CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE –

SENTENZA 10 ottobre 2012, n.17267

Revoca del testamento pubblico, riproduttivo dell’olografo comporta revoca del precedente olografo

a cura della d.ssa Claudia Zangheri Neviani

 

MASSIMA

Ove ad un testamento olografo faccia seguito un testamento pubblico recante la medesima attribuzione patrimoniale in favore dello stesso erede, la successiva revoca, per atto notarile, del testamento pubblico, senza alcuna menzione del precedente olografo, estende i propri effetti al testamento olografo precedente ove quello pubblico sia meramente riproduttivo, sicché ai fini della revoca espressa del testamento occorre guardare non tanto alla scheda testamentaria in sé, quanto piuttosto alle attribuzioni patrimoniali che essa reca.

 

Il caso

Il de cuius con un primo testamento, del 1973, lascia erede la cognata e i nipoti. Con un successivo testamento del 1976, invece nomina erede nella maggior parte dei suoi beni la cognata.

Gli unici eredi legittimi ex lege sono invece la sorella e i nipoti, figli di un fratello premorto, adiscono il tribunale per far dichiarare invalidi i testamenti e per essere riconosciuti unici eredi.

il tribunale di Roma riconosce la legittimità dei predetti olografi e rigetta le domande degli attori, i quali ricorrono in appello.

Anche la corte di Appello di Roma rigetta le domande riconfermando la validità dei testamenti, ritenendo che il testamento del ’73 non fosse stato revocato dal successivo testamento del ’73 di identico contenuto, né dal successivo testamento per atto pubblico dell’84, con il quale il de cuius revocava i precedenti, tranne quello del ’73. Quest’ultimo sarebbe quindi l’unico ad operare a seguito della revoca delle successive conforme disposizioni testamentarie, nonché quello del 76 in quanto in quanto la cognata doveva essere ritenuta erede non più revocabile poiché  si trovava nel possesso dei beni ereditari.

Gli attori ricorrono in cassazione formulando un’unica censura concernente la revoca dei testamenti.

 

Quesito da risolvere

La revoca del testamento pubblico successivo ed uguale al precedente testamento olografo comporta revoca di entrambi.

 

Normativa e norma applicabile

Artt. 679, 680, 682 c.c.

 

Nota esplicativa

 

            Natura giuridica della revoca

La revoca del testamento permette al testatore di modificare ed eliminare le disposizioni precedentemente espresse, in linea con il principio in base al quale il testamento è atto personalissimo e sempre revocabile da parte del testatore, ai sensi del combinato disposto degli articoli 587 e 679 c.c.. La ratio di tale disciplina si inserisce nel più ampio contesto della libertà e spontaneità del volere individuale dell’uomo Si sottolinea come il legislatore per rafforzare la massima libertà del testatore abbia considerato di ordine pubblico l’art. 679 c.c., per cui è fatto divieto di rinunciare alla revoca. Non vi è una definizione univoca di revoca in quanto il termine in questione viene utilizzato in una estrema varietà di significati, la sua funzione rimane comunque tipica ed è “la cancellazione della rilevanza giuridica dell’atto[1]”.

La revoca del testamento può avere ad oggetto tutto quanto contenuto nel testamento (sia le disposizioni patrimoniali che quelle non patrimoniali) ad eccezione della riabilitazione dell’indegno, del riconoscimento del figlio e della confessione stragiudiziale. È un atto giuridico unilaterale, patrimoniale formale e revocabile. È, infatti, possibile anche la revoca della revoca. Essa è una autonoma figura rispetto al testamento, al quale, comunque, è collegata.  Se la natura negoziale della revoca non è discussa, altrettanto non può dirsi per la sua struttura: se rientri nel novero degli atti mortis causa o inter vivos. La dottrina maggioritaria sostiene che dalla revoca deriva in primo luogo l’eliminazione del negozio e, successivamente a questo, anche l’eliminazione degli effetti del negozio medesimo. Una corrente di pensiero minoritaria, al contrario, afferma che la revoca incide solo sulla funzionalità del negozio, ma non sulla sua eliminazione, con la conseguenza che il negozio rimane ma viene meno la sua efficacia giuridica. Da ciò ne deriva che per chi sostiene l’eliminazione sia dell’atto che della sua efficacia ricomprende la revoca nel novero degli atti inter vivos, al contrario di chi propende solo per il venire meno dell’efficacia del testamento e quindi della natura di atto mortis causa della revoca.

            Forme della revoca

La revoca espressa ex art. 680 c.c. è ammessa solo in due forme specifiche: mediante un nuovo testamento o mediante un atto pubblico ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni.

La revoca può anche essere tacita: si riscontrano in tal caso quattro figure diverse. A) mediante un testamento posteriore contenente gli stessi oggetti del primo ma a favore di persone diverse (art. 682 c.c.). In tal modo le disposizioni successive incompatibili con le precedenti, prevarranno. B) mediante il ritiro del testamento segreto ex art. 685 c.c.. C) mediante l’alienazione o la trasformazione della cosa legata ai sensi dell’art. 686 c.c.. D) mediante la distruzione del testamento olografo ex art. 685 c.c.

Le due forme di revoca tacita previste dagli articoli 682 e 685 c.c. sono le più discusse.

In merito alla distruzione del testamento olografo la dottrina si è sempre interrogata sulla sua natura giuridica. Alcuni autori sostengono la tesi della presunzione assoluta per cui è sufficiente provare che la distruzione del documento sia avvenuta per opera del testatore. Per la dottrina maggioritaria e alcune sentenze della corte suprema, al contrario, si è di fronte ad una presunzione relativa, nel senso che sia la distruzione del testamento che la volontà stessa di distruggerlo sono relative ed ammettono prova contraria. Si afferma, infatti, che distruggere non significa obbligatoriamente revocare. In tal senso si è espressa da ultimo anche la cassazione[2], la quale ha sostenuto che l’eventuale distruzione di una solo copia di un testamento olografo (redatto in duplice originale) non importa anche la revoca dell’altra, che rimane operante.

Anche la fattispecie disciplinata dall’art. 682 c.c. ha creato notevoli dubbi in dottrina e in giurisprudenza in ordine alla sua natura giuridica.

Per alcuni autori l’inefficacia del testamento precedente è da ricercarsi non nella volontà del testatore di modificare le disposizioni, ma nella incompatibilità oggettiva delle medesime. Secondo questa corrente di pensiero l’incompatibilità è solo oggettiva, per cui solo le disposizioni oggettivamente incompatibili sono da ritenersi revocate.

La dottrina maggioritaria[3] sostenuta dalla giurisprudenza afferma, al contrario, che l’art. 682 c.c. sia un vero e proprio negozio giuridico di revoca; ciò in quanto l’inefficacia delle disposizioni precedenti deriva non solo da una incompatibilità oggettiva, ma anche soggettiva o intenzionale[4]. Il testamento successivo potrebbe quindi anche essere compatibile con il precedente, ma se dal tenore letterale del testo si evince l’intenzione del testatore di revocare il primo, questo si intenderà revocato anche se compatibile.

Anche la sentenza in commento si uniforma alla giurisprudenza costante, affermando che nel caso di un testamento pubblico meramente riproduttivo di un olografo, la revoca del testamento pubblico implica revoca anche dell’olografo in quanto entrambi riproducono le stesse attribuzioni patrimoniali.

 

Giurisprudenza conforme

Cassazione civile 20 agosto 2002 nr. 12285

Cassazione civile 12 novembre 1983 nr 6745

Cassazione civile 25 febbraio 1970 nr 454

 

Bibliografia

 

Giampiccolo “Il contenuto atipico del testamento” Milano 1954, 150 ss.

Capozzi Guido “Successioni e donazioni” Giuffrè Editore 2009

Massimo Bianca “diritto civile 2 La famiglia e le successioni” seconda edizione Giuffrè editore 1998

Stefano Delle Monache “Testamento. Disposizioni generali artt. 587-590”, 2005

Giuseppe Azzariti “La revocazione delle disposizioni testamentarie” Trattato di diritti civile diretto da Pietro Rescigno. Utet 1997.

Liliana Rossi Carleo voce “Revoca degli atti II) revoca del testamento” Enciclopedie Giuridica Treccani

 

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE,  SEZ. II CIVILE – SENTENZA 10 ottobre 2012, n.17267 –

Pres. Felicetti – est. Bursese

Motivi della decisione

Occorre affrontare in primis la questione pregiudiziale posta dai controricorrenti e concernente il difetto d’interesse dei ricorrenti, essendo passata in giudicato per mancata impugnazione la pronuncia della sentenza che accerta la qualità di erede universale di D.F.C. e per essa, ormai defunta, dei suoi eredi. Si sarebbe dunque al riguardo formato un giudicato interno, rilevabile d’ufficio, ciò che non consentirebbe l’apertura, sia pure parziale, della successione legittima. Ne discenderebbe – sempre secondo i controricorrenti – il mancato interesse degli odierni ricorrenti ad impugnare le disposizioni testamentarie del 19.5.73 perché in caso d’accoglimento della loro domanda, i beni oggetto di tale testamento andrebbero ad accrescere la massa ereditaria nella disponibilità dell’unico erede testamentario, C..D.F. (art. 674 c.c.), per cui ai ricorrenti Z. non ne deriverebbe beneficio o vantaggio alcuno.

L’eccezione non appare fondata. Essa muove infatti da un presupposto chiaramente errato, che nella fattispecie possa operare il diritto d’accrescimento tra coeredi di cui all’art. 674 c.c. e ss. c.c.. Invero, l’istituto dell’accrescimento può aversi soltanto nel caso di chiamata congiuntiva ‘quando più eredi sono istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni, senza determinazione di parte o in parti uguali, anche se determinate, qualora uno di essi non possa e non voglia accettare’. Nella fattispecie non sussistono tali condizioni, mancando la vocazione o chiamata congiuntiva, che sussiste quando gli eredi siano chiamati con uno stesso testamento (coniunctio verbis) e il testatore non abbia fatto determinate parti, ovvero pur determinando le parti, abbia chiamato i coeredi in parti uguali (coniunctio re); pertanto per l’accrescimento delle quote ereditarie è necessaria la coniunctio re et verbis. Nel caso in esame mancano i requisiti della coniunctio re et verbis, atteso che C..D.F. è stata istituita unica erede con il testamento olografo del 1.2.76 per cui non vi è alcuna chiamata congiuntiva con gli altri D.F. , nominati legatari, ma con altro testamento olografo del 19.5.73.

D’altra parte è pacifico che il de cuis con l’indicato testamento in favore di C..D.F. , non avesse disposto di tutti i suoi beni, ciò che rende possibile la coesistenza della successione legittima con quella testamentaria (Cass. n. 2968 de 7.4.97; Cass. N. 6697 del 10.5.02). Appare dunque infondata l’eccezione concernente l’eccepito difetto d’interesse in capo ai ricorrenti Z. , eredi legittimi.

Passando all’analisi del ricorso, con l’unico motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 587, 679, 680, 682 c.c. in relazione alla dedotta revoca anche del testamento 19.5.1973.

La censura riguarda la questione se il testamento olografo del 19.5.73 sia stato revocato o meno a seguito della revoca espressa del successivo testamento pubblico del 22.5.1973 avvenuta per atto pubblico del de cuius in data 27.12.84, atteso che i due testamenti contenevano disposizioni di identico tenore. La corte capitolina, ha ritenuto che per effetto di tale atto pubblico – che richiamava espressamente il testamento pubblico del 22 maggio 1973, ma non quello olografo del 19 maggio73 – era stato revocato solo il primo, per cui continuava ad operare l’olografo in via esclusiva.

Precisava la corte territoriale che i due testamenti, proprio perché contenevano ‘disposizioni d’identico tenore’, non erano affatto inconciliabili, per effetto dell’art. 682 c.c. secondo cui il testamento posteriore quando non revoca in modo espresso il precedente, annulla in questo solo le disposizioni incompatibili. Tale norma ‘presuppone la possibilità logica e giuridica della concorrenza delle disposizioni testamentarie non contemporanee e fissa, in linea di principio, la regola della loro paritaria coesistenza, cioè della conservazione delle disposizioni più antiche, sicché di massima, queste sopravvivono e convivono con il testamento novello, restandone travolte soltanto quelle incompatibili con le successive’. Concludeva la Corte che ‘accertata la mancata caducazione del primo testamento, a nulla rilevava la successiva revoca del de cuis con il ricordato l’atto pubblico del 27.12.1984 che riguardava solo il testamento pubblico (ancorché identico) del 22.5.1973’.

Gli esponenti censurano questo punto della sentenza sotto svariati profili. A loro avviso tale ragionamento è viziato da violazione delle norme di legge richiamate, in quanto non è stata correttamente ed adeguatamente indagata la volontà del de cuius alla luce delle norme che regolano le disposizioni testamentarie. Con riferimento in specie al menzionato atto di revoca notarile, il giudice di merito ha limitato la sua indagine al solo contenuto letterale dello stesso, in cui si menzionava solo il testamento pubblico, ma non quello olografo. Invece nell’atto di revoca del de cuius ‘… l’espressione il testamento del 1973 doveva essere interpretata, alla luce del complesso dei vari atti, tenendo primario conto delle volontà sostanziali nello stesso atto contenute alla luce delle finalità che con la sottoscrizione della revoca il detto de cuius intendeva raggiungere seguendo il medesimo canone ermeneutico del contenuto e dello scopo già osservato al momento della prima valutazione dei soli due testamenti tra di loro, che aveva portato la corte a rilevarne l’identità di contenuti’. Erano invero chiare – per i ricorrenti – la volontà e l’intenzione del testatore nella revoca dei precedenti testamenti, nel senso che egli non intendeva più beneficiare i propri cognati con il lascito dei due appartamenti. La corte capitolina dunque applicando correttamente i canoni interpretativi giurisprudenziali, avrebbe dovuto dichiarare revocato anche il primo testamento olografo, ‘attesa l’evidente incompatibilità tra le volontà sostanziali manifestate con il primo testamento e le opposte incompatibili volontà sostanziali manifestate con l’atto ultimo di revoca, evitando con ciò di volere concludere con una finale affermazione (revoca delle successive e conformi disposizioni testamentarie) che oltre ad essere contraddittoria in se…contrasta con la volontà del de cuius’.

La doglianza è fondata.

Non v’è dubbio che la corte di merito non ha correttamente seguito i canoni interpretativi prescritti ai fini dell’accertamento della volontà del de cuius nelle disposizioni testamentarie in parola, in considerazione, tra l’altro, della peculiarità della vicenda in esame, nella quale il testamento olografo del 19.05.73 – che recava determinate attribuzioni patrimoniali – era stato seguito soltanto 3 giorni dopo (in data 22.5.73) da un testamento pubblico che riproduceva le stesse attribuzioni patrimoniali e perciò era stato ritenuto dal giudice del merito contenente una disposizione mortis causa sovrapponibile e non incompatibile agli effetti dell’art. 682 c.p.c.; cosicché il testamento pubblico potrebbe atteggiarsi a negozio riproduttivo, assolvendo ad una funzione meramente duplicativa del precedente olografo, redatto solo 3 giorni prima.

Ne deriva che va stabilito – sulla base di un più accurato esame delle emergenze istruttorie acquisite – se, con la revoca delle disposizioni testamentarie in esame, il de cuius avesse inteso o meno non più beneficiare i propri cognati D.F. , eliminando entrambe le disposizioni testamentarie. Nel caso di specie infatti si ritiene che la Corte di merito nella scelta e valutazione degli elementi di giudizio più idonei a ricostruire la volontà del de cuius, non si sia attenuta alle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c., (v. Cass. Sez. 2, n. 7422 del 11/04/2005), né ha tenuto conto che questa S.C. ha precisato in materia, che l’interpretazione disposizioni testamentarie è caratterizzata, rispetto a quella del contratto, da una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c. (applicabili, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria), va individuata sulla base dell’esame globale della scheda, con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore’ (Cass. Sez. 2, n. 24637 del 03/12/2010). In relazione alla particolare fattispecie in esame, può enunciarsi il seguente principio: ‘Ove ad un testamento olografo faccia seguito un testamento pubblico recante la medesima attribuzione patrimoniale in favore dello stesso erede, la successiva revoca, per atto notarile, del testamento pubblico, senza alcuna menzione del precedente olografo estende i propri affetti al testamento olografo precedente ove quello pubblico sia meramente riproduttivo, sicché ai fini della revoca espressa del testamento occorre guardare non tanto alla scheda testamentaria in sé, quanto piuttosto alle attribuzioni patrimoniali che essa reca’.

Conclusivamente il ricorso dev’essere accolto; la sentenza dev’essere cassata e la causa rinviata anche per le spese di questo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, la quella deciderà sulla base del principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.



[1] Stefano Delle Monache “testamento disposizioni generali artt. 587-590”, 2005

[2] Cassazione Civile 27395/09

[3] Giampiccolo “il contenuto atipico del testamento” Milano 1954, 150 ss.

[4] Capozzi Guido “successioni e donazioni Giuffrè Editore 2009

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