SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 11 dicembre 2013 – 28 gennaio 2014, n. 3689

(Presidente Squassoni – Relatore Orilia)

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 11.12.2012 la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di colpevolezza di T.G. in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante di società, ometteva di versare all’erario, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai lavoratori dipendenti per un complessivo ammontare, nel periodo di imposta 2005, di Euro 81.530.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, denunziando due censure.

Considerato in diritto

1. Col primo motivo si denunzia la violazione dell’art. 429 lett. b) cpp perché nel decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale di Cassino non era stata indicata correttamente la persona offesa del reato (in luogo dell’Amministrazione finanziaria era stato indicato un componente dei revisori dei conti della società): tale violazione era stata segnalata anche alla Corte d’Appello che però ha rigettato la relativa eccezione non ravvisando violazione del diritto di difesa.

Il motivo è infondato.

La mancanza o l’insufficiente indicazione della persona offesa (requisito previsto dall’art. 429 comma 1 lett. b) non è un caso di nullità del decreto che dispone il giudizio, perché la norma (cfr. art. 429 comma 2 cpp) riguarda invece la mancanza o insufficiente indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1 lett. c) ed f).

L’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento delle altre parti private e in particolare la citazione in giudizio della persona offesa dal reato è prescritta a pena di nullità dall’art. 178 cpp (cfr. lett. c), ma la giurisprudenza di questa Corte – richiamata peraltro dallo stesso ricorrente – afferma costantemente che la nullità derivante dall’omessa citazione della persona offesa non può essere eccepita dall’imputato, poiché egli manca di interesse all’osservanza della disposizione violata, il cui unico scopo è quello di consentire l’eventuale costituzione di parte civile al destinatario della citazione (cfr., tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 12765 del 11/03/2011 Ud. dep. 29/03/2011 Rv. 250051; Sez. 6, Sentenza n. 12196 del 11/03/2005 Ud. dep. 29/03/2005 Rv. 231193; Sez. 6, Sentenza n. 35555 del 10/04/2003 Ud. dep. 16/09/2003 Rv. 226512).

Nel caso di specie, la persona offesa dal reato era l’Amministrazione Finanziaria e non già l’INPS, come erroneamente affermato dalla Corte d’Appello.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo della insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato. Rileva che il reato è a fattispecie progressiva tale da ricomprendere due condotte attive (l’effettuazione della ritenuta ed il successivo rilascio della certificazione ad opera del sostituto) e una omissiva (mancato versamento di importo superiore ai 50.000 Euro per periodo di imposta). Osserva che nel caso di specie risultava dimostrata solo la condotta omissiva ma non anche quella attiva.

Rileva poi l’assenza di dolo in considerazione della mancanza di liquidità. Il motivo è fondato sotto il profilo della motivazione sull’elemento costitutivo del reato.

Questa Corte ha già affermato che il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale e che solo con il maturare di tale termine si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale.

È stato precisato inoltre che il reato è punibile a titolo di dolo generico, richiedendosi la mera consapevolezza della condotta omissiva. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 25875 del 26/05/2010 Ud. dep. 07/07/2010 Rv. 248151).

L’onere della prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate, trattandosi di elemento costitutivo del reato, grava, senza dubbio alcuno, sulla pubblica accusa, anche se può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali oppure attraverso la prova indiziaria” (Sez. 3, Sentenza n. 33187 del 12/06/2013 Cc. dep. 31/07/2013 Rv. 256429; cfr. altresì Cass. pen. sez. 3, n. 1443 del 15.11.2012).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha affermato che “la prova della reale corresponsione ai dipendenti delle retribuzioni soggette alle trattenute in favore dell’INPS e della reale effettuazione di tali trattenute è legittimamente ricavabile dalla attestazione fornitane dallo stesso appellante con la relativa documentazione con i prospetti che ritualmente inviò a suo tempo all’ente creditore, in adempimento all’obbligo normativamente imposto; del resto, non vi è documentazione di diffide o cause di lavoro promosse da dipendenti che l’appellante abbia potuto produrre per contrastare la credibilità delle precedenti proprie attestazioni“.

La Corte d’Appello, inoltre, dalla avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori ha desunto l’avvenuta decurtazione da parte dell’imputato delle “quote contributive” che non gli appartenevano e che non avrebbe dovuto stornare dal versamento “all’ente previdenziale” a cui erano destinate (in mancanza di elementi di prova contraria e non vedendo alcun motivo per il quale l’imputato non avrebbe dovuto farlo).

Trattasi di percorso argomentativo assolutamente carente e illogico, sia per i ripetuti riferimenti all’INPS e alle omesse contribuzioni che nella fattispecie in esame non rilevano in alcun modo, trattandosi di violazioni tributarie (omesso versamento di ritenute certificate), sia perché non motiva sulla prova – spettante alla accusa – delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal sostituto di imposta.

La sentenza impugnata va pertanto annullata per nuovo esame, restando così logicamente assorbito il tema dello stato di necessità pure introdotto nel motivo.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

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