolamento o per l’ordine del giorno o per l’ordine dei lavori o per la posizione della questione o per la priorità delle votazioni hanno la precedenza sulla questione principale. Prima della votazione sulla proposta, si pongono in votazione gli emendamenti. Qualora siano presentati più emendamenti ad uno stesso testo, essi sono posti in votazione cominciando da quelli che più si allontanano dal testo originario: prima quelli parzialmente soppressivi, quindi quelli parzialmente sostitutivi ed, infine, quelli aggiuntivi. I sub-emendamenti sono votati prima di quello principale. Nel caso siano proposti emendamenti parzialmente soppressivi ovvero se il testo proposto dalla Commissione sia suscettibile di essere diviso per argomenti distinti, si può procedere al voto per parti separate, su richiesta di uno dei componenti; si può altresì, in tal caso, procedere a discussione divisa su ciascuna parte che venga successivamente messa in votazione“. L’osservanza dell’ordine di votazione è assicurata, in ogni caso, dal presidente del collegio.

[132] Scarni riferimenti sono contenuti nell’art. 19 del regolamento interno ai sensi del quale “le sedute del Consiglio sono pubbliche. Compete al Presidente determinare le modalità di accesso del pubblico in aula“.

[133] Rinvenuta la ratio dell’ammissibilità del potere presidenziale di polizia delle sedute, va sciolto il nodo di gordio dei contenuti assunti in concreto da tale prerogativa nel silenzio della normativa vigente; un problema che con riferimento al Consiglio di presidenza della Corte dei conti potrebbe risolversi applicando in via analogica la disciplina del Regolamento della Camera dei Deputati (Parte Prima, Capo XI e Capo XII, artt. 59, 60, 61, 62 e 64) sui poteri di polizia delle sedute del Presidente di Assemblea.

[134] Inoltre, ai sensi dell’ultimo inciso dell’art. 14, “sono fatti salvi gli effetti dell’atto fino al momento dell’eventuale diniego di ratifica“.

[135] Si vedano in proposito gli studi di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit.. SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit.. DIPACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit..

[136] Con riferimento alla mera inserzione di argomenti all’ordine del giorno si tratta di richiesta parzialmente vincolante in quanto la lettera dell’art. 15 co. IV consente al presidente di rigettare motivatamente l’istanza avanzata dal prescritto numero di componenti.

[137] Prescrive in tal senso l’art. 13 co. III: “Il Consiglio di Presidenza può essere convocato in via straordinaria su richiesta motivata di una Commissione o di almeno tre componenti. Nella richiesta di convocazione deve essere specificamente indicato l’argomento da porre all’ordine del giorno“. Ribadisce, poi, l’art. 15 co. IV: “Una Commissione ovvero tre membri del Consiglio di Presidenza hanno la facoltà di chiedere che un determinato argomento sia posto all’ordine del giorno della successiva adunanza (…). Se il presidente non ritiene di accogliere la richiesta, ne dà comunicazione motivandola, al Consiglio di presidenza nella stessa adunanza“.

[138] Una preminenza strettamente formale che è confermata dalla possibilità riconosciuta ai membri di attivare rimedi a fronte di talune inadempienze del presidente, in modo da ripristinare, da un lato, il corretto svolgimento delle riunioni e, dall’altro, la par condicio delle relazioni infra-collegiali.

[139] ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit.. Un principio successivamente ripreso da SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit.. DIPACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit..

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