A cura dell’avv. Salvatore Magra

Secondo la definizione tradizionale, il negozio giuridico è l’atto, mediante il quale il privato può disciplinare determinati effetti giuridici, regolamentando propri interessi individuali, giuridicamente rilevanti[1]. Si suole affermare che il negozio giuridico sia uno strumento di esplicazione dell’autonomia privata, che entra in gioco solo nelle ipotesi, in cui il medesimo sia disciplinato in modo puntuale dalla legge. Questa affermazione stride contro il principio di atipicità dei contratti (art. 1322), che, in ogni caso, sono negozi giuridici ed è in contraddizione con l’idea, secondo cui il negozio giuridico stesso rappresenta una categoria di sintesi, che include in sé atti giuridici profondamente diversi, quanto a natura ed effetti giuridici.

La distinzione del negozio, rispetto agli atti giuridici in senso stretto, si collega al rilievo, attribuito alla manifestazione di volontà, attraverso cui un soggetto persegue una determinata funzione economica (“causa”), per pervenire alla regolamentazione dei propri interessi.

Il negozio giuridico è caratterizzato da una funzione sociale, nel senso che l’interesse personale, che il singolo persegue, s’innesta e si unisce a interessi di più ampio respiro. L’interesse di natura “soggettiva”, che il singolo persegue, è oggettivizzato all’interno dell’elaborazione del regolamento negoziale.

Secondo Windscheid[2], “Nella controversia sul concetto di negozio giuridico, non si dovrà dimenticare che questo è un concetto scientifico, cioè un concetto, che la giurisprudenza stabilisce per i suoi fini,e che quindi chiunque prende parte al lavoro scientifico è autorizzato a dare a dare a questo concetto quella figura, che crede la più acconcia, purché egli, designando con l’espressione negozio giuridico gli elementi intellettuali, che mette insieme, non commetta un’incongruità di linguaggio”. Da questa impostazione, propria della Pandettistica tedesca, in cui il concetto di negozio giuridico viene elaborato, discende una tendenziale non univocità della nozione in parola, il che richiede una riflessione sulla circostanza che la nozione stessa può essere intesa in modo diversificato, secondo la prospettiva che si accolga. Potrebbe, in teoria, esservi una divaricazione di significato fra due interlocutori, che si riferiscano al medesimo concetto.

La fattispecie negoziale parte dall’elaborazione di un intento di un operatore giuridico, il quale persegue il tentativo di dare giuridica rilevanza a un proprio interesse, collocato in una sfera soggettiva, che si oggettivizza. Si è affermato che il negozio giuridico è una categoria concettuale, elaborata avendo come parametro la nozione di contratto, il quale è, a sua volta, concetto incorporato e ricompreso in quello di negozio[3].

Può adoperarsi una concezione soggettiva di negozio giuridico, focalizzata sulla dichiarazione di volontà, da cui conseguono effetti giuridici, all’interno di una prospettiva, orientata sull’affermazione dei diritti individuali della persona (in primo luogo, il diritto di proprietà). Tale concezione si è sviluppata soprattutto dopo la Rivoluzione francese, in consonanza con l’affermazione e la progressiva valorizzazione dei diritti dell’individuo, secondo un orientamento, che avvantaggia un’ottica individualista. Una concezione siffatta rischia di appiattirsi sul singolo soggetto, che esprime la volontà, tralasciando altri profili di tutela, in particolar modo riferentisi alla sfera giuridico-economica del destinatario della dichiarazione di volontà, proveniente dal primo. Tutto questo può riformularsi affermando che, aderendo a una concezione soggettiva del negozio giuridico, la protezione, offerta dall’ordinamento, è eccessivamente sbilanciata, nei confronti di chi effettua la dichiarazione di volontà Proprio in ragione dell’inconveniente, rappresentato da un appiattimento sul soggetto, che esprime una determinata volontà, da una concezione “volontaristica” in senso stretto si è spostata l’attenzione sulla “dichiarazione”, nel senso che il negozio giuridico viene, secondo questa lettura. considerato come una dichiarazione di volontà, che si conforma alla prescrizione legislativa, in quanto la volontà del dichiarante è orientata a richiedere la produzione di effetti, secondo le indicazioni dell’ordinamento giuridico. Questa concezione implica l’inconveniente opposto, rispetto a quella volontarista in senso stretto, nel senso che la protezione, offerta dall’ordinamento, è eccessivamente sbilanciata sulla posizione del destinatario della dichiarazione.

Questi inconvenienti, collegati a un approccio “soggettivistico” della nozione di negozio giuridico, hanno comportato la valorizzazione dei concetti di autoresponsabilità e di affidamento, con il progressivo affermarsi di una concezione “oggettiva” del negozio, in cui si cerca di enucleare un regolamento, da cui discendono determinati effetti giuridici. Uno degli intenti essenziali è quello di rendere paritaria la protezione di entrambi i contraenti, in modo da procedere a una risoluzione equa delle eventuali contrapposizioni, che vengano a  crearsi fra i medesimi. Il principio della buona fede, quale clausola generale di lealtà, nei rapporti interni dei contraenti, si caratterizza per l’esigenza di un bilanciamento fra la posizione dei due o più interlocutori della realtà negoziale (della problematica del negozio unilaterale si tratterà in appresso).

Si è assistito, presso la dottrina giuridica più risalente, alla dilatazione dell’importanza della categoria del negozio giuridico, sulla base della convinzione che essa categoria potesse rappresentare il filtro e il paradigma primigenio, per accorpare atti fra essi eterogenei, quali il testamento, il matrimonio, i negozi di diritto di famiglia, quelli patrimoniali tra vivi, etc.. La c.d.”teoria generale del negozio giuridico” si è posta il tentativo di valorizzare nel massimo grado possibile l’autonomia privata, anche nel tentativo di elaborare dei princìpi generali, che oltrepassassero la materia contrattualistica e patrimonialistica in senso stretto, per assumere una portata, che potesse estendersi a ulteriori settori. Secondo Betti, i rapporti giuridici derivano da relazioni sociali esistenti al livello pre-giuridico; secondo l’Autore, i negozi stessi «sorgono come atti coi quali i privati dispongono per l’avvenire un regolamento impegnativo d’interessi nei loro rapporti reciproci e si sviluppano spontaneamente sotto la spinta di bisogni, per adempiere svariate funzioni economico-sociali, all’infuori dell’ingerenza di ogni ordine giuridico [4] La teoria unitaria del negozio giuridico ha portato, peraltro, il rischio di un’omologazione di istituti profondamente diversi e, per tale ragione, si è rivelata poco utile e generica, in quanto intende introdurre omogeneità in un contesto di settori profondamente eterogenei.

La teoria “volontarista” del negozio giuridico si ritiene sposti eccessivamente alla fase iniziale il fulcro della categoria in esame ed è condivisibile l’affermazione, secondo cui il rapporto giuridico che si viene a costituire va letto sotto un profilo dinamico[5].

In senso differente, rispetto alla sopraesposta interpretazione, l’ammissibilità e la pertinenza del concetto di negozio giuridico, in rapporto al nostro ordinamento, non è approvata in modo unanime dagli interpreti, nel senso che una riflessione sulla congruenza della nozione in esame, rispetto ai paradigmi dell’impostazione del codice civile del 1942, mutuata dal diritto francese, porta alcuni Autori a ritenere che la nozione non sia utilizzabile all’interno di una codificazione, in cui si è preferito attribuire un ruolo centrale al contratto e non si è provveduto a una codificazione e definizione del “negozio giuridico”. Pertanto, si ritiene che il concetto-cardine di autonomia privata sia interpretabile, attraverso un approccio differente, rispetto a quello di negozio giuridico, dovendosi necessariamente riferirsi alla suddetta centralità del contratto.

Detto altrimenti, si è sviluppata, nel pensiero giuridico contemporaneo, una concezione, volta a sentenziare il sostanziale annichilimento della ragion d’essere della categoria del negozio giuridico nel nostro ordinamento. Più precisamente, tale dottrina[6] ritiene che la categoria del negozio giuridico sia diventata priva di una reale utilità, già dopo l’entrata in vigore del codice civile del 1942, nel senso che il medesimo concetto non sia in grado di designare alcuna autonomia categoria, disciplinata dal diritto positivo. In particolare, si propone una distinzione degli atti giuridici, per i quali è necessaria la capacità di agire, secondo la seguente tripartizione: atti o dichiarazioni di volontà, atti o dichiarazioni di scienza, partecipazioni o comunicazioni

La categoria degli “atti giuridici”, così delimitata, viene distinta e contrapposta a quella dei fatti giuridici, consistenti in accadimenti, umani o naturali, dai quali si determinano effetti giuridici, nel senso della modifica, estinzione o nascita di determinati rapporti giuridici.

La dottrina, contraria all’effettiva rilevanza della categoria di negozio giuridico nel nostro ordinamento, muove dalla constatazione che il nostro codice civile estende la disciplina dei cc.dd. atti negoziali ad atti considerati tradizionalmente non negoziali, come le dichiarazioni di scienza,  le partecipazioni e le comunicazioni. Il profilo di comunanza della disciplina degli atti in questione, rispetto a quelli negoziali consiste nella richiesta, in ogni caso e anche per questi atti, della capacità di agire, vale a dire dell’attitudine a disporre dei propri diritti, secondo quanto desumibile dall’art. 2, comma 1°, primo periodo del codice civile. Tale ultima disposizione estende la rilevanza della capacità di agire a tutti gli atti, per i quali non sia stata stabilita un’età diversa. L’omologazione di disciplina fra atti negoziali e non induce a dubitare della reale utilità (e dell’effettiva vigenza) della categoria del negozio giuridico nel nostro ordinamento.

A questa ricostruzione si è obiettato come la giurisprudenza abbia richiesto il requisito della capacità di agire solo alla confessione come dichiarazione di scienza, in rapporto al dettato dell’art. 2731 c.civ., disposizione non interpretabile analogicamente, in considerazione della sua eccezionalità, in rapporto alla generale non rilevanza della capacità di agire per gli atti non negoziali[7]. Va rilevato che non è pacifico che le partecipazioni non richiedano la capacità di agire, con l’eccezione dei permessi, degli ordini e degli atti affini. La dottrina in esame pone, inoltre, l’attenzione sulla circostanza dell’ulteriore omologazione fra atti negoziali e non, in rapporto alla disciplina dell’art. 428 c.civ.,  nel senso che tale ultima disposizione sottopone alla medesima disciplina sia gli atti giuridici, realizzati dall’incapace, sia i negozi giuridici in senso proprio, con conseguente inutilità della categoria in esame. Il criterio dell’omologazione fra atti negoziali e atti non negoziali è ripreso da questa dottrina, in rapporto alla riflessione sull’art. 1324 c.civ., secondo cui la disciplina generale del contratto va applicata sia agli atti unilaterali non negoziali, sia a quelli negoziali. Secondo il Galgano, non si può dedurre dall’art. 1324 la formulazione di una disciplina comune a contratti e  negozi unilaterali[8]. Manca, secondo tale impostazione, una disciplina comune a contratto e negozio giuridico. Più precisamente, l’Autore citato sostiene la presenza di un’incongruenza logica, alla base dell’idea di una ricostruibilità di una disciplina codicistica del negozio giuridico, nel senso che si afferma che le ipotizzate norme sul negozio giuridico, ricavabili da quelle previste per i contratti, si applicano per analogia ai negozi diversi dai contratti. Il Galgano arriva a sostenere che la codificazione civile del 1942, adottando il “metodo dell’economia”, di matrice germanica, ha optato per un ripudio dei concetti astratti, ritenendo che la disciplina di diritto positivo debba incorporare solo categorie, che abbiano una sostanza economica concreta, in modo che la sovrastruttura giuridica s’innesti in un sostrato economico, percepibile in modo effettivo. Questo tipo di impostazione è stata contestata da alcuni giuristi, legati alla nozione di “negozio giuridico”, in quanto nozione, che consente di unire in sé  istituti eterogenei, quali matrimonio, testamento, contratto. Pertanto, sempre secondo la dottrina del Galgano, la disciplina del contratto è stata manipolata da questi interpreti, nel senso che da essa si è estrapolata una “parte generale”, cui si è attribuita la qualifica di negozio giuridico e, successivamente, si è considerata la restante disciplina del “contratto” come normativa di eccezione. La tesi in esame implicitamente reputa come irrilevante la presenza di talune disposizioni, in cui si menziona il negozio giuridico. Proprio l’art. 1324 si esprime in termini di “negozio giuridico unilaterale” tra vivi, avente contenuto patrimoniale[9].

Il concetto di negozio si sostanzia in un evento naturale, da cui conseguono effetti giuridici, ove l’evento sia prodotto dalla volontà umana, con l’intenzione di produrre una modificazione della realtà giuridica, nel senso della creazione, modificazione, estinzione di un rapporto giuridico.

Per il pensiero, che intende emanciparsi dalla nozione di negozio giuridico, appare opportuna una distinzione fra atti o dichiarazioni di scienza e atti o dichiarazioni di volontà, partecipazione o comunicazioni (anche per tali atti è richiesta la capacità di agire, ma l’assunto è controverso), da contrapporre ai fatti giuridici. L’interpretazione in commento considera, a sostegno del proprio assunto, il rilievo dell’art. 1324[10], che estende la disciplina del contratto agli “atti unilaterali”, ivi compresi quelli aventi natura non negoziale. Peraltro, è proprio quest’ultima affermazione a esser controversa e bisogna non sottovalutare la presenza della clausola di compatibilità, la quale ha una ragion d’essere differente, rispetto all’applicazione analogica, che presuppone un’affinità di ratio, che non è agevolmente riscontrabile nell’adozione di un criterio di compatibilità della disciplina. Bisogna anche por mente all’estensione, espressa dell’applicazione della disciplina ai soli atti giuridici di contenuto patrimoniale. In giurisprudenza prevale la tesi dell’applicabilità dell’art. 1324 solo ai negozi giuridici e non ai meri atti (cfr. Cass. n. 4347-2009, la quale non fa seguire al mancato rispetto della forma scritta il difetto di potere rappresentativo ai fini della costituzione in mora, che ha natura di atto giuridico in senso stretto).

Il codice civile del 1942 attribuisce una funzione preminente al contratto, rispetto al negozio giuridico, riservando alla prima nozione una funzione portante, riguardo alla regolamentazione degli scambi commerciali. In astratto, si sarebbe potuto provvedere a una regolamentazione comune fra contratti e atti unilaterali fra vivi, cercando di immettere la disciplina del negozio, all’interno di quella di contratto e dilatando la dimensione del contratto all’interno della negozialità.

Secondo un’impostazione, il tentativo dell’ordinamento è di affrancarsi da una nozione astratta, come quella di negozio giuridico, ove si opti per una nozione del medesimo come tentativo di astrazione del concreto[11] .

Un’analisi più approfondita consente di concludere nel senso che la prevalenza della nozione di “contratto”, rispetto a quella di “negozio” possa ricollegarsi a un’aggregazione di elementi socio-culturali, economici[12]. Nonostante la scelta della matrice “contrattualistica” come base, per l’impostazione della disciplina di importanti settori di base dell’ordinamento, com’è desumibile dalla necessità di leggere e interpretare la disciplina del contratto, anche attraverso il prisma della disciplina delle obbligazioni, va, peraltro, tenuto in adeguato conto che la nozione di “negozio giuridico” è sempre stata, più o meno inconsapevolmente, tenuta in considerazione dagli interpreti. La codificazione del 1942  mira a imporre una assunzione di preminenza del valore legge, con il superamento del valore dell’individualismo. In ogni caso, echi della categoria del negozio giuridico si riscontrano nella Relazione al codice civile.

 

 


[1] Secondo SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, 125, il negozio giuridico è « […] un atto di  privata autonomia, indirizzata a uno scopo che l’ordinamento giuridico reputa meritevole di tutela.». «[…] per la produzione di effetti giuridici, è necessaria un’attività, un’azione materiale […]. La volontà è [..] determinante degli effetti: e qui sta la caratteristica propria del negozio. Non solo l’azione è voluta come negli atti giuridici in senso stretto, ma l’azione è espressione di una volontà diretta a uno scopo e come tale è giuridicamente rilevante» (Santoro Passarelli,Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 125). A partire dal Savigny, si è rilevata nel negozio giuridico una «[…] dichiarazione di volontà che non soltanto costituisce un atto libero, ma nel quale la volontà dell’autore è direttamente tesa alla costituzione o allo scioglimento di un rapporto giuridico […]» nel quale, dunque, tre sono « i momenti qualificanti tale concetto: la stessa volontà, la dichiarazione di volontà e la concordanza della volontà con la dichiarazione» (così, Ferri G.B., voce Negozio giuridico, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., XII, Torino, 1995, 62).

[2] Cfr. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, trad. it., I, rist., Torino, 1930, 202, nt. 1.

[3] Cfr. TURCO, Lezioni di diritto privato, Milano, 2011, pag. 396

[4] Cfr BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, 2° ed., Torino, 1955, pag. 7, pag. 41.)

[5] Cfr. Rivista telematica ”Diritto e scienza”, n. 11, 2012, pag. 20

[6] Cfr. GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, vol III, t. 1°, Milano, 1988, p. 15 e sgg., nonché ID, Trattato di diritto civile, vol I, Padova , 2009,, pagg. 45 e sgg.

[7] Cfr. ANGELONI, “La morte presunta del negozio giuridico tra il gioco dei nomi e il diritto positivo vigente”, in www.parerigiuridici.it, pag. 6 e passim

[8] Cfr. GALGANO Trattato cit. , pag. 41. Fra l’altro l’Autore ha affermato che: «La morte che ora narro non è, come nel celebre romanzo, la dipartita di un essere umano, bensì la morte di un concetto, ossia del concetto di negozio giuridico […]. Si è trattato, proprio come nel romanzo di Gabriel Garcìa Màrquez, di una morte annunciata […]. Nel lessico corrente la parola “negozio” ha perso il sopra ricordato significato originario del latino negotium, equivalente ad affare […]». «Oggi, negozio equivale a bottega, locale di vendita al pubblico; corrisponde, per dirla in inglese, a store, shop. Perciò, non può stupire che negozio giuridico, morto nel lessico giuridico, si reincarni nel lessico corrente» (così, Galgano, Cronaca di una morte annunciata (e di una inattesa reincarnazione), in Contratto e impresa, 2008, 259-260). L’Autore ha trovato linfa vitale alla sua tesi, attraverso la considerazione della cronaca della “morte” della categoria del negozio giuridico, nel testo TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato”,Milano,2007, prefazione. Secondo IRTI, il negozio giuridico non è più una categoria giuridica, ma storiografica (cfr. IRTI, “Letture bettiane del negozio giuridico” Milano, 1991).

[9] Cfr SCOGNAMIGLIO, “Dei contratti in generale”, in “Commentario del codice civile” a cura di Scialoja e Branca, Bologna Roma, artt. 1321-1352, pagg. 7 e sgg.

[10]Questo il testo dell’art. 1324: Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale .

 

[11] Cfr. CERRONI, Per una critica sistematica della categoria giuridica, in Dem. Dir., 1974, 487

[12] Cfr. GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, III, tomo I, Milano, 1988, 25 e sgg., che rimarca come per l’esame delle opzioni di disciplina del Legislatore di adottare il c.d. metodo dell’economia, secondo cui le forme giuridiche attecchiscono su un sostrato economico preesistente. Sembrano permanere taluni elementi ideologici di natura marxista, in particolare la distinzione fra struttura, afferente al sistema economico e sovrastruttura, afferente alle costruzioni astratte del ragionamento intellettuale. E’ d’altronde, noto che l’Autore in esame (GALGANO), prima di passare alla valorizzazione nel massimo grado della lex mercatoria (vedi appresso nel presente lavoro) ha aderito al marxismo. Appare chiara la adesione dello Studioso alla dicotomia struttura-sovrastruttura, proprio della concezione marxista, all’interno dell’elaborazione della c.d. “dottrina economica”.

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