Commento alla sentenza Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione del 16.01.2018 n. 898

Avv. Linda Giovanna Vacchiano

Premessa

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con sentenza n. 898 depositata il 16.01.2018, si sono pronunciate in merito alla funzione del requisito della forma nei contratti di investimento enunciando il seguente principio di diritto: “il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento […] è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando anche la sottoscrizione dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

                                           

Normativa di riferimento

La questione posta all’attenzione delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione ha ad oggetto i contratti di investimento che hanno trovato disciplina dapprima nella legge n. 1 del 2.01.1991 recante “Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari” il cui art. 6, comma 1, lett. c) (riferimento normativo così richiamato nel primo motivo di ricorso per cassazione proposto dalla Banca Popolare di Sondrio s.c. a r.l.) disponeva che le società di intermediazione mobiliare, nell’esercizio delle loro attività, dovessero regolamentare i rapporti con il cliente mediante la stipulazione di un contratto scritto nel quale fossero indicati la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi, l’entità e i criteri di calcolo per la loro remunerazione e le condizioni particolari eventualmente convenute con il cliente. Copia di questo contratto, inoltre, doveva essere consegnata contestualmente al cliente, e ciò al fine di maggior tutela della posizione giuridica soggettiva del contraente debole del contratto di investimento. Disciplina, questa, che è stata abrogata dal D.lgs. n. 415 del 23.07.1996 recante “Recepimento della direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993 relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari e della direttiva 93/6/CEE del 15 marzo 1993 relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi”, e poi sostituita dal vigente Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria introdotto con il D.lgs. n. 58 del 24.02.1998[1]. Tale norma all’art. 23 dispone espressamente che “I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. […] Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo. […] Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente. […] Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. Al comma 5 detta disposizione, inoltre, qualifica a contrario la natura giuridica del contratto di investimento a cui non trova applicazione l’art. 1933 c.c. proprio dei contratti aleatori (relativamente alla impossibilità di agire per la restituzione di quanto pagato nei contratti aleatori di gioco o scommessa). Se ne desume, dunque, che i contratti di investimento sono soggetti agli ordinari rimedi di tutela della situazione giuridica soggettiva lesa nei limiti di quanto compatibile con la normativa di riferimento. Il D.lgs. n. 58 del 1998 (T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) prevede, infatti, forme specifiche di tutela del cliente, sia mediante espresso richiamo alla disciplina della tutela del consumatore di cui al D.gls. n. 205/2006, sia individuando specifiche sanzioni penali per condotte abusive del credito, sia attribuendo poteri di vigilanza e sanzionatori alla CONSOB. Quest’ultima, peraltro, in virtù del potere regolatorio alla stessa conferito dal secondo capoverso del comma 1 dell’art. 23 del T.U. in questione, ha emanato il Regolamento di attuazione al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58[2], per la regolamentazione di particolari tipi di contratto soggetti ad altra forma “per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti”.[3]

Da tale disciplina normativa di settore se ne desume, dunque, che i contratti di investimento, pur regolati dalla ordinaria disciplina del contratto di cui al c.c.[4], sono soggetti, in virtù della loro precipua funzione, a specifiche disposizioni in materia secondo la disciplina speciale di cui al T.U. e di cui ai relativi atti normativi connessi.

Fatti di causa

La pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in commento è stata resa avverso una pronuncia della Corte d’Appello di Milano[5] che ha dichiarato la nullità delle operazioni di investimento per l’acquisto di obbligazioni “Argentina Eur 8,75% 1998/2003” per mancanza di un contratto-quadro ed ha condannato la Banca Popolare di Sondrio s.c. a r.l. alla restituzione della somma investita dagli appellanti, oltre i relativi interessi. La pronuncia ha condannato, altresì, le parti appellanti alla restituzione delle obbligazioni argentine alla Banca Popolare di Sondrio. A fondamento della sua decisione la Corte d’Appello di Milano ha, innanzitutto, richiamato la disciplina normativa dei contratti-quadro che, a pena di nullità, necessitano della forma scritta ab substantiam ex art. 23 del D.lgs. n. 58 del 24.02.1998, affermando, poi, che è il contratto-quadro ad essere elemento essenziale per la validità di ogni operazione di investimento, da intendersi, quest’ultima, come semplice negozio esecutivo del contratto-quadro presupposto. Nel caso di specie, dunque, la nullità invalidava tale contratto in quanto sottoscritto soltanto dai clienti e conseguentemente privo di ogni manifestazione di volontà negoziale della Banca; lo stesso era, pertanto, da intendersi come mera proposta unilaterale ricognitiva della sola volontà dei clienti, in quanto tale non idonea a formare compiutamente un contratto “ancorchè corredata dalla dichiarazione prestampata <<un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentarVi>>”. Secondo l’orientamento seguito dalla Corte d’Appello di Milano, inoltre, in questo caso il contratto soggetto a nullità non poteva trovare nessuna giustificazione di validità in quanto non poteva qualificarsi né come contratto concluso per adesione con la sottoscrizione del cliente, né avrebbero avuto in alcun modo rilevanza i comportamenti attuativi della Banca come fatti concludenti espressivi della volontà della stessa.[6]

Avverso tale pronuncia la Banca Popolare di Sondrio s.c. a r.l. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi:

  • con il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. c) della legge n. 1/1991 (oggi art. 23 del D.lgs n. 58/1998), norma, questa, che ha la finalità di assicurare al contraente debole la cognizione delle condizioni contrattuali, colmando le asimmetrie informative tra le parti nel contratto di investimento, che è mero accordo normativo e non comporta alcun trasferimento patrimoniale.[7][8] In virtù di tale considerazione, dunque, l’unica sottoscrizione rilevante ai fini della validità del contratto sarebbe stata soltanto quella del cliente/contraente debole, e ciò troverebbe conferma anche nella previsione dell’obbligo di consegnare a questi la copia del contratto e nel fatto che solo il cliente può far valere la nullità del contratto (sentenza Corte di Cassazione n. 4564 del 22.03.2012)[9];
  • con il secondo motivo, in via subordinata, la Banca denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e art 6, comma 1, lett. c) della legge n. 1/1991 (come sostituito dall’art. 23 del D.lgs. n. 58/1998) per aver la Corte d’Appello di Milano escluso la sussistenza degli estremi della exceptio doli sollevata dalla Banca per paralizzare l’uso selettivo della nullità (nei confronti soltanto di alcune operazioni), trattandosi di rimedio a carattere generale ed espressione del principio di buona fede oggettiva;
  • con il terzo motivo di ricorso, infine, la Banca denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 820, 1148, 1418, 1458 e 2033 c.c., avverso il rigetto della richiesta di restituzione delle cedole come frutto civile dell’investimento, ottenute, in difetto di prova contraria, in buona fede dal resistente/investitore. Nel caso di specie, la Banca lamenta l’applicazione degli artt. 1148 c.c. (acquisto dei frutti) e 2033 c.c. (indebito oggettivo) alla fattispecie concreta che si rileva essere del tutto diversa da quella oggetto della disciplina sopra richiamata. Le norme in questione, secondo parte ricorrente, troverebbero applicazione solo nel caso di giudizio di rivendica e non nel caso in cui sia stata esercitata azione personale. La nullità del contratto di acquisto tra cliente ed intermediario produrrebbe, invece, gli stessi effetti derivanti da un contratto di mutuo, il cui venir meno comporta, da una parte, la restituzione del capitale versato e, dall’altra, la restituzione dei titoli e del corrispettivo ricevuto.

Con ordinanza del 17.05.2017, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso ex art. 374, comma 2, c.p.c. la causa al primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite in relazione alla questione di massima di particolare importanza oggetto del ricorso.

Soluzione proposta dalla Corte di Cassazione

Il quesito sottoposto alla risoluzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è stato così articolato: “se il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, oltre alla sottoscrizione dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario”.[10]

Per la risoluzione di tale quesito le Sezioni Unite procedono ad una premessa qualificante la natura e gli effetti del contratto di investimento. Trattasi, come in precedenza detto, di un contratto disciplinato dapprima dal D.lgs. n. 1/1991 e poi dal D.lgs. n. 58/1998 e finalizzato alla regolamentazione dei servizi di investimento per cui l’intermediario si obbliga nei confronti del cliente, ed in quanto tale è stato assimilato dalla giurisprudenza di legittimità ad un contratto di mandato da cui derivano obblighi e diritti reciproci.[11] In relazione, poi, alla specifica questione della forma scritta, secondo gli Ermellini tale requisito richiamato espressamente dall’art. 23 del D.gls. n. 58/1998 si riferisce all’intero contratto di investimento e non alle singole operazioni attuative dello stesso (c.d. operazioni di investimento), la cui validità non è soggetta ad alcun tipo di requisito formale (salvo pattuizione contraria).[12]

In merito alla nullità del contratto di investimento in virtù della mancata sottoscrizione dello stesso da parte dell’intermediario si sono sviluppati in giurisprudenza due orientamenti differenti. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale[13], ove la norma preveda la forma scritta ad substantiam, ai fini della validità del contratto non è sufficiente la sola dichiarazione sottoscritta dal cliente di aver ricevuto  dall’intermediario copia del contratto dallo stesso cliente sottoscritto. A tal proposito non trova applicazione nemmeno il principio secondo cui la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non abbia sottoscritto il contratto realizzi l’equivalente di una sottoscrizione, dato che in tal caso si tratterebbe di un perfezionamento del contratto (o, che dir si voglia, di una sanatoria) con effetti ex nunc e non ex tunc.

Secondo altro orientamento giurisprudenziale[14], invece, si deve escludere la nullità del contratto per difetto di forma ove il contratto abbia avuto pacifica esecuzione, e ciò in virtù della prevalenza del risultato sulla forma. A sostegno di tale assunto tale giurisprudenza richiama l’applicabilità, nel caso di specie, proprio del principio generale secondo cui la produzione del contratto in giudizio – allo stesso modo la sua esecuzione – realizza un equivalente della sottoscrizione del contratto stesso, espressione della volontà del soggetto che non ha sottoscritto, sempre che la parte sottoscrivente non abbia in precedenza revocato in qualunque modo il proprio consenso.

A fronte di tali orientamenti contrastanti, intervengono le Sezioni Unite sostenendo l’orientamento meno restrittivo. Secondo gli Ermellini, la normativa di riferimento dei contratti di investimento (art. 23 del D.lgs. n. 58/1998) nella sua interpretazione fa propendere nel senso della equivalenza di effetti derivanti dalla redazione per iscritto del contratto e dalla consegna di un esemplare al cliente, unico soggetto legittimato a farne valere la nullità. Se ne desume, dunque, che la forma scritta del contratto di investimento è posta a preminente tutela degli interessi del cliente, quale soggetto debole del contratto di investimento e quale soggetto deputato al controllo della regolarità delle operazioni nei mercati finanziari che lo vedono coinvolto, e ciò trova conferma anche nella necessità di consegna allo stesso di copia del contratto da parte dell’intermediario.[15] In tal modo operando, la norma così interpretata finisce per tutelare in via diretta la posizione giuridica soggettiva del cliente/contraente debole in virtù della introduzione di una forma di nullità relativa, ed in via indiretta la regolarità e la trasparenza del mercato del credito.

In considerazione di tale peculiare funzione del requisito della forma scritta, la Corte di Cassazione arriva alla conclusione che la nullità del contratto di investimento non trova fondamento nella disciplina generale della nullità, ma deve tener conto della funzione propria della norma specifica del settore in questione. Infatti, risulta nel caso di specie inutile la sottoscrizione del rappresentante dell’intermediario finanziario a fronte di un contratto di investimento che è fondato su un accordo provato mediante la sottoscrizione dell’investitore e, da parte della banca, mediante la consegna del documento negoziale, la raccolta della firma del cliente e la esecuzione del contratto. Essendo provato l’accordo negoziale, non è necessaria la doppia sottoscrizione. Ratio di tale assunto si rinviene nella concezione funzionale[16], e non formale, del requisito della forma ex art. 1325, n. 4, c.c., avuto cioè riguardo alla finalità propria della disciplina di settore. Ecco che la specificità della disciplina di settore impone di determinare una scissione delle funzioni proprie della forma scritta come individuate dalla dottrina tradizionale: la funzione del documento, come formalizzazione e certezza dell’accordo contrattuale; e la funzione dell’accordo, inteso come incontro tra le volontà negoziali. Tale ultima funzione è quella che caratterizza i contratti di investimento, rimanendo assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione dell’altra parte che, in virtù del raggiungimento dello scopo normativo già solo con la sottoscrizione del cliente sul modello di contratto predisposto dall’intermediario e la consegna da parte di quest’ultimo al cliente di copia del contratto dallo stesso sottoscritto, verrebbe svuotato di una specifica funzione.[17]

La Corte di Cassazione sovverte l’orientamento fino ad allora tradizionale che imponeva una duplice funzione al requisito della forma nei contratti di investimento, ovvero di tutela del cliente e di garanzia della buona organizzazione interna dell’intermediario, conseguendo da tale considerazione la nullità di un contratto privo della sottoscrizione del delegato dell’intermediario. Secondo la ricostruzione della Corte di Cassazione, infatti, oltre a non trovare fondamento normativo, la ricostruzione tradizionale determinerebbe un eccessivo effetto sanzionatorio rispetto alla funzione cui la forma nella specifica materia è preordinata. In virtù del principio di proporzionalità, invece, ove il legislatore introduca una nullità relativa a tutela diretta ed immediata di un interesse particolare – come nel caso della nullità nei contratti di investimento di cui all’art. 23 del relativo T.U. – ai fini della sua applicazione è necessario un bilanciamento degli interessi coinvolti che circoscriva l’ambito della tutela nei limiti in cui venga coinvolto concretamente l’interesse particolare, determinandosi altrimenti conseguenze eccessive.[18]

[1] Tale norma all’art. 214, comma 1, lett. aa) prescrive l’abrogazione della legge n. 1 del 2.01.1991, ed all’art. 23 introduce la nuova disciplina di settore.

[2] Regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998 e successivamente modificato con delibere n. 11745 del 9 dicembre 1998, n. 12409 del 1° marzo 2000, n. 12498 del 20 aprile 2000, n. 13082 del 18 aprile 2001 e n. 13710 del 6 agosto 2002.

[3] V. art. 23, comma 1, secondo capoverso, del D.lgs. n. 58 del 24.02.1998.

[4] Si fa riferimento, in particolare, all’art. 1175 c.c., art. 1375 c.c. ed art. 1418, comma 1, c.c.

[5] Sentenza Corte d’Appello di Milano 30.01 – 22.02.2013 emanata in riforma della sentenza del Tribunale di Milano n. 11542 del 15.09.2009.

[6] Non trovava seguito nemmeno l’orientamento giurisprudenziale che qualificava la produzione in giudizio del contratto da parte del soggetto non sottoscrittore come elemento utile per il sorgere del contratto, che sarebbe risultato valido ex nunc e non ex tunc.

[8] A differenza dell’art. 6 richiamato, invece, l’art. 1350 c.c., secondo il ricorrente, avrebbe una funzione diversa, ovvero quella di “favorire la ponderazione dei contraenti e la certezza del rapporto contrattuale”.

[9] Vedasi, a fini comparatistici, anche la normativa tedesca del credito al consumo.

[10] Ordinanza n. 10447 del 27.04.2017.

[11] V. a tal proposito S.U. Cassaz., 19.12.2007 n. 26724 e 26725.

[12] Principio che trova espressione anche nelle sentenze Cassaz. 9.08.2017 n. 19759; 2.08.2016 n. 16053; 29.02.2016 n. 3950; 13.01.2012 n. 384; 22.12.2011 n. 28432.

[13] V. in particolare, Cassaz. 24.02.2016 n. 3623; 24.03.2016 n. 5919; 11.04.2016 n. 7068; 27.04.2016 n. 8395 e 8396; 19.05.2016 n. 10331; 3.01.2017 n. 36.

[14] V. in particolare Cassaz. 22.03.2012 n. 4564 in relazione al contratto di conto corrente bancario disciplinato dagli artt. 117 e 127 del D.gls. n. 385/1993.

[15] E’ il contenuto del contratto che, regolamentando le operazioni di investimento, deve rimanere sempre a disposizione dell’investitore, colmando la asimmetria informativa nei confronti dell’altro contraente, e che trova fondamento nella specificità delle conoscenze dell’intermediario stesso. Secondo le parole della Corte di Cassazione a Sezioni Unite “si coglie quindi la chiara finalità della previsione della nullità, volta ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, dei contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione, ed altro come specificatamente indicato, considerandosi che è l’investitore che abbisogna di conoscere e di potere all’occorrenza verificare nel corso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto, che è proprio dello specifico settore del mercato finanziario”. (Cassaz., S.U. Civ., 16.01.2018 n. 898). Cfr., a tal proposito, anche l’art. 30 del Regolamento COSOB.

[16] La concezione tradizionale, che qualifica la forma come elemento costitutivo del contratto, attribuisce alla sottoscrizione del contratto una duplice funzione: la funzione di formazione del consenso delle parti e la funzione di attribuibilità della scrittura e della volontà negoziale alle parti ai sensi dell’art. 2702 c.c.

[17] Secondo le parole delle S.U. civili della Corte di Cassazione, il contratto di investimento,infatti, non è “un contratto a forma scritta obbligatoria per una sola delle parti e con effetti obbligatori solo per l’altra parte che nulla ha sottoscritto” (S.U. Cassaz. n. 898 del 16.10.2018).

[18] Decisione, questa, conforme anche alla direttiva Mifid 1 (Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio) e Mifid 2 (Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 , relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE Testo rilevante ai fini del SEE) di cui è stata data attuazione con il D.lgs. 3.08.2017 n. 129 recante “Attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, cosi, come modificata dalla direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016, e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012, cosi’ come modificato dal regolamento (UE) 2016/1033 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016. (17G00142)”.

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